Cassazione Penale, Sez. 4, 30 maggio 2024, n. 21528 - Caduta in mare e annegamento dell'addetto alle macchine per l'operazione di sabbiatura dello scafo della motonave al suo primo giorno di lavoro



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta da:

Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente -

Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere

Dott. VIGNALE Lucia – Consigliere

Dott. MARI Attilio - Consigliere

Dott. GIORDANO Bruno - Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



sui ricorsi proposti da:

A.A.nato a L il (omissis)

B.B.nato a L il (omissis)

C.C.nato a G il (omissis)

D.D. nato a L il (omissis)

E.E.nato a M il (omissis)

F.F.nato a E il (omissis)

avverso la sentenza del 20/12/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere BRUNO GIORDANO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUCA TAMPIERI che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi di A.A., B.B. e C.C. e per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di D.D., E.E. e F.F.

udito il difensore

E' presente l'avvocato MATTEUCCI AURORA del foro di LIVORNO in difesa di A.A.e B.B., che chiede l'accoglimento dei ricorsi.

E' presente l'avvocato SCIACCHITANO GIUSEPPE del foro di GENOVA difensore di C.C. LUIGI, che riportandosi ai motivi insiste per l'accoglimento del ricorso. Sono presenti l'avv. DEL CORSO SILVIA del foro di LIVORNO e l'avv. D'ANGELO ANNA del foro di LIVORNO entrambi difensori di D.D., E.E.e F.F.che chiedono l'accoglimento dei ricorsi riportandosi ai motivi depositati ed alle conclusioni del Procuratore Generale.

 

Fatto


1. Il presente procedimento per il reato ex art. 589 cod. pen. di omicidio colposo con l'aggravante della violazione della normativa antinfortunistica, viene avviato per la morte dell'operaio G.G. che avviene il 15/06/2010 intorno alle ore 08:30 nel porto di Livorno durante l'attività lavorativa alla quale era addetto, svolta come dipendente della società cooperativa sociale Ma.Ris. che operava sulla banchina n. 78 che fronteggiava il bacino galleggiante Mediterraneo. Il decesso avveniva in seguito alla caduta in mare del lavoratore che veniva successivamente avvistato e poi recuperato dai sommozzatori dei vigili del fuoco nel braccio di mare tra la banchina e la murata del bacino galleggiante a circa 9 m. di profondità con ancora indosso la tuta da lavoro e le scarpe antinfortunistiche. L'esame tanatologico individuava con certezza la causa della morte nell'annegamento e l'assenza di patologie organiche su base morfologica escludendo, quindi, concause diverse da quella dell'annegamento e riscontrando una serie di lesioni sicuramente coeve alla caduta in mare.

2. L'attività lavorativa nel corso della quale il lavoratore è deceduto si svolgeva nell'ambito dei lavori di sabbiatura della motonave Rina-Amoretti. L'armatore aveva attribuito l'incarico di effettuare lavori di carenaggio sul tale motonave, alla Gestione Bacini Spa quale impresa capocommessa di cui gli imputati A.A. e B.B. ricoprono rispettivamente i ruoli di presidente del consiglio di amministrazione e di amministratore delegato; la capocommessa Gestione Bacini Spa si era avvalsa tra le altre (Ronavi, Navitrat) della società H.H. Srl quale impresa esecutrice dell'attività di carenaggio. Quest'ultima a sua volta aveva subappaltato le operazioni di sabbiatura effettuate con propri mezzi alla cooperativa sociale Ma.Ris. di cui l'infortunato era dipendente al primo giorno di lavoro. In particolare, egli era addetto alle macchine per l'operazione di sabbiatura dello scafo della motonave con le macchine posizionate sulla banchina nella fascia prospiciente la murata del bacino galleggiante, posta a metri 3,70 dal ciglio della banchina la cui altezza dal pelo dell'acqua era di poco meno di 2 m e il fondale di 12 m.

3. Il giudizio di primo grado viene avviato nei confronti di A.A.e B.B. rispettivamente in qualità di presidente nel consiglio di amministrazione e di amministratore delegato con poteri statutari di datori di lavoro della Gestione Bacini Spa, impresa capocommessa dei lavori di carenaggio, di I.I. in qualità di datore di lavoro e presidente del consiglio di amministrazione della H.H. Srl, nel frattempo deceduto, di C.C., in qualità di responsabile del servizio di prevenzione e protezione della H.H. Srl, impresa appaltante le operazioni di sabbiatura nonché proprietaria dei macchinari del cui controllo qualità era incaricato nonché di J.J., quale direttore generale e tecnico, F.F., K.K., D.D. e E.E., con poteri statutari di datori di lavoro della coop. sociale Ma.Ris.. All'udienza del 17/12/2015, veniva separata la posizione di L.L., imputato quale presidente del cda della coop. Ma.Ris. (cui era applicata su richiesta la pena di mesi otto di reclusione, ex art. 444 cod. proc. pen.) e di M.M., imputato quale responsabile per la sicurezza e legale rappresentante dello stabilimento di Livorno della Azimut-Benetti Lusben, società titolare della gestione della banchina n. 78, in forza di provvedimento dell'Autorità portuale, che accedeva al rito abbreviato conclusosi con l'assoluzione.

4. Il dibattimento veniva aperto all'udienza del 12/12/2016 nei confronti degli odierni ricorrenti nonché di J.J. e K.K. e si concludeva all'udienza del 3/07/2018 con l'assoluzione per non aver commesso il fatto di J.J. e K.K. e la condanna di tutti gli altri imputati.

5. La Corte di appello di Firenze il 20/12/2022 con la sentenza n. 4785 del 2022 confermava la decisione del Tribunale di Livorno ma con parziale riforma, limitata alla sola pena per gli imputati F.F., D.D. e E.E. ai quali veniva ridotta la pena a mesi 8 di reclusione confermando nel resto la condanna di primo grado per tutti gli altri imputati, e per B.B. e C.C. ad anni uno e mesi sei di reclusione e per A.A. ad anni uno di reclusione.

Avverso la sentenza di appello ricorrono tutti gli imputati.

Ricorso di A.A.e B.B.

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta l'erronea applicazione dell'art. 38 d. Igs. n. 272 del 1999 e conseguentemente l'inosservanza dell'art. 40, comma secondo, cod. pen. in relazione al reato di omicidio colposo, nonché la manifesta contraddittorietà e illogicità della motivazione per travisamento della prova nell'aver dedotto l'esistenza del cosiddetto rischio interferenziale per la prima volta da un'informazione non presente agli atti e quindi la violazione di legge dell'art. 521 cod. proc. pen. per violazione del principio di necessaria correlazione tra imputazione e sentenza.

