Cassazione Civile, Sez. 2, 31 maggio 2024, n. 15349 - Rischio della presenza di ordigni bellici inesplosi nel sottosuolo e mancanza del piano di sicurezza. Abbandono del cantiere della ditta subappaltatrice


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto - Presidente

Dott. CAVALLINO Linalisa - Consigliere

Dott. MONDINI Antonio - Consigliere - Rel.

Dott. TRAPUZZANO Cesare - Consigliere

Dott. GRASSO Gianluca - Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA



sul ricorso iscritto al n. 11181/2020 R.G. proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA GERMANICO 109, presso lo studio dell'avvocato SEBASTIO GIOVANNA (Omissis) rappresentato e difeso dall'avvocato FRACCHIA ATTILIA (Omissis)

- ricorrente -

contro

B.B. Sas DI C.C. & C, elettivamente domiciliato in ROMA VIA G.P. DA PALESTRINA, 63, presso lo studio dell'avvocato CONTALDI STEFANIA (Omissis) che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato BAGNADENTRO PAOLO (Omissis)

- contro ricorrente -

avverso SENTENZA di CORTE D'APPELLO TORINO n. 1565/2019 depositata il 25/09/2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/05/2024 dal Consigliere ANTONIO MONDINI.

 

Fatto


1. con citazione notificata il 24/03/2004 A.A. ha convenuto innanzi al tribunale di Alessandria la B.B. Snc di B.B. & C. a cui aveva subappaltato l'esecuzione dei plinti di fondazione di un capannone. L'attore era stato a sua volta incaricato della costruzione del capannone della D.D. Srl;

2. la E.E. Snc aveva interrotto i lavori adducendo che non le era stato consegnato il piano di sicurezza ex D.Lgs. n. 626 del 1994 che A.A. e, per esso, il direttore dei lavori, si era impegnato a redigere in relazione all'accertato rischio della presenza di ordigni bellici inesplosi nel sottosuolo dove avrebbero dovuto essere realizzate le escavazioni per il posizionamento dei plinti.

A.A. chiedeva che il tribunale dichiarasse risolto il subappalto per inadempimento della E.E. Snc con risarcimento dei danni.

Sulla resistenza della E.E. Snc, che in riconvenzionale ha chiesto la risoluzione del contratto per inadempimento della committente o in subordine per impossibilità sopravvenuta, con risarcimento dei danni, il Tribunale adito respingeva la domanda attrice e, in accoglimento della riconvenzionale, dichiarava la risoluzione per inadempimento del A.A. per avere questi "agito con negligenza sottovalutando il potenziale pericolo" rappresentato dalla presenza di ordigni e per non avere fornito un piano di sicurezza e coordinamento aggiornato in relazione al tale "potenziale pericolo";

4. la corte d'appello di Torino, con sentenza depositata il 6/7/2011, rigettava l'appello del A.A.. Ribadiva essere risultato che i lavori erano stati interrotti in ragione dell'esistenza in zona di ordigni inesplosi del secondo conflitto mondiale e che, in base al contratto tra il A.A. e la E.E. Snc, obbligato alla predisposizione del piano di sicurezza e coordinamento di cui al D.Lgs.626/94 era il A.A. senza che alcun obbligo in tema di sicurezza fosse addossato alla E.E. Snc. Da tanto la Corte d'Appello traeva la responsabilità del A.A. per mancata predisposizione di condizioni di sicurezza;

5. avverso la suddetta sentenza A.A. ricorreva per cassazione sulla base di due motivi: insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo per avere la corte territoriale, semplicisticamente, fatto discendere l'inadempimento di esso ricorrente dall'inottemperanza all'obbligo di predisporre il piano di sicurezza; violazione e falsa applicazione degli artt. 1339 cod. civ. e dell'art. 9 della L. n. 494 del 1996 per avere la corte d'appello "ignorato il disposto dell'art. 1339 cod. civ. sull'inserzione automatica di clausole" nel contratto, che avrebbe consentito di ritenere acquisito il principio per cui ciascun subappaltatore assume obblighi di prevenzione e sicurezza, ai quali si aggiunge la responsabilità del committente, nonché soprattutto per cui l'art. 9 della L. n. 494 del 1996, e successive modificazioni, integrativo del D.Lgs. n. 626 del 1994, pone a carico dei datori di lavoro delle imprese esecutrici l'onere di rimuovere i materiali pericolosi e redigere il piano operativo di sicurezza, peraltro prodotto dalla E.E. Snc;

6. questa Corte, con ordinanza n.25601 del 2017, accoglieva il ricorso in relazione ad entrambi i profili di doglianza.

