Cassazione Penale, Sez. 4, 28 maggio 2024, n. 20810 - Caduta dall'alto. Ruoli del direttore dei lavori, del preposto alla cava e del responsabile del servizio di Prevenzione e Protezione
- Cava, Miniera e Industria Estrattiva
- Direttore dei Lavori
- Dirigente e Preposto
- Lavori in Quota
- Servizio di Prevenzione e Protezione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. DOVERE Salvatore - Presidente
Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere
Dott. CALAFIORE Daniela - Relatore
Dott. CENCI Daniele - Consigliere
Dott. CIRESE Marina - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
A.A. nato a V il (Omissis)
B.B. nato a M il (Omissis)
avverso la sentenza del 09/05/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA CALAFIORE;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore SILVIA SALVADORI che ha concluso chiedendo il rigetto dei due i ricorsi.
Uditi, in difesa delle parti civili, gli avvocati ENRICA Graziosi ed EUSEBIO Graziosi del foro di RIETI, che depositano conclusioni scritte e nota spese, delle quali chiedono la liquidazione, insistendo per il rigetto dei ricorsi.
Udito l'avvocato SCALZI MAURIZIO del foro di ROMA in difesa di B.B., che chiede l'accoglimento del ricorso.
udito l'avvocato PIERDONATI MARCO del foro di ROMA in difesa di A.A., che chiede l'accoglimento del ricorso.
Fatto
1. La Corte di appello di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la decisione del Tribunale di Rieti del 21 maggio 2020, che aveva affermato la responsabilità penale di A.A. (direttore dei lavori), B.B. (preposto alla cava) ed C.C. (Responsabile del servizio di Prevenzione e Protezione), confermando in particolare il trattamento sanzionatorio e concedendo la sospensione condizionale della pena e la non menzione, negate in primo grado.
Agli stessi era stato contestato di aver cagionato, nelle rispettive qualità ed in cooperazione tra loro, per colpa generica consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia e per colpa specifica, consistita nel non aver messo in atto le norme a tutela della sicurezza sul lavoro e segnatamente in violazione degli artt. 18 comma 1, lett. d) ed f), 28, comma 2, lett. d), 111 D.Lgs. n. 81 del 2008, il decesso del dipendente D.D., operaio della S. Peter 96-4 A Srl, il quale, mentre realizzava i lavori di sezionamento di un blocco di travertino ad una altezza di tre metri circa dal suolo, in assenza di sistemi idonei di protezione contro le cadute dall'alto, essendo sprovvisto del relativo elmetto di protezione, cadeva a terra riportando gravissime lesioni: un eclatante quadro traumatico fratturativo interessante le strutture ossee meningo midollari del tratto cervicale alto con polo d'urto posto a livello del vertice del capo, con presenza di ferita lacera del cuoio capelluto, in conseguenza delle quali decedeva. In P il 26 marzo 2013.
2. Nel corso dell'udienza preliminare era stata stralciata e definita con sentenza di improcedibilità per incapacità irreversibile dell'imputato (ex artt. 71, 72 bis e 425 cod.proc.pen.), la posizione di E.E., legale rappresentante della società datrice di lavoro della vittima.
3. I fatti sono stati ricostruiti dai giudici di merito nei seguenti termini.
Il 26 marzo 2013, intorno alle 16,00, D.D. veniva trovato da F.F., figlio del legale rappresentante E.E., riverso a testa in giù nella fenditura di un masso sul quale stava lavorando, presso la cava in P gestita dalla società sopra menzionata e, tentati inutilmente i soccorsi, alle 16,47, ne veniva constatato il decesso.
Dai primi accertamenti effettuati dai Carabinieri della locale Stazione, era stato individuato il punto d'urto tra il D.D. e la massa rocciosa a cuneo - cioè la voragine apertasi alla spaccatura del masso - e misurata in circa tre metri la distanza tra detto punto d'urto ed il piano di lavoro sovrastante dal quale l'uomo era verosimilmente caduto.
Venivano effettuati rilievi fotografici e si provvedeva al sequestro del materiale rinvenuto in loco e precisamente: un casco, privo di sottogola trovato appoggiato sul margine di una delle due porzioni del masso, attrezzi da lavoro ed una cintura da abbigliamento rinvenuta sotto il corpo della vittima.
4. L'infortunio, secondo la ricostruzione dei giudici del merito, si era verificato mentre l'operaio si trovava nell'area di coltivazione della cava nella quale era rinvenuta anche una pala meccanica, sopra un masso, che stava provvedendo a sezionare, con ciò intendendosi la fase di lavorazione precedente quella di riquadratura.
La sezionatura, nel ciclo ordinario di lavorazione descritto dai diversi testimoni e dagli imputati stessi, seguiva quella di abbattimento della bancata dalla cava (ovvero del materiale distacco dal corpo della montagna) e comportava che, individuate le caratteristiche intrinseche della roccia, stabiliti i punti più utili al sezionamento, vi venissero praticati dei fori nei quali venivano inseriti dei cunei metallici da battere con una mazza ferrata fino a provocarne la rottura. La circostanza che D.D. stesse svolgendo tale operazione era provata, oltre che dalla prova dichiarativa, dal rinvenimento, sparse sulle tre porzioni di roccia in cui si presentava il masso in lavorazione, delle attrezzature tipiche di tale fase di lavorazione, e cioè la mazza e il grasso per agevolare l'inserimento dei cunei, uno di questi ancora infisso in uno dei fori, ed il martello pneumatico.
5. La società a responsabilità limitata Travertini S. Peter 96-4 A era, al momento dell'infortunio, in attesa di una proroga, da parte del Comune di P, dell'autorizzazione alla coltivazione, scaduta il 13 giugno 2009, e le era dunque consentita la sola manutenzione e la lavorazione sul materiale già presente in cava ovvero oggetto di distacco spontaneo dalla parete della cava.