2. In particolare, circa il primo profilo i ricorrenti osservano che il giudice di primo grado in linea con il capo di imputazione ha ritenuto che la società Gestione Bacini Spa avrebbe omesso di indicare nel proprio DVR il rischio di caduta in mare e dunque di considerare che una parte dei lavori doveva essere svolto sulla banchina e a filo banchina. Ciò costituirebbe una dilatazione semantica della posizione di garanzia descritta dall'art. 38 D.Lgs. n. 272 del 1999 su cui si costruisce la responsabilità dei ricorrenti A.A. e B.B. Con tale operazione la motivazione della decisione di primo grado, accolta conformemente dalla decisione di secondo grado, avrebbe tralasciato la verifica e la delimitazione del rischio interferenziale. Il nucleo centrale della critica a tale passaggio fondamentale delle due motivazioni è individuato dai ricorrenti nell'interpretazione del citato art. 38 che, invece, pone a carico delle singole imprese esecutrici gli obblighi relativi ai rischi specifici propri dell'attività delle stesse. L'interpretazione data dal giudice di merito così si traduce in un indebito ampliamento della sfera di competenza della gestione del rischio che a sua volta costituisce l'identificazione della posizione di garanzia. La sentenza della Corte di appello avrebbe tentato di porre rimedio ancorandosi a valutazioni che però si traducono anch'esse in un'errata interpretazione del citato art. 38 riconducendo il rischio di caduta in mare nell'alveo dei cosiddetti rischi interferenziali per potere fondare la responsabilità dei ricorrenti. In breve, la violazione di legge dell'art. 38 citato sarebbe costituita dalla violazione della sfera di responsabilità dell'impresa capocommessa relativamente ai rischi che oggettivamente emergono dall'interferenza di più lavorazioni da parte di una pluralità di imprese. Nell'eccettuare dall'ambito di competenza della società capocommessa i rischi specifici che attengono alle singole lavorazioni e alle loro dinamiche organizzative la norma circoscrive alla prevenzione dei soli rischi interferenziali emergenti da più lavorazioni reciprocamente intersecanti la peculiare posizione di garanzia dell'impresa capo commessa.

3. In definitiva, sebbene si debba riconoscere l'esistenza di un obbligo di cooperazione all'attuazione delle misure di prevenzione, la sfera di controllo del committente non può estendersi indiscriminatamente a tutti i segmenti dell'attività lavorativa non potendosi dal medesimo esigersi un controllo pressante continuo e capillare sull'organizzazione e l'andamento dei lavori.

4. La difesa di A.A. e B.B., pur sempre nel contesto del primo motivo di ricorso, evidenzia anche il profilo del travisamento della prova che sarebbe avvenuto per la prima volta nella sentenza di secondo grado laddove viene utilizzata, con un significato decisivo, un'informazione inesistente nel materiale processuale completamente inedita e priva di riscontro nelle evidenze in atti.

5. In particolare, il riferimento è alla presenza di tubi e cavi direttamente riferibili alle propaggini esterne delle macchine sabbiatrici che avrebbero dato luogo ad un'interferenza con altre lavorazioni; di tali tubi e cavi, ritenuti non pertinenti alla macchina sabbiatrice ma destinati ad altra utilità e come tale rientrante indubbiamente nella sfera di competenza della committenza come rilevato dal consulente tecnico del pubblico ministero Rum, a parere della difesa, non vi sarebbe traccia né in atti né nella relazione di tale consulente tecnico.

6. Sotto altro profilo, in particolare attinente alla conseguente violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., la difesa di A.A. e B.B. ritiene che la Corte di appello per rimodulare conclusivamente lo specifico rimprovero si sia allontanata in modo evidente dal capo di imputazione: non più un'omessa valutazione del rischio di caduta in mare nel proprio documento di sicurezza ma quello di un'omissione di vigilanza sulle altrui misure di prevenzione direttamente connessa al ruolo di coordinamento che sarebbe gravata sulla Gestione Bacini Spa nella gestione di un asserito rischio interferenziale del tutto inesistente. Da qui la contraddittorietà intrinseca della decisione, a parere della difesa, dove, da un lato, implicitamente si riconosce che l'area di rischio rientrante nella competenza della capocommessa ex lege è solo quella del rischio interferenziale e, dall'altro lato, viene introdotto un elemento inedito, costituito dalla riferibilità dei tubi e dei cavi alla lavorazione per affermare la responsabilità dei ricorrenti. Sostiene la difesa che tale iter argomentativo sostanzialmente muove un nuovo rimprovero ai ricorrenti in violazione del principio di necessaria correlazione tra accuse e sentenze previsto dall'art. 521 cod. prc. pen.

7. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta l'inosservanza dell'art. 133 cod. pen. nonché l'omessa o contraddittoria motivazione per assenza di un giudizio individualizzato in ordine all'asserita gravità delle condotte. I ricorrenti criticano il passaggio motivazionale della sentenza di primo grado secondo cui il rilevante grado di colpa da parte degli imputati oggi ricorrenti è commisurato alla considerazione di aver dato causa all'evento mortale in eguale misura. Affermazione che contrasta, però, con la differenza di trattamento sanzionatorio riservata a B.B., condannato a un anno e sei mesi, e a A.A. condannato invece a un anno. Pertanto, la motivazione sarebbe contraddittoria e illogica poiché il diverso trattamento sanzionatorio avrebbe dovuto tenere conto di una diversa valutazione di gradazione del criterio di gravità della colpa.

Ricorso di C.C.

1. Il ricorrente C.C. impugna la sentenza della Corte di appello di Firenze prospettando innanzi tutto l'erronea motivazione quanto all'individuazione in capo allo stesso C.C., quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione della H.H. Srl, esecutrice dei lavori di carenaggio, di una posizione di garanzia a fronte di un rischio dell'ambiente di lavoro che gli era stato sottaciuto o falsamente rappresentato dal committente.

