Cassazione Penale, Sez. 4, 28 maggio 2024, n. 20792 - Lavoratore autonomo incaricato di programmare un pantografo viene attinto da una "rosata" di frammenti metallici. Obbligo del datore di lavoro di adeguare le macchine


 



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta da:

Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente

Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere

Dott. BELLINI Ugo - Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere

Dott. DAWAN Daniela - Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

A.A.nato a L il (Omissis)

avverso la sentenza del 13/03/2023 della CORTE APPELLO di LECCE

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA DAWAN:

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCA CERONI che ha concluso chiedendo

Il Proc. Gen. conclude per il rigetto del ricorso,

udito il difensore

E' presente l'avvocato STEFANIZZO TOMMASO del foro di LECCE in difesa di A.A., che insiste per l'accoglimento del ricorso.

 

Fatto


1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Lecce ha confermato la pronuncia del Tribunale di Lecce che ha dichiarato A.A. colpevole del reato di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen., per avere, in qualità di titolare della ditta "ARTELEGNO di A.A.", per colpa generica e per inosservanza delle norme sulla sicurezza del lavoro, precisate nel capo di imputazione, cagionato il decesso di B.B., attinto da una "rosata" di frammenti metallici che determinarono emorragia, progressiva insufficienza respiratoria e scompenso emodinamico, con conseguente rapida morte. Accadeva che l'imputato avesse adibito il tecnico B.B. a lavorare su un pantografo senza averne verificato l'idoneità professionale in relazione all'attività di programmazione del macchinario, senza avergli fornito formazione e addestramento specifici e senza aver assoggettato la macchina alle misure di aggiornamento dei requisiti di sicurezza, in assenza altresì di collaudo iniziale e verifica funzionale al fine di garantire la corretta installazione e il buon funzionamento, cosicché il B.B., dovendo eseguire lavorazioni di prova su un pezzo di polistirolo, impostava il macchinario con velocità di rotazione di 16.000 giri al minuto della fresa (velocità enormemente superiore a quella indicata e stampigliata sulla stessa fresa di 4000 giri al minuto, nonché quella indicata nel manuale d'uso); l'impatto con il pezzo di polistirolo causava la rottura delle lame montate sulla fresa che foravano le bandelle di protezione, si frantumavano contro la rete metallica esterna e andavano a colpire volto, collo e torace del lavoratore, cagionandone il decesso.

2. I profili di colpa specifica ascrivibili all'imputato sono stati, in particolare, individuati nell'avere egli dato l'incarico di programmazione del pantografo al B.B. disinteressandosi di verificare la specifica preparazione tecnica dello stesso rispetto alla peculiare attività di cui lo investiva; nell'avere disatteso i pur minimi oneri di controllo in ordine al funzionamento ed alla sicurezza del macchinario che metteva a disposizione e rispetto al quale non procedeva ad alcun collaudo né ad alcuna verifica sul funzionamento e sull'aggiornamento dei dispositivi di sicurezza di cui era dotato. Omissioni che i Giudici di merito hanno ritenuto costituire chiara violazione degli obblighi sull'imputato incombenti, in quanto titolare della posizione di garanzia della sicurezza del luogo di lavoro, complessivamente inteso.

3. Avverso la sentenza di appello ricorre l'imputato, a mezzo del difensore, che solleva i seguenti motivi con cui deduce:

