Cassazione Penale, Sez. 4, 29 maggio 2024, n. 21035 - Scavi sprovvisti di protezioni dal rischio di caduta


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente

Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere

Dott. MICCICHE' Loredana - Consigliere

Dott. MARI Attilio - Consigliere-Rel.

Dott. DAWAN Daniela - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

sui ricorsi proposti da:

A.A. nato a L il (Omissis)

B.B. nato a P il (Omissis)

C.C. nato a T il (Omissis)

avverso la sentenza del 27 aprile 2023 della Corte Appello di Torino

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Mari Attilio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Orsi Luigi che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

E' presente l'avvocato Zanalda Giuseppe del foro di Torino in difesa di:

A.A.

B.B.

C.C. il quale chiede l'accoglimento dei ricorsi.

 

Fatto


1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Torino ha confermato la sentenza emessa il 26/05/2021 dal Tribunale di Torino nei confronti di A.A., B.B. e C.C., con la quale gli stessi erano stati condannati alla pena di giorni venti di reclusione ciascuno, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche e di quella del risarcimento del danno ritenute prevalenti rispetto alla contestata aggravante, con beneficio della sospensione condizionale e della non menzione della condanna, in relazione al reato previsto dagli artt. 40, 113 e 590, commi 1-3, cod. pen.

1.1 Era stato contestato agli imputati - specificamente al A.A. nella sua qualità di presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato e al B.B. quale amministratore delegato della F2 Edilizia Srl - di avere cagionato colposamente ad D.D., dipendente della stessa società, lesioni personali di durata superiore ai quaranta giorni, consistenti in frattura vertebrale e lesioni multiple; colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia nonché nella violazione degli artt. 146, 100 e 96 del D.Lgs. 9 aprile 2008, n.81, omettendo di circondare gli scavi esistenti presso l'ex stabilimento "Leumann" con parapetti e tavole fermapiede ovvero di coprirli con tavolato fissato di resistenza non inferiore a quella di calpestio dei ponti di servizio, di realizzare la protezione delle aperture previste nel piano di sicurezza e coordinamento e di predisporre il piano operativo di sicurezza; nonché al C.C. - in qualità di coordinatore per la sicurezza - di avere omesso di verificare l'applicazione delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento, di sospendere le lavorazioni fino alla verifica degli adeguamenti da parte dell'impresa esecutrice e di verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza, in violazione dell'art.92 del D.Lgs. n. 81/2008.

1.2 La Corte territoriale ha premesso la ricostruzione del fatto operata dal giudice di primo grado; dalla quale era emerso che la F2 Edilizia Srl era titolare di un contratto di appalto per l'esecuzione della sistemazione della rete fognaria sotto l'area denominata lotto 82, con esecuzione di scavi e fornitura e posa in opera di tubazioni nel complesso dell'ex stabilimento industriale "Leumann" sito in Collegno; che, nel pomeriggio del 14/12/2017, i lavoratori D.D. e E.E. stavano posizionando alcune tubazioni all'interno di uno scavo e si stavano accingendo a spostare un tubo che ingombrava lo spazio lavorativo; che lo D.D. si era spostato nella parte superiore della trincea, collocata a 210 cm rispetto al fondo della struttura interrata e che era da qui scivolato dal relativo bordo riportando le suddette lesioni; che, dalla allegata documentazione fotografica, risultava che il piano di calpestio sul quale il lavoratore si era trovato a operare era contraddistinto dalla presenza di una serie di scavi sprovvisti di protezioni rispetto al rischio di caduta verso il suolo sottostante, essendo presenti solo dei frammenti di nastro bianco e rosso per la segnalazione del pericolo e alcuni pezzi di parapetti in legno ma nessun tipo di barriere delimitanti il ciglio della trincea; che, quindi, l'esame della documentazione fotografica aveva evidenziato la presenza di una fitta rete di trincee prive di parapetti, tali da costituire un ambiente di lavoro estremamente pericoloso.

