Cassazione Penale, Sez. 4, 03 giugno 2024, n. 22039 - Infortunio con un escavatore: vie di esodo e "uomo a terra". Condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta da:

Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente -

Dott. PEZZELLA Vincenzo - Relatore -

Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere

Dott. CENCI Daniele - Consigliere

Dott. MARI Attilio - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

dalla parte civile A.A. nato a M il Omissis

nel procedimento a carico di:

B.B. nato a P il Omissis

C.C. nato a N il Omissis

inoltre:

ASSICURAZIONI GENERALI Spa

avverso la sentenza del 11/10/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO PEZZELLA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Gen. VALENTINA MANUALI che ha concluso chiedendo l'annullamento agli effetti civili delle sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente in appello per valore o in subordine attendere la decisione delle SS.UU.

uditi i difensori

:- per la Parte Civile A.A. l'avvocato STRAVINO SERGIO del foro di NAPOLI che insistendo nell'accoglimento dei motivi di ricorso chiede l'annullamento della sentenza impugnata, deposita conclusioni scritte e nota spese delle quali chiede la liquidazione.

- avvocato MAIELLO FRANCESCO del foro di NAPOLI in difesa del Responsabile Civile ASSICURAZIONI GENERALI Spa che chiede di rigettare il ricorso della Parte Civile.

- avvocato PICCA FRANCESCO del foro di NOLA in difesa di C.C. che, dopo aver ampiamente esposto le motivazioni, conclude chiedendo l'inammissibilità del ricorso della Parte civile e la conferma della sentenza della Corte di Appello di Napoli.

- avvocato MONTANINO VINCENZO del foro di SANTA MARIA CAPUA VETERE in difesa di B.B., che, sente insistendo nell'accoglimento dei motivi di ricorso, chiede di confermare la sentenza impugnata.

 

Fatto

1. La Corte di Appello di Napoli, con sentenza dell'11 ottobre 2023, pronunciando sul gravame nel merito proposto dagli imputati B.B. e C.C., li ha assolti perché il fatto non sussiste, conseguentemente revocando le statuizioni civili a carico degli imputati e del responsabile civile Assicurazioni generali Spa, riformando la sentenza con cui il Tribunale di Nola in composizione monocratica, all'esito di giudizio ordinario, li aveva condannati alla pena di giustizia:

A) Per il delitto p. e. p. dagli arti. 41 e 590 comma 3 cod. pen. per avere, con condotte indipendenti e rispettivamente C.C. nella qualità di datore di lavoro della società Ambiente Spa con sede in Torino e sede operativa in San Vitaliano e B.B. nella qualità di datore di lavoro della società Neogea Spa, appaltatrice di parti di lavorazioni nell'ambito della Ambiente Spa, cagionato lesioni personali all'operaio A.A., per colpa consistita nella violazione di norme poste a prevenzione degli infortuni in particolare:

• C.C.:

per aver omesso di tracciare e stabilire un adeguato percorso della via di esodo e di emergenza che dai locali di posti sotto il capannone lavoro o dal locale spogliatoio conducesse fino all'uscita dallo stabilimento durante lo svolgimento delle operazioni di sistemazione dei materiali depositati nel Piazzale, in violazione dell'articolo 64 del D.Lgs. 81/08, e

- per non aver previsto appositamente, nel documento di valutazione dei rischi, quelli interferenti nel piazzale antistante il capannone C durante il funzionamento delle macchine operatrici predisponendo le opportune misure e assicurando di conseguenza l'adeguata formazione in proposito dei lavoratori addetti e a quelli interessati al percorso delle vie di esodo, in violazioni dell'art. 29. comma 3 del D.Lgs. 81/08.

• B.B.:

- per aver omesso di formare adeguatamente i lavoratori dell'azienda, tra cui D.D., addetti alla manovra dei mezzi meccanici nell'area aziendale della società Ambiente Spa che veniva attraversata (non sussistendo altre ipotesi di coesistenza di lavorazioni) dai lavoratori di quest'ultima nel momento di ingresso e di uscita dallo stabilimento per raggiungere e lasciare gli spogliatoi, sui rischi connessi all'uso dei mezzi in tali circostanze e per aver omesso di curare che, come previsto dai documento di valutazione dei rischi del 19 maggio 2014, fosse assicurata la presenza costante di un preposto "a terra" che durante l'uso dei mezzi meccanici consentisse l'ausilio e la presenza continua quale personale di terra che doveva coordinarsi con l'operatore a bordo macchina, in violazione dell'art. 37 co. 7 D.Lgs. 81/08, cosi entrambi non avendo adottato le misure idonee a evitare che il lavoratore A.A., che avrebbe dovuto attraversare il piazzale per uscire dallo stabilimento una volta terminato il turno, avendo trovato la via di esodo normalmente riservata ai pedoni intralciata e non percorribile a causa di materiali scaricati alla rinfusa, nei cercare un percorso alternativo venisse colpito alle braccia dal "polipo" in acciaio posto all'estremità della macchina operatrice in quel momento manovrata da D.D., il quale, dando le spalle al capannone e alla zona dove si trovava il lavoratore, dunque impossibilitalo a vederlo, stava appunto spostando i materiali depositali nel piazzale dal lato sinistro, dove si trovava la via di esodo al lato destro. In tal modo, a causa della spinta del "polipo", il lavoratore è caduto con violenza a terra procurandosi un trauma cranico commotivo con ferita lacero contusa alla regione occipitale a seguito del quale è stato ricoverato dapprima con prognosi riservata e poi giudicato guarito il 21.11.2014. In San Vitaliano il 29.09.2014.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, ai fini dell'affermazione della responsabilità civile, la costituita parte civile A.A., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.

Con un primo motivo la p.c. ricorrente lamenta manifesta illogicità della motivazione con cui l'B.B. è stato assolto.

Ricorda il difensore ricorrente che all'imputato era contestato di "aver omesso di curare che, come previsto dal documento di valutazione dei rischi del 19 maggio 2014, fosse assicurata la presenza costante di un preposto a terra che durante l'uso dei mezzi meccanici consentisse l'ausilio e la presenza continua quale personale di terra che doveva coordinarsi con l'operatore a bordo macchina". E all'esito dell'esperita istruttoria, il tribunale, dopo avere riconosciuto che il citato DVR, "in relazione alle fasi di utilizzo dell'escavatore, prevedeva l'ausilio del c.d. uomo a terra per eseguire manovre in spazi ristretti e con visibilità insufficiente" (cfr. sent. Tribunale di Nola, pag. 13, da rigo 17 a rigo 20), riteneva provato il profilo di colpa specifica addebitato al predetto imputato, e, cioè, "avere omesso di prevedere durante l'uso dei mezzi meccanici la presenza costante della figura del c.d. uomo a terra che potesse coadiuvare il conducente del mezzo" (cfr. pag. 16, rigo 6 e rigo 7). In particolare, si osservava che "B.B., quale legale rappresentante della Neogea e datore di lavoro di D.D., avrebbe dovuto prevedere sempre e non solo per le manovre in spazi ristretti o in presenza di scarsa visibilità, la figura dell'uomo a terra in caso di utilizzo dell'escavatore" (cfr. pag. 18, da rigo a rigo 28).

Ciò premesso, la Corte d'Appello riformava tale decisione sull'assunto - peraltro, mai eccepito o altrimenti lamentato dalla difesa dell'B.B. - di "un'evidente sfasatura tra la contestazione e i fatti oggetto della decisione, che non può non imporne l'assoluzione" (così la sentenza impugnata a pag. 12, rigo 21 e rigo 22). In particolare, si rilevava la discrasia "tra l'addebito mosso nell'imputazione (non aver rispettato la prescrizione asseritamente contenuta nel documento, ovvero predisporre sempre e comunque la presenza dell'uomo a terra in caso di movimentazione di macchinari come quello in esame) e l'effettivo contenuto del DVR che (...) imponeva (...) la presenza necessaria di un operatore a terra (...) esclusivamente nell'evenienza in cui lo stesso si muovesse in spazi ristretti e con visibilità insufficiente" (cfr. pag. 11, da rigo 20 a rigo 27); condizioni, queste, che l'istruttoria aveva dimostrato non sussistere al momento del sinistro. Considerato, dunque, che "l'incidente avvenne in circostanze tali che, alla stregua del DVR vigente in quel momento e a differenza di quanto sostenuto nel capo di imputazione, non imponevano la presenza necessaria dell'uomo a terra (...) l'B.B. è stato condannato per non aver previsto sempre nel DVR la presenza necessaria dell' "uomo a terra"; vale a dire, "per un addebito di colpa specifica del tutto diverso da quello previsto nell'imputazione (..." (cfr. pag. 12, rigo 36 e rigo 37).

