Cassazione Penale, Sez. 1, 28 maggio 2024, n. 21021 - Sfruttamento di manodopera. Competenza



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE


Composta da

Dott. MOGINI Stefano - Presidente

Dott. CASA Filippo - Consigliere

Dott. CENTOFANTI Francesco - Relatore

Dott. APRILE Stefano - Consigliere

Dott. CAPPUCCIO Daniele - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



sul conflitto di competenza sollevato dal G.u.p. del Tribunale di Pescara nei confronti del Tribunale di Pavia con ordinanza del 05/12/2023

visti gli atti;

udita la relazione svolta dal consigliere Francesco Centofanti;

udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Valentina Manuali, che ha chiesto dichiararsi la competenza del Tribunale di Pavia;

udito, per gli imputati A.A. e B.B., in sostituzione dell'avvocato Giorgio Perroni, l'avvocato Bruno Andò, che ha chiesto dichiararsi la competenza del Tribunale di Milano, o in subordine la competenza del Tribunale di Pesaro o di Pescara;

udito, per gli imputati C.C. e D.D., per quest'ultimo in sostituzione dell'avvocato Elio Giannangeli, l'avvocato Domenico Aiello, che ha chiesto dichiararsi la competenza del Tribunale di Milano, o in subordine rimettersi la causa alle Sezioni Unite;
 

Fatto


1. Con sentenza 20 giugno 2023 il Tribunale di Pavia, in composizione collegiale, declinava la propria competenza territoriale in favore del Tribunale di Pescara nel processo a carico di A.A., ed altri, relativo ai reati di turbata libertà degli incanti, frode in pubbliche forniture, sfruttamento di manodopera, associazione per delinquere, omesso versamento di contributi previdenziali e assistenziali e indebita compensazione di crediti d'imposta.

Il Tribunale di Pavia riteneva che le imputazioni più gravi fossero quelle di sfruttamento di manodopera, aggravato dal numero di lavoratori reclutati superiore a tre (art. 603-bis, primo comma, n. 2, e quarto comma, n. 1, cod. pen.), imputazioni contestate ai capi 13) e 14) della rubrica; che si trattasse di unico reato, avente natura abituale; che il momento consumativo andasse indentificato nel compimento dell'ultimo atto della serie criminosa; che, dunque, dovesse assumere rilievo la condotta di sfruttamento che, tra quelle contestate, si fosse protratta più a lungo e/o fosse cessata per ultima.

Tale sarebbe la condotta (cessata solo nel mese di ottobre 2021, con l'esecuzione del sequestro preventivo) ai danni del lavoratore E.E., tenuta nell'ambito dell'esecuzione dell'appalto stipulato con l'Azienda USL di P. Alla relativa sede giudiziaria il processo andava così trasferito.

2. Investito del processo a seguito della declaratoria d'incompetenza, il G.u.p. del Tribunale di Pescara dissentiva da tale impostazione.

Secondo il G.u.p., le condotte di cui ai capi 13) e 14) della rubrica non potrebbero ricondursi ad unico reato, se non altro perché non vi sarebbe perfetta coincidenza soggettiva tra le imputazioni. Sarebbe allora più grave il reato di cui al capo 13), per il maggior numero di lavoratori vessati. E tale reato era stato interamente consumato nell'ambito del circondario di P.

Anche a prescindere da ciò, osservava ancora il G.u.p., la fattispecie contestata non integrerebbe un reato abituale, ma un reato permanente (o istantaneo ad effetti permanenti), con la conseguenza che per la competenza territoriale dovrebbe farsi riferimento al luogo della consumazione iniziale, legata al primo episodio di sfruttamento. Se anche, dunque, le contestazioni operate nei capi 13) e 14) dessero vita ad un unico reato, la consumazione rilevante sarebbe quella originata in territorio di P, nel settembre 2017, nell'ambito del servizio di trasporto ospedaliero affidato dalla locale ASST. E competente sarebbe, in ogni caso, il Tribunale di Pavia.