La Corte ha quindi ritenuto non rilevante la questione attinente alla qualificazione della lavorazione come svolta in quota - come sostenuto dal Tribunale - ovvero di scavo in senso proprio, soggetto alla norma di prevenzione di cui all'art.118, comma 5, D.Lgs. n. 81/2008; rilevando che la suddetta pericolosità intrinseca della postazione lavorativa avrebbe dovuto obbligare il datore di lavoro ad adottare le misure necessarie per la messa in sicurezza, nel caso concreto consistenti nella predisposizione di parapetti e tavole fermapiede ovvero nella copertura dello stesso con tavolato solidamente fissato.

Ha ritenuto che, correttamente, il Tribunale avrebbe imputato ai datori di lavoro anche la mancata vigilanza sull'osservanza delle prescrizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento, le quali erano state disattese.

In relazione alla posizione del coordinatore della sicurezza nonché direttore dei lavori, ha osservato che il paragrafo 6.2 del piano di sicurezza e coordinamento risultava dedicato alla messa in opera di protezioni delle aperture prospicienti il vuoto, con prescrizioni che risultavano essere state disattese senza che il coordinatore assumesse alcuna iniziativa sul punto; rilevando che il coordinatore per la sicurezza, nonché direttore dei lavori, rivestiva concretamente una posizione di garanzia che lo avrebbe onerato della sicurezza del cantiere.

La Corte ha altresì rilevato che non poteva ravvisarsi alcun comportamento abnorme in capo al lavoratore infortunato - deduttivamente consistente nell'avere fatto accesso alla tubazione da rimuovere avvicinandosi al cunicolo anziché operando da sotto al vicino ponteggio - non presentando la condotta requisiti di imprevedibilità tali da escludere la responsabilità dei garanti.

2. Avverso la predetta sentenza hanno presentato ricorso per cassazione suddetti imputati, tramite il proprio difensore, articolando due motivi di impugnazione.

Con il primo motivo hanno dedotto - ai sensi dell'art.606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. - la inosservanza ed erronea applicazione della legge penale nonché la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 40, comma 2, 43, 113, 590, commi 1-3 e 583 c. 1, n.1, cod. pen. e agli artt. 19, 20. 92, 96, 100, 118, comma 5 e 146 D.Lgs. n.81/2008 per l'affermazione relativa alla sussistenza dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato contestato in violazione del canone dell"'al di là di ogni ragionevole dubbio";

nonché la violazione dell'art.606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. per inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità in relazione all'art. 516 cod. proc. pen. per avere la sentenza addebitato al C.C. la responsabilità derivante dalla qualifica di direttore dei lavori, al medesimo mai contestata.

Hanno dedotto che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto di rigettare le doglianze degli appellanti relative: a) all'erronea individuazione delle norme cautelari gravanti sui ricorrenti, nelle specifiche qualifiche rivestite, con riferimento all'errata individuazione degli artt. 100 e 146 del D.Lgs. n. 81/2008, relativi ai lavori in quota anziché dell'art.118, D.Lgs. n.81/2008, relativo alle opere di scavo nel terreno per posa di tubazioni e che non richiede l'apposizione di parapetti o tavolati ma solo di idonee delimitazioni; b) alla erronea individuazione dei conseguenti doveri di comportamento; c) all'omesso esame relativo alla presenza di un preposto che dirigeva l'attività dell'infortunato; d) alla conseguente non ascrivibilità dell'evento lesivo.

Hanno altresì dedotto che la sentenza presentava un vizio di travisamento della prova in relazione all'effettivo contenuto prescrittivo del piano per la sicurezza e coordinamento (PSC) e del piano operativo di sicurezza (POS); atteso che, negli stessi, la segnalazione degli scavi era prevista sia a livello progettuale e sia a livello operativo, in conformità con il disposto dell'art. 18, comma 5, D.Lgs. n.81/2008.