Il ricorrere, nel caso concreto, di tale possibile legittima attività della cava era stato prospettato dagli imputati a giustificazione dell'accaduto. Tuttavia, appariva più probabile, anche secondo le dichiarazioni del consulente tecnico di parte civile G.G., che si fosse trattato di un distacco volontariamente determinato nell'attività di coltivazione della cava in fatto mantenuta.
La questione, secondo la sentenza impugnata, in concreto era superata per via della considerazione che, a prescindere dalle ragioni per le quali la vittima stesse lavorando sul masso, ai fini della responsabilità penale, rilevavano le modalità della lavorazione in quota, analoga ad altre già effettuate nell'ordinaria coltivazione della cava, per la quale era stato enunciato il rischio di caduta ma senza tuttavia prevedere, né attuare, misure specifiche in grado di fronteggiare tale rischio, quali quelle in uso nel settore o comunque facilmente adattabili alle esigenze della lavorazione specifica.
6. Il consulente tecnico G.G. aveva elencato alcune possibili misure di protezione adottabili, fra le quali, a titolo esemplificativo: la possibilità di creare un ancoraggio nella superficie superiore del masso a cui collegare una fune di sicurezza un cordino o meglio ancora un dispositivo retrattile, a sua volta collegato alla cintura di sicurezza o all'imbracatura dell'operatore, non mancando di specificare che per ciascuna soluzione sarebbe stato necessario un approfondimento ed un progetto specifico, perché si trattava di attrezzature da progettare nello specifico della lavorazione.
7. Tuttavia, nessuna di queste misure risultava contemplata nel DSS e tantomeno adottata in concreto, nonostante fosse previsto il rischio di caduta generico e senza dubbio aumentato dall'improvvisa spaccatura del masso, come con ogni verosimiglianza si era verificato nella specie.
D.D. era stato aiutato a salire sul blocco da F.F., che si trovava alla guida di una pala meccanica, e si era trovato improvvisamente su una superficie che sotto i suoi piedi si andava spostando e frazionando.
Il Tribunale e la Corte d'appello hanno quindi ritenuto dimostrato che l'infortunio mortale si era verificato durante l'ordinario ciclo lavorativo da parte di un operaio abitualmente addetto a tali lavorazioni, senza però che fossero stati previsti e fossero stati comunque forniti in uso dispositivi di protezione atti a prevenire il rischio di caduta dell'operatore posizionato sopra il masso; la caduta, da qualunque ragione indotta, ed ancor più ove cagionata dal sezionamento del masso, obbiettivo dell'operazione, era intervenuta da un'altezza di 3 m., condizione ordinaria di lavoro; si trattava dunque di situazione che, unita alla mancanza del casco (presente in loco ma non indossato), è stata ritenuta integrare la violazione delle norme antinfortunistiche previste dall'articolo 18, comma 1, lett. d) ed f), 28, comma 2, lett. d) del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, interpretate secondo criteri sistematicamente univoci, improntati a costruire, su tutti coloro che partecipano alla catena di comando, un obbligo giuridico di garantire l'incolumità sul posto di lavoro.
8. Quanto poi alle singole posizioni di garanzia e di responsabilità colposa degli odierni imputati sono state individuate in capo a: C.C., quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione, dacché alla enunciazione del rischio di caduta non era seguita l'adozione, cui avrebbe dovuto provvedere il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, di specifiche e mirate procedure di sicurezza, ai sensi del disposto dell'art. 33 del D.Lgs. n. 81 del 2008; A.A. quale, direttore dei lavori, qualifica a dire dello stesso modificatasi in relazione al regime di sospensione dell'attività lavorativa ordinaria di coltivazione della cava, in attesa della proroga dell'autorizzazione, ma da ritenersi in fatto esistente, in ragione del pieno coinvolgimento nell'attività in atto della società; B.B., per il ruolo decisionale svolto all'interno della cava da ritenersi quantomeno di fatto preposto alla cava stessa o direttore di cava.
9. Tutti e tre sono stati ritenuti consapevoli della presenza del masso e della determinazione di suddividerlo per spostarlo, come pure del fatto che si trattava di attività a rischio di caduta, presa anche in generica considerazione dal Documento di Sicurezza e Salute di cui la società era dotata. Pertanto, in diverso modo, erano tenuti ad osservare non solo le generiche regole di diligenza, prudenza e perizia richieste dall'attività svolta, ma altresì ai sensi dell'art. 8 D.Lgs. n. 81 del 2008, all'osservanza delle disposizioni integrative contenute sia nel D.Lgs. n. 626 del 1994, che nella disciplina relativa alle cave ed alle miniere di cui al d.P.R. n. 128 del 1959.
10. Avverso tale sentenza, ricorre per cassazione, a mezzo del proprio difensore, A.A., sulla base di cinque motivi, sintetizzati come segue:
- con il primo motivo, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), si deduce la mancanza e carenza di motivazione in ragione dell'assenza di una autonoma valutazione del giudice di secondo grado in ordine alla responsabilità dell'imputato per i fatti a lui ascritti e della mancata enunciazione da parte dello stesso delle ragioni per le quali aveva ritenuto non fondati i singoli punti devoluti dall'appellante. Si deduce anche, ai sensi della lett. b) dell'art. 606 cod. proc. pen. l'inosservanza dell'art. 546 cod. proc. pen. Si lamenta che la motivazione sia nella sostanza apparente o comunque carente sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, essendo stata utilizzata la tecnica del rinvio per relationem alla sentenza del Tribunale, senza procedere ad una autonoma valutazione delle singole e dettagliate doglianze rivolte alla medesima sentenza.
Viene richiamata la giurisprudenza di legittimità che ha enucleato i requisiti necessari affinché la motivazione per relationem di un provvedimento giudiziario possa considerarsi non censurabile, richiedendo che si fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione.
Nel caso di specie, non era stata fornita risposta adeguata ai motivi di appello con i quali si era rilevato il difetto della posizione di garanzia in capo all'A.A.,
ovvero la carenza del nesso di causalità tra la condotta contestata e l'evento dannoso verificatosi, la mancanza dell'elemento psicologico del reato ed il punto relativo al rigetto dell'istanza di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, ai sensi dell'art. 603, commi 1 e 2 cod. proc. pen., oltre che dell'assegnazione di una provvisionale provvisoriamente esecutiva in favore delle parti civili costituite.