2. In particolare, il ricorrente prospetta la violazione dell'art. 26 d. Igs. 9 aprile 2008, n. 81 nonché la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per l'omessa previsione del rischio di caduta in mare, osservando che in seguito all'affidamento dei lavori il cantiere veniva allestito collocando inopinatamente le macchine sabbiatrici in banchina così imponendo conseguentemente all'operatore addetto a tali macchine, qual era l'infortunato deceduto, di recarsi sul ciglio della banchina sia per comunicare con chi era in bacino, sia per accedere ai comandi di un compressore. L'appaltatore non essendo stato correttamente informato non avrebbe potuto valutare un rischio relativo ad un'attività diversa da quella appaltata e comportante rischi diversi con specifico riferimento alla collocazione sulla banchina delle macchine sabbiatrici. Dall'esame del documento di valutazione del rischio della capocommessa l'appaltatore poteva constatare soltanto che il cantiere collocato all'interno di un bacino, e non in parte sul bacino ed in parte sulla banchina con in mezzo il braccio di mare ove il lavoratore è caduto, non presentava alcun rischio di caduta in mare. Appare paradossale, a parere della difesa, addebitare al ricorrente il fatto di non avere previsto e valutato un rischio secondario ad un teatro delle operazioni che si è presentato inopinatamente la mattina stessa dell'incidente, in epoca successiva alla redazione del documento di valutazione del rischio.

3. Tutto ciò avrebbe dovuto comportare per il giudicante la netta distinzione tra il piano intellettivo e valutativo proprio del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, e quello decisionale e operativo riservato ad altri garanti e principalmente al datore di lavoro, in quanto le scelte operative non spettano al responsabile del servizio di prevenzione e protezione non presente tutti i giorni in azienda, che non è obbligato a controllare le fasi esecutive delle lavorazioni.

4. Con un secondo motivo di ricorso C.C. prospetta l'erronea motivazione circa il ruolo di responsabile del servizio di prevenzione e protezione in relazione all'individuazione dei rischi; specificamente contesta la motivazione del giudice di appello laddove ritiene che egli, nella veste di responsabile della sicurezza per la H.H. Srl, avrebbe dovuto segnalare il rischio e indicare al datore di lavoro le misure idonee a scongiurarlo, così costruendo il punto centrale dell'attribuzione di responsabilità dell'imputato.

5. In particolare, la difesa di C.C. sostiene la violazione dell'art. 18 D.Lgs. n. 81 del 2008, laddove prevedendo gli obblighi del datore di lavoro e dei dirigenti imponendo al primo l'obbligo di fornire al servizio di prevenzione e protezione le informazioni in merito alla natura dei rischi, all'organizzazione del lavoro e alla descrizione degli impianti e dei processi produttivi. L'art. 18 cit. attribuisce al datore di lavoro, figura apicale primaria della gestione aziendale, l'obbligo di informare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione il quale, pertanto, non può essere automaticamente qualificato come responsabile della sicurezza. La Corte di appello, quindi, non avrebbe ben inquadrato la figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione il quale non è evidentemente il responsabile della sicurezza e non ha il compito di valutare i rischi delle lavorazioni se non cooperando con il datore di lavoro il quale deve fornire le dovute informazioni ai sensi dell'art. 18 citato. Peraltro, risulta pacifico che C.C. non era destinatario di alcuna delega di funzioni.

6. Con un terzo motivo il ricorso prospetta la violazione dell'art. 589 comma secondo, cod. pen. e 157, comma sesto, cod. pen. nonché la carenza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta aggravante di cui alla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. In particolare, ritiene il ricorrente che non sussiste in capo allo stesso alcun profilo di colpa specifica ma solo quello della colpa generica in quanto non vi è alcuna norma che indichi il dovere del responsabile del servizio di prevenzione e protezione di valutare i rischi. Mancando il profilo di colpa specifica, verrebbe meno la circostanza aggravante contestata e di conseguenza non opererebbe il raddoppio dei termini di prescrizione del reato previsti dall'art. 157, comma sesto, cod. pen. A seguito di tale ragionamento il termine di prescrizione del reato sarebbe decorso il 15/12/2017.

7. Con un quarto motivo di ricorso C.C. prospetta la nullità della sentenza nonché la carenza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta ascrivibilità del fatto al ricorrente, in quanto ascrittogli nella qualità di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, per non avere previsto e valutato il rischio di caduta in mare. Ma non è in atti e non è stato mai prodotto il documento di valutazione dei rischi ed emergerebbe, quindi, la mancanza di evidenza circa la riconducibilità del documento alla sua persona; dovrebbe infatti comparire in calce al documento la firma del ricorrente ma la mancanza del documento non consente di superare tale problema. Pertanto, ritiene il ricorrente l'erronea motivazione in relazione alla valutazione della prova in relazione alla sottoscrizione del documento di valutazione del rischio ad opera del ricorrente,

8. A pag. 1 del ricorso si prospetta anche l'omessa motivazione circa il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, che però nel corpo del ricorso non ha alcuna esposizione.

Ricorso D.D., E.E. e M..

1. I ricorrenti lamentano l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge nonché l'omessa motivazione anche riguardo alla mancata valutazione del disposto dell'art. 105 D.Lgs. n. 81 del 2008. In particolare, il ricorso evidenzia l'errata applicazione dell'art. 40 cod. pen. in relazione agli artt. 17 e 18 n. 81 del 2008, laddove il giudice di appello afferma che costituirebbe violazione dell'obbligo di effettuare una corretta e completa valutazione dei rischi aver previsto solo il rischio di caduta dall'alto e non quello di caduta in mare, trattandosi di due adempimenti diversi. Il ricorrente contesta tale affermazione che non appare in linea con gli artt. 105 e ss. D.Lgs. n. 81 del 2008, che non sono esaminati dalla Corte d'appello e non menzionati nella motivazione, trattandosi di una norma che indica i requisiti minimi di sicurezza e di salute per l'uso delle attrezzature di lavoro nell'esecuzione di lavori temporanei in quota per operazioni che si svolgono ad un'altezza superiore ai 2 mt. rispetto ad un piano stabile. Il rischio di caduta in mare rientra nel più ampio ambito del rischio di caduta dall'alto essendo irrilevante il tipo di superficie sulla quale il lavoratore si trova a cadere e dovendo quindi il datore di lavoro in ogni caso prevenire il rischio di caduta con procedura di sicurezza analoghe sia nel caso che il rischio si concretizzi nella caduta sul suolo sia nel caso in cui il rischio risulti rappresentato dalla caduta in acqua. Il documento di valutazione del rischio adottato dalla Ma.Ris. al momento del fatto prevedeva il rischio di caduta sia in piano che dall'alto e prevedeva l'adozione dei corretti dispositivi di prevenzione e protezione, vale a dire barriere e parapetti.