3.1. Inosservanza ed erronea applicazione di norme processuali in relazione agli artt. 240-bis, D.Lgs. 271/1989, 359, 360, 405, 407, 180 e 182 cod. proc. pen., nonché per erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 40, 41 e 589 cod. pen. e per mancanza e manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell'art. 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. Si lamenta che l'incarico conferito, ai sensi dell'art. 359 cod. proc. pen.,dal Pubblico ministero al consulente tecnico sul macchinario in sequestro, come le operazioni dal predetto consulente avviate in data 12/09/2014, e proseguite nei mesi successivi, abbiano avuto luogo in periodo di sospensione feriale dei termini processuali - dovendosi tener conto della disciplina vigente all'epoca dei fatti - e, quindi, in violazione delle disposizioni di cui all'art. 240-bis D.Lgs. 271/1989, senza tuttavia che vi fossero ragioni per procedere con la "massima urgenza" al compimento degli accertamenti tecnici sul beni in sequestro, risultando del tutto omessa la richiesta al Giudice per le indagini preliminari e l'emissione da parte di questi del provvedimento d'urgenza, con la successiva notifica alle parti e ai loro difensori, dalla cui data computare la decorrenza dei termini processuali anche nel periodo feriale. Si è così violata la disciplina di cui al predetto art. 240-bis, con riferimento alle operazioni compiute ex art. 359 cod. proc. pen., da cui discende la nullità di tali atti ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. Nel caso di specie, tale nullità è stata tempestivamente e ritualmente eccepita, prima della pronuncia del provvedimento di cui all'art. 424 cod. proc. pen. e reiterata in limine litis dinanzi al Tribunale, ma rigettata da entrambi i Giudici. Il compimento delle attività innanzi riferite durante il periodo feriale ha comportato la decorrenza del termine dì indagine in fase di sospensione, con la conseguenza che era tardiva la richiesta di proroga di cui all'art. 406 cod. proc. pen., avanzata dal Pubblico ministero in data 02/03/2015 e, pertanto, inutilizzabili tutti gli atti di indagine compiuti in data successiva al 19/02/2015; stanti l'iscrizione della notizia di reato in data 16/07/2014 e la decorrenza del termine di indagine sospeso a partire dal 05/09/2014 (data di conferimento dell'incarico al consulente del pubblico ministero), il termine semestrale ex art. 405 cod. proc. pen. scadeva il 19/02/2015. I medesimi problemi si pongono, sostiene il difensore, anche con riferimento agli accertamenti tecnici irripetibili di cui all'art. 360 cod. proc. pen., disposti in data 24/07/2015 (al fine di rispondere ai medesimi quesiti posti a base del precedente incarico ex art. 359) dal Pubblico ministero, i quali, iniziati il 30/07/2015, proseguivano in periodo di sospensione feriale (in data 6 e 28/08/2015). Anche in questo caso, le operazioni avevano luogo in assenza del decreto di urgenza del Pubblico ministero da comunicarsi alle parti. Si tratta di una nullità generale a regime intermedio e non relativa, rispetto alla quale permane il potere della parte di stimolare l'intervento officioso del Giudice. Difetta poi il presupposto per l'operatività di cui all'art. 182, comma 2, primo periodo, cod. proc. pen., ossia l'avere la parte assistito al compimento dell'atto nullo, atteso che il Pubblico ministero aveva consentito al consulente dì comunicare l'inizio delle operazioni a mezzo posta elettronica certificata. In ragione di quanto testé illustrato, già nel giudizio di appello, la difesa aveva eccepito l'inutilizzabilità, ex art. 407, comma 3, cod. proc. pen., degli atti compiuti successivamente al 07/09/2015, ovverosia la scadenza del termine del semestre di proroga, correttamente determinato tenendo conto della decorrenza del termine di indagini in fase di sospensione feriale a partire dal 06/08/2015, a seguito dello svolgimento degli accertamenti tecnici durante tale periodo. Su questa doglianza la Corte di appello non si è pronunciata. Va rilevato come la dedotta inutilizzabilità degli atti, eccepita nel termine di cui all'art. 424 codice di rito e successivamente reiterato in limine litis in entrambi i giudizi in merito non possa considerarsi tardiva;