- Con il secondo motivo, si denuncia il vizio di motivazione in ordine alla affermata posizione di garanzia e la violazione degli artt. 113 e 589 cod. pen. La Corte territoriale aveva riproposto le medesime considerazioni espresse dal Tribunale, relative al fatto che la posizione di garanzia era rimasta immutata anche a seguito dell'adozione dell'ordine di servizio del 12 giugno 2009, di sospensione dell'attività estrattiva. Infatti, secondo la sentenza impugnata, con l'ordine di sospensione l'imputato aveva solo disposto la sospensione dell' attività ordinaria di coltivazione della cava e, in ogni caso, da tale documento non risulterebbero le dimissioni del Direttore dei lavori, né la cessazione dell'incarico si sarebbe potuta trarre dal contenuto del documento, anche in considerazione della disposta prosecuzione delle limitate attività ivi indicate e dall'effettiva continuità della presenza mensile del ricorrente all'interno della cava, impartendo raccomandazioni ai dipendenti, come riferito dal teste F.F.
Tale motivazione, ad avviso del ricorrente, sarebbe illogica e contraddittoria e non si confronterebbe compiutamente con il motivo d'appello, con cui non si era inteso eccepire il venir meno della carica di direttore dei lavori da parte dell'A.A., né le sue dimissioni, ma bensì l'effettivo mutamento del contenuto dell'originaria posizione di garanzia, non più correlata all'attività estrattiva del travertino, ma all'attività più limitata consentita dall'ordine di servizio e cioè quella relativa alla manutenzione dell'area e delle macchine presenti.
L'infortunio non era avvenuto in relazione a tale limitata attività, ma in relazione a quella ordinaria di estrazione, svolta all'insaputa del ricorrente, per la quale il medesimo non aveva mantenuto l'originaria posizione di garanzia.
Il motivo contesta anche la significatività dell'affermazione della sentenza impugnata, con la quale si era dedotto il perdurare della posizione di garanzia per via della redazione della denuncia di infortunio effettuata dallo stesso A.A. e dell'invio della stessa all'autorità, senza considerare la specifica questione posta nel relativo motivo di appello, con la quale si era fatta valere la modifica della posizione stessa determinata dall'adozione della delibera di sospensione dell'attività del 2009.
Anche in ordine al motivo di appello riferito alla rilevanza della presenza del ricorrente nella cava con cadenza mensile, la sentenza non aveva considerato che il dato emerso in istruttoria era nel senso che l'A.A., dal momento della sospensione dell'attività, si era recato nella cava pochissime volte, in quanto l'attività estrattiva era sospesa e, come emerso dalle dichiarazioni rese dai testi F.F. e H.H., il giorno dell'infortunio lo stesso non era presente nella cava, né vi era stato almeno da dieci giorni.
Dunque, la sentenza mostrerebbe anche una evidente contraddittorietà esterna, frutto dei numerosi travisamenti delle prove e della errata interpretazione delle dichiarazioni rese dai testi quanto all'ordine di mettere in sicurezza il masso in questione, in realtà impartito solo dopo l'infortunio.
- Con il terzo motivo di ricorso, il vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza impugnata viene riferito alla insussistenza di un nesso di causalità tra la condotta contestata ed il decesso del lavoratore, stante l'interruzione del nesso medesimo, nonché l'inosservanza e l'erronea applicazione degli artt. 113, 589, commi primo e secondo cod. pen.
La Corte di appello si sarebbe limitata ad affermare che la responsabilità del dirigente può essere esclusa solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e comunque dell'esorbitanza, senza tuttavia confrontarsi con quanto dedotto nel secondo motivo di appello, che aveva posto il tema della applicazione giurisprudenziale della teoria del rischio anche in ipotesi di omessa collocazione di misure antinfortunistiche da parte dell'agente e di condotta abnorme ed eccezionale del lavoratore, idonea ad interrompere il nesso di causalità, anche in considerazione del concorrente principio di autoresponsabilità del lavoratore, espressione del modello ed. collaborativo, cui tende la disciplina antinfortunistica.
Tali principi, applicati al caso concreto, avrebbero condotto a ritenere la condotta del D.D. come esorbitante o addirittura abnorme, posto che lo stesso aveva deciso di svolgere una attività ordinaria e non di mera manutenzione o messa in sicurezza; avrebbe scelto di salire sul masso, nonostante il mezzo normalmente usato fosse la scala, con la benna meccanica, che invece doveva essere adibita al solo trasporto dei mezzi e degli strumenti di lavoro. Anche in questo caso tali accadimenti, provati dalle dichiarazioni testimoniali di F.F. e I.I. nonché dal coimputato C.C., non erano stati considerati. Lo stesso Documento Salute e Sicurezza prevedeva l'uso della scala per salire sul masso e la Polizia mineraria aveva anche sanzionato F.F. per aver consentito al D.D. di salire con la pala meccanica, definendolo comportamento incauto. Tutto ciò costituirebbe vizio di travisamento della prova, mancando la motivazione in ordine alla valutazione di un elemento probatorio acquisito al processo e potenzialmente decisivo ai fini della decisione.
- Con il quarto motivo di ricorso, si deduce ancora vizio di motivazione e di violazione delle disposizioni contenute negli artt. 113, 589, commi 1 e 2, cod. pen., in ragione del fatto che la sentenza impugnata non si sarebbe confrontata con il terzo motivo di appello, relativo al difetto dell'elemento soggettivo, dal momento che la stessa sentenza si era limitata ad affermare che nella ricostruzione dell'accaduto non residuavano dubbi sulla responsabilità del Direttore dei lavori, per profili sia di colpa generica per negligenza ed imperizia, posto che lo svolgimento di mansioni di elevata specializzazione e responsabilità doveva essere valutato in rapporto alla qualifica ed all'attività svolta in concreto ed alla preparazione ed accortezza richiesta, che di colpa specifica, per aver omesso di predisporre e governare in concreto le norme a tutela della sicurezza sul lavoro e per non aver provveduto ad adempiere agli obblighi di formazione, informazione ed addestramento nei confronti dei dipendenti.