2. Tuttavia una tale soluzione risulta in contrasto con i criteri dettati dal Ministero del lavoro con la circolare n. 29 del 27/08/2010 ignorata dalla Corte di appello, circolare che con riferimento ai lavori in quota rientranti nell'ambito dei lavori ad alto rischio di caduta ha fornito criteri sulla base dei quali il datore di lavoro deve scegliere le attrezzature di lavoro più idonee a garantire e mantenere le condizioni di sicurezza in base alle quali devono essere preferiti i sistemi che impediscono la caduta a chiunque operi all'interno dell'area di lavoro, come appunto i parapetti e le ringhiere, rispetto ai sistemi di protezione individuale che arrestano la caduta quali, ad esempio, le cinture di ancoraggio o il giubbotto di salvataggio. Quindi il datore di lavoro non ha omesso di prevedere il rischio cui è conseguito il sinistro ma il giudice di appello nulla ha riferito circa le ragioni per cui ha ritenuto che il rischio di caduta in mare per lavori in prossimità dell'acqua - e non in acqua - dovesse ricevere un trattamento difforme rispetto al rischio di caduta già previsto nel documento di valutazione dei rischi della Ma.Ris..

3. Con un secondo motivo, il ricorso prospetta l'errata applicazione degli artt. 16 e 32 D.Lgs. n. 81 del 2008, e quindi l'omessa motivazione sul punto. Considerando in particolare che, essendo stati condannati tutti i componenti del consiglio di amministrazione della Ma.Ris. perché è stata ritenuta non provata una specifica delega di funzioni, la motivazione ha omesso di valutare che il presidente del consiglio di amministrazione della Ma.Ris. era al momento del sinistro presidente ed amministratore delegato del consiglio di amministrazione della stessa oltre che responsabile del servizio dì prevenzione e protezione. L.L. era l'unico soggetto che aveva poteri in materia di gestione del personale e che avesse i titoli di studio, la qualifica e le competenze e la formazione per poter svolgere le proprie competenze in materia di prevenzione e protezione dagli infortuni.

4. Il caso concreto evidenzierebbe che non si tratta di una delega di funzioni ma di una ripartizione di funzioni all'interno del consiglio di amministrazione. Dall'art. 299 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, si evince, a parere della difesa, che devono restare esenti da responsabilità coloro che non esercitano i poteri direttivi ma che abbiano delegato gli stessi a diverso soggetto con qualifiche e competenze adeguate, come sarebbe avvenuto nel caso di specie. Di conseguenza, ritiene la difesa che non può essere attribuita alcuna responsabilità ai membri del cda deleganti per violazione dell'obbligo di vigilanza del delegato.

Ricorso E.E. e F.F.

1. Gli imputati E.E. e F.F. specificamente in relazione alla loro posizione processuale evidenziano anche l'inosservanza e l'erronea applicazione della legge con riguardo alla facoltà non concessa agli imputati ricorrenti di poter usufruire delle pene sostitutive previste dall'art. 20-bis cod. pen. introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 2022. In particolare, i ricorrenti espongono che il giorno dell'udienza del 20/12/2022 non veniva concesso dalla Corte d'appello il richiesto rinvio dell'udienza di discussione che avrebbe consentito di richiedere successivamente l'applicazione delle pene sostitutive meno afflittive previste dal nuovo art. 20-bis cod. pen. essendo stati privati della possibilità di richiedere tali pene sostitutive in ragione della pena poi effettivamente irrogata e mancando per la fase di appello un regime transitorio analogo a quello previsto dall'art. 95 D.Lgs. n. 150 del 2022, come nel procedimento di cassazione. Ne consegue la necessità di presentare ricorso per cassazione per poter beneficiare del favor rei previsto dalla riforma. A parere della difesa di E.E. e F.F. si prospetterebbe l'illegittimità costituzionale dell'art. 95 citato per la mancata previsione della possibilità di ricorrere al giudice dell'esecuzione per ottenere la sostituzione della pena con sanzione più favorevole per i procedimenti pendenti in fase di appello al momento dell'entrata in vigore della predetta normativa. A parere della stessa, ciò costituirebbe una palese violazione del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 cost. non sussistendo alcuna sostanziale differenza tra procedimenti pendenti in fase di appello e procedimenti pendenti davanti alla Corte di cassazione.

Il Procuratore generarle con requisitoria e conclusioni scritte ha chiesto il rigetto dei ricorsi per A.A., B.B. e C.C. e l'annullamento senza rinvio per D.D., E.E. e F.F..
 

Diritto


1. Premesso che la morte dell'operaio G.G.è avvenuta alle ore 8.30 circa del suo primo giorno di lavoro per annegamento, a seguito della caduta in mare, lungo la banchina 78 del porto di Livorno, nel corso della sua attività lavorativa quale dipendente della cooperativa sociale Ma.Ris., subappaltatrice dei lavori di sabbiatura della motonave Rina Moretti, e considerato lo sviluppo argomentativo dei singoli ricorsi, è necessario un breve inquadramento normativo della disciplina applicabile al caso concreto in materia di sicurezza dei lavori che si svolgono in area portuale.

2. Infatti, per le attività che si svolgono nei porti, comprese le operazioni di manutenzione, riparazione e trasformazione delle navi in ambito portuale, vige la disciplina prevista dal D.Lgs. 27 luglio 1999, n. 272 che ha "lo scopo di adeguare la vigente normativa sulla sicurezza e la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro alle particolari esigenze delle operazioni e dei servizi svolti nei porti".

3. Il rapporto intercorrente tra il D.Lgs. n. 81 del 2008 e il D.Lgs. 272 del 1999, è indubbiamente di genus ad speciem, caratterizzato dal principio di specialità ai sensi dell'art. 15 cod. pen., trattandosi di una normativa che insiste sulla medesima materia della sicurezza del lavoro con specifico riferimento alle attività lavorative in aree portuali che si caratterizzano per peculiarità organizzative e contrattuali. Non si tratta, però, di una disciplina eccezionale, poiché non deroga ai principi cardini in tema di gestione, organizzazione e responsabilità nella materia della sicurezza del lavoro, ma è speciale perché consente di "adeguare la vigente normativa sulla sicurezza e la salute dei lavoratori...", alle aree portuali dove insistono fisiologicamente strutture, attività, imprese riconducibili ad organizzazioni diverse e complesse con regole contrattuali speciali per lo svolgimento di tali attività.

4. L'obiettivo della disciplina speciale è espressamente quello di:

a) assicurare la tutela della salute e la prevenzione degli infortuni e malattie professionali;

b) determinare gli obblighi e le responsabilità specifiche del datore di lavoro, dei lavoratori in relazione alla valutazione dei rischi derivanti da agenti chimici, fisici e biologici;

c) definire i criteri relativi all'organizzazione del sistema di prevenzione, igiene e sicurezza del lavoro;

d) dettare le disposizioni generali sull'impiego dei mezzi personali di protezione;

e) adottare le misure di sicurezza in presenza di condizioni particolari di rischio;

f) assicurare la formazione e l'informazione del personale addetto alle operazioni ed ai servizi portuali, nonché alle operazioni di manutenzione, riparazione e trasformazione delle navi in ambito portuale.