Hanno esposto che risultava affetta da violazione di legge e da vizio di motivazione l'asserzione relativa al ruolo rivestito dal coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione quale direttore dei lavori, qualifica mai contestata al C.C. con conseguente violazione del diritto di difesa; esponendo come la sentenza impugnata, oltre ad avere errato nell'individuazione della regola cautelare, aveva posto sul coordinatore per la sicurezza un onere di vigilanza continua, esponendo come gli oneri del coordinatore fossero ravvisabili nella sola ipotesi di rischio interferenziale e non, come nel caso di specie, in presenza di una sola impresa esecutrice ed essendo comunque configurabile un obbligo di sospensione dei lavori nella sola ipotesi di un imminente e grave pericolo e non nel caso di occasionali ed estemporanee situazioni di pericolo medesimo.

Hanno altresì esposto che la sentenza impugnata non avrebbe dato adeguata rilevanza alla condotta del lavoratore infortunato, che aveva rimosso le segnalazioni ed effettuato un accesso all'area interdetta, con conseguente errata interpretazione del disposto dell'art.20 del D.Lgs. n. 81/2008 e non avrebbe altresì dato rilevanza alla presenza di un soggetto preposto.

Con il secondo motivo di impugnazione, hanno dedotto la violazione dell'art.606, comma l, lett. b) ed e), cod. proc. pen., per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale nonché la carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione all'art.20 del D.Lgs. n.81/2008 e agli artt. 133, 40, comma 2, 42, 43, 113, 590, commi 1-3, 583, comma 1, n. 1), cod. pen., con riferimento alla corretta applicazione dei criteri di individuazione del grado di colpa ascrivibile ai ricorrenti e alla scelta e quantificazione della pena.

Hanno argomentato che, erroneamente, la sentenza non avrebbe applicato ai ricorrenti la pena pecuniaria in luogo della pena detentiva, non tenendo conto della colpa concorrente in capo alla persona offesa.

3. La difesa dei ricorrenti ha successivamente fatto pervenire memoria illustrativa nella quale ha insistito per l'accoglimento delle impugnazioni. Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Diritto


1. I ricorsi sono infondati.

2. Va premesso che, vertendosi in una fattispecie di c.d. doppia conforme, le due decisioni di merito vanno lette congiuntamente, integrandosi le stesse a vicenda, secondo il tradizionale insegnamento della Suprema Corte; tanto in base al principio per cui "II giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile" (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145; in conformità, tra le numerose altre, Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano, Rv. 224079; Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, ZanoUi, Rv. 225671; Sez. S, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore, Rv. 266617).

3. Nel primo e articolato motivo di impugnazione, i ricorrenti (nel primo punto) hanno contestato l'impianto argomentativo delle sentenze impugnate nella parte in cui - in conformità con la contestazione operata nel capo di imputazione - hanno individuato la regola cautelare violata in quella prevista nella fattispecie delle lavorazioni in quota anziché in quella prevista dall'art. 118, comma S, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e che - nella specifica materia delle opere di scavo - avrebbe imposto, in presenza di opera di scavo nel terreno per posa nelle tubazioni - la sola apposizione di "opportune segnalazioni spostabili col proseguire dello scavo" non rendendo quindi necessaria, secondo la prospettazione difensiva, la posa di parapetti o tavolati ma solo delle segnalazioni medesime.

La censura è infondata.

Sul punto, deve ritenersi che la sentenza di primo grado - non smentita, nello specifico passaggio motivazionale, da quella di appello - abbia fatto corretta applicazione del disposto dell'art. 107 del D.Lgs. n. 81/2008, ai sensi del quale "si intende per lavoro in quota: attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 m rispetto ad un piano stabile", con la conseguente necessità dell'adozione delle necessarie misure precauzionali tra cui quella contenuta nell'art. 146 del D.Lgs. n. 81/2008, evocata nel capo di imputazione.