Osserva il ricorrente che era stato accertato che il giorno dell'incidente egli non si trovava all'interno della cava, non essendo previsti lavori di manutenzione da svolgere, né vi si era recato nei giorni immediatamente precedenti, quando, secondo le dichiarazioni testimoniali, il blocco era già presente. Nessuno lo aveva avvisato dell'esistenza del pericolo e la disposizione di mettere in sicurezza il masso era stata adottata dopo l'accadimento. Anche in questo caso, si tratterebbe di circostanze pacificamente riferite dai testi esaminati, dedotte nell'atto di appello e del tutto obliterate dalla Corte di appello. Il richiamo poi al profilo di colpa specifica sarebbe del tutto eccentrico rispetto al tema posto dal motivo di appello, mediante il quale l'imputato aveva criticato l'affermazione del Tribunale che aveva ravvisato la colpa in ordine ad attività lavorativa svolta in via ordinaria ed all'insaputa del Direttore dei lavori, senza considerare che, invece, a seguito dell'ordine di sospensione del 2009, lo steso non aveva alcun obbligo di prevedere ed evitare prassi di lavoro non corrette e foriere di eventuali pericoli.
Ancora, quanto alle omissioni connesse alle lavorazioni in quota con rischio di caduta dall'alto, i testi (F.F., J.J., I.I., K.K.) avevano concordato nel riferire che il Documento Salute e Sicurezza non prevedeva tali dispostivi e che l'imbragatura sarebbe comunque risultata peggiorativa della sicurezza se ancorata alla parete rocciosa.
Fra l'altro, i massi ordinariamente lavorati in cava non superavano l'altezza di m. 1,80. Nel concreto, poi, l'esame necroscopico aveva accertato che l'eventuale utilizzo del casco protettivo del cranio non avrebbe evitato l'evento, attesa la dinamica produttrice delle lesioni.
Anche in questo caso, nonostante la ed. sentenza in doppia conforme, si era realizzato un evidente travisamento delle prove testimoniali perché entrambi i giudici del merito erano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze istruttorie.
Con il quinto motivo di ricorso, si deduce ancora una volta il vizio di motivazione ed anche la violazione degli artt. 133, 163 e 164 cod. pen. In riferimento al trattamento sanzionatorio, si deduce che nel quinto motivo di appello era stata denunciata l'eccessività della pena applicata all'imputato, alla luce dei criteri di Legge e tenuto conto del ridottissimo contributo materiale e psicologico fornito rispetto alla commissione del fatto. Inoltre, non era stata valorizzata la condotta successiva al fatto, posto che l'imputato aveva espletato l'attività prevista e fornito piena collaborazione. Tutto ciò avrebbe dovuto comportare l'applicazione del minimo di Legge, al fine di realizzare la finalità rieducativa della pena prevista dall'art. 27, terzo comma, Cost. Anche in questo caso, tuttavia, la sentenza impugnata non aveva fornito spiegazioni in ordine alla censura proposta, limitandosi a fare riferimento a due precedenti risalenti al lontano 2003, peraltro di natura meramente contravvenzionale. Tali precedenti erano anche stati ingiustamente richiamati per negare il beneficio della sospensione condizionale della pena. In definitiva, anche per tali aspetti la sentenza impugnata sarebbe basata su motivazione illogica e contraddittoria, essendo stata data eccessiva rilevanza a reati contravvenzionali molto risalenti nel tempo e relativi a mere inosservanze formali, previste dall'art. 6 del D.Lgs. n. 624 del 1996, non collegate a possibili violazioni di disposizioni penali di evento di natura colposa.
11. Con ricorso, proposto mediante il proprio difensore, la sentenza della Corte di appello è stata impugnata anche da B.B., sulla base di quattro motivi, sintetizzati come segue:
- Con il primo motivo, si deduce la nullità del processo di primo grado (art. 179 cod. proc. pen.), per il mancato esercizio dell'azione penale nei confronti di un reato connesso e collegato idoneo ad interrompere il nesso di causalità, nonché la contraddittorietà della sentenza della Corte di appello, che importa la regressione del procedimento ai sensi dell'art. 185 cod. proc. pen.
In particolare, il ricorrente deduce che il pubblico ministero non aveva esercitato l'azione penale nei confronti di F.F., ciò aveva determinato la nullità del processo in quanto la presenza dell' F.F. sul luogo del sinistro mortale costituiva di per sé elemento idoneo ad interrompere il nesso di causalità, ex art. 41, comma 2, e 63 cod. pen, quale fatto imprevedibile e sopravvenuto.
La sentenza, nonostante dia atto dell'assenza di autorizzazione all'attività estrattiva ordinaria sin dal 3 giugno 2009, non conterrebbe alcuna motivazione in ordine all'assenza del Sorvegliante e della posizione di garanzia, in quel momento rivestita da F.F., il quale viene preso in considerazione solo in relazione alla genuinità della sua testimonianza, a seguito della trasmissione degli atti al P.M. per verificare la sua posizione, e non quale autore diretto ed esclusivo della causazione del sinistro per omissione.
Da tale situazione, ad avviso del ricorrente, potrebbe discendere un contrasto tra sentenze ed un vizio di base dell'accertamento sulla responsabilità penale e civile del medesimo ricorrente. Era già emerso durante il giudizio di primo grado che i gestori di fatto della cava erano i figli del legale rappresentante, dichiarato incapace e poi deceduto. Del resto, F.F., nella qualità di socio lavoratore della società, aveva dichiarato di essere stato di supporto al D.D. con la pala meccanica in quella occasione.