Orbene, nel rendere l'impugnata decisione, il giudice di secondo grado non avrebbe fatto buon governo dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di correlazione tra accusa e sentenza, né si sarebbe adeguatamente confrontato con le acquisizioni istruttorie e gli sviluppi processuali costituenti, alla luce di tali approdi ermeneutici, l'ineludibile referente della valutazione circa l'incidenza sul diritto di difesa di eventuali scostamenti tra "contestato" e "ritenuto".

Quanto al primo dei citati versanti, con costante orientamento di legittimità si è precisato che "per aversi "mutamento del fatto ", occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta, che non consenta di rinvenire, tra il fatto contestato e quello accertato, un nucleo comune identificativo della condotta, riscontrandosi invece un rapporto di incompatibilità ed eterogeneità che si risolve in un vero e proprio stravolgimento dei termini dell'accusa..." (così, testualmente, Sez. 2, n. 45993/2007; nello stesso senso, da ultimo Sez. 3, n. 11313/2022; Sez. 1, n. 10249/2022; Sez. 3, n. 53137/2017). Ne consegue, come chiarito, altresì, da Sez. U. n. 36551/2010, che l'indagine volta ad accertare la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. "non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza".

Ebbene, l'analisi della sopra evidenziata "sfasatura", ove condotta alla luce di tali coordinate giurisprudenziali, ne renderebbe manifesta l'estraneità all'ambito applicativo della disposizione da ultimo menzionata: non vi sarebbe dubbio che, per quanto emerso dall'esperita istruttoria, l'assenza del c.d. uomo a terra al momento del sinistro era conseguenza, non già della violazione di prescrizioni contenute nel DVR della Neogea - così come contestato nell'editto accusatorio - bensì dell'omessa previsione, in seno a detto documento, della necessità di tale presidio sempre, e non solo quando il mezzo si trovava ad operare in "spazi ristretti" e/o con "scarsa visibilità".

Tuttavia, sarebbe altrettanto incontestabile che quella "sfasatura" non ha determinato trasfigurazione alcuna dell'addebito originario, il cui nucleo essenziale - secondo il ricorrente - è chiaramente coincidente con il fatto ritenuto in sentenza. Ed invero, la doverosa presenza dell'uomo a terra al momento del sinistro, la dimostrata sua assenza in detto frangente e la sussistenza del nesso causale tra l'omessa adozione di tale presidio e l'evento lesivo patito dalla parte civile rappresentano elementi essenziali e qualificanti, non solo della contestazione, ma, altresì, del fatto oggetto di condanna. Per contro, non altrettanto sarebbe a dirsi con riferimento all'inciso, poi rivelatosi erroneo, "così come previsto nel documento di valutazione dei rischi del 19 maggio 2014", il quale, lungi dall'individuare un momento sostanziale e caratterizzante del contegno addebitato, aveva funzione meramente specificativa della fonte di derivazione della doverosità della cautela omessa. Fonte, questa, che il tribunale evidentemente disconosceva, senza, per ciò, incorrere nella violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui "in tema di incidenti sul lavoro, qualora l'evento, del quale l'imprenditore ...j è chiamato a rispondere a titolo di colpa, sia eziologicamente collegato all'omissione di condotte dovute in forza della posizione di garanzia da lui rivestita, non si ha violazione del principio di correlazione fra fatto contestato e quello ritenuto in sentenza, quando sia rimasta inalterata la condotta omissiva, intesa come dato fattuale e storico contenuto nell'imputazione, ma sia stata, bensì, dal giudice mutata solo la fonte (normativa, regolamentare o pattizia) in base alla quale l'imprenditore era tenuto a porre in essere la condotta doverosa omessa, atteso che non può ritenersi che la fonte di imputazione dell'obbligo sia parte del fatto e che incida, perciò, nella sostanza della fattispecie concreta (intesa, questa, come accadimento storico che si inquadra nell'ipotesi astratta prevista dalla norma incriminatrice)"(così, testualmente, Sez. 4, n. 47365/2005; nello stesso senso, Sez. 4, n. 4622/2018).

Ma vi sarebbe di più. La Corte territoriale - si ricorda in ricorso - perveniva alla decisione in argomento omettendo di verificare se la rilevata "sfasatura", alla luce delle emergenze istruttorie e degli sviluppi processuali, si fosse tradotta in un reale e concreto pregiudizio per la difesa dell'B.B..

Sottolinea il ricorrente come la giurisprudenza di legittimità abbia a più riprese evidenziato che "in tema di correlazione tra accusa e sentenza deve farsi riferimento alla nozione strutturale di fatto "contenuta nelle disposizioni di cui agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., è coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa (...)" e che "in tema di reati colposi la sua violazione non si esaurisce nella mancanza formale di coincidenza tra l'imputazione originaria e il fatto ritenuto in sentenza, dovendo altresì estendersi al concreto pregiudizio che ne è derivato per l'esercizio del diritto di difesa, non sussistendo la violazione predetta ove, sulla ricostruzione del fatto operata dal giudice, le parti si siano confrontate nel processo" (così, testualmente, Sez. 3 n. 4903/2022). In ricorso si richiamano anche i dicta di Sez. 4 n. 38914/2023 Sez. 2 n. 18729/2016 e Sez. 4, n. 35943/2014.

Per il ricorrente, se avesse fatto buon governo di tali approdi ermeneutici e, per l'effetto, si fosse confrontato con il materiale in atti, il giudice di seconde cure avrebbe agevolmente constatato che l'assenta divergenza tra "contestato" e "ritenuto" - al netto dell'evidenziata sua inidoneità ad integrare violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. in alcun modo aveva pregiudicato il diritto di difesa dell'B.B..

In siffatta prospettiva rileverebbe, innanzitutto, la circostanza che le previsioni del DVR Neogea in punto di utilizzo del c.d. uomo a terra e, dunque, l'erronea indicazione al riguardo contenuta nell'atto imputativo, emergevano sin dalla seconda udienza istruttoria, allorquando la difesa dell'B.B., nel corso dell'esame dell'Ispettore ASL, dott. E.E., evidenziava come il succitato documento prevedesse il ricorso a quel presidio nel solo caso di utilizzo dell'escavatore in "spazi ristretti" e/o "con scarsa visibilità".

Nel corso della suddetta udienza sarebbe emersa la necessità del presidio in argomento non solo nelle citate due situazioni, ma ogni qualvolta il mezzo si trovava ad operare.

Del resto, la lacunosità del citato DVR e l'esigenza, dunque, di un impiego generalizzato dell'uomo a terra, erano circostanze note all'imputato ancor prima dell'instaurazione del presente procedimento.

Ciò emerge con evidenza dal "verbale della riunione periodica straordinaria" del Sistema di Sicurezza Aziendale della Neogea, tenutasi successivamente al sinistro de quo e convocata proprio al fine di eliminare le criticità manifestatesi in occasione dello stesso.

Sin dalle prime battute del giudizio di primo grado, erano, dunque univocamente emersi: 1. il reale contenuto del DVR Neogea; 2. la sua conseguente lacunosità circa l'utilizzo dell'uomo a terra; 3. la necessità di un impiego generalizzato dello stesso.

Per la p.c. ricorrente risulta parimenti provato che proprio sulla "sfasatura" rilevata dalla sentenza impugnata, la difesa attivava quel "contraddittorio, anche solo dialettico", in grado di obliterare, secondo la giurisprudenza di questa Corte, i pregiudizi difensivi ricollegabili agli interventi sull'addebito operati dall'organo decidente.

La difesa dell'imputato avrebbe dunque spiegato le proprie difese sul punto sin dalla discussione in primo grado.

Con il secondo motivo il difensore di parte civile lamenta contraddittorietà della motivazione a sostegno della pronuncia assolutoria nei confronti di B.B. e inosservanza dell'art. 604, comma 1, cod. proc. pen.