Su queste premesse, il giudice pescarese sollevava, con l'ordinanza in epigrafe, conflitto negativo, ai sensi dell'art. 30, comma 1, cod. proc. pen., ordinando la trasmissione degli atti a questa Corte.

3. La difesa dell'imputato C.C. ha depositato rituale memoria difensiva.

In essa il difensore sostiene, per quanto qui direttamente interessa, che, ferma l'unicità del reato contestato, e la sua natura abituale (con consumazione identificabile con la cessazione della condotta antigiuridica), quel che rileverebbe, ai fini della competenza territoriale, sarebbe la sede operativa dell'azienda appaltatrice (Cooperativa First Aid), presso la quale era formalmente avvenuta l'assunzione dei lavoratori (destinati a svolgere, su tutto il territorio nazionale, il servizio di trasporto sanitario dato in appalto dalle diverse aziende sanitarie committenti), nella quale il rapporto sarebbe stato interamente gestito e ove sarebbe stata, dunque, programmata e attuata la strategia di sfruttamento contestata nei capi 13) e 14) della rubrica. Trovandosi tale sede operativa nel Comune di B, la competenza territoriale andrebbe intestata all'Autorità giudiziaria di Milano.

A parte andrebbe considerato il solo capo 18), relativo al reato di indebita compensazione di crediti d'imposta, in alcun modo connesso ai precedenti. In ordine a quest'ultimo, la competenza apparterrebbe al Tribunale di Pesaro, luogo della sede legale della Cooperativa.

 

Diritto


1. Va preliminarmente dichiarata l'ammissibilità del conflitto, in quanto dal rifiuto dei giudici confliggenti di conoscere della reiudicanda consegue una stasi del procedimento, che può essere superata solo con la decisione di questa Corte.

2. Nel merito, il conflitto deve essere risolto nel senso prospettato dal giudice rimettente.

3. L'art. 603-bis, primo comma, n. 2), cod. pen., nel testo modificato dalla legge 29 ottobre 2016, n. 199, incrimina chiunque utilizza, assume o impiega manodopera, anche dietro attività di intermediazione altrui, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.

Al fine di realizzare la più ampia tutela del bene giuridico preso in considerazione, la disposizione prevede che il reato si perfezioni attraverso modalità alternative e/o concorrenti, che si concentrano sull'uso datoriale di manodopera, anche in via di fatto e indipendentemente dalla previa formale stipulazione di un contratto di lavoro, nelle condizioni in fattispecie evocate, il datore di lavoro risponde del reato, a prescindere da un pregresso intervento di intermediazione ad opera del c.d. caporale, se sfrutta uno o più lavoratori approfittando del loro stato di bisogno. Gli indici di sfruttamento sono quelli indicati nel terzo comma dell'art. 603-bis, cit., e includono la palese incongruenza dei trattamenti retributivi, nonché la violazione delle norme in tema di tempi di lavoro e di sicurezza e igiene dei relativi luoghi (che sono gli indici specificamente contestati nei capi d'imputazione odierni). Le violazioni retributive e di orario, costituenti indici di sfruttamento, debbono essere reiterate e la reiterazione deve intendersi riferita al singolo lavoratore, e non alla sommatoria di comportamenti episodici in danno di lavoratori diversi, in quanto oggetto di tutela non è un bene collettivo, ma la dignità della singola persona (Sez. 4, n. 45615 del 11/11/2021, Mazzotta, Rv. 282580-01).

Lo sfruttamento, così inteso, importa la verificazione un minimum quantitativo di comportamenti e ne sottende la ripetizione, in misura sufficiente ad offendere il bene giuridico protetto. Partendo da tale rilievo, lo sfruttamento si presta ad essere inquadrato come condotta abituale e il reato in esame ad essere classificato in tale categoria dogmatica (Sez. 4, n. 25756 del 12/05/2021, Zinzeri, fa proprio un tale orientamento).

