Cassazione Civile, Sez. Lav., 23 maggio 2024, n. 14446 - Inquadramento professionale e risarcimento del danno da demansionamento



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia - Presidente

Dott. RIVERSO Roberto - Consigliere

Dott. PONTERIO Carla - Relatore

Dott. CINQUE Guglielmo - Consigliere

Dott. MICHELINI Gualtiero - Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA



sul ricorso 3769-2019 proposto da:

A.A., B.B., C.C., D.D., in qualità di eredi di E.E., elettivamente domiciliati presso l'indirizzo PEC dell'avvocato DANIELE ZUMMO, che li rappresenta e difende;

- ricorrenti -

contro

UNICREDIT Spa (già CAPITALIA Spa, già BANCO DI SICILIA Spa), in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LIVENZA 3, presso lo studio dell'avvocato MASSIMO LOTTI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati SALVATORE FLORIO, FABRIZIO DAVERIO;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 566/2018 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 26/07/2018 R.G.N. 891/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/03/2024 dalla Consigliera CARLA PONTERIO.

 

Fatto


1. La Corte d'appello di Palermo ha respinto l'appello di E.E., confermando la sentenza di primo grado, con cui era stata rigettata la domanda volta ad ottenere il riconoscimento del diritto all'inquadramento nella terza area professionale, quarto livello, per il periodo dall'1.3.1992 al 30.11.1996, e nell'area quadri direttivi, quarto livello, dal dicembre 1996 al settembre 2009, con condanna della datrice di lavoro Unicredit Spa al pagamento delle differenze retributive e al risarcimento del danno da demansionamento per il periodo successivo al settembre 2009.

2. La Corte territoriale ha esaminato l'eccezione di prescrizione sollevata dalla società (giudicata assorbita dal tribunale); ha accertato che il primo atto interruttivo era costituito dalla richiesta del tentativo di conciliazione del 21.10.2010, non potendo attribuirsi efficacia di atto interruttivo alle lettere del 31.3.2005 e del 21.2.2006 (la cui ricezione e la cui idoneità a interrompere la prescrizione erano state contestate dalla Banca) poiché il lavoratore aveva omesso di depositare in appello il fascicolo di parte contenente i citati documenti; ha quindi dichiarato la prescrizione (decennale) del diritto al superiore inquadramento (per le pretese anteriori al 21.10.2000) e la prescrizione (quinquennale) del diritto alle differenze retributive (per il periodo anteriore al 21.10.2005); ha, di conseguenza, esaminato solo la domanda con cui si rivendicava il diritto all'inquadramento come Quadro direttivo ed ha respinto la stessa avendo accertato che il E.E. "nel periodo in esame, nell'ambito del Servizio di Protezione e Prevenzione, si è occupato dell'esame dei luoghi di lavoro e della verifica della sussistenza dei requisiti di sicurezza indicati in apposite checklist di controllo... predisposte dai tecnici...(svolgendo) compiti di natura tecnica che presuppongono buona conoscenza anche della normativa in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro ma sostanzialmente standardizzati e privi di alcun reale margine di autonomia", requisito quest'ultimo invece necessario ai fini del superiore inquadramento; ha respinto la domanda concernente l'indennità di diaria, per non avere il lavoratore "nemmeno indicato la normativa contrattuale di riferimento... né allegato il numero di trasferte svolte... dati non emersi nemmeno dall'istruttoria"; sul demansionamento, ha dato atto che la domanda era stata respinta dal tribunale in base a una duplice motivazione, cioè per assenza di prova sia del demansionamento e sia del danno biologico differenziale, cioè eccedente quello coperto dalla tutela Inail; ha rilevato che l'appellante non aveva in alcun modo censurato la seconda ratio decidendi e che parimenti sfornita di prova era la domanda di risarcimento del danno alla professionalità.

3. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso A.A., B.B., D.D. e C.C., quali eredi di E.E., con quattro motivi. Unicredit Spa ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.

4. Il Collegio si è riservato di depositare l'ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell'art. 380-bis. 1 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. n. 149 del 2022.
 

Diritto


5. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione o falsa applicazione degli art. 2946 e 2948 c.c., per avere la Corte d'appello dichiarato la prescrizione senza esaminare i documenti n. 33 e n. 34, relativi alle lettere del 31.3.2005 e del 21.2.2006, costituenti validi atti interruttivi, che si assume ritualmente prodotti in giudizio sia in primo che in secondo grado.

6. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 2103 c.c. nonché degli articoli 64, 76 e ss., 84 e ss. del CCNL di categoria per i quadri direttivi e per il personale delle aree professionali dipendenti dalle imprese creditizie, finanziarie e strumentali, per non avere la Corte d'appello tenuto conto della copiosa e incontestata documentazione prodotta in giudizio, atta comprovare lo svolgimento, da parte del E.E., di mansioni superiori a quelle di inquadramento, in ragione delle competenze professionali elevate e dell'autonomia decisionale al medesimo attribuite e per non avere adeguatamente valutato le prove testimoniali raccolte, idonee a dimostrare il possesso delle caratteristiche proprie del profilo superiore rivendicato. I ricorrenti censurano, inoltre, il rigetto della domanda concernente l'indennità di diaria assumendo di avere indicato la normativa contrattuale di riferimento e il numero delle trasferte, sia nel ricorso introduttivo e sia attraverso la produzione documentale, e di avere inoltre provveduto a quantificare le somme pretese mediante apposita consulenza tecnica di parte.

7. Il primo e il secondo motivo, da trattare congiuntamente, sono inammissibili perché, nonostante la formale deduzione di violazione di norme di legge e di contratto collettivo, censurano la selezione e la valutazione delle prove, attraverso ampi riferimenti ai documenti prodotti e alle deposizioni testimoniali; una simile critica è, tuttavia, inammissibile in sede di legittimità se non nei ristretti limiti di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c. (v. Cass. Sez .U. n. 8053 e n. 8054 del 2014), calibrati sull'omesso esame di un fatto storico decisivo, nella specie non rispettati. Il primo motivo, se inteso come volto a denunciare una svista della Corte d'appello là dove ha dichiarato la mancata produzione, in quel grado, del fascicolo di parte contenente i documenti depositati in primo grado, sarebbe inoltre inammissibile poiché prospetta un errore revocatorio.

8. Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. e con riferimento al demansionamento subito, la violazione o falsa applicazione dell'art. 2103 c.c., dell'art. 2043 e dell'art. 13 del D.Lgs. n. 38 del 2000. Si sostiene che la Corte territoriale abbia errato nel confermare la decisione di primo grado, quanto al difetto di prova sia del demansionamento e sia del danno, poiché il ricorrente originario aveva fornito prova dei fatti costitutivi delle domande; i testimoni avevano riferito dell'adibizione dello stesso, a partire dal 2009, al Customer Recovery, con mansioni inferiori rispetto al passato. La società non solo aveva trasferito il suo rapporto di lavoro a seguito di riorganizzazione aziendale e lo aveva demansionato, causandogli una forte depressione ansiosa, ma gli aveva anche offerto un collocamento a riposo anticipato. Condotte che, complessivamente, erano all'origine del danno biologico e di quello professionale subiti.

9. Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione o falsa applicazione degli art. 115 e 116 c.p.c., per non avere la Corte d'appello tenuto debitamente conto delle numerose prove documentali e delle prove testimoniali assunte nel corso del giudizio di primo grado e per aver omesso di motivare sulla mancata ammissione di una c.t.u.

10. Parimenti inammissibili sono il terzo e il quarto motivo che si risolvono in una mera asserzione contrappositiva alle statuizioni della sentenza d'appello, di cui non colgono la ratio decidendi. I giudici di secondo grado hanno fatto leva sul dato per cui l'impugnazione proposta aveva investito solo una delle due rationes decidendi poste a base della decisione di primo grado, ed esattamente la mancata prova del registro del demansionamento, mentre nessuna censura l'appellante aveva sollevato sull'altra autonoma ratio decidendi, di mancata prova del danno subito. I ricorrenti non hanno impugnato tale statuizione e non l'hanno in alcun modo contestata attraverso specifici riferimenti agli atti processuali (in particolare, al ricorso in appello).

11. Neppure è accoglibile la censura di violazione degli art. 115, 116 c.p.c., che presuppone, come più volte precisato da questa Corte (cfr. Cass., Sez .U. n. 20867 del 2020; Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), il mancato rispetto delle regole di formazione della prova ed è rinvenibile nelle ipotesi in cui il giudice utilizzi prove non acquisite in atti (art. 115 c.p.c.) o valuti le prove secondo un criterio diverso da quello indicato dall'art. 116 c.p.c., cioè una prova legale secondo prudente apprezzamento o un elemento di prova liberamente valutabile come prova legale. Nessuna di queste situazioni è rappresentata nei motivi di ricorso in esame ove è unicamente e inammissibilmente dedotto che il giudice ha male esercitato il suo prudente apprezzamento delle prove.

12. Per le ragioni esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.

13. La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.

14. Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. Sez. U. n. 4315 del 2020).

 

P.Q.M.


La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi dell'art. 13, co. 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso nell'adunanza camerale del 26 marzo 2024.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2024.