La ritenuta violazione della disciplina di cui all'art. 521 cod. proc. pen., avrebbe imposto alla Corte territoriale di annullare la pronuncia resa dal Tribunale di Nola, con conseguente trasmissione degli atti a detto organo giurisdizionale. Invece, a dispetto del chiaro ed univoco dettato dell'art. 604 cod. proc. pen. comma 1, cod. proc. pen., il giudice di seconde cure riteneva che "l'evidente sfasatura tra la contestazione e i fatti oggetto della decisione" resa nei confronti del predetto imputato "non può che imporne l'assoluzione" (pronunciata, peraltro, ai sensi del cpv. dell'art. 530 cod. proc. pen. nonostante il riconoscimento della prescrizione frattanto maturata e, dunque, anche in violazione dell'art. 531 cod. proc. pen.).

Quanto alla sussistenza di un concreto interesse alla deduzione della succitata violazione di legge, la parte civile ricorrente evidenzia che il presente motivo di impugnazione, lungi dal tendere all'esattezza teorica della gravata decisione, è funzionale a scongiurare l'evidente pregiudizio derivante alla parte civile dall'irrevocabilità di tale erronea statuizione: ai sensi dell'art. 652 cod. proc. pen. l'intervenuta assoluzione per insussistenza del fatto - a differenza dell'annullamento della decisione di prime cure per violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. - avrebbe, invero, efficacia di giudicato in un futuro, eventuale, giudizio civile dalla stessa attivabile per la condanna dell'B.B. al risarcimento dei danni patiti per effetto della condotta di reato oggetto della presente vicenda processuale.

Con il terzo motivo di ricorso la p.c. ricorrente lamenta mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione a sostegno della pronuncia assolutoria resa nei confronti dell'imputato C.C., cui è contestato, tra l'altro, di "avere omesso di tracciare e stabilire un adeguato percorso de la via di esodo e di emergenza che dai locali posti sotto il capannone o dal locale spogliatoio conducesse fino all'uscita dello stabilimento durante lo svolgimento delle operazioni di sistemazione dei materiali depositati nel piazzale (...)".

Viene ricordato che, all'esito dell'esperita istruttoria, il Tribunale, riteneva dimostrata la suddetta omissione e la sua efficacia causale rispetto alla verificazione del sinistro sul rilievo che "C.C. (...) avrebbe dovuto prevedere delle vie di esodo adeguate, che tenessero in considerazione che il piazzale dello stabilimento era continuamente, per sua stessa ammissione, attraversato da mezzi che si occupavano del carico e scarico di rifiuti e della movimentazione degli stessi. In proposito, come efficacemente evidenziato dall'ispettore E.E., la stessa ubicazione provava la loro inadeguatezza, poiché obbligavano il personale ad attraversare il piazzale sia nel tragitto verso i luoghi di lavori che verso gli spogliatoi" (il richiamo è alla sentenza Tribunale di Nola, pag. 18, da rigo 18 a rigo 24).

A sostegno della decisione resa il giudice di prime cure si premurava, poi, di motivare in ordine all'esistenza di "un comportamento alternativo lecito possibile e idoneo a scongiurare il rischio", ritenendo ciò "concretamente dimostrato dalle successive misure adottate dai prevenuti per 'ottemperare alle prescrizioni loro impartite dagli ispettori del lavoro"; si osservava, invero, che "l'Ambiente Spa, seppur con costi elevati "difficilmente digeribili dalla proprietà" - secondo quanto riferito dal C.C. - ha spostato i locali spogliatoio all'ingresso dello stabilimento e le vie di esodo pedonali di conseguenza non attraversano più il piazzale ma costeggiano lo stabilimento" (cfr., sent. Tribunale di Nola, pag. 18, da rigo 29 a rigo 35). Infine, all'esito di un'approfondita disamina del contegno serbato dalla parte civile al momento del sinistro, il giudice di primo grado ne escludeva il carattere abnorme ed eccezionale e, dunque, l'idoneità ad interrompere il nesso causale tra le lesioni da questa patite e le omissioni dedotte in imputazione. In particolare, richiamato, tra gli altri, il granitico orientamento di legittimità secondo cui "non vale ed escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (il richiamo è al dictum di Sez. 4 n. 7364/2014)", il Tribunale osservava che, "nel caso di specie, l'omesso tracciamento di adeguate vie di esodo e l'omessa previsione della figura del cd. preposto a terra per le manovre con l'escavatore, hanno determinato pacificamente l'assenza di quelle cautele volte a governare anche il rischio di condotta imprudente del lavoratore nell'attraversamento del piazzale" (pag. 20 e ss., sent. Tribunale di Nola).

Ciò premesso, per la p.c. ricorrente l'assoluzione del C.C. in secondo grado sarebbe frutto di un acritico recepimento delle doglianze difensive in quanto nel ritenerle fondate la Corte territoriale avrebbe evidentemente omesso di verificarne la tenuta alla luce delle emergenze istruttorie, nonché della granitica giurisprudenza di legittimità in punto di comportamento abnorme del lavoratore.

Il difensore ricorrente illustra in ricorso quelli che sono a suo avviso plurimi profili di contraddittorietà, mancanza, e manifesta illogicità inficianti la sentenza impugnata, a cominciare dal rilievo che quest'ultima dà alla circostanza che l'incidente sia avvenuto ad oltre due ore dalla fine del turno lavorativo della persona offesa ed in un frangente in cui, sia a causa dell'assenza di operai che dell'accumulo di rifiuti, venivano azionati i mezzi meccanici.

Il ricorrente sottolinea, invece, che la circostanza che il C.C. fosse ben consapevole della presenza dell'operaio poi infortunatosi all'interno dello stabilimento oltre il suo orario lavorativo emerge univocamente dal suo esame dibattimentale. E che è, del pari, provato che nella fascia oraria in cui ebbe a verificarsi il sinistro vi erano, nello stabilimento, operai che avrebbero potuto percorrere la menzionata via di esodo per raggiungere i locali spogliatoio/mensa o dagli stessi fare ritorno.

Smentita, infine, dalle emergenze in atti è, altresì, la circostanza che le lavorazioni in corso al momento del sinistro venivano effettuate in quell'orario anche "a causa dell'assenza di operai". Oltre che dagli apporti ricostruttivi da ultimo menzionati, tale asserto è contraddetto dalle specifiche dichiarazioni rese sul punto dal C.C., che vengono trascritte in ricorso.

La pronuncia impugnata sarebbe, dunque, contraddittoria nella sua motivazione, essendo emerso dall'esperita istruttoria che: 1. il C.C. era consapevole che, poco prima del verificarsi del sinistro, la parte civile, ancorché al di fuori del proprio orario di lavoro, si trovava all'interno dell'opificio; 2. in quel frangente vi erano altri operai che avrebbero potuto percorrere la via di esodo per recarsi nei locali spogliatoio/mensa o dagli stessi fare ritorno; 3. le lavorazioni in cui era intento il D.D. al momento dell'impatto giammai erano state programmate in ragione dell'assenza di lavoratori che avrebbero potuto attraversare il piazzale.

Peraltro, il difensore ricorrente sottolinea che tali emergenze erano espressamente portate all'attenzione della Corte d'Appello a mezzo delle conclusioni scritte depositate all'udienza dell'11.10.2023.

Viziata da manifesta illogicità e contraddittorietà rispetto al materiale acquisito sarebbe l'affermazione che quel percorso non poteva dirsi "intrinsecamente pericoloso né inadeguato essendo stato tracciato, per forza di cose, all'interno di un vastissimo piazzale, che occupava la quasi totalità della superficie dell'opificio ed essendo stato segnalato" (il richiamo testuale è alla sentenza impugnata, pag. 15, da rigo 21 a rigo 23).

Dall'esperita istruttoria sarebbe, innanzitutto, emerso che quell'ubicazione, lungi dall'essere imposta dalla conformazione dei luoghi e, dunque, dall'impossibile adozione di soluzioni organizzative che evitassero alle maestranze operanti all'interno dello stabilimento di attraversare il piazzale, era frutto di una scelta aziendale orientata, a fronte di plurime opzioni, da mere ragioni di risparmio. Risulterebbe, invero, provato che successivamente al sinistro in parola ed al fine esclusivo di rendere più sicuri ed adeguati i luoghi di lavoro, l'Ambiente Spa, sobbarcandosi elevati costi, in attuazione delle prescrizioni dettate dall'Asl Napoli 3 Sud, - come confermato dallo stesso C.C. e dai testi F.F. e G.G. - spostava i locali spogliatoio/mensa in una posizione che non richiedeva più il transito in quell'area e, dunque, l'utilizzo della via di esodo.