5. Si noti che il comma 2, dell'art. 1, D.Lgs. n. 272 del 1999 espressamente prevede che "Per quanto non diversamente previsto dal presente decreto si applicano le disposizioni di cui al decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, come modificato dal decreto legislativo 19 marzo 1996, n. 242". Il rinvio al coevo D.Lgs. n. 626 del 1994 è da intendersi al D.Lgs. n. 81 del 2008 atteso che in forza dell'art. 304, comma 3, D.Lgs. n. 81 del 2008 "laddove disposizioni di legge o regolamentari dispongano un rinvio a norme del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, ovvero ad altre disposizioni abrogate dal comma 1, tali rinvii si intendono riferiti alle corrispondenti norme del presente decreto legislativo". L'interprete è chiamato, pertanto, ad un confronto permanente tra la normativa generale e quella speciale affinché i principi della prima, non derogati, siano adeguati all'attività portuale mediante il D.Lgs. n. 272 del 1999 e l'applicazione diretta del D.Lgs. n. 81 del 2008 "per quanto non diversamente previsto".

6. Sulla base di tale premessa si possono esaminare i motivi di ricorso che sebbene sotto diversi profili, hanno in comune il confronto tra i principi generali e la normativa speciale espressamente contestata anche quale violazione dell'art. 38 D.Lgs. n. 272 del 1999.

7. Il primo motivo di ricorso presentato da A.A. e B.B. offre vari argomenti che insistono sull'obbligo di valutazione del rischio generico o specifico e sull'interferenza degli stessi nell'attività di sabbiatura cui era assegnato il lavoratore deceduto al suo primo giorno di lavoro. Dalla ritenuta sussistenza di un obbligo di valutazione, anche in relazione alla presenza dì tubi e cavi nella zona in cui il lavoratore è caduto in mare e annegato, come indicato nella motivazione della sentenza impugnata, la difesa desume anche un travisamento del fatto e la violazione del principio di corrispondenza tra accusa e sentenza.

8. Al riguardo nei lavori portuali l'art. 38, D.Lgs. n. 272 del 1999 prevede che "Qualora i lavori di manutenzione, riparazione e trasformazione siano eseguiti da più imprese, l'armatore o il comandante della nave designa l'impresa capo-commessa". La disposizione si occupa in modo specifico soltanto dei lavori di manutenzione, riparazione e trasformazione, e prevede espressamente che l'armatore (o il comandante della nave), quale soggetto committente che richiede tali lavori eseguiti da più imprese, ha un obbligo specifico ed ulteriore, ma non alternativo o sostitutivo, rispetto a quelli previsti in generale per i committenti dall'art. 26 D.Lgs. n. 81 del 2008, indicato espressamente in quello di designare un'impresa cui far capo per gli obblighi.

9. Il titolare dell'impresa capo-commessa, ai sensi del comma 2 dell'art. 38 cit., "nomina il responsabile tecnico dei lavori a bordo ed elabora il documento di sicurezza di cui all'articolo 4 del decreto legislativo n. 626 dei 1994 e successive modifiche". Il riferimento normativo, si noti, è soltanto all'art. 4 del D.Lgs. n. 626 del 1994, e non anche all'art. 7 dello stesso D.Lgs. n. 626 del 1994 che prevedeva la disciplina in casi di appalto o contratti d'opera e ora è sostituito dall'art. 26 D.Lgs. n. 81 del 2008. Il rinvio normativo indubbiamente ha per oggetto soltanto una specificazione del documento di valutazione del rischio (oggi previsto dagli artt. 28 e 29, d. Igs. n. 81 del 2008). Pertanto, l'art. 38, D.Lgs. n. 272 del 1999 obbliga l'impresa capocommessa, a redigere uno speciale e più ampio d.v.r. "contenente anche" una serie di misure organizzative che evidentemente si aggiungono a quelle previste in via generale e che riguardano il ruolo delle varie imprese chiamate dalla capo-commessa a eseguire i lavori.

10. Queste ulteriori e aggiuntive misure riguardano:

a) l'individuazione delle fasi di lavoro e delle principali attrezzature utilizzate, e delle imprese che eseguono i lavori;

b) l'indicazione del tecnico responsabile dei lavori a bordo;

c) la localizzazione ed il numero medio dei lavoratori per ogni fase ed ambiente di lavoro;

d) le fasi nelle quali si può verificare la presenza contemporanea di un numero consistente di lavoratori che svolgono lavorazioni diverse in uno stesso ambiente;

e) la descrizione delle misure di sicurezza e di igiene per le diverse fasi di lavorazione, con particolare riguardo a quelle svolte in ambienti nei quali siano prevedibili situazioni di maggiore rischio;

f) l'indicazione delle misure da mettere in atto per la prevenzione, la lotta contro l'incendio, per la gestione dell'emergenza e del pronto soccorso.

11. Tali ulteriori obblighi si fondano sulla peculiarità del lavori in area portuale affidando una specifica valutazione del rischio alla capo-commessa il cui titolare "consegna copia del documento...alle imprese che operano a bordo, che hanno l'obbligo di attenersi alle procedure in esso contenute ed a informare i lavoratori del suo contenuto prima dell'inizio dei lavori". È evidente che, attenendo a un ambito di particolare rischio, dove è tecnicamente necessaria la distribuzione e la frammentazione dei lavori, la specificità di tali compiti non escludono, anzi postulano quelli previsti in via generale per tutte le ipotesi previste prima dall'art. 7, D.Lgs. n. 626 del 1994 (infatti non richiamato dall'art. 38, comma 2, D.Lgs. n. 272 del 1999) e ora dall'art. 26, D.Lgs. n. 81 del 2008.

12. A conferma che l'art. 38, D.Lgs. n. 272 del 1999 preveda una speciale valutazione del rischio rafforzata da parte della capo-commessa, che svolge il ruolo di affidataria rispetto all'armatore, e di subcommittente rispetto alle imprese esecutrici, si legga il comma 4 dell'art. 38 cit. laddove prevede che "gli obblighi relativi ai rischi specifici propri dell'attività delle singole imprese fanno capo alle imprese stesse".

13. Tale locuzione normativa induce a una serie di considerazioni circa il riparto di competenze in base alla genericità o specificità del rischio su cui si basano sostanzialmente gli argomenti del primo motivo dei ricorsi di A.A. e B.B.Fa .