Secondo altra impostazione, che fa implicitamente leva sulla continuità temporale della condotta e sull'ingravescenza delle sue conseguenze, si tratterebbe di un reato istantaneo con effetti permanenti (in termini, Sez. 4, n. 24388 del 10/03/2022, Goldoni), il cui perfezionamento si avrebbe già con l'ingaggio del lavoratore nella prospettiva del suo sfruttamento, mentre la lesione dell'interesse protetto permarrebbe per l'intero tempo di sua durata, correlata all'approfittamento dello stato di bisogno.

4. Non è in questa sede necessario prendere posizione sul punto (né, tanto meno, sollecitare l'intervento delle Sezioni Unite), perché l'esatta definizione della natura giuridica del reato di sfruttamento di manodopera, per le considerazioni ulteriori che si andranno a svolgere, non condiziona la soluzione del presente conflitto.

Quel che occorre sin d'ora rimarcare, in vista di tale soluzione, è piuttosto che - si accolga l'uno o l'altro inquadramento - la consumazione del reato avviene nel luogo di effettiva occupazione del lavoratore in condizioni di sfruttamento, preceduta (o meno) da formale assunzione, e non nel diverso luogo in cui quest'ultima sia stata eventualmente stipulata, e neppure nel diverso luogo ove il rapporto di lavoro sia eventualmente gestito dal lato amministrativo e burocratico.

È l'occupazione del lavoratore, realizzata in guisa da sfruttarlo, che concreta la situazione materiale, offensiva del bene giuridico tutelato. L'adibizione in fatto del lavoratore alle mansioni, contrassegnata da sfruttamento, reso a sua volta possibile dall'approfittamento dello stato di bisogno, infrange il divieto penale e definisce al tempo stesso la condotta incriminata, conformemente alla ratio della proibizione, sulla base di un criterio di effettività.

Se il lavoratore sfruttato opera alle dipendenze di un'impresa aggiudicataria di appalto, il luogo di esecuzione di esso rappresenterà il luogo di consumazione del reato, a prescindere da dove insista la sede datoriale, legale od operativa che sia.

5. Il reato si perfeziona a carico di chi impegna "lavoratori", sottoponendoli a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno, ed è dunque la struttura stessa della fattispecie, ad oggetto materiale plurimo, che consente di affermare che condotte di tal genere, se contestuali dal lato spaziale e temporale, continuative e connotate da comune direzione finalistica, integrano un solo reato, qualunque sia il numero degli occupati coinvolti.

Tale numero rileverà, in tal caso, solo ai fini della dimensione offensiva del fatto, essendo la pena pecuniaria ad esso commisurata ed essendo il numero di lavoratori reclutati superiore a tre configurato come speciale circostanza aggravante (art. 603-bis, quarto comma, n. 1, cod. pen.).

Il concorso materiale di reati, omogeneo, eventualmente riconducibile ad unità di disegno criminoso, sarà invece ravvisabile, mancando tali requisiti, ossia in caso di apprezzabile sfasatura temporale, spaziale o teleologica delle condotte in esame.

La diversità dei luoghi in cui le vittime siano sfruttate, unita alla diversa identità di queste ultime, esclude del resto l'unicità ontologica del reato di sfruttamento, pur quando gli atti corrispondenti siano commessi senza soluzione di continuità (v., in tema di prostituzione, Sez. 3, n. 41404 del 07/07/2011, Y, Rv. 251300-01).

6. Nel caso di specie, le imputazioni di cui ai capi 13) e 14) riguardano condotte di sfruttamento che sarebbero state poste in essere ai danni di lavoratori dipendenti, sì, da una medesima Cooperativa, ma nell'ambito di appalti oggetto di stipulazioni distinte, che si svolgevano in località del territorio nazionale geograficamente distanti tra loro e che, di conseguenza, impegnavano ciascuno manodopera diversa.