3.2. Erronea applicazione di legge in relazione agli artt. 40, 41, 589 cod. pen., 15, 23, 37, 70, 71, 73 D.Lgs. 81/08, nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell'art. 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. Pacifica è la responsabilità di chi ha venduto all'imputato il macchinario in violazione dell'art. 23 D.Lgs. 81/08, a fronte, tra l'altro, della certificazione di conformità, idonea ad ingenerare un legittimo affidamento del prevenuto. Quanto alla culpa in eligendo, la difesa osserva che, nel caso del committente che incarica un prestatore d'opera autonomo di eseguire determinati lavori, debba altresì valutarsi la specificità e pericolosità dei lavori affidati e l'agevole ed immediata percepibilità, da parte del committente, di situazioni di pericolo. Nel caso di specie, il B.B., prestatore d'opera autonomo, ha posto in essere una condotta colposa consistita nell'aver malamente programmato la scheda del sistema di controllo numerico del pantografo, senza neppure controllare il manuale del macchinario in suo possesso, la cui lettura avrebbe evitato il sinistro mortale. Deve altresì tenersi in considerazione che la vittima si interessava alla programmazione di tali sistemi da tempo e che la programmazione della scheda del computer di bordo del pantografo non era attività da reputarsi in sé pericolosa, cosicché il pericolo non era di agevole ed immediata percepibilità da parte del prevenuto. Deve, pertanto, concludersi nel senso che il processo causale è stato attivato, a monte, dalla condotta del venditore del macchinario e, a valle, da quella altrettanto colposa del lavoratore autonomo;

3.3. Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 62-bis cod. pen., nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione. Al riguardo, si sarebbe dovuto tener conto delle concorrenti responsabilità (del venditore della macchina e della vittima), in uno con l'incensuratezza dell'imputato.

4. Il Procuratore generale in sede ha chiesto che il ricorso venga rigettato.

5. In data 30/01/2024, sono pervenuti gli atti di revoca della costituzione delle parti civili C.C.e D.D., rappresentati dall'avv. Luigi Rella; della parte civile E.E., rappresentato dall'avv. Andrea Starace; della parte civile F.F., rappresentato dall'avv. Sandra Margarito.
 

Diritto


1. Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.

2. Quanto all'incarico conferito dal Pubblico ministero ai sensi dell'art. 359 cod. proc. pen. ed alle operazioni avviate in data 12/09/2014, il Collegio osserva che non si configura alcuna violazione di legge, atteso che l'art. 359 cod. proc. pen. riguarda un'attività della parte per la quale non possono trovare applicazione i principi richiamati dalla difesa con riferimento alle garanzie di informazione in favore dell'indagato e alla partecipazione del difensore. Tali principi, infatti, costituiscono presupposto indubitabile per la validità degli atti volti alla raccolta delle prove, atti tendenzialmente irripetibili ed aventi rilevanza ai fini del giudizio, con la conseguenza che la legge vuole che essi siano svolti nel rispetto di garanzie essenziali di contraddittorio. L'art. 359 cod. proc. pen., invece, come si legge nella sentenza impugnata, disciplina un mero atto di indagine che, in quanto tale, non implica il coinvolgimento di termini processuali, con la conseguenza che esso poteva essere posto in essere senza limitazioni di sorta, dovendosi altresì tener conto che i termini fissati per il compimento delle indagini preliminari sono soggetti al regime di sospensione stabilito per il periodo feriale (ex multis, Sez. 4 , n. 6490 del 26/11/2020, dep. 2021, Pg c/ Olmetti Giampaolo, Rv. 280927 - 02; Sez. 4, n. 32976 del 14/07/2009, Becchimanzi, Rv. 244860), venendo così meno, come correttamente afferma la Corte distrettuale, anche l'eccezione di tardività della richiesta di proroga avanzata dal Pubblico ministero il 02/03/2015.