Quanto, poi, alla circostanza che il percorso fosse segnalato, la Corte territoriale non si sarebbe evidentemente confrontata con le risultanze dibattimentali concernenti lo stato dei luoghi al momento del sinistro, laddove secondo la testimonianza resa dall'Isp. E.E. fu chiesto di ripristinare in alcune parti le vie di esodo che erano state in parte cancellate ed in parte non visibili. E nella medesima prospettiva, degne di nota sarebbero le immagini fotografiche eseguite dai CC della Stazione di San Vitaliano, ritraenti la suddetta via di esodo il giorno successivo al sinistro ed acquisite al fascicolo del dibattimento di primo grado.

Ed ancora, nell'escludere l'intrinseca pericolosità ed inadeguatezza di detto percorso la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare - o, quantomeno, non avrebbe adeguatamente valutato - taluni rilevanti dati specificati nelle conclusioni scritte depositate all'udienza dell'11.10.2023. Il riferimento è: 1. all'evento lesivo patito nel febbraio del 2012 dal dipendente C.P, il quale, nel mentre si recava negli spogliatoi, veniva urtato da un carrello procurandosi danni all'anca ed al polso destro (il richiamo è al Registro Infortuni Ambiente Spa acquisito al fascicolo del dibattimento di primo grado); 2. alle dichiarazioni dell'Isp. E.E. per la parte in cui precisava che, a prescindere dalla presenza di ingombri, detta via di esodo non poteva considerarsi sicura in ragione della sua collocazione; 3. alle dichiarazioni rese dall'imputato C.C. allorquando riferiva di avere personalmente allontanato una quindicina di autisti esterni perché avevano comportamenti anomali rispetto alle regole di sicurezza, quali, ad esempio, il correre all'interno dello stabilimento; 4. all'apporto dichiarativo della parte civile, che nel corso del proprio esame evidenziava come il camminamento de quo fosse spesso impraticabile o perché occupato da mezzi intenti in operazioni di carico/scarico, o perché disseminato di rifiuti che cadevano durante tali attività, o, ancora, perché intralciato da fili di ferro dello spessore di 3-4 millimetri che, deputati al contenimento delle balle accatastate nelle sue vicinanze, sovente si spezzavano andando ad adagiarsi sul piano di calpestio ed, al contempo, lasciando cadere parte del materiale da esse assicurato; 5. alle immagini che, allegate alla memoria depositata dalla difesa di parte civile all'udienza del 2.10.2020 e ritraenti la via di esodo in epoca antecedente al sinistro, corroborano i contributi dichiarativi da ultimo menzionati.

E relativamente a tale materiale fotografico, non coglierebbe nel segno l'argomento speso nella gravata sentenza allorquando se ne stigmatizzava l'inidoneità a dimostrare le condizioni del camminamento al momento del fatto; ed invero, come specificato nelle conclusioni scritte depositate dalla parte civile nel giudizio di appello, detta documentazione era funzionale esclusivamente ad avvalorare il narrato della persona offesa in ordine al sistematico stato di degrado del percorso de quo e, conseguentemente, provarne l'intrinseca inadeguatezza. A fronte di tanto, due sono gli interrogativi - rimasti inevasi - con cui la Corte territoriale si sarebbe dovuta confrontare: 1. se tali contributi dichiarativi, anche in ragione di quelle immagini, erano da ritenersi attendibili; 2. in caso di positiva risposta, se poteva ritenersi adeguato e sicuro un camminamento che costantemente versava nelle condizioni descritte dalla parte civile. In relazione, dunque, al passaggio argomentativo in esame, la gravata sentenza risulta, al contempo, manchevole e manifestamente illogica.

Inficiata da tale ultimo vizio sarebbe, altresì, l'affermazione che "... il tema, alla luce delle contestazioni, non è quello della pericolosità della via di esodo, bensì quella del suo essere ingombra e non percorribile quale causa determinante della scelta della vittima di allontanarsi da essa nell'uscire dallo stabilimento" (pag. 15, della sentenza impugnata).

Per la p.c. ricorrente i due temi, invero, lungi dall'essere distinti, si intrecciano inestricabilmente nell'eziologia del contegno tenuto dalla persona offesa e nella conseguente produzione dell'evento lesivo. Intralcio al sicuro utilizzo di quel camminamento a causa della sistematica presenza di rifiuti ed inadeguata sua ubicazione, in altri termini, costituirebbero facce della medesima medaglia, che, ponendosi in rapporto di causa/effetto, danno la stura ad un interrogativo inevaso, anch'esso, dalla gravata sentenza: e cioè, se in presenza soluzioni organizzative più sicure, fosse da ritenersi corretta la scelta di collocare quella via di esodo in spazi deputati ad attività che, incidenti sulla piena e ininterrotta sua fruibilità, potessero obbligare, o indurre ad allontanarsene quanti tenuti ad utilizzarla; i quali - in ragione dell'assenza di presidi funzionali ad evitarne il travalicamento - facevano così ingresso nelle ben più rischiose aree limitrofe.

Contraddittorio ed al contempo manifestamento illogico sarebbe, poi, l'assunto secondo cui "il fatto che il percorso fosse parzialmente ingombro non ha assunto efficacia dirimente nella decisione del prevenuto di spostarsi, giacché (. ..) l'ingombro era minimo (bottigliette di plastica e fili di ferro) e non tale da rendere concretamente impraticabile il percorso segnalato"; pertanto "(...) la decisione di uscire, non di poco dal percorso segnalato fu estemporanea e ascrivibile solo a una scelta dell'A.A. in quanto dagli atti emerge che la via di esodo non era in tal modo ingombra da risultare impercorribile" (pag. 15).

Innanzitutto, che l'allontanamento della persona offesa da quella via di esodo fosse indotto dalla presenza di "fili di ferro", "ferro", "pezzi di legno" e "bottiglie" che, a suo giudizio, rendevano "pericoloso camminare proprio", emergerebbe univocamente dalla deposizione della stessa; risulterebbe, pertanto, smentito l'assunto secondo cui non fu tale stato dei luoghi ad indurre l'A.A. a deviare la propria traiettoria.

In secondo luogo, la comprovata presenza di rifiuti che, pur non rendendo assolutamente impraticabile il percorso de quo, esponevano al rischio di inciampo, caduta e/o lesioni, renderebbe manifesto come la decisione di allontanarsene, per quanto imputabile ad una scelta della persona offesa, non fu immotivata, bensì conseguenza di una situazione tutt'altro che in linea cor. le disposizioni in tema di sicurezza dei luoghi di lavoro.

In altri termini, la condotta asseritamente imprudente del lavoratore avrebbe rinvenuto la propria scaturigine in un contegno altrettanto colposo della parte datoriale, la quale, nello stabilire quel camminamento, ometteva di valutarne i conseguenti rischi: innanzitutto, che la piena e sicura sua fruibilità potesse essere intralciata dai residui dell'attività di carico e scarico di rifiuti realizzate non solo in conformità dello stesso, ma, come rivelato dalla summenzionate acquisizioni istruttorie, addirittura lungo il suo percorso; in secondo luogo, che, per effetto dell'omessa predisposizione di barriere fisiche finalizzate a precludere l'allontanamento dallo stesso, gli operai tenuti a percorrerlo, potessero cambiare traiettoria per evitare di inciampare nei menzionati residui o, anche solo, per mera distrazione.

Né ad emendare tali vizi possono ad avviso della p c. ricorrente valere le seguenti circostanze richiamate dalla Corte territoriale: 1. l'incidente è avvenuto a circa sei o sette metri dalla via di esodo, come dichiarate dall'imputato e dal teste H.H.; 2. il DUVRI poneva a carico della parte civile l'obbligo di rispettare la segnaletica orizzontale e verticale durante la circolazione all'interno dell'azienda, di mantenere la distanza di sicurezza dai mezzi in movimento e di non transitare durante la circolazione dei mezzi; 3. l'A.A. ha consapevolmente violato tali regole nonostante vi fosse un mezzo meccanico in movimento dotato di segnalatori acustici e luminosi e senza fare attenzione a tenersi a distanza dallo stesso (pag. 15).

Innanzitutto, nell'individuare la distanza tra la via di esodo ed il luogo del sinistro, la Corte territoriale avrebbe totalmente omesso di considerare le dichiarazioni rese al riguardo da. A.A., che la quantificava, invece, in 1 o 2 metri. E si tratterebbe di aspetto tutt'altro che secondario; soprattutto ove si consideri che il Tribunale attestava l'assenza di dubbi "in ordine alla aderenza al vero dei fatti narrati" dal predetto. A ciò si aggiunga, inoltre, che nel richiamare a sostegno della propria ricostruzione le dichiarazioni dell'imputato e nel ritenerlo, dunque, attendibile, il giudice di seconde cure ignorava che, in relazione a tale profilo, il C.C. aveva fornito indicazioni oltremodo ondivaghe. Quanto, infine, al teste H.H., la difesa di parte civile evidenziava plurime criticità che, inficianti la deposizione del predetto, minavano in radice la sua attendibilità. Ebbene, la Corte territoriale ometteva di spendere qualsivoglia considerazione al riguardo.