In relazione al primo, rilevava come la motivazione della sentenza impugnata non facesse capire come la corte subalpina avesse inteso desumere dalla presunta mancata ottemperanza all'esigenza di redazione del piano operativo di sicurezza, ex D.Lgs. n 626 del 1994, il nesso con la decisione, a sfavore del A.A., sulle ragioni dell'abbandono del cantiere.

La Corte precisava che "l'istituzione di tale nesso sarebbe stata possibile una volta acclarato che effettivamente l'abbandono del cantiere fosse riconducibile a tale rinvenimento" di oggetti sospetti nel sottosuolo; che sussistesse reale pericolo nella prosecuzione delle lavorazioni; che la redazione del piano operativo di sicurezza fosse l'adempimento causalmente connesso alla rimozione del pericolo".

In relazione alla secondo motivo di ricorso la Corte osservava che, anche ipotizzando di ammettere la sussistenza del predetto collegamento, la corte di merito aveva errato nell'affermare, anche se solo implicitamente, un principio di diritto secondo il quale, a seconda della presenza di clausole contrattuali, sussisterebbe o no l'obbligo - vuoi sul piano pubblicistico, vuoi nei rapporti negoziali tra le parti - di disporre attività finalizzate alla sicurezza (ex art. 9 del D.Lgs. n. 494 del 1996, e successive modificazioni), quale il piano operativo in questione. Se, da un lato, la disciplina in esame pone effettivamente a carico dei datori di lavoro delle imprese esecutrici l'onere di rimuovere i materiali pericolosi e redigere il piano operativo di sicurezza, ma non vieta che, in base a contratto, e ferma restando la responsabilità del datore di lavoro rispetto ai lavoratori, il datore possa addossare pattiziamente ad altro soggetto le lavorazioni idonee al fine di realizzare le condizioni di sicurezza di cui trattasi, d'altro lato, la semplice presenza o meno di clausola contrattuale riproduttiva dell'obbligo di legge di redazione del piano operativo - in presenza di obblighi di carattere pubblicistico ai fini della sicurezza e in assenza di chiari trasferimenti di responsabilità ai fini della concreta assicurazione di condizioni di lavoro idonee - non avrebbe potuto essere considerata dalla corte pedemontana come decisiva, anche alla luce dell'esistenza nell'ordinamento dell'art. 1339 cod. civ. indicato come violato. Rinvenendosi cenno nella sentenza impugnata circa l'invocazione nell'ambito di un motivo d'appello del signor A.A. dell'art. 9 anzidetto, i giudici locali - oltre che fare retta applicazione degli artt. 1339 cod. civ. e 9 del D.Lgs. n. 494 del 1996, ciò che per quanto detto non è avvenuto - avrebbero dovuto, anche in argomento, fornire più adeguato supporto motivazionale alla decisione.

La Corte pertanto, accolto il ricorso, rinviava la causa al giudice territoriale per "l'integrale riesame della fattispecie";

8. con la sentenza in epigrafe la Corte di Appello di Torino ha affermato che:

- il A.A. aveva l'obbligo di redigere il piano di sicurezza e coordinamento, piano presupposto rispetto a quello di sicurezza. Tale obbligo incombe sul coordinatore per la progettazione nominato dal committente o sul direttore dei lavori. Nel caso di specie, tuttavia, in base al contratto tra la D.D. Srl e il A.A. l'obbligo di redazione del piano era stato assunto da quest'ultimo. Il piano di sicurezza e coordinamento, ex artt. 3, 4 e 12 dello stesso D.Lgs. 626/94, per quanto previsto dall'art. 2 del D.P.R. 3 luglio 2003, n. 222 (poi abrogato dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n.81), doveva riguardare "l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi concreti in riferimento all'area";