- Con il secondo motivo, si deduce la violazione degli artt. 41, comma 2, e 63 cod. pen. e nuovamente la contraddittorietà della sentenza in ragione della intrinseca inattendibilità della testimonianza resa da F.F. che non poteva essere ritenuta scevra da interessi personali, proprio per la qualifica rivestita dal teste e per la responsabilità penale in cui lo stesso sarebbe incorso. La condotta della vittima dell'infortunio, intesa al sezionamento del masso in assenza del Sorvegliante, avrebbe dovuto essere impedita da F.F. mentre il B.B. aveva correttamente adempiuto i dettami dell'art. 19 D.Lgs. n. 81 del 2008, seppure non contestati, sugli specifici obblighi del Sorvegliante dei lavori, essendosi l'evento verificato per cause non prevedibili dallo stesso e con il concorso omissivo dell'unica persona presente sul luogo che non aveva intimato all'operaio di cessare immediatamente dall'attività.
- Con il terzo motivo, si deduce la violazione degli artt. 25, comma 2, d.P.R. n. 128 del 1959, artt. 5, 7, 20 D.Lgs. n. 624 del 1996 e D.Lgs. n. 81 del 2008, l'erronea applicazione della Legge e l'illogicità e contraddittorietà della motivazione, in relazione alla erronea attribuzione al B.B. di un obbligo di fare invece escluso dalla normativa di settore, per l'omessa sorveglianza nella situazione da lui ritenuta di pericolo, dovendo, in caso di necessità di assentarsi, provvedere a delegare tale sorveglianza ad altra persona all'uopo idonea.
La Corte territoriale aveva ritenuto che il Sorvegliante avesse un obbligo relativo alla sostituzione della stessa medesima figura di garanzia rivestita, ma l'art. 25, comma 2, d.P.R. n. 128 del 1959 stabilisce che le sostituzioni temporanee dei sorveglianti di durata inferiore a 40 giorni non sono soggette a denuncia ma debbono risultare da un ordine di servizio del titolare o del direttore responsabile.
Nel caso, non risultava che la parte datoriale o la dirigenza, nonostante la regolare richiesta di ferie da parte del B.B., avessero provveduto alla sostituzione dello stesso. Pertanto, una volta informati il datore di lavoro ed il Direttore responsabile, vigente un ordine di sospensione dei lavori, il B.B. aveva debitamente rappresentato la necessità di interdire l'area in attesa di disposizioni puntuali. L'area era stata interdetta al transito di mezzi e persone già in precedenza ed il D.D. era presente e conosceva l'ordine di sospensione n. 1 del 2009, perché affisso in bacheca.
In definitiva il B.B. aveva soddisfatto i doveri impostigli dagli artt. 7, 20 D.Lgs. n. 624 del 1996, mentre nel caso di specie l'unica figura di garanzia centrale era da ravvisarsi nella posizione in concreto assunta dalla parte datoriale nella persona di F.F., come rilevato nei gradi di merito.
- Con il quarto motivo, si deduce nuovamente la violazione degli artt. 25, comma 2, d.P.R. n. 128 del 1959, artt. 5, 7, 20 D.Lgs. n. 624 del 1996 e D.Lgs. n. 81 del 2008, l'erronea applicazione della Legge e l'illogicità e contraddittorietà della motivazione, in relazione all'addebito di non aver segnalato la carenza dei dispositivi di protezione in tema di prevenzione sugli infortuni sul lavoro. Si era ignorato, nella motivazione della sentenza impugnata, che dal 2009 i dispositivi in questione dovevano servire alla sola attività di manutenzione; dunque, era oggettivamente imprevedibile per il B.B. che il giorno dell'infortunio si procedesse a sezionare un masso di altezza superiore a quella standard di m. 1,80.
Era stata, dunque, mal interpretata dalla sentenza impugnata la doglianza fatta valere in appello, secondo cui il ricorrente aveva inteso escludere la responsabilità del Sorvegliante durante l'espletamento della funzione, mentre si era inteso far riferimento alle concrete circostanze verificatesi il giorno dell'infortunio.
La Corte territoriale aveva ritenuto la responsabilità del B.B. basandosi solo sulle tesi del c.t. delle parti civili, non esperto in materia di cave, e senza considerare che anche prima dell'ordine di sospensione dell'attività estrattiva, non si prevedeva per la fase di sezionamento della bancata alcun dispositivo di protezione contro la caduta dall'alto, come confermato dal teste I.I. e per questo si procedeva alla misurazione dei ribaltamenti, per non determinare altezze superiori ai due metri, ed alla stabilizzazione del masso ribaltato.
11. Il Procuratore generale ha depositato memoria scritta con la quale ha chiesto il rigetto di entrambi i ricorsi.
12. La parte civile K.K. a mezzo del proprio difensore ha depositato memoria con la quale ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità dei ricorsi ed in subordine il loro rigetto.
Diritto
1. Il primo motivo del ricorso proposto da A.A. è manifestamente infondato. La sentenza impugnata, di conferma integrale di quella di primo grado quanto alla responsabilità penale dei prevenuti, dopo aver ricostruito i fatti ed esposto i motivi d'impugnazione proposti dalle parti, al paragrafo 3 ha richiamato integralmente la sentenza di primo grado, facendola propria.
2. Successivamente, ha esaminato i diversi profili d'appello relativi alla posizione di A.A., B.B. e C.C. nei termini sopra riferiti.
Il ricorrente sostiene che la Corte di appello non si sia posta nell'ambito di un vaglio critico munito di autonomo giudizio rispetto ai contenuti della sentenza impugnata, così solo formalmente esaminando i singoli motivi d'appello, relativi agli aspetti essenziali dell'affermazione di responsabilità.
3. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (Sez. 4, n. 6779 del 18/12/2013 (dep.2014) Rv. 259316 - 01; Sez. 2, n. 56395 del 23/11/2017, Rv. 271700 - 01), incorre nella violazione dell'obbligo di motivazione dettato dagli artt. 125, comma terzo, cod. proc. pen. e 111, comma sesto, Cost. il giudice d'appello che, nell'ipotesi in cui le soluzioni adottate dal giudice di primo grado siano state censurate dall'appellante con specifiche argomentazioni, confermi la decisione del primo giudice, dichiarando di aderirvi, senza però dare compiutamente conto degli specifici motivi d'impugnazione, così sostanzialmente eludendo le questioni poste dall'appellante.
4. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha esaminato le censure proposte dall'appellante alla pagina 8 dal punto 3.1., dando atto del contenuto letterale dell'ordine di servizio n. 1 del 2009 (interventi esclusivamente rivolti alla manutenzione dell'area stessa e delle macchine presenti, eventuale messa in sicurezza di fronti e movimentazione di materiale oggetto di escavazione in passato e accumulato nel piazzale di cava) ed ha affermato che, al momento della caduta, D.D. stava effettuando una lavorazione non già di messa in sicurezza del fronte di cava, ma una attività estrattiva ordinaria, quale quella della scissione di un masso in parti ai fini della commercializzazione.
5. Da tale accertamento, in fatto, desunto dalle acquisizioni istruttorie richiamate ai punti 1.1. e 1.2. della sentenza qui impugnata, la Corte territoriale ha tratto il convincimento secondo cui nessun esonero di responsabilità poteva ammettersi in favore dell'A.A., in relazione alla asserita cessazione della carica e ad un esercizio solo manutentivo della cava, essendo risultata la materiale continuità dell'attività estrattiva.
6. La Corte ha pure attribuito rilevanza, ai fini dell'integrale mantenimento della posizione di garanzia propria del direttore dei lavori, alla condotta dello stesso tenuta anche dopo l'evento ed alla testimonianza di F.F.
Proprio dal mantenimento in concreto della posizione di garanzia, il cui motivo d'appello è descritto al punto 3.1., è stata fatta discendere la decisione di rigettare i motivi d'appello relativi alla affermata insussistenza della posizione di garanzia ed all'obbligo di impedire l'evento.
7. Alla pagina nove, la sentenza della Corte territoriale enuncia e descrive le ragioni per le quali ritiene infondata la tesi sostenuta dal Direttore dei lavori in ordine ad una limitazione della propria posizione di garanzia. Ancora, considerando un profilo comune a tutti gli appellanti, la Corte ha esaminato la normativa antinfortunistica relativa al settore minerario (punto 4.1.) confermando la sentenza di primo grado in ordine alla individuazione delle posizioni di garanzia, ravvisandole, oltre che in capo al datore di lavoro, anche in capo al direttore dei lavori (punto 4.1.a). Nei confronti di quest'ultimo, esamina i profili di colpa generica e specifica, e valuta la condotta del lavoratore, non ritenendola esorbitante o abnorme.
8. La sentenza, in effetti, non ha operato un mero rinvio alla sentenza impugnata, ma ha esaminato i motivi di appello, rigettandoli in ragione del fatto che le motivazioni addotte dal giudice del primo grado sono state ritenute prevalenti nel relativo confronto.
9. Gli unici profili dell'appello formalmente trascurati appaiono essere quelli relativi alla richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale ed all'assegnazione di una provvisionale provvisoriamente esecutiva. Si tratta però di doglianze implicitamente ma inequivocabilmente rigettate, in ordine alle quali comunque l'attuale ricorrente non ha insistito, evidenziando l'attuale interesse a coltivarne i contenuti.
10. I motivi compresi tra il secondo ed il quarto, sono strettamente connessi in quanto incentrati sul comune presupposto, da ritenersi come si vedrà errato in diritto, secondo cui la posizione di garanzia, di cui il direttore dei lavori è titolare, abbia subito una automatica limitazione, in ragione dell'adozione nel 2009 dell'ordine di sospensione dell'attività ordinaria di estrazione.
11. Da ciò deriverebbe che l'attività di estrazione ordinaria svolta in spregio di tale ordine, in quanto abusiva, non si porrebbe in relazione con la posizione di garanzia attiva al momento dell'infortunio.
12. La posizione di garanzia, tuttavia, non risente della eventuale modifica, nel caso di specie autonomamente adottata dal suo titolare, della fonte formale di investitura se la stessa contrasta con la situazione di fatto.
La Corte di cassazione (Sez., 4 del 16-03-2006, n. 9219) ha avuto modo di esaminare analoga fattispecie ed ha affermato che, nell'ipotesi in cui l'impresa, per ragioni di carenza di autorizzazione amministrativa, prosegua nell' esercizio di attività non sorretta da autorizzazione e quindi abusiva, colui il quale riveste la posizione di direttore responsabile - per essere appunto responsabile - non può essere investito formalmente del suo ruolo con accettazione in forma scritta, posto che, proprio in quanto l'attività è abusiva, non può ricercarsi anche in questo caso una investitura formale del direttore.
13. Peraltro, va pure ricordato che l'art. 299 D.Lgs. n. 81/2008 attribuisce veste formale al principio di effettività, regolando espressamente l'esercizio di fatto di poteri direttivi. Tale norma infatti stabilisce che le posizioni di garanzia del datore di lavoro, del dirigente e del preposto, gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti.
14. La Corte territoriale ha ritenuto che il ricorrente potesse conoscere la situazione di pericolo determinata dalla presenza del masso, in quanto lo stesso si era direttamente interessato alle condizioni della cava, continuando a visitarla sicuramente fino a dieci giorni prima dell'evento (vedi pagina nove della sentenza impugnata), e verosimilmente anche dopo, considerato che, come dichiarato da F.F., l'A.A. aveva dato disposizioni per mettere in sicurezza il masso in questione. Da tali contenuti, ad avviso della sentenza impugnata, emergeva la piena consapevolezza del rischio da parte del ricorrente.
15. Dunque, che l'attività fosse o meno coperta dal positivo espletamento dell'iter di autorizzazione, non rileva ai fini della verifica della conoscenza del rischio, perché questa dipende dalla consapevolezza delle condizioni del luogo. Della conoscenza in capo all'imputato della coltivazione della cava ove si è verificato il sinistro la Corte dà motivazione articolata ed adeguata.