Relativamente, poi, alle specifiche prescrizioni contenute nel DUVRI, la severità ed il rigore qualificanti la valutazione del contegno serbato dalla persona offesa in alcun modo hanno interessato le criticità caratterizzanti le scelte datoriali e la loro concreta attuazione, per come specificamente stigmatizzate in sede di conclusioni scritte depositate nel giudizio di seconde cure. Nel corpo di tale atto - viene ricordato in ricorso - si evidenziavano, in particolare, l'inosservanza dell'art. 15 D.Lgs. n. 81/2008; la non conformità rispetto ai punti 1.4.1, 1.4.3. e 1.4.4 dell'Allegato IV di detto D.Lgs. delle soluzioni organizzative adottate dalla società ; il mancato rispetto delle prescrizioni contenute DUVRI Ambiente per scongiurare il rischio di investimento).

Relativamente a tali argomenti, ci si duole che la Corte d'Appello non abbia speso considerazione alcuna o, quanto si rinviene al riguardo, risulterebbe meramente apodittico.

Per quanto concerne, infine, la dedotta circostanza che la parte civile deliberatamente violava le prescrizioni dei DUVRI e, allontanatasi molto dalla via di esodo, si avvicinava al mezzo - nel frangente dotato di segnalatori acustici e luminosi - essa sarebbe frutto di un evidente travisamento delle emergenze istruttorie.

Nel corso della propria deposizione A.A. evidenziava ripetutamente di essere stato colpito all'improvviso dalla cd. benna a polipo e di non essersi avveduto della presenza di quell'escavatore. Relativamente, invece, all'asserita attivazione, al momento del sinistro, dei surriferiti segnali acustici e luminosi, essa sarebbe frutto di un evidente travisamento della prova, in quanto dall'istruttoria dibattimentale è esclusivamente emerso che tali presidi facevano parte della dotazione del mezzo e non già che al momento del sinistro gli stessi fossero funzionanti ed attivi). Ove tale dato fosse stato correttamente percepito dalla Corte territoriale, allo stesso si sarebbe dovuto applicare il medesimo criterio valutativo riservato alle fotografie prodotte dalla difesa e ritraenti lo stato di incuria in cui versava il camminamento in epoca antecedente al 29 settembre 2014: così come quelle immagini nulla provavano in relazione allo stato dei luoghi al momento del sinistro, allo stesso modo la dotazione di quei presidi sonori e luminosi non poteva dirsi dimostrativa del loro funzionamento in detto specifico frangente.

Parimenti idonee ad integrare, sotto differenti profili, il vizio motivazionale di cui all'art. 606 lett. e) cod. proc. pen. sarebbero gli argomenti spesi dalla Corte d'Appello a sostegno della assenta imprevedibilità del comportamento imprudente tenuto dal lavoratore e dell'inefficacia impeditiva, rispetto alla produzione dell'evento, del comportamento alternativo lecito preteso dal C.C..

A sostegno del primo asserto i giudici di appello richiamavano: la presenza in azienda della parte civile al di fuori del proprio orario lavorativo; la formazione/informazione alla stessa impartita; l'affidamento alla Neogea della pulizia delle aree.

Ma - si ribadisce ancora in ricorso - ciò stride con la piena consapevolezza del C.C. circa la presenza in azienda dell'A.A., sia con l'incessante utilizzo di quel camminamento da parte dei dipendenti della Neogea, impegnati nelle proprie attività 24 ore su 24.

Quanto alla formazione/informazione impartita, si tratterebbe di argomento non dirimente nella misura in cui gli obblighi antinfortunistici gravanti sul datore di lavoro non si esauriscono in tali attività, ma postulano la predisposizione di cautele che, come costantemente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità devono essere finalizzate anche alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente del lavoratore.

Ebbene, in siffatta prospettiva, sarebbe assolutamente illogico ritenere, così come fatto dalla Corte territoriale, che il C.C. non potesse prevedere che quanti intenti ad attraversare quel camminamento se ne allontanassero imprudentemente per evitare di inciampare nei rifiuti di cui era sistematicamente disseminato.

E parimenti non sarebbe dirimente è la circostanza che il C.C. avesse affidato alla Neogea la pulizia dello stabilimento.

Al netto, invero, dei precisi obblighi di vigilanza e controllo gravanti sul committente, sarebbe assorbente il rilievo che l'evento fu conseguenza di una non corretta valutazione dei rischi e, dunque, dell'adozione di misure inidonee a scongiurare il loro concretizzarsi, nonostante la possibilità di soluzioni organizzative ben più sicure.

Per quel che inerisce, infine, l'assenta inefficacia impeditiva di differenti scelte organizzative, essa fondava sull'assunto che "l'incidente avvenuto molto al di fuori della via di esodo e la decisione della vittima non fu determinata dal fatto che egli reputasse rischiosa la via segnalata a causa della sua allocazione, ovvero perché mancavano le barriere oppure la segnaletica era sbiadita, ma semplicemente dalla presenza di rifiuti sulla sede, non tali tuttavia da impedire il passaggio".

Si tratterebbe di un argomento che renderebbe tale segmento dell'impugnata decisione manifestamente illogico.

Volendo trascurare quanto in precedenza evidenziato circa l'esatto punto di impatto per come determinato dalla Corte territoriale, per la p.c. ricorrente sarebbe indubitabile che, a fronte di un'ubicazione dei locali spogliatoio tale da non imporre l'utilizzo di quella via di esodo e, dunque, l'attraversamento del piazzale, l'evento lesivo per cui è processo giammai si sarebbe verificato: ed invero, la parte civile si trovava a transitare nella suddetta area non perché spinta dall'innocente piacere di una passeggiata, ma perché diretta da quei locali all'uscita dello stabilimento; e lo stesso è a dirsi con riferimento alla predisposizione di barriere fisiche funzionali a delimitare quel percorso, il cui eventuale e improvvido scavalcamento da parte dell'A.A. sarebbe - esso si - valso a qualificare come abnorme la sua condotta.

La parte civile chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.

3. Le parti hanno concluso in pubblica udienza come indicato in epigrafe.
 

Diritto


1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.

2. Ricordano i giudici di merito che la pronuncia si fonda sulle risultanze della complessa istruttoria dibattimentale, articolatasi nell'audizione di numerosi testimoni introdotti dalle parti e nell'acquisizione di documentazione a riscontro.

La persona offesa presentava querela per l'infortunio sul lavoro accaduto il 29 settembre 2014 in San Vitaliano, rappresentando di essere stato dipendente per circa 14 anni della società Ambiente Spa che si occupa di riciclo di materie plastiche e ferrose e il cui legale rappresentante e amministratore era l'ingegner C.C.; aggiungeva che all'epoca dei fatti esercitava la sua attività lavorativa dalle 8:00 alle 17 e il giorno dei fatti, intorno alle 14.35, nonostante indossasse guanti di protezione si era punto con una siringa mentre selezionava la carta da riciclare ed era stato accompagnato in ospedale a Nola dal collega F.F. per le opportune cure mediche, venendo dimesso intorno alle ore 18:00. Egli precisava di essere poi rientrato sul luogo di lavoro perché, sebbene fosse terminato il suo turno, doveva cambiarsi e quindi - dopo aver fatto la doccia ed essersi cambiato - intorno alle 19.15 era uscito dagli spogliatoi e si era avviato verso l'uscita indossando il giubbotto catarifrangente; riferiva che il percorso pedonale di esodo, come accadeva spesso, era intralciato da rifiuti e per tale ragione stava camminando a circa 2 metri dallo stesso quando improvvisamente veniva colpito dal "ragno" di un macchinario che era utilizzato per movimentare i rifiuti, che nell'occasione era guidato da D.D., dipendente della società di Neogea, il cui amministratore era l'imputato B.B..