- dopo che alcuni dipendenti della E.E. avevano scoperto nel sottosuolo oggetti metallici, la E.E. aveva sospeso i lavori. Aveva riattivato il cantiere a seguito di un incontro con il A.A. e il direttore dei lavori geom. F.F. "incaricato dalla impresa A.A.", il quale aveva assicurato che non vi erano pericoli, facendo riferimento ad opere di bonifica svolte in precedenza dalla provincia di A. Infine, la E.E. aveva abbandonato il cantiere non avendo ricevuto alcuna modifica del piano operativo;

- la possibile presenza di ordigni e quindi la situazione di pericolo era stata dimostrata dai documenti -"fotografie aeree della R" - e dalle testimonianze assunte dal Tribunale di Alessandria, tra cui quella della Dottoressa G.G. funzionario della provincia di A. In particolare dall'istruttoria era emerso che la zona era stata pesantemente bombardata durante la Seconda guerra mondiale; che l'area era stato oggetto di bonifica ma non vi era certezza che fosse stato rimosso ogni pericolo connesso alla presenza di bombe inesplose atteso che la bonifica era arrivata fino ad una profondità di 4 metri mentre le bombe si incuneavano fino a 8 metri e i lavori oggetto di appalto prevedevano scavi fino a 10 metri;

- in presenza di "grave pericolo" "ignorato" dal A.A., non poteva ritenersi che la subappaltatrice dovesse portare avanti i lavori e doveva per converso ritenersi che al A.A. fosse ascrivibile un inadempimento - per non aver predisposto il nuovo piano operativo e per non aver adeguato il piano di sicurezza e coordinamento alla situazione di pericolo posta da bombe inesplose- tale da giustificare la risoluzione del contratto in suo danno.

La Corte di Appello rigettava la richiesta del A.A. di sentire come teste il legale rappresentante della D.D., evidenziando che lo stesso era stato dichiarato incapace di testimoniare sia dal giudice di prime cure sia dal giudice di appello e che la dichiarazione "non era stata oggetto di censura in cassazione".

La Corte di Appello in conclusione confermava il rigetto delle domande di A.A., l'accoglimento delle domande riconvenzionali, dichiarava risolto il contratto per inadempimento del A.A. condannando il medesimo al pagamento di 12.020,40 euro oltre interessi;

9. per la cassazione della sentenza in epigrafe A.A. ricorre con tre motivi avversati dalla B.B. Snc;

10. quest'ultima ha depositato memoria;

 

Diritto

 

1. con il primo motivo di ricorso viene lamentata la "violazione dell'art. 394 C.P.C."

Il ricorrente deduce che la Corte di Appello avrebbe omesso di fare le verifiche che avrebbe dovuto fare in base a quanto statuito da questa Corte di legittimità con la sentenza di cassazione della prima pronuncia di appello, sulla presenza di un reale pericolo in cui la E.E. sarebbe incorsa se avesse svolto i lavori. Sostiene che il giudice territoriale sarebbe incorso nel medesimo difetto di motivazione rilevato da questa Corte riguardo alla decisione cassata. Sostiene ancora che la Corte di Appello avrebbe illogicamente addebitato ad essa ricorrente, come causa di inadempimento grave e determinativo dell'abbandono del cantiere da parte della E.E. , il mancato adeguamento del piano di sicurezza e coordinamento al pericolo di esplosione di ordigni bellici, ritenendo che essa ricorrente avesse assunto su di sé, con apposita clausola del contratto con la D.D., l'obbligo di redigere quel piano laddove era pacifico che il piano originario era stato predisposto dal direttore dei lavori geom. F.F. nominato dalla committente D.D. Srl e senza considerare che nel piano predisposto si faceva riferimento alle bonifiche belliche eseguite dalla provincia di A;

2. con il secondo motivo di ricorso viene lamentata "violazione dell'art. 111 Cost. dell'art. 132 C.P.C., dell'art. 2700 c.c., degli artt. 115 e 116 C.P.C., dell'art. 2697 c.c. in relazione all'art.360, primo comma, n. 3 C.P.C.".