Sul punto, deve infatti ritenersi che per "lavoro in quota" debbano intendersi, non solo le operazioni che si svolgano ad un'altezza superiore a due metri da terra su strutture prive di strutture di contenimento o parapetti, tali da necessitare di impalcature o ponteggi al fine di evitare il pericolo di caduta dei lavoratori, bensì tutte le attività che si svolgano ad oltre due metri da un piano stabile, anche ove si operi su superfici piane, contenute da parapetti, allorquando qualsiasi conformazione della struttura o di una sua parte possa comportare la caduta del lavoratore da un'altezza di oltre due metri.

Si tratta di una precisazione, che si ricava dalla lettera dell'art. 122 del D.Lgs. n.81/2008, il quale stabilisce una regola generale su tutti i lavori che siano eseguiti ad oltre due metri di altezza, senza distinzione alcuna; che questa sia la corretta lettura si trae dalle misure che la disposizione indica quali opere di contenimento dal rischio di caduta, non solo, infatti, "adeguate impalcature o ponteggi" ma anche "idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare" quel pericolo (così, in motivazione, Sez. 4, n. 5128 del 23/11/2021, dep. 2022, Carotenuto, Rv. 282600) e tanto sulla base dell'argomentazione in forza della quale il rischio considerato dalle richiamate disposizioni è quello determinato dalla mera allocazione di postazioni di lavoro ad una quota tale da rendere la caduta pericolosa per l'uomo (Sez. 4, n. 21517 del 09/02/2021, Marchesotti, Rv. 281245).

Deve quindi ritenersi coerente con i predetti principi la valutazione dei giudici di merito; i quali hanno considerato come eseguiti in quota i lavori di pertinenza dall'D.D., in quanto eseguiti su un punto del terreno - ovvero la base superiore di una trincea - collocata, sulla base delle evidenze istruttorie, alla distanza di 210 centimetri rispetto al fondo della struttura interrata.

In ogni caso - per completezza argomentativa - deve rilevarsi come la prospettazione di parte ricorrente e in base alla quale l'esecuzione di lavori di scavo avrebbe imposto la mera apposizione di segnalazioni in luogo di adeguati presidi di protezione, appare errata alla luce delle disposizioni di riferimento.

Difatti, l'art.118, comma 5, del D.Lgs. n.81/2008, invocato dalla difesa, impone la sola delimitazione delle opere "almeno" con le opportune segnalazioni, mentre il successivo art. 119 - applicabile a scavi, pozze e cunicoli - impone, una serie di specifiche opere precauzionali non limitata alle segnalazioni medesime.

Deve quindi ritenersi che il motivo di ricorso, in tale parte, abbia - di fatto ­ omesso di confrontarsi con la specifica argomentazione richiamata nella sentenza di appello; e in base alla quale, in presenza di regole cautelari (come nel caso di specie) di tipo "elastico" è necessario, ai fini dell'accertamento della condotta impeditiva esigibile da parte del garante, procedere ad una valutazione ex ante che tenga conto delle circostanze del caso concreto (Sez. 4, n. 57361 del 29/11/2018, Petti, Rv. 274949), con la conseguenza che il comportamento alternativo corretto, deve essere individuato in quella condotta che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, avrebbe evitato il verificarsi dell'evento; derivandone che, per aversi un comportamento alternativo corretto può non essere sufficiente, una mera condotta osservante delle regole cautelari (contrapposta alla condotta inosservante delle medesime regole) ma è necessaria quella condotta che, in relazione alle circostanze del caso concreto, sarebbe stata idonea ad evitare l'evento (Sez 4, n.  del 29/03/2018, Lenarduzzi, Rv. 273871).

Nel caso di specie, quindi, va rilevato come le sentenze di merito - con passaggi argomentativi non fatti oggetto di specifica censura - abbiano messo in evidenza come l'ambiente di lavoro, valutato in concreto sulla scorta delle emergenze istruttorie, si presentasse oggettivamente insidioso in quanto caratterizzato "da una fitta rete di trincee prive di parapetti" (pag. 6 della sentenza di appello); elemento fenomenico in presenza del quale doveva ritenersi concretamente esigibile una condotta alternativa di prevenzione dello specifico rischio lavorativo, sicuramente non soddisfacibile mediante la mera apposizione di segnalazioni, come invece dedotto in sede di prospettazione difensiva.