14. L'iter logico seguito in tale motivo di ricorso muove dal riparto per cui, in caso di appalto il rischio specifico ricade soltanto su ciascuna impresa esecutrice. Argomento fedele al comma 4 dell'art. 38 cit. ma riduttivo perché non tiene conto dell'architettura normativa, invero più volte illuminata dalla giurisprudenza, del rapporto di specialità e dell'integrazione tra norma generale e speciale prevista dall'art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 272 del 1999.

15. La necessità che il committente valuti e gestisca un rischio interferenziale si fonda sulla contestualità di attività e di luogo (non necessariamente di tempo) di più imprese o lavoratori autonomi, ciascuna portatrice del proprio rischio lavorativo (generico o specifico), non noto alle altre, la cui sinergia produce non una sommatoria ma una moltiplicazione dei rischi per la convergenza delle varie attività su una medesima attività lavorativa. Da qui la necessità di valutazioni, documenti, collaborazioni che riuniscano tutti i soggetti e i rischi portati all'interno di uno stesso luogo, anche se in tempi diversi. La valutazione del rischio interferenziale, con le misure che seguono, costituisce una speciale rete di prevenzione e protezione da una serie di rischi moltiplicatisi in quel luogo di lavoro.

16. Ciò prescinde dalla natura del rischio originario di ciascuna impresa (o lavoratore autonomo), potendo coesistere e interferire rischi generici e/o specifici. La distinzione tra rischio generico e specifico delimita i soggetti che adducono i fattori di moltiplicazione dei rischi e producono i rischi interferenziali, ma a prescindere da chi e quando vi concorre, il rischio prodotto ricade su tutti e deve essere valutato e gestito da chi organizza quell'attività complessa.

17. L'obbligo di valutazione del rischio interferenziale non si fonda, pertanto, solo sul tipo di contratto ma sulla sinergia dei rischi che ricade su chi ha scelto di realizzare un'attività lavorativa ricorrendo a più imprese e deve quindi gestire tale complessità.

18. Sfugge alla difesa dei ricorrenti che la giurisprudenza si è soffermata sugli obblighi di coordinamento e cooperazione connessi all'esistenza di un rischio interferenziale, dall'art. 26 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 ove occorre aver riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro - contratto d'appalto, d'opera o di somministrazione -ma all'effetto che tale rapporto origina, vale a dire alla concreta interferenza tra le organizzazioni che operano sul medesimo luogo di lavoro e che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori delle imprese coinvolte. (Sez. 4, n. 1777 del 06/12/2018, dep. 2019, Perano, Rv. 275077 -01). Ciò in ragione del concetto di interferenza, dato dal contatto rischioso tra il personale di imprese diverse operanti nello stesso contesto aziendale, in quanto la ratio della norma è quella di obbligare il datore di lavoro ad organizzare la prevenzione dei rischi interferenziali attivando percorsi condivisi di informazione e cooperazione nonché soluzioni comuni di problematiche complesse. (Sez. 4, n. 9167 del 01/02/2018, Verity, Rv. 273257 - 01).

19. Infatti, la conseguenza è che gli obblighi di osservanza delle norme antinfortunistiche, con specifico riferimento all'esecuzione di lavori in subappalto all'interno di un unico cantiere predisposto dall'appaltatore, gravano su tutti coloro che esercitano i lavori e, quindi, anche sul subappaltatore interessato all'esecuzione di un'opera parziale e specialistica, che è tenuto ad adottare misure di prevenzione e protezione contro tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa, pur nel caso in cui questi siano dovuti a interferenze con l'attività di altre imprese e l'organizzazione del luogo di lavoro resti comunque sottoposta ai poteri direttivi generali dell'appaltatore o del committente. (Sez. 3, n. 5907 del 11/01/2023, Modugno, Rv. 284187 - 02).

20. Il ruolo centrale di gestione dei rischi interferenziali porta alla predisposizione da parte del datore di lavoro committente di misure di prevenzione finalizzate a gestire il rischio interferenziale, che ha origine per il coinvolgimento nella procedura di lavoro di diversi plessi organizzativi, ma non esclude la necessità di adottare le misure previste per i diversi rischi specifici a meno che queste non risultino inefficaci e dannose ai fini della sicurezza dell'ambiente di lavoro. (Sez. 4, n. 18200 del 07/01/2016, Grosso, Rv. 266640 - 01).

21. In sintesi, l'interferenza dei rischi generici e specifici è concausata da tutti gli operatori, produce una moltiplicazione degli stessi che ricadono su tutti e comporta in capo al committente l'obbligo di scegliere le imprese secondo una verifica della loro idoneità, di coordinarle, di vigilare su di esse, anche mediante le figure preposte.

22. Pertanto, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa-che attenziona soprattutto il comma 4 dell'art. 38 D.Lgs. n. 272 del 1999, trascurando l'impianto normativo complessivo che concentra sulla capocommessa la regia dell'interferenzialità e del coordinamento, non soltanto dell'obbligo di cooperazionersi deve osservare che il rischio di caduta in mare, nel caso concreto, era generico e al contempo interferenziale.

23. Il lavoratore è deceduto per annegamento perché è caduto in mare lavorando sulla banchina 78 ove erano presenti macchine sabbiatrici collegate o alimentate con cavi e tubi, posti a pochi centimetri dal bordo della banchina, in una condizione dove è normalmente ragionevole ipotizzare la caduta in mare per un operatore, soprattutto se alle 8.30 del primo giorno di lavoro, quindi con assenza totale di esperienza e di dimestichezza con quello specifico luogo di lavoro. Dalla lettura delle conformi decisioni, e invero nemmeno i ricorsi si soffermano sul punto, non si indica la causa della caduta in mare nell'uso delle macchine sabbiatrici. In proposito la giurisprudenza, con specifico riferimento, alla responsabilità del committente per la caduta dall'alto ha precisato che, qualora il lavoratore presti la propria attività in esecuzione di un contratto d'appalto, il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica, ma soltanto con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso che potesse andare esente da responsabilità il committente che aveva omesso di attivarsi per prevenire il rischio, non specifico, di caduta dall'alto di un operaio operante su un lucernaio). (Sez. 3, n. 12228 del 25/02/2015, Cicuto, Rv. 262757 - 01). Principio dettato anche nel caso in cui il committente aveva omesso di attivarsi per prevenire il percepibile rischio di caduta di due operai che operavano su un cornicione, la cui instabilità risultava peraltro ben nota all'imputato. (Sez. 4, n. 1511 del 28/11/2013, dep. 2014, Schiano, Rv. 259086 - 01; vedi anche Sez. 4, n. 12348 del 29/01/2008, Giorgi, Rv. 239252 - 01).