La ricorrente sostiene che la sentenza sia motivata solo in apparenza facendo essa riferimento ad una situazione di pericolo confermata "da ampio riscontro probatorio" documentale e testimoniale laddove invece, quanto ai documenti agli atti, la certificazione della provincia di A attestava l'avvenuta bonifica, le foto aeree della R erano insignificanti perché "prive di data" e senz'altro anteriori alla esecuzione della bonifica, la testimonianza della Dottoressa G.G. era sostanzialmente priva di pregio perché la teste "era un funzionario amministrativo ma non vi era prova che rappresentasse l'organo deputato alla ricognizione ed agli interventi di bonifica dei residui bellici". Viene poi sostenuto che l'affermazione della Corte di Appello secondo cui il direttore dei lavori geom. F.F. sarebbe stato incaricato da A.A. di redigere il piano di sicurezza e coordinamento era errata dato che il suddetto geometra era stato nominato dalla D.D. Srl. Viene ancora dedotto che illogicamente la Corte di Appello avrebbe affermato che il geometra si sarebbe impegnato ad adeguare il piano di sicurezza per escludere il pericolo da presenza di ordigni inesplosi laddove il geometra aveva fatto riferimento alla certificazione provinciale escludendo che vi fosse pericolo;

3. con il terzo motivo di ricorso viene lamentata "violazione dell'art. 112 C.P.C., dell'art. 2909 c.c. e dell'art. 2697 c.c. in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 C.P.C.".

Il ricorrente sostiene che la Corte di Appello, affermando di non poter dare ingresso alla testimonianza del legale rappresentante della D.D. Srl perché lo stesso era stato dichiarato incapace di testimoniare sia dal giudice di prime cure sia dal giudice di appello e che la dichiarazione "non era stata oggetto di censura in cassazione", avrebbe errato in quanto sentenza di cassazione "aveva integralmente accolto il ricorso". Precisa che il teste avrebbe dovuto riferire sul danno subito da esso ricorrente per avere la E.E. abbandonato il cantiere;

4. i primi due motivi di ricorso hanno un minimo comune denominatore costituito dalla deduzione secondo cui la sentenza impugnata sarebbe priva di motivazione;

4.1. in relazione a questa deduzione i motivi sono infondati.

Valgono tre premesse di principio:

"All'accoglimento del ricorso per cassazione per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia consegue che la corte del rinvio, quale nuovo giudice di merito, deve limitare il riesame dei fatti in ordine ai quali il rinvio è stato disposto alle sole circostanze attinenti ai punti decisivi indicati nella sentenza di cassazione, nonché a quelle che risultino legate ad essi da un nesso di dipendenza logica (giusta il principio del "ne bis in idem", applicabile anche all'annullamento di vizio di motivazione), valutando nuovamente quei punti della controversia ritenuti, nella sentenza di annullamento, potenzialmente idonei a giustificare una decisione diversa rispetto a quella annullata, salvo il suo potere di un nuovo apprezzamento complessivo della vicenda processuale, ma fermi, peraltro, i rilievi contenuti nella sentenza di cassazione in relazione alle statuizioni di appello cassate (Cass. Sez. 3, sentenza n. 8244 del 20/04/2005);

"Il ricorso per cassazione avverso una sentenza emessa a seguito di rinvio disposto a norma dell'art. 383 cod. proc. civ. è disciplinato, quanto ai motivi deducibili, dalla legge temporalmente in vigore all'epoca della proposizione dell'impugnazione, in base al generale principio processuale "tempus regit actum" ed a quello secondo cui il giudizio di rinvio, a seguito di cassazione, integra una nuova ed autonoma fase processuale di natura rescissoria. Da ciò consegue che, se la sentenza conclusiva del giudizio di rinvio è stata pubblicata dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge 7 agosto 2012, n. 134, di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, vale a dire dal giorno 11 settembre 2012, trova applicazione l'art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ. nella nuova formulazione restrittiva introdotta dell'art. 54, primo comma, lett. b), del suddetto D.L." (Cass. Sez. 6 - 3, Sentenza n. 26654 del 18/12/2014 (RV. 633893 - 01);

"La riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione" (Cass., Sez. U, Sentenza n.8053 del 07/04/2014).