5. Con il secondo e il terzo punto di censura sviluppati nel primo motivo, la difesa ha dedotto che i giudici di merito avrebbero errato nell'individuare il contenuto prescrittivo del piano per la sicurezza e coordinamento (PSC) e del piano operativo di sicurezza (POS), deducendo come la segnalazione degli scavi sarebbe stata ivi prevista e regolata in conformità con il richiamato art.118, comma 5, D.Lgs. n.81/2008; deducendo altresì che la sentenza impugnata avrebbe errato nel riconoscere al coordinatore per l'esecuzione dei lavori una posizione di garanzia, in relazione a un dedotto obbligo di vigilanza continua, anche in considerazione della sua inerenza alla sola gestione del rischio derivante da interferenza tra attività facenti capo a diverse imprese operanti nello stesso spazio lavorativo;

osservando che il potere di sospensione dei lavori previsto dall'art. 92, lett. f), D.Lgs. n.81/2008 sarebbe da ricollegare solo a imminente e grave pericolo e non a evenienze di carattere estemporaneo.

Le censure non sono fondate.

5.1 Va premesso che le argomentazioni inerenti al contenuto del PSC e del POS sono distoniche rispetto al contenuto del capo di imputazione e alle argomentazioni esposte nelle sentenze di merito, nell'ambito delle quali è stato ascritto all'imputato C.C. - non addebiti relativi al contenuto dei suddetti documenti - ma il venire meno agli obblighi di verifica della corretta applicazione dei medesimi e l'omessa attivazione dei conseguenti poteri di sospensione dei lavori.

Deve altresì rilevarsi come non sussista il lamentato vizio di violazione della legge processuale riferito all'art. 516 cod. proc. pen. e prospettato dalla difesa; atteso che le sentenze di merito hanno fondato il giudizio di responsabilità del suddetto imputato in solo riferimento alla posizione di coordinatore per la sicurezza e non a quella di direttore dei lavori, non originariamente contestata.

5.2 In riferimento alla figura del coordinatore della sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione dei lavori - figura definita dall'art. 89, lett. e) ed f), D.Lgs. n.81/2008 - e in relazione ai compiti conferiti a tale ultima figura dall'art.92 dello stesso testo normativo, deve ritenersi - in aderenza a orientamento già espresso da questa Sezione e cui si intende, in questa sede, dare continuità - che allo stesso vadano riconosciuti degli obblighi impeditivi legati ai rischi di cantiere anche qualora non derivanti da rischio interferenziale; non esaurendosi i compiti prevenzionistici nell'attività di mero collegamento e raccordo tra le imprese impegnate nella realizzazione dell'opera ma implicando gli stessi una verifica costante da parte degli esecutori delle specifiche procedure di lavoro nonché il conseguente esercizio del potere previsto dall'art. 92, lett.f), D.Lgs. n.81/2008, la cui violazione è stata direttamente contestata nel caso di specie e in base al quale il coordinatore "sospende, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate".

Sul punto (richiamando quanto recentemente espresso in parte motiva da Sez. 4, n. 42845 del 04/10/2023, Tramontin, Rv. 285380), vanno ribaditi i principi affermati con specifico riferimento al potere/dovere conferito dalla predetta disposizione e in forza dei quali deve ritenersi che la legge delinei sul coordinatore per la sicurezza una funzione peculiare, rispetto al generale compito di alta vigilanza che grava su tale figura della sicurezza e che consistono, sempre ai sensi dell'art. 92 citato: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione delta sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS (Sez. 4, n. 14636 del 23/3/2021, Scalise; Sez. 4, n. 27165 del 24/5/2016, Battisti, Rv. 267735).