24. Nel caso concreto la caduta in mare della vittima non è stata dovuta all'uso di specifiche macchine o impianti, in quanto non è dall'uso o dalle specifiche caratteristiche tecniche o funzionali della macchina sabbiatrice che è stata cagionata la morte, ma dalle condizioni della banchina, quale area di attività lavorativa, che hanno esposto il lavoratore al rischio di caduta e quindi all'annegamento in mare. Aver considerato tali condizioni, soprattutto per la presenza di cavi e tubi, non significa aver travisato i fatti o addebitato fatti diversi da quelli ascritti in imputazione ma indica una chiara, inequivoca, corretta, precisa determinazione del perimetro dell'obbligo di valutazione del rischio in capo alla capocommessa, costituito dalla probabilità di caduta in mare, per lavori che comportavano la sabbiatura della carena della motonave, a pochi centimetri dal bordo della banchina, in presenza di cavi e tubi pertinenti alle macchine utilizzate dal lavoratore deceduto al suo primo giorno di lavoro. Tale luogo per soggetti che ricoprivano la speciale posizione di garanzia, quali titolari della Gestione Bacini Spa, doveva essere oggetto di specifica valutazione, vigilanza, attenzione mirata alla presenza di rischi indotti dalla collocazione delle macchine sabbiatrici in un'area non protetta a ridosso della banchina, dall'appaltatrice e dalla coop. sociale Ma.Ris. che operava con macchine della H.H. Srl

25. Pertanto il primo motivo di ricorso presentato da A.A. e B.B. deve essere respinto.

26. In ordine al secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta l'inosservanza delle regole di modulazione della pena in base all'art. 133 cod. pen., nonché l'omessa contraddittoria motivazione per non aver sviluppato un giudizio individualizzato in ordine all'asserita gravità delle condotte, il Collegio ritiene che aver dato causa all'evento in egual misura, visto il contributo di entrambi i ricorrenti A.A. e B.B., non significa necessariamente irrogare un'eguale pena. Gli indici e i parametri per orientare il giudice nell'esercizio del potere discrezionale di determinazione della pena ai sensi dell'art. 133 cod. pen. non si limitano a soppesare il contributo causale di ciascun . coimputato ma va lutala neh e l'elemento soggettivo, il grado della colpa, e tutti gli altri elementi di giudizio ivi previsti. Pertanto, aver posto sullo stesso piano causale il contributo di entrambi i ricorrenti A.A. e B.B. non comporta automaticamente aver esaurito il giudizio sul disvalore del fatto da loro individualmente compiuto in cooperazione colposa.

Ricorso di C.C.

1. I primi due motivi di ricorso presentati da C.C.possono essere trattati contestualmente perché attengono in buona sostanza al ruolo di responsabile del servizio di prevenzione e protezione della H.H. Srl, subcommittente della coop. sociale Ma.Ris.

2. Gli argomenti esposti nel ricorso non sono fondati perché sul piano normativo non si confrontano con le funzioni del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, volte alla ricerca e alla valutazione dei rischi, nonché alla redazione e alla sottoposizione al datore di lavoro del documento che ricomprende anche le misure idonee a prevenire i rischi individuati. In particolare, gli argomenti del ricorrente non tengono conto che in base all'art. 33, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 81 del 2008, il servizio di prevenzione e protezione deve procedere "all'individuazione dei fattori di rischio...", attribuendo quindi al servizio e in primo luogo al suo responsabile un dovere di iniziativa nella ricerca e nell'analisi dei rischi presenti nell'ambiente di lavoro. Senza tale iniziativa, i compiti del servizio sarebbero viziati e condizionati dalle informazioni ricevute dal datore di lavoro che potrebbero essere riduttive o fuorvianti, e che invece deve utilizzare il servizio ai sensi dell'art. 33, comma 3, D.Lgs. n. 81 del 2008. Sebbene il datore di lavoro abbia il dovere di informare il responsabile del servizio dei rischi presenti nel luogo di lavoro, egli rimane il fruitore del servizio e sarebbe incongruo e paradossale se il datore fosse tenuto a costituire il citato servizio per ricevere le informazioni che lo stesso ha fornito. Pertanto appare infondato ogni argomento volto a ridimensionare il ruolo di C.C. per non aver ricevuto dal suo datore di lavoro indicazioni circa il luogo e l'attività compiuta dai dipendenti della Ma.Ris., con il relativo rischio di caduta in mare. Comunque, l'eventuale ommissione informativa da parte del datore di lavoro non lo esonerava dall'attenzione, dalla cura, dall'osservazione dei luoghi di lavoro soprattutto in presenza di un palese di rischio di caduta in mare per i lavoratori che operavano sul ciglio della banchina.

3. In tema di infortuni sul lavoro, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma. di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri. (Sez. 4, n. 11708 del 21/12/2018 , dep. 2019, David, Rv. 275279 - 01).

4. L'eventuale ruolo attivo nella causalità della caduta in mare da parte del datore di lavoro della H.H. s.r.l, (la cui posizione è stata stralciata) non elide la posizione di garanzia del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, che può essere ritenuto responsabile, anche in concorso con il datore di lavoro, del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione faccia seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle iniziative idonee a neutralizzare tale situazione. (Sez. 4, n. 24822 del 10/03/2021, Solari, Rv. 281433 - 01). I primi due motivi di ricorso di C.C. devono pertanto rigettarsi.

5. Anche il terzo motivo di ricorso, volto a sostenere l'intervenuta prescrizione del reato, per l'assenza di colpa specifica, per le ragioni sopra esposte, è da rigettare. Al rigetto degli argomenti volti a sostenere l'inesistenza di un obbligo specifico per il r.s.p.p. consegue automaticamente l'inesistenza del fondamento prospettato con il terzo motivo di ricorso e cioè l'assenza di colpa specifica per escludere l'aggravante della violazione della normativa antinfortunistica e far ricadere l'imputazione nell'ambito dell'art. 589 cod. pen., con conseguente riduzione dei termini della prescrizione. Anche il terzo motivo di ricorso è da rigettare.

6. In ordine al quarto motivo di ricorso fondato sulla mancata acquisizione del documento di valutazione dei rischi della propria impresa, e quindi della mancata prova della riconducibilità del documento alla sua persona, il Collegio osserva che tale assenza non è dirimente per delineare gli obblighi da parte del ricorrente, come specificamente contestati. Inoltre trattasi sostanzialmente di un'omessa acquisizione probatoria di cui lo stesso ricorrente no può dolersi perchè aveva l'onere e l'interesse di produrre tale documento, se effettivamente idoneo a dimostrare la mancanza della sua firma.