4.2. La sentenza impugnata ha una motivazione ben al di sopra della soglia del minimo costituzionale, e - senza fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato dalla pronuncia rescindente (di cui a Cass. 25601 del 2017), ma attenendosi a quanto statuito dalla pronuncia caducatoria - si presenta scevra da qualsiasi contraddizione o illogicità: vi si afferma, in sostanza, che, essendo insorto il sospetto, a seguito del rinvenimento di masse metalliche nel sottosuolo, che potesse trattarsi di ordigni bellici inesplosi ed essendo stato accertato che, in effetti, la zona di trivellazione era stata interessata da pesanti bombardamenti della R, le parti si erano incontrate ed avevano convenuto che la E.E. avrebbe temporaneamente ripreso i lavori sulla base delle assicurazioni avute dal direttore dei lavori, tratte dalla documentazione della provincia di A sulla avvenuta bonifica fino alla profondità di quattro metri e che il direttore dei lavori avrebbe nel frattempo aggiornato il piano di sicurezza e coordinamento di cui all'art. 2 del D.P.R. 222/2003, che, essendo rimasto inadempiuto questo obbligo - il cui adempimento avrebbe avuto per presupposto la eliminazione del rischio che nel compimento di trivellazioni fino a 10 metri di profondità potesse provocarsi l'esplosione di ordigni interrati fino alla profondità di 8 metri - la E.E. aveva abbandonato definitivamente il cantiere; l'inadempimento era stato grave, agli effetti dell'art. 1453 c.c., avuto riguardo al rischio incombente sulle maestranze della sub-appaltatrice.

4.3. Le deduzioni ulteriori rispetto a quella di difetto motivazionale, veicolate sia con il primo che con il secondo motivo di ricorso (deduzioni circa la valenza probatoria della certificazione della provincia di A di avvenuta bonifica, circa la valenza probatoria delle foto aeree della R relative agli ordigni esplosi e non esplosi nell'area bombardata, circa la valenza probatoria della testimonianza della Dottoressa G.G.; deduzioni circa il fatto che il geometra direttore dei lavori si sarebbe impegnato non per il A.A. ma per la committente D.D. Srl, alla redazione del piano di sicurezza) sono inammissibili in quanto, sotto l'apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, mirano, in realtà, ad una rivalutazione delle prove o dei fatti storici operata, con logico apprezzamento, dal giudice di merito.

In rubrica viene evocato l'art. 2697 c.c. ma non e neppure specificato come la Corte di Appello, nell'indagare sulla questione di fondo rappresentata dal se l'abbandono del cantiere da parte della E.E. trovasse ragione nella condotta del A.A., avrebbe invertito l'onere della prova dei fatti costitutivi, impeditivi o estintivi, tra le due parti o avrebbe mal applicato la regola finale di giudizio.

Vengono poi evocati gli artt. 115 e 116 C.P.C. solo per sostenere che la Corte di Appello avrebbe compiuto una erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove le censure di violazione o falsa applicazione di quei due articoli sono ammissibili solo se si alleghi che il giudice del marito "abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione" (Cass. Sez. 1 -, Sentenza n.6774 del 01/03/2022);

5. il terzo motivo di ricorso è inammissibile per due ragioni.

La prima: il motivo attiene alla mancata ammissione di una prova per testi finalizzata a dimostrare il danno che il ricorrente avrebbe subito a causa dell'illecito contrattuale commesso dalla controparte abbandonando il cantiere senza ragione; la Corte di Appello ha tuttavia affermato che l'abbandono del cantiere era giustificato e non illecito; restando ferma questa affermazione, data l'inammissibilità degli attacchi rivolti ad essa con il primo e il secondo motivo di ricorso, il motivo ora in scrutinio risulta inammissibile per conseguenza.

La seconda: il motivo trascura il contenuto della sentenza impugnata e risulta viziato da illogicità. Il ricorrente sostiene che la Corte di Appello, affermando di non poter dare ingresso alla testimonianza del legale rappresentante della D.D. Srl perché lo stesso era stato dichiarato incapace di testimoniare sia dal giudice di prime cure sia dal giudice di appello e la dichiarazione "non era stata oggetto di censura in cassazione", avrebbe errato in quanto la sentenza di cassazione "aveva integralmente accolto il ricorso"; il ricorso per cassazione, come evidenziato dalla Corte di Appello, non ha riguardato la specifica questione dell'ammissibilità del teste; il ricorso per cassazione è stato sì integralmente accolto ma nei limiti in cui era stato proposto;

6. in conclusione il ricorso deve essere rigettato;

7. al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese;

8. ai sensi dell'art.13, co. 1 quater del D.P.R. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

 

P.Q.M.


la Corte rigetta il ricorso;

condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.500,00, per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.

Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater del D.P.R. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma il 22 maggio 2024.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2024.