A causa dell'impatto, A.A. ricordava di avere perso i sensi e di essersi risvegliato direttamente in ospedale; la vittima precisava poi che il fatto che il percorso fosse spesso ingombro di rifiuti e non percorribile era stato segnalato anche al capo cantiere F.F. e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, G.G., che non era mai stato presente a terra nessuno con il compito di dirigere il conducente del macchinario quando si spostava nel piazzale, che a causa dell'infortunio aveva perso l'udito all'orecchio sinistro e anche a quello destro aveva dei problemi e che, in seguito all'episodio, lo stabilimento era stato interessato da lavori di ristrutturazione che avevano modificato proprio il percorso pedonale di uscita.

La sentenza impugnata ricorda che, alle pagine 6 e seguenti, il giudice di primo grado ha analizzato la deposizione dell'ispettore del lavoro dottor E.E., il quale precisava di essersi recato sul posto il giorno dopo l'infortunio allorquando il piazzale si presentava già pulito e il mezzo meccanico era stato spostato, per cui non poteva fornire alcuna informazione diretta circa la dinamica dei sinistro, che aveva ricostruito esclusivamente in base alle dichiarazioni delle persone coinvolte, ovvero l'A.A. e il D.D.; in base a ciò erano state mosse alle due società contestazioni concernenti l'ingombro parziale delle vie di esodo pedonali, non ben visibili e non ben delimitate né adeguate perché avrebbero dovuto essere delimitate da barriere fisiche in grado di tutelare maggiormente i pedoni, dato che il piazzale era interessato anche dal passaggio di mezzi meccanici, nonché la mancata predisposizione da parte della società Neogea del cd. "uomo a terra" con funzione di sovrintendere alle operazioni e indirizzare la manovra del conducente del macchinario. A pagina 6 della sentenza di primo grado vengono indicate in dettaglio le prescrizioni imposte alle due società e l'ispettore spiegava che la Ambiente Spa aveva ottemperato spostando gli spogliatoi e le vie di esodo, che oggi non attraversano il piazzale ma costeggiano il perimetro dello stabilimento, e la Neogea Spa parimenti aveva ottemperato, prevedendo la presenza fissa dell'uomo a terra per la conduzione di mezzi meccanici nell'ipotesi di manovra e di movimentazione di materiali. Indi già il giudice di primo grado aveva riepilogato le dichiarazioni degli altri testimoni del pubblico ministero tra cui il Carabiniere H.H., il quale aveva scattato un'unica fotografia dello stato dei luoghi dopo l'incidente ma non aveva sequestrato il mezzo meccanico né lo stabilimento; a fronte di ciò l'imputato C.C. - dopo aver ricostruito i fatti di quel giorno, durante il quale era stato sempre presente all'interno dello stabilimento - ha riferito di essere stato avvisato intorno alle 20 che l'A.A. aveva avuto un incidente, specificando che sul piazzale era presente la macchina semovente dotata del braccio meccanico per movimentare materiali di grosse dimensioni che veniva utilizzata sul piazzale solo dopo le 17:00, perché soltanto a partire da quell'orario si era accumulato sul piazzale un quantitativo di materiale tale da giustificare il suo utilizzo. L'imputato spiegava poi che, per quanto a sua conoscenza, il macchinario emette segnali sonori mentre rimane fermo, muovendo esclusivamente il braccio, e richiede la presenza del cosiddetto "uomo a terra" quando deve spostarsi; aggiungeva di aver notato nell'immediatezza che l'A.A. si trovava a circa 7 metri di distanza dalle vie di esodo pedonali e che non gli era mai stato segnalato da nessuno che il percorso pedonale fosse risultato ostruito da rifiuti o altro materiale.

L'imputato B.B. non si sottoponeva ad esame, ma dichiarava spontaneamente che l'infortunio si era verificato in un'area di manovra e non di stoccaggio o di lavorazione, che nel documento di valutazione dei rischi l"uomo a terra" era previsto unicamente in caso di visibilità ridotta e negli spazi stretti, che A.A. al momento dell'infortunio non indossava il giubbotto catarifrangente e che l'autista era stato regolarmente formato per le mansioni che era chiamato a svolgere, aggiungendo che la manutenzione delle vie di esodo non era a carico della sua società.

3. Orbene, così ricordati i fatti come ricostruiti dai giudici di merito, va rilevato che il ricorso della parte civile consta di tre motivi, due che censurano l'assoluzione di B.B. e l'altro, come visto in premessa articolato in più aspetti, l'assoluzione del C.C..

Per quanto riguarda il primo motivo, riguardante l'B.B., datore di lavoro della società Neogea Spa, e quindi di D.D., il lavoratore che manovrava la macchina con cui è stata colpita la persona offesa, lo stesso è infondato.

Con motivazione logica e congrua, oltre che corretta in punto di diritto - e che, pertanto, si sottrae alle proposte censure di legittimità - la Corte territoriale ha ritenuto, quanto alla posizione dell'B.B., che la sentenza di primo grado fosse viziata da criticità concernenti l'esatta valutazione dei profili di colpa ascritti al prevenuto, alla luce degli elementi di fatto emergenti dall'istruttoria, che appaiono individuabili secondo l'imputazione: 1) nell'omessa formazione adeguata dei lavoratori (e segnatamente del D.D.) addetti alla manovra dei mezzi meccanici; 2) nell'omessa attuazione delle direttive inserite nel DVR della Neogea Spa, nel senso di assicurare la presenza costante di un preposto a terra "che durante l'uso dei meccanici consentisse l'ausilio e la presenza continua quale personale di terra che doveva coordinarsi con l'operatore a bordo della macchina".

Va evidenziato, in primis, che per tale imputato entrambi i giudici di merito hanno ritenuto insussistente il profilo di colpa della omessa formazione ed informazione del lavoratore. Come ricorda la sentenza impugnata a pag. 11 "il tema della formazione dei dipendenti della citata Spa è stato affrontato nella sentenza di primo grado in modo piuttosto sintetico e senza dare spazio alle circostanze, pur rilevanti, emerse su questo specifico punto, alla luce della documentazione prodotta dalla difesa". Ciò in quanto: "... la difesa dell'B.B. ha allegato un attestato di formazione rilasciato in data 13 giugno 2014 (quindi poco prima del fatto) ove si certifica che il lavoratore D.D. "ha partecipato al corso di formazione generale e specifica per lavoratori ai sensi dell'art. 37 del decreto legislativo n. 81/2008", rispetto al quale giova osservare che l'art. 37 citato attiene proprio alla movimentazione di macchinari e al coordinamento con il personale a terra, nonché altro attestato concernente un corso tenutosi nell'anno 2013 e avente ad oggetto proprio la formazione per addetti alla conduzione di macchine come quella in esame, sempre ai sensi degli articoli 37 e 73 del ricordato decreto legislativo. Inoltre, il teste I.I. (ispettore del lavoro della cui credibilità nessuno dubita e che si presenta come soggetto portatore di una specifica professionalità sul punto) ha riferito in udienza che il D.D., per quanto da lui accertato, era stato adeguatamente formato (cfr. pag. 7 della sentenza)".

Logico e pienamente motivato, dunque, appare che, alla luce di tali circostanze, i giudici di appello hanno ritenuto evidente che il primo addebito di colpa specifica cristallizzato nell'imputazione a carico dell'B.B. non sussiste alla luce delle prove raccolte in dibattimento, come del resto già chiarito sinteticamente dal primo giudice a pag. 16 della propria sentenza.

4. Restava in piedi, per il giudice di primo grado, che perciò era pervenuto ad una pronuncia di condanna, il profilo di colpa riguardante la mancata presenza costante di un preposto a terra che durante l'uso dei mezzi meccanici fornisse ausilio al manovratore.

Il giudice di primo grado aveva ritenuto di condannare l'imputato nonostante fosse rimasto acclarato che, diversamente da quanto indica il capo d'imputazione, tale presenza non fosse indiscriminatamente contemplata dal DVR, ma lo fosse esclusivamente in situazioni, che non era quella che ci occupa, in cui la macchina si trovasse ad operare in un ambiente ristretto o in condizioni di scarsa visibilità.

Tale assunto è pacifico.