Il coordinatore, oltre ai compiti specificamente assegnatigli dall'art. 92 citato e, sebbene non sia tenuto a un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, demandato ad altre figure operative, mantiene l'obbligo di attivarsi, in caso di sussistenza di un pericolo nei termini di cui all'art. 92 c. 1, lett. f), cit.

Tale ultimo obbligo, tuttavia, non è correlato alla natura del rischio interferenziale che è chiamato a gestire, poiché egli risponde per colpa in omissione, allorquando versi in condizioni di avvedersi o essere informato dell'esistenza di un pericolo grave e imminente e rimanga inerte, a prescindere dal fatto che il pericolo sia correlato a un rischio interferenziale.

Tale interpretazione discende direttamente dalla lettera della legge: alla lett. e) della norma richiamata, infatti, il legislatore prevede che il coordinatore, allorquando riscontri la violazione di obblighi assegnati ad altre figure della sicurezza, proponga la sospensione dei lavori al committente o al responsabile dei lavori, ove nominato, previa contestazione delle violazioni ai lavoratori autonomi o alle imprese.

La successiva ipotesi di cui alla lett. f), invece, non è correlata al riscontro di specifiche violazioni da parte delle altre figure di gestori del rischio, ma direttamente ed esclusivamente alla riscontrata esistenza di un pericolo grave e imminente; pertanto, a tal fine, diventa rilevante la verifica del momento del manifestarsi di inequivocabili segnali di sussistenza di tale pericolo e della sua imminenza, ma anche quella della prevedibilità in capo al coordinatore medesimo, sul quale, come sopra ricordato, non grava l'obbligo di una presenza costante in cantiere. Trattasi, dunque, di una vera e propria norma di chiusura che, al di là degli obblighi di alta vigilanza previamente indicati dalla lettera a) alla lett. d) - questi direttamente correlati al rischio di interferenze tra le diverse realtà lavorative ­ impone comunque al coordinatore un obbligo più generale di sospensione delle lavorazioni ogni qualvolta abbia contezza di una siffatta situazione di pericolo (Sez.) 4, n. 14636/2021, cit.; espressivi di principi analoghi a quelli riassunti sono Sez. 4, n. 2845 del 15/10/2020, dep. 2021, Martinelli, Rv. 280319; Sez. 4, n. 10181 del 10/12/2020, dep. 2021, Marulli, Rv. 280955).

5.3 Deve quindi ritenersi che i giudici di merito si siano adeguatamente confrontati con i predetti principi, ritenendo che il coordinatore per l'esecuzione sia venuto meno ai propri doveri di verifica della corretta attuazione del contenuto del piano di sicurezza e coordinamento e che prevedeva una specifica protezione delle aperture (in ciò venendo meno al dovere previsto dall'art.92, lett. a), D.Lgs. n. 81/2008) e al dovere di sospensione dei lavori -previsto dall'art. 92, lett. f) ­ sino al relativo adeguamento da parte dell'impresa esecutrice nonostante la situazione di pericolo derivante dalla mancata adozione delle protezioni necessarie e tanto - come sottolineato dal Tribunale - pure in presenza della accertata conoscenza dello stato dei luoghi (essendo solo in senso strumentale a tale circostanza valorizzabile, come fatto dalla Corte d'appello alla pag. 7 della sentenza impugnata, il ruolo di direttore dei lavori conferito al C.C.); avendo la Corte territoriale altresì valorizzato - con motivazione da ritenersi pienamente logica ­ l'elemento di fatto in base al quale il predetto imputato, come dallo stesso dichiarato in sede di esame, si recava giornalmente sui luoghi.

Ne consegue che le valutazioni dei giudici di merito in ordine alla sussistenza di una posizione di garanzia devono ritenersi conformi al quadro normativo applicabile al caso di specie; posizione di garanzia - a propria volta e in riferimento alle deduzioni contenute nel quinto punto del motivo di ricorso - non escluse dalla presenza di un lavoratore con funzioni di preposto, non essendo la relativa figura comunque gravata degli oneri conseguenti al rispetto del PSC e del POS.