16. Peraltro, occorre evidenziare come la posizione di garanzia riferita al ricorrente trovi esplicito fondamento nell'art. 6 del d.P.R. n. 128 del 1959. L'art. 6 citato è stato modificato dal D.Lgs. n. 624 del 1996, art. 20, ed il suo testo prevede che il titolare della cava deve nominare un direttore responsabile in possesso delle capacità e delle competenze necessarie all'esercizio di tale incarico, trattandosi di attività nelle quali il rischio di esposizione a pericolo è elevato. Spetta al direttore responsabile l'obbligo di osservare e far osservare le disposizioni normative e regolamentari in materia di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, il direttore responsabile sottoscrive il DSS (il documento di sicurezza e salute, la valutazione dei rischi specifica per il settore estrattivo, nel quale i contenuti indicati all'art. 28 del D.Lgs. n. 81/08 sono integrati con quelli dell'art.10 del D.Lgs. n. 624/96).
17. Alla luce delle superiori considerazioni, è evidente che nessun errore in diritto o motivazionale, quanto alla ricostruzione della posizione di garanzia in capo a A.A. può imputarsi alla sentenza impugnata, né al consequenziale profilo di ricostruzione in concreto della colpa, essendo stato imputato al direttore dei lavori ing. A.A. (vd. pagg. 12 e 13 della sentenza di primo grado) il suo coinvolgimento nella previsione delle operazioni da attuare proprio sul masso in questione o quanto meno la sua conoscenza della presenza del masso prima dell'incidente (si veda la sentenza di primo grado, richiamata dalla Corte di appello, relativamente all'esame del teste F.F., pag. 13).
18. Analogamente infondato è il profilo, riprodotto nella esplicitazione delle ragioni poste a base del terzo motivo, che denuncia il travisamento delle prove relative all'utilizzazione della benna meccanica, da parte di F.F., per far salire la parte offesa sul masso. Si deve ricordare, quanto alla concreta ricostruzione dei fatti, che si è in presenza di cd. doppia conforme e, dunque, il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. sia nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Rv. 280155 - 01).
19. Nel caso di specie, il concetto di travisamento delle prove è impropriamente richiamato, giacché quello che il ricorrente intende criticare è il mancato riconoscimento del carattere abnorme della condotta dell'operaio, tale da interrompere il nesso di causalità, in relazione al presupposto della insussistenza di una propria posizione di garanzia, ipotesi esclusa per quanto sopra chiarito.
20. Anche il profilo del quarto motivo, con il quale si lamenta l'erroneo accertamento dell'elemento psicologico della colpa, è infondato. Infatti, la sentenza impugnata ha confermato l'operatività della posizione di garanzia dell'A.A., nonché la totale inerzia dello stesso rispetto ai concreti obblighi di protezione nella consapevolezza dello stesso della possibilità che nell'ambito dell'attività in essere al momento del fatto si dovesse operare in quota, come anche la sua consapevolezza della carenza di indicazioni nel DSS, quanto all'adozione di idonee misure finalizzate a prevenire il rischio connesso, nonché la conoscenza dell'esistenza del rischio specifico e contingente, rappresentato dalla presenza del masso, comunque da rimuovere.
21. È stato dunque pienamente rispettato il principio secondo il quale, in tema di delitti colposi, ai fini dell'elemento soggettivo, per potere formalizzare l'addebito colposo, non è sufficiente verificare la violazione della regola cautelare, ma è necessario accertare che tale regola fosse diretta ad evitare proprio il tipo di evento dannoso verificatosi, altrimenti si avrebbe una responsabilità oggettiva giustificata dal mero "versari in re illicita". Ne consegue che occorre verificare la cosiddetta "concretizzazione del rischio" ("realizzazione del rischio"), che si pone sul versante oggettivo della colpevolezza, come la prevedibilità dell'evento dannoso si pone più specificamente sul versante soggettivo e la relativa valutazione deve prendere in considerazione l'evento in concreto verificatosi per accertare se questa conseguenza dell'agire rientrava tra gli eventi che la regola cautelare inosservata mirava a prevenire." (Sez. 4, n. 4675 del 17/05/2006,dep. 2007 - P.G. in proc. Bartalini ed altri, Rv. 235661; Sez. 4 - n. 21554 del 05/05/2021 Rv. 281334 - 01).
22. Anche il quinto motivo è infondato.
La Corte territoriale ha rigettato il motivo di appello relativo al trattamento sanzionatorio ed alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena, ribadendo che, con riguardo agli altri coimputati, erano state correttamente ritenute prevalenti le attenuanti generiche sulla contestata aggravante in ragione del buon comportamento degli imputati medesimi, per cui, contenuta la pena nella misura prossima al minimo edittale stabilito per l'ipotesi non aggravata di cui al primo comma dell'art. 589 cod. pen., ha ritenuto la capacità a delinquere dell'attuale ricorrente più elevata degli altri, per i precedenti specifici da cui è gravato, e congrua la pena di un anno di reclusione. I precedenti, impedendo una prognosi positiva sulla reiterazione del reato, hanno pure costituito ostacolo alla concessione della sospensione condizionale della pena.
23. Si tratta di motivazione adeguata, posto che l'appunto della mancata considerazione dell'apporto minimo del ricorrente non poggia su corrispondente acquisizione sul piano della concreta statuizione in fatto, posto che, nell'ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera all'obbligo motivazionale di cui all'art. 125, comma terzo, cod. pen., anche ove adoperi espressioni come "pena congrua", "pena equa", "congruo aumento", ovvero si richiami alla gravità del reato o alla personalità del reo (Sez. 3, Sentenza n. 33773 del 29/05/2007, Rv. 237402 - 01).
24. Quanto, poi, al diniego della concessione della sospensione condizionale della pena, va ricordato che non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità, quando sia congruamente motivato, il provvedimento di rigetto della richiesta di sospensione condizionale della pena, che trovi fondamento nella prognosi sfavorevole sul futuro comportamento dell'imputato condannato (Sez. 6, Sentenza n. 1173 del 11/11/1981 Ud. (dep. 06/02/1982) Rv. 152044 - 01), che è quanto addotto dalla Corte territoriale.