Come ricorda la sentenza impugnata, era stato lo stesso giudice di primo grado che, alle pagg. I le seguenti aveva analizzato la documentazione depositata dalle parti osservando che: 1. in ragione del contratto di appalto avente ad oggetto la selezione dei rifiuti e la pulizia dei locali la Neogea Spa, appaltatrice, aveva il compito di movimentare e selezionare i rifiuti non pericolosi, pulendo i locali, le aree scoperte nonché tutte le aree coperte; 2. - la società Ambiente Spa individuava in F.F. e G.G. i responsabili operativi e di cantiere riservandosi la facoltà di effettuare attraverso di loro controlli sul corretto espletamento dei servizi; 3. il DVR della Neogea Spa prevedeva l'ausilio dell'uomo a terra" per eseguire manovre in spazi ristretti e con visibilità insufficiente e durante le fasi di inattività, ma sempre durante l'uso, disponeva l'abbassamento del braccio lavoratore; 4. il documento di valutazione dei rischi della Ambiente Spa imponeva poi che il personale dovesse indossare dispositivi di protezione individuale ad alta visibilità durante gli spostamenti nel piazzale e il divieto di spostamento al di fuori dei percorsi pedonali, evidenziando che percorso pedonale era segnalato da strisce gialle e strisce zebrate di colore bianco; 5. il DVR imponeva poi norme in tema di verifica e manutenzione di macchine e attrezzature e pulizia e manutenzione dei locali di lavoro.

Dunque, il giudice di primo grado è pervenuto alla condanna nonostante il pacifico assunto che il profilo di colpa non fosse stata la violazione di quanto contenuto nel DVR, ma il non aver contemplato all'interno del medesimo DVR la necessità che comunque il cosiddetto uomo a terra ci fosse sempre. E' rimasto provato, infatti (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata), quanto al contenuto del DVR "...che sussiste un'evidente discrasia tra l'addebito mosso nell'imputazione (non aver rispettato la prescrizione asseritamente contenuta nel documento, ovvero predisporre sempre e comunque la presenza dell'"uomo a terra" in caso di movimentazione di macchinari come quello in esame) e l'effettivo contenuto del D'VR che, come evidenziato dalla difesa ma anche dal Tribunale a pag. 13, non imponeva affatto la presenza necessaria di un operatore a terra in ogni caso di utilizzo del mezzo meccanico, bensì esclusivamente nell'evenienza in cui lo stesso si muovesse "in spazi ristretti" e "con visibilità insufficiente"". E, come si ricorda ancora a pag. 11 della sentenza impugnata: "nel caso di specie (...) l'esame delle circostanze concrete del fatto impedisce di ritenere che - alla stregua delle prescrizioni imposte - dovesse essere necessariamente presente in quel momento un "uomo a terra" che guidasse la manovra del mezzo: invero, l'incidente non è avvenuto mentre il macchinario svolgeva manovre in uno "spazio ristretto", ma anzi mentre si muoveva all'interno di un piazzale vasto oltre 20.000 metri quadri complessivamente, e non è dimostrato che le condizioni di visibilità fossero "insufficienti" sia a causa dell'illuminazione presente sul posto che in ragione dell'orario e del periodo dell'anno in cui avvenne l'incidente, essendo evidente che nel mese di settembre, intorno alle ore 19.00, vi è ancora una luce naturale adeguata per scorgere la presenza di una persona che si muove a piedi su di una superficie priva di ostacoli di rilievo tale occludere la visuale. D'altro canto, il teste H.H. (Carabiniere in servizio della cui credibilità non può dubitarsi e che si recò sul luogo del sinistro nell'immediatezza) ha riferito che al momento del suo arrivo, quando l'A.A. era già stato portato in ospedale, vi era ancora luce naturale (cfr. verbale dell'udienza del 23 giugno 2021), mentre la condizione di oscurità che si evince dall'unica fotografia da lui scattata quel giorno dipende dal fatto che egli la eseguì al suo ritorno presso lo stabilimento, dopo essersi recato in ospedale per sincerarsi delle condizioni dell'operaio".

Diversamente, il giudice di secondo grado ha ritenuto che ci si trovasse di fronte ad un fatto radicalmente diverso ed ha pertanto assolto l'imputato, ancorché ai sensi dell'articolo 530 capoverso del codice penale, perché il fatto non sussiste.

5. Il tema che il ricorso propone a questa Corte riguardo alla posizione processuale dell'B.B., tuttavia, non pare legato in alcun modo con la questione, oggetto della pronuncia delle Sezioni Unite "Calpitano" del 28 marzo 2024 nel ricorso R,G. 78/2023 (di cui si conosce allo stato la sola notizia di decisione) circa la regola di giudizio (quella penalistica dell'"al di là di ogni ragionevole dubbio" o quella di matrice prettamente civilistica del "più probabile che non").

Il diverso compito affidato a questo giudice di legittimità, infatti, è quello di verificare se correttamente la Corte territoriale abbia ritenuto che la provata circostanza che nel DVR della Neogea Spa non fosse prevista la presenza dell'uomo a terra in situazioni come quella in cui si è realizzato l'infortunio costituisca fatto diverso rispetto a quello ipotizzato nell'editto accusatorio. E se, in caso lo sia, la Corte territoriale abbia correttamente operato nel senso di assolvere l'imputato e non di trasmettere gli atti al primo giudice o PM ai sensi del combinato disposto degli artt. 604 e 521 cod. proc. pen.

Orbene, ritiene il Collegio che ad entrambi i quesiti fornita una risposta positiva.

La ritenuta valutazione che ci si trovi di fronte ad un fatto radicalmente diverso - e che quindi non si possa rientrare nell'alveo della giurisprudenza che ha affermato che il diritto al contraddittorio in ordine alla natura e alla qualificazione giuridica dei fatti di cui l'imputato è chiamato a rispondere, sancito dall'art. III, comma terzo, Cost. e dall'art. 6 CEDU, comma primo e terzo, lett. a) e b), così come interpretato nella sentenza della Corte EDU nel proc. Drassich c. Italia, è garantito anche quando il giudice di primo grado provveda alla riqualificazione dei fatti direttamente in sentenza, senza preventiva interlocuzione sul punto, in quanto l'imputato può comunque pienamente esercitare il diritto di difesa proponendo impugnazione (Sez. 3, n. 2341 del 07/11/2012 - dep. 2013, Manara e altro, Rv. 254135) e che addirittura non sussiste violazione del diritto al contraddittorio quando l'imputato abbia avuto modo di interloquire in ordine alla nuova qualificazione giuridica attraverso l'ordinario rimedio dell'impugnazione, non solo davanti al giudice di secondo grado, ma anche davanti al giudice di legittimità (Sez. 6, n. 10093 del 14/02/2012, Vinci, Rv. 251961; Sez. 2, n. 32840 del 09/05/2012, Damjanovic e altri, Rv. 253267; Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012 15 19/02/2013, Jovanovic, Rv. 254649; Sez. 3, n. 2341 del 07/11/2012 - 17/01/2013, Manara, Rv. 254135; Sez. 2, n. 45795 del 13/11/2012, Tirenna, Rv. 254357) - appare conforme ai più recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità riassunti nella recente Sez. 4 n. 17547 del 21/3/2014, Meskini, ncn mass, ove si è ricordato che, in tema di relazione tra la sentenza e l'accusa contestata, infatti, sussiste immutazione del fatto quando il fatto ritenuto è sostanzialmente diverso da quello addebitato, per divergenza su elementi essenziali e qualificanti dell'azione o dell'evento.

Come ricorda condivisibilmente Sez. 4, n. 18793 del 28/03/2019, Macaluso, Rv. 275762 - 01 il "fatto diverso", cui si riferisce il secondo comma dell'art. 521 cod. proc. pen., è anche un fatto che presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria che rendano necessaria una correlativa puntualizzazione nella ricostruzione degli elementi essenziali del reato (vedasi anche, ex multis Sez. 6, n. 26284 del 26/03/2013, Tonietti, Rv. 256861; Sez. 5, n. 2295 del 03/07/2015 - dep. 2016, Marafioti, Rv. 266019; Sez. 5, n. 10310 del 25/08/1998, Capano, Rv. 211477).

La Corte costituzionale, in un passaggio della sentenza 103/2010 scrive: "Si deve premettere che l'art. 521 cod. proc. pen. ha codificato il principio della necessaria correlazione tra imputazione contestata e sentenza, in base al quale il giudice può attribuire al fatto una definizione giuridica diversa, senza incorrere nella violazione del suddetto principio, soltanto quando l'accadimento storico addebitato rimanga identico negli elementi costitutivi tipici, cioè quando risultano immutati l'elemento psicologico, la condotta, l'evento e il nesso di causalità. Se il giudice, invece, accerta che il fatto è diverso da quello descritto nell'imputazione, deve disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero. L'anzidetto principio è diretto a garantire il contraddittorio e il diritto di difesa dell'imputato, il quale deve essere posto nelle condizioni di conoscere l'oggetto dell'imputazione nei suoi elementi essenziali e di difendersi, secondo la linea ritenuta più opportuna, in relazione ad esso".