In tema di accertamenti tecnici fatti eseguire dal Pubblico ministero, le garanzie difensive dettate, a pena di inutilizzabilità, dall'art. 360 cod. proc. pen. riguardano solo gli accertamenti tecnici non ripetibili, vale a dire quelli che hanno ad oggetto persone, cose o luoghi soggetti a modificazioni tali da far perdere loro in tempi brevi ogni valenza probatoria in relazione ai fatti oggetto di indagini e di eventuale futuro giudizio. In tal caso, cori riguardo agli stessi, nel caso di specie disposti dal Pubblico ministero il 24/07/2015 (iniziati il 30/07/2015 e proseguiti in periodo di sospensione feriale), la risposta della Corte di appello sul punto è incensurabile: trattandosi di nullità a regime intermedio, suscettibile pertanto di sanatoria ai sensi degli artt. 180 e 182 del codice di rito, è stata ritenuta tardiva la deduzione concernente l'irregolarità relativa alla mancata notifica alla parte ed al difensore del decreto motivato adottato dal Pubblico ministero, in ordine alle ragioni di urgenza per procedere nel periodo feriale al compimento degli atti previsti dall'art. 360 cod. proc. pen., perché non formulata secondo i dettami dell'art. 182, comma 2, cod. proc. pen., ossia prima del compimento dell'atto, ovvero, se ciò non era possibile, immediatamente dopo, essendo l'eccezione tardiva quando dedotta a distanza di parecchi giorni e in occasione di un primo atto successivo al procedimento. Nel caso in esame, la Corte, replicando al rilievo difensivo -secondo cui era impossibile sollevare la questione prima del compimento dell'atto -, ha osservato che l'eccezione può essere presentata anche con memoria difensiva, ben potendo la formulazione dell'eccezione aver luogo anche al di fuori dell'espletamento di specifici atti, mediante memoria o richieste ai sensi dell'art. 121 cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 42715 del 25/09/2003, Giannandirea, Rv. 227303). Rileva, pertanto, che la difesa avrebbe dovuto sollevare l'eccezione in occasione dell'accertamento ex art. 360 cod. proc. pen. o immediatamente dopo, a mezzo di apposita memoria, ma che nessuno di tali incombenti è stato espletato, conseguendone la sanatoria della nullità. La censura sul punto è dunque inammissibile.

2.1. Il secondo motivo di ricorso consta delle medesime doglianze, infondate, già proposte al vaglio della Corte territoriale che, sul punto, cosi come il primo Giudice, ha offerto una motivazione ampia, logica e congrua, oltre che giuridicamente corretta, con cui l'odierno ricorso, in concreto, non si confronta. Già la sentenza di primo grado aveva osservato (p. 16) che il nesso causale non poteva dirsi in alcun modo escluso dalla circostanza relativa alla risalenza delle carenze funzionali e di sicurezza sin dal momento dell'acquisto, atteso che tra i compiti di prevenzione incombenti sul datore di lavoro vi è anche quello di dotare il lavoratore di strumenti e macchinari sicuri.

La Corte di appello destituisce di fondamento l'assunto difensivo secondo cui alla vittima, lavoratore autonomo, va mosso il rimprovero di aver accettato l'incarico, da parte del prevenuto, nella piena consapevolezza di non avere le qualifiche e le competenze adatte. Al riguardo, dopo aver ricordato come si verta in un'ipotesi di subordinazione "di fatto" e come incomba al datore di lavoro l'obbligo di accertarsi che l'ambiente di lavoro abbia requisiti di affidabilità e legalità idonei a realizzare la tutela di chi vi operi, la sentenza impugnata ha richiamato la giurisprudenza di legittimità laddove questa ha stabilito che è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del lavoratore il committente che affidi lavori ad un lavoratore autonomo di non verificata professionalità (Sez. 4, n. 35534 del 14/05/2015, Gallone, Rv. 264405. In motivazione, la Corte ha precisato che l'unitaria tutela del diritto alla salute, indivisibilmente operata dagli artt. 32 Cost., 2087 cod. civ. e 1, comma 1, legge n. 833 del 1978, impone l'utilizzazione dei parametri di sicurezza espressamente stabiliti per i lavoratori subordinati nell'impresa, anche per ogni altro tipo di lavoro); e che il committente ha l'obbligo di verificare l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati (Sez. 3, n. 35185 del 26/04/2016, Marangio, Rv. 267744). E ciò in quanto il datore di lavoro ha l'obbligo di garantire la sicurezza dell'ambiente di lavoro e dunque anche quello di accertarsi che i macchinari messi a disposizione dei lavoratori siano sicuri ed idonei all'uso, rispondendo in caso di omessa verifica dei danni subiti da questi ultimi per il loro cattivo funzionamento e ciò a prescindere dalla eventuale configurabilità di autonome concorrenti responsabilità nei confronti del fabbricante o del fornitore dei macchinari stessi (vedasi in proposito Sez. 4, n. 6280 del 11/12/2007, dep. 2008, Mantelli ed altro, Rv. 238959).