25. Il ricorso proposto da B.B. è fondato nella misura che si va a precisare.
Come accertato dalla sentenza impugnata, il B.B. è stato ritenuto titolare di posizione di garanzia quale direttore di cava, quantomeno preposto di fatto, per il ruolo decisionale svolto all'interno della stessa.
Anche in riferimento alla posizione di B.B., con accertamento in fatto non sindacabile in questa sede (pag. 6) la sentenza impugnata ha ritenuto che lo stesso avesse piena consapevolezza della presenza del masso e della determinazione di suddividerlo per spostarlo, come pure del fatto che si trattasse di attività a rischio di cadute, presa in considerazione, sia pure genericamente, dal documento di sicurezza e salute (DSS) di cui la società era dotata.
Dunque, in modo consequenziale, lo stesso era tenuto ad osservare non solo le generiche regole di diligenza, ma anche quelle specifiche di settore, contenute nell'art. 18 D.Lgs. n. 81 del 2008, nel D.Lgs. n. 624 del 1996 e nel d.P.R. n. 128 del 1959.
26. Ciò premesso, non è fondato il primo motivo del ricorso là dove si afferma che la responsabilità dei gestori della cava, se affermata, sarebbe idonea ad interrompere il nesso di causalità tra il rimprovero che gli è stato mosso e l'evento. Infatti, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio consolidato secondo il quale, in tema di prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è, per intero, destinatario dell'obbligo di tutela imposto dalla Legge, sicché l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile a ogni singolo obbligato (Sez. 4 , n. 928 del 28/09/2022 (dep. 2023) Rv. 284086 - 01); inoltre, allorquando l'obbligo di impedire l'evento ricada su più persone, che debbano intervenire od intervengano in tempi diversi, il nesso di causalità tra l'evento letale e la condotta omissiva o commissiva di uno dei soggetti titolari di una posizione di garanzia non viene meno per effetto del successivo mancato intervento di un altro garante, configurandosi, in tale ipotesi, un concorso di cause ai sensi dell'art. 41, comma primo, cod. pen., (Sez. 4 - , Sentenza n. 17887 del 02/02/2022 Ud. (dep. 05/05/2022) Rv. 283208 - 01.
27. Da ciò discende che non può determinarsi l'effetto di nullità del procedimento prospettato in ricorso, in quanto si proceda separatamente per alcuni dei responsabili, nella specie, i gestori di fatto della cava.
28. Inammissibile è il profilo del secondo motivo che inerisce alla valutazione di attendibilità del teste F.F., sulla quale i giudici di merito hanno espresso motivata valutazione di attendibilità. Il vaglio di attendibilità di un teste attiene al giudice del merito, in quanto questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo "id quod plerumque accidit", ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità. Sez. 4 n. 10153 del 11/02/2020, Rv. 278609 - 01).
29. Quanto al quarto motivo, valgano, per ritenerne l'infondatezza, le motivazioni riferite al ricorrente A.A. ed alla irrilevanza della abusività della gestione estrattiva della cava in pendenza di prolungato periodo di formale sospensione con limitazione alla sola attività di manutenzione.
30. I restanti profili di ricorso, nel punto in cui viene individuata la concreta fattispecie colposa addebitata al B.B., mostrano in effetti vizi riconducibili ad errori di interpretazione del quadro normativo di riferimento che inevitabilmente ricadono sul ragionamento complessivo.
31. Come si è detto, i Giudici del merito hanno attribuito al B.B. la posizione di garanzia relativa alla sua figura di preposto di fatto (direttore di cava) ed hanno appurato che fosse pienamente consapevole della presenza del masso e della sua pericolosità nel fronte cava con l'attivazione dell'obbligo di metterlo in sicurezza. Il B.B., secondo l'accertamento del Tribunale (pag. 16) fu coinvolto nella decisione di sezionare il masso, senza però accertarsi di prevedere che qualcuno lo sostituisse nella sorveglianza del lavoro, ivi compreso l'accertamento sull'utilizzo dei dispositivi di protezione, ed andandosene quindi in ferie.
32. Il B.B. reitera in questa sede l'analogo motivo di appello, mettendo in evidenza, al fine di escludere nella concreta vicenda la violazione dell'obbligo di cautela connesso alla posizione ricoperta, la erronea ricostruzione della disciplina organizzativa relativa alla individuazione del sostituto del sorvegliante nell'ipotesi di fruizione di ferie e l'adempimento, da parte sua, delle misure interdittive del traffico dei mezzi, finalizzate a controllare il rischio derivante dalla presenza del masso nell'area di operatività dei medesimi mezzi nei giorni precedenti l'evento mortale.
33. In effetti, la sentenza impugnata, non ricostruisce adeguatamente, né per quanto attiene alla disciplina di settore (artt. 24 e 25, secondo comma, d.P.R. n. 128 del 1959), che non prevede un obbligo del sorvegliante di cava (o preposto) di trovare un proprio sostituto prima di fruire delle ferie spettanti, né tanto meno nel concreto svolgersi del fatto, l'aspetto relativo alle modalità di concessione e fruizione delle ferie da parte dello stesso e l'incidenza di tale circostanza nel quadro complessivo della condotta del B.B. al momento in cui si verificò l'incidente. Tale lacuna ricostruttiva si riflette sulla tenuta logica dell'affermazione di responsabilità di B.B. e comporta l'annullamento, nei suoi confronti, della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa Sezione, perché effettui nuovo giudizio sulla responsabilità penale del ricorrente.
34. In definitiva, in accoglimento del ricorso di B.B., nei confronti del medesimo, la sentenza va annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Roma, che provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio. Va invece rigettato il ricorso di A.A., che va condannato alle spese del giudizio ed alla rifusione di quelle sostenute dalle parti civili L.L., M.M. e N.N., nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di B.B. con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma, cui demanda anche la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità tra il B.B. e le parti civili. Rigetta il ricorso di A.A. che condanna al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità in favore delle parti civili M.M. e N.N., liquidate in euro 3.900,00, oltre accessori come per Legge, e di L.L., liquidate in euro 3.000,00, oltre accessori come per Legge.
Così deciso in Roma, il 28 marzo 2024.
Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2024.