6. Con il quarto punto del primo motivo di impugnazione, i ricorrenti hanno dedotto il vizio di violazione di legge e di vizio di motivazione in relazione all'omessa valutazione della condotta colposa tenuta dal lavoratore, asseritamente avente valenza causale esclusiva in ordine alla causazione dell'evento.

La censura è infondata.

Va quindi rilevato - sotto tale aspetto - che il datore di lavoro, nonché gli altri destinatari delle norme antinfortunistiche, sono esonerati da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia qualificabile come abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli.

In particolare, ancora più specificamente, la giurisprudenza di questa Corte ha rilevato che, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 16397 del 05/03/2015, Guida, Rv. 263386; Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Vigo, Rv. 281748; Sez. 4, n. 7012 del 23/11/2022, dep. 2023, Cimolai, Rv. 284237).

In sostanza, sulla base dell'esame sinottico dei principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi che sia interruttiva del nesso di condizionamento la condotta del lavoratore nel solo caso in cui la stessa si collochi in qualche modo al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso.

Rilevando altresì che la giurisprudenza di legittimità è ferma nel sostenere che non possa discutersi di responsabilità (o anche solo di corresponsabilità) del lavoratore per l'infortunio quando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità (Sez. A, n.16888 del 07/02/2012, Pugliese, Rv.252373, nonché, in senso coerente, anche Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242), ciò in quanto le disposizioni antinfortunistiche perseguono, infatti, il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l'area di rischio da gestire include il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e per tale ragione foriere di pericoli (Sez. A, n. 4114 del 13/01/2011, n. 4114, Galante, n.m.; Sez. F, n. 32357 del 12/08/2010, Mazzei, Rv. 247996).

Deve quindi rilevarsi come le argomentazioni espresse dalla Corte territoriale, in adesione a quelle formulate nella motivazione della sentenza di primo grado, si siano adeguatamente confrontate con i predetti principi, con motivazione immune dal denunciato vizio di contraddittorietà.

Nel caso di specie, difatti, il giudice di appello ha coerentemente escluso che al comportamento del lavoratore potesse essere attribuita la valenza di abnormità nel senso suddetto, essendo l'infortunio avvenuto nel contesto dell'esercizio della mansioni conseguenti alla prestazione affidata, rientrante nel segmento di lavorazione di competenza e del tutto privo dei connotati di eccentricità e imprevedibilità; coerentemente escludendo che la circostanza che il lavoratore avesse scelto di accedere alla tubazione da rimuovere avvicinandosi al cunicolo anziché operando dal di sotto del vicino ponteggio potesse ritenersi tale da concretizzare un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante era chiamato a governare (Sez. 4, n. 123 del 11/12/2018, dep. 2019, Nastasi, Rv. 274829).

7. Il secondo motivo - con il quale è stata censurata la scelta dei giudici di merito di applicare la pena detentiva in luogo di quella pecuniaria - è infondato.

Va quindi richiamato il principio in base al quale il giudice, nell'esercizio del potere di scelta fra l'applicazione della pena detentiva o di quella pecuniaria, alternativamente previste, ha l'obbligo di indicare le ragioni che lo inducano ad infliggere la pena detentiva (Sez. 6, n. 10772 del 20/02/2018, F., Rv. 272762).

Sul punto, peraltro, come rilevato in parte motiva da Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014, dep. 2015, Ottino, Rv. 263201, il sindacato di legittimità su tale motivazione non può che essere limitato ai vizi previsti dall'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.

Nel caso che occupa è quindi da escludersi che sia manifestamente illogica la valorizzazione - compiuta dal giudice di primo grado e integralmente condivisa a quella di appello al fine di giustificare la scelta della sanzione - facente riferimento al grado della colpa e all'elevato pregiudizio fisico subìto dal lavoratore.

8. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 19 marzo 2024.

Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2024.