In un tale scenario, i reati configurabili sono molteplici, tanti quanti gli appalti nel cui ambito siano effettivamente riscontrabili le condizioni di sfruttamento penalmente rilevanti (v., d'altra parte, Sez. 4., n. 34600 del 2022, che, nel respingere in sede cautelare il motivo di ricorso di C.C. sull'incompetenza territoriale della sede giudiziaria di Pavia, ha già implicitamente ritenuto che le condotte in contestazione integrino una pluralità di reati, correlati all'area territoriale di esecuzione della prestazione lavorativa).

La riconducibilità dei comportamenti criminali ad un disegno unitario, concepito dai responsabili della Cooperativa e destinato ad attuarsi a prescindere dalla localizzazione dell'appalto, può rilevare agli eventuali fini della continuazione tra i reati.

Fermo restando, del resto, il principio secondo cui, ai fini della regolazione della competenza, occorre essenzialmente fare riferimento alla prospettazione dei fatti espressa dall'organo dell'accusa nell'imputazione (da ultimo, Sez. 1, n. 31335 del 23/03/2018, conf., comp. in proc. Giugliano, Rv. 273484-01), è sempre consentita alla Corte di cassazione, in sede attributiva, la qualificazione giuridica di quei fatti; né è ad essa, dunque, neppure precluso di ravvisarvi l'esistenza del fenomeno della unicità o pluralità di reati, indipendentemente dalla tecnica di redazione dei capi d'imputazione e dall'impostazione data al riguardo dalla pubblica accusa (Sez. 1, n. 5610 del 26/01/2022, G.i.p. Tribunale di Pisa, Rv. 282724-01).

7. L'appalto, ricomprendente il maggior numero di lavoratori oggetto di sfruttamento, individua il reato più grave tra quelli omogenei concorrenti.

A parità di pena detentiva astrattamente irrogabile, la pena pecuniaria è infatti legalmente determinata per relationem al numero delle vittime reclutate.

Si tratta, nel caso di specie, dell'appalto stipulato con l'ASST di Pavia, avente esecuzione in quel circondario, come risulta dalla lettura dei capi d'imputazione.

8. In base alle considerazioni esposte, la competenza a trattare il processo appartiene al Tribunale di Pavia, cui gli atti debbono essere per l'effetto trasmessi.

Tale competenza deve essere affermata in relazione a tutti i reati contestati, incluso quello tributario (meno grave) di cui al capo 18).

Lo stesso Tribunale di Pavia, nella originaria sentenza declinatoria della competenza, afferma essere astrattamente configurabile il nesso di continuazione (idoneo a determinare, ex art. 12, comma 1, lett. b, cod. proc. pen., il simultaneus processus) tra il reato di cui al capo 18) e i rimanenti addebiti. Al riscontro della continuazione, ai fini iniziali del radicamento della competenza, è del resto sufficiente la presenza di plausibili elementi prognostici, essendo irrilevante l'eventuale mancata menzione dell'unicità di disegno criminoso nei capi d'imputazione e restando ogni valutazione definitiva sul punto riservata alla decisione di merito (Sez. 1, n. 17458 del 30/01/2018, conf., comp. in proc. Liccardi, Rv. 273129-01). Né la difesa dell'imputato C.C. ha specifico interesse a dolersi di tale prognosi. L'unicità di giudizio giova - oltre che al miglior accertamento probatorio dei fatti, alla speditezza dei giudizi ed alla coerenza delle decisioni - altresì all'interesse della persona accusata di poter concentrare in unico contesto le sue difese e, in caso di condanna, di accedere sin dalla cognizione al più benevolo trattamento sanzionatorio di cui all'art. 81 cpv. cod. pen.

 

P.Q.M.


Decidendo sul conflitto, dichiara la competenza del Tribunale di Pavia cui dispone trasmettersi gli atti.

Così deciso il 06 marzo 2024.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2024.