7. Infine, il ricorrente non ha addotto alcuna sostanziale esposizione per sostenere l'omessa motivazione circa il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Ne consegue il rigetto di tutti i motivi di ricorso di C.C.

Ricorso di D.D., E.E. e F.F.

1. In ordine al primo motivo di ricorso presentato dai componenti del consiglio di amministrazione della cooperativa sociale Ma-Ris., D.D., E.E. e F.F., il Collegio osserva che gli argomenti volti a sostenere il corretto adempimento dell'obbligo di valutazione del rischio prevedendo il rischio di caduta dall'alto che comprenderebbe anche il rischio di caduta in mare, non appaiono fondati. Invero, mediante un artificio retorico, si sottraggono alla mera constatazione che l'omessa previsione del rischio di caduta in mare ha avuto un ruolo causale perché ha portato ad omettere l'adozione di specifici dispositivi di prevenzione e protezione che avrebbero evitato l'evento mortale causato dalla caduta in mare del lavoratore, con conseguente annegamento.

2. La previsione soltanto del rischio di caduta dall'alto, pur potendo comprendere astrattamente anche la caduta in mare, nel documento di valutazione del rischio si caratterizza per imporre dispositivi di prevenzione e di protezione, quali sono le barriere e i parapetti, che nel caso concreto erano inesistenti. Di conseguenza l'aspecifica classificazione della tipologia di caduta ha avuto un ruolo causale per la conseguente concreta assenza nel d.v.r. e nella realtà di misure commisurate al rischio di caduta che avrebbero potuto evitare la morte del lavoratore (apparentemente) nelle sue prime ore di lavoro in quell'impresa. In assenza di precisa individuazione di rischio, vengono a mancare, prima, sulla carta e poi sul luogo di lavoro, le reali, efficaci, funzionali misure che avrebbero evitato l'evento e che avrebbero potuto tenere in considerazione che il lavoratore era (apparentemente) nelle sue prime ore di lavoro in quell'impresa, quindi in condizioni di avviamento alle incipienti attività mansionali.

3. Anche il riferimento alla circolare del Ministero del lavoro n. 29 del 2010 attiene ad attività ad alto rischio di caduta la cui applicazione nel processo non ha avuto rilevanza.

4. In ordine al secondo motivo di ricorso, il Collegio deve rilevare che tutti e tre i ricorrenti sono stati condannati per aver assunto la posizione di garanzia collegata al loro ruolo di consigliere di amministrazione della cooperativa sociale Ma.Ris. e l'imputazione in concreto della responsabilità sorge dalla assenza di delega di funzioni che ha reso tutti i consiglieri di amministrazione sostanzialmente figure codatoriali.

5. Rispetto agli argomenti prospettati dalla difesa occorre precipuamente soffermarsi sull'individuazione del ruolo di datore di lavoro nella cooperativa sociale.

6. La giurisprudenza ha costantemente evidenziato che nelle società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti dei consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega, validamente conferita, della posizione di garanzia. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza di condanna del Presidente del Consiglio di amministrazione di una società per l'infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancata manutenzione dei macchinari cui lo stesso era assegnato). (Sez. 4, Sentenza n. 8118 del 01/02/2017, Ottavi, Rv. 269133 -01, Sez. 4, Sentenza n. 49402 del 13/11/2013, Cedrangolo Rv. 257673 - 01).

7. Tale principio delineatosi per le società di capitali, deve estendersi anche al caso concreto della cooperativa sociale dove gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega, validamente conferita, della posizione di garanzia, per analogia con le società di capitali, e perché lo scopo di mutualità, il fine sociale impresso all'attività dell'ente, per agevolare eque e dignitose condizioni di lavoro, unitamente alle dimensioni ridotte della cooperativa, impongono a tutti consiglieri di amministrazione una equiparazione dei compiti attribuiti dalla legge per la tutela del lavoro.

8. Di talché, considerata in capo a tutti i componenti del consiglio amministrazione la qualifica di datori di lavoro, proprio in assenza di delega di funzioni ad uno di essi, è necessario evidenziare che la previsione dell'art. 299 D.Lgs. n. 81 del 2008, eleva a garante oltre chi ha la qualifica formale, altresì colui che di fatto assume ed esercita i poteri del datore di lavoro (o del dirigente o del preposto). La posizione di garanzia, ai sensi dell'art. 299 cit., degli esercenti di fatto i poteri direttivi, si giustappone a quella dei titolari formali che nelle società di capitali, così come nelle cooperative sociali, si identificano nella totalità dei componenti del consiglio di amministrazione. (Sez. 4, n. 2157 del 23/11/2021, dep. 2022, Baccalini, Rv. 282568 - 01).

9. Il quadro della ripartizione dei compiti all'interno della cooperativa sociale Ma.Ris. non depone a favore della concentrazione di tutti i poteri e doveri datoriali in capo soltanto a Omissis. Ciascun consigliere di amministrazione, infatti, in assenza di una espressa delega di funzioni, come nel caso della Ma.Ris., rimane corresponsabile di tutti gli adempimenti che sono dovuti in materia di sicurezza del lavoro.

10. Infine circa l'osservazione contenuta nel motivo di ricorso che riguarda specificamente E.E. e F.F. in relazione alla loro posizione processuale all'udienza davanti alla Corte di appello, tenutasi il 20 dicembre 2022, che non avrebbe loro consentito di accedere al rinvio dell'udienza di discussione per poi aspirare, in una successiva udienza, all'applicazione del nuovo art. 20-bis cod. pen., il Collegio osserva che: a) la rilevanza dei tempi processuali in relazione all'entrata in vigore della cosiddetta riforma Cartabia non costituisce elemento di disparità di trattamento; b) non appare condivisibile e comunque di certo risulta manifestamente infondata l'illegittimità costituzionale dell'art. 95 D.Lgs. n. 150 del 2022 laddove, per la mancata previsione della possibilità di ricorrere al giudice dell'esecuzione per ottenere la sostituzione della pena come sanzione più favorevole per i procedimenti pendenti in fase di appello al momento dell'entrata in vigore al predetta norma, non è stata applicata ai due ricorrenti i quali peraltro potranno ricorrere successivamente al giudice dell'esecuzione.

11. In definitiva tutti i motivi di ricorso sono rigettate e segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 24 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2024.