La sentenza di appello richiama le parole di quella di primo grado, la quale ha affermato come non possa certamente "attribuirsi valenza esimente... al fatto che il pantografo fosse, sin dal momento dell'acquisto, carente sotto il profilo funzionale e precario in punto di sicurezza, trattandosi di circostanza in sé non tale da elidere il suindicato obbligo cautelare del datore di lavoro", essendo pacifica l'affermazione giurisprudenziale secondo cui è configurabile la responsabilità del datore di lavoro che introduca nell'azienda e metta a disposizione del lavoratore una macchina che, per vizi di costruzione, possa essere fonte di danno per le persone, senza avere appositamente accertato che il costruttore e l'eventuale diverso venditore abbia sottoposto la stessa macchina a tutti i controlli rilevanti per accertarne la resistenza e l'idoneità all'uso, non valendo ad escludere la responsabilità la mera dichiarazione del datore di lavoro di aver fatto affidamento sull'osservanza da parte del costruttore delle regole della migliore tecnica (ex multis, Sez. 4, n. 31467 del 03/07/2002, Del Bianco Barbacucchia, Rv. 222310; analogamente, Sez. 4, n. 1184 del 03/10/2018, dep. 2019, MOTTA PELLI Srl, Rv. 275114 - 02: "In tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità del costruttore, nel caso in cui l'evento dannoso sia provocato dall'inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l'obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare tale macchina e di adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori; a detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio di progettazione, che non consentano di apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza). Tenendo conto degli anzidetti principi, i Giudici di merito - rilevato come il pantografo in questione fosse malfunzionante e sfornito degli opportuni presidi di sicurezza - hanno congruamente sostenuto che l'imputato aveva l'onere di sottoporre a rigorosa verifica il macchinario prima della sua messa in funzione e di assicurarsi dell'operatività e dell'adeguatezza dei dispositivi di sicurezza, curando, ove necessario, il loro aggiornamento rispetto allo stato della normativa e della tecnologia. Il datore di lavoro è invero tenuto, ai sensi dell'art. 2087 cod. civ., ad adeguare le macchine, al fine dell'applicazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro, alle prescrizioni che la scienza e la tecnica suggeriscono, anche se le stesse macchine rispondevano alle disposizioni di sicurezza in vigore al momento storico della loro costruzione. Corretta appare pertanto la conclusione dei Giudici di merito secondo cui "nessuna efficacia dirimente può attribuirsi, come evocato dalla difesa, all'esistenza, al momento dell'acquisto, di un certificato di conformità, documento, tra l'altro, dotato di una funzione esplicativa ben delimitata e comunque non bastevole a soddisfare tutte le esigenze di verifica connesse alla problematica della sicurezza".

Quanto alla responsabilità della vittima, la sentenza impugnata -richiamato il principio per cui l'interruzione del nesso eziologico, a causa del comportamento imprudente del lavoratore, da solo sufficiente a determinare l'evento, richiede, secondo i principi giuridici enucleati dalla giurisprudenza (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv.261106, in motivazione), che la condotta si collochi in qualche guisa al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso e che non può parlarsi di responsabilità del lavoratore per infortunio quando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle criticità - ha motivatamente escluso che la condotta della vittima abbia attivato un rischio eccentrico ovvero esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia, trattandosi al contrario, per quanto si è sin qui detto, di situazione che doveva essere comunque disciplinata dal datore di lavoro.

2.3. Quanto al diniego delle invocate attenuanti generiche, la Corte di appello ha offerto una motivazione congrua ed immune da vizi logico-giuridici, secondo un percorso argomentativo non manifestamente illogico e come tale insindacabile in Cassazione. Richiamando quello che costituisce ormai ius receptum in tema di circostanze attenuanti generiche, ha osservato che, nel caso in esame, non sussistono né sono stati evidenziati elementi di peso specifico tale da giustificare il riconoscimento delle circostanze in questione, non potendosi valorizzare in tal senso la leale condotta processuale dell'imputato, la remissione in pristino del macchinario secondo le direttive dello Spesai, o l'imperizia manifestata dalla vittima, per le ragioni sopra ricordate, altresì affermando come la pena, determinata nel minimo edittale, sia congrua e correttamente mitigata dalla concessione dei doppi benefici della sospensione condizionale e della non menzione.

3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 31 gennaio 2024.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2024.