Anche per il giudice delle leggi, dunque, l'operazione di rivalutazione che il giudice può compiere, senza far scattare il precetto del comma 2 dell'art. 521 cod. proc. pen., è soltanto quella che non va a modificare né l'elemento oggettivo del reato (condotta, evento e nesso causale) né quello soggettivo; o, quanto meno, che non va a stravolgere detti elementi, rendendoli incompatibili rispetto ad un effettivo esercizio del diritto di difesa.

Sussiste, dunque, diversità del fatto e perciò, in caso di condanna, si ha violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali, così da provocare una situazione di incertezza e di cambiamento sostanziale della fisionomia dell'ipotesi accusatoria capace di impedire o menomare il diritto di difesa dell'imputato (Sez. 6, n. 6346 del 09/11/2012, dep. 2013, Domizi e altri, Rv. 254888).

Pertanto, nel caso di cui alla citata Sez. 4 n. 17547/2024 la Corte ha ritenuto che correttamente i giudici del merito avessero affermato la diversità del fatto, laddove era stato contestato in imputazione che incidente si era verificato perché il lavoratore infortunato era caduto da un'impalcatura priva dei necessari requisiti di sicurezza mentre, invece, la dinamica dei fatti come provata aveva evidenziato che il lavoratore era caduto da una scala che aveva egli stesso reperito nel cantiere.

In quello, come in questo caso, si è ritenuta realizzata quella trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, così da pervenirsi ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui è scaturito un reale pregiudizio dei diritti della difesa che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ribadita in più occasioni dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619.).

Corretto appare, dunque, nel caso che ci occupa l'opinare della Corte territoriale quando afferma che: "Nel caso di specie la contestazione non è a titolo di colpa generica, né concerne una condotta globalmente ascritta come colposa, bensì due specifiche condotte di cui una è stata esclusa già in primo grado e l'altra appare documentalmente smentita dal DVR in atti, con la conseguenza che il primo giudice ha condannato per un addebito specifico diverso da quello contestato".

Peraltro, viene anche rilevato (pag. 11) come "nessun rilievo può avere (...) il tema, introdotto in sentenza ma non contenuto nell'imputazione, secondo cui il braccio lavoratore dovesse essere abbassato "durante le fasi di inattività - ma sempre durante l'uso": tale circostanza, indicata dal giudice a pag. 13, appare del tutto assente nell'imputazione e anche di difficile comprensione logica non potendosi immaginare un mezzo dotato di un braccio meccanico che lo tenga sempre, sia durante l'inattività che durante l'utilizzo, abbassato, dato che ciò comporterebbe in sostanza l'impossibilità di impiegare il braccio per la funzione per la quale è Stato costruito". E (pag. 12) che "...altri addebiti colposi (mancata pulizia dell'area relativa alla via di esodo o mancata previsione nel DVR della presenza dell'"uomo a terra" in ogni caso di manovra del mezzo, come poi effettivamente rilevato e imposto dall'Ispettorato del lavoro), sebbene logicamente apprezzabili ed emergenti dalla ricostruzione dell'accaduto, non risultano essere stati contestati in maniera precisa e chiara nell'imputazione che, come detto, concerne solo due condotte omissive delineate in maniera specifica (omessa formazione e mancato rispetto della prescrizione, in realtà non esistente nel DVR, che imponeva un preteso obbligo di presenza dell'operatore a terra in ogni caso) e che, però, nel caso in esame non hanno trovato riscontro".

Coerente con tali premesse di fatto e con la sopra ricordata giurisprudenza di questa Corte appare, dunque, la conclusione in ordine alla sussistenza, a giudizio dei giudici del gravame del merito, Di "un'evidente sfasatura tra la contestazione e i fatti oggetto della decisione".

6. Fondato, se il reato non fosse stato prescritto, sarebbe stato tuttavia il secondo motivo di ricorso perché il giudice di appello, uria volta ritenuta la diversità del fatto avrebbe dovuto annullare la sentenza di primo grado e trasmettere gli atti al giudice di primo grado così come prevede l'articolo 604 comma 1 cod. proc. pen. (secondo cui "il giudice di appello, nei casi previsti dall'art. 522, dichiara la nullità in tutto o in parte della sentenza appellata e dispone la trasmissione degli atti al giudice di primo grado, quando vi è stata condanna per un fatto diverso (...)". La norma va letta in correlazione al sopra ricordata previsione di cui all'art. 521, comma 2, cod. proc. pen. che, invece, impone al giudice di primo grado di disporre "con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero se accerta che il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio ovvero nella contestazione effettuata a norma degli artt. 516, 517 e 518 comma 2". E' quanto aveva fatto il giudice di merito, ad esempio, nel precedente appena richiamato di Sez. 4 n. 17547/2024.

Tuttavia, ritiene il Collegio che, a fronte di un reato estinto per prescrizione (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata ove si fa corretta applicazione del dictum di Sez. 3148/2015 secondo cui "nel reato di lesioni personali colpose causate da un infortunio sul lavoro, la prescrizione inizia a decorrere dal momento dell'evento, non assumendo alcun rilievo la data di definitiva stabilizzazione dei postumi dell'incidente", per il cui il dies a quo va individuato nel 29 settembre 2014) e, quindi, dell'assenza di regiudicanda penale, sia in relazione al fatto come ipotizzato che in relazione al diverso fatto della mancata previsione nel DVR sempre e comunque dell'uomo a terra, non sarebbe stata corretta la rimessione al giudice di primo grado che altro non avrebbe potuto fare che prendere atto dell'estinzione del reato.

Rispetto a tale rimessione, peraltro, la parte civile non avrebbe alcun interesse in quanto il giudice di primo grado, di fronte ad un reato prescritto, non avrebbe comunque potuto operare una statuizione a suo favore.

Più correttamente, nel caso che ci occupa, il giudice di appello, avrebbe dovuto, di fronte al provato fatto diverso, dare atto che in relazione allo stesso era maturata la prescrizione. Le norme sopra richiamate, infatti, non gli consentivano di limitarsi a pronunciare una sentenza di assoluzione per il diverso fatto.

Tuttavia, non è fondata la doglianza della parte civile ricorrente, che lamenta che così facendo si trova davanti ad una assoluzione perché il fatto non sussiste che ai sensi dell'articolo 652 cod. proc. pen. farebbe stato anche per il successivo giudizio civile.

In realtà, infatti, così non è. Ciò perché, pure errando da un punto di vista procedimentale, la sentenza impugnata ha assolto l'imputato in relazione alla ritenuta insussistenza del fatto come contestato nell'editto accusatorio, cioè la mancata predisposizione del cosiddetto "uomo a terra" perché prevista dal DVR. Per cui non c'è giudicato che fa stato rispetto al fatto diverso.

In altri termini, la parte civile potrà invece, se lo riterrà, proporre azione civile per il diverso fatto, in ogni caso da dimostrare, costituito dal non avere il datore di lavoro previsto indiscriminatamente la presenza dell'ausilio del preposto a terra, anche dunque per casi come quelli in cui è avvenuto l'incidente in cui l'operatore si trovava a manovrare la macchina in un ampio piazzale.

7. Anche i due profili di doglianza afferenti all'assoluzione dei C.C. sono infondati in quanto sollecitano a questa Corte una non consentita rivalutazione del fatto. E, soprattutto, indugiano su temi già proposti nel corso del processo, su cui peraltro è stata fornita dai giudici del merito esaustiva risposta, che esulano o poco incidono sulla motivazione con cui i giudici di appello hanno assolto l'imputato.

Secondo la parte civile ricorrente sussisterebbe la colpa del C.C. in quanto i pur esistenti percorsi che delimitavano il transito dei lavoratori nel piazzale dovevano essere muniti di accorgimenti che impedissero di uscirne. Oppure si sarebbe sin da subito dovuto prevedere, come poi accaduto dopo l'incidente anche a seguito della prescrizione della ASL, una collocazione degli spogliatoi tale che il fuoriuscirne non comportasse l'attraversamento del piazzale dove si trovavano i mezzi meccanici in movimento. Inoltre, si contesta l'affermazione dei giudici di appello secondo cui il lavoratore si era allontanato di 5 o 6 metri dal percorso delimitato ritenendo di dare maggior credito alla versione fornita dalla stessa persona offesa secondo cui egli se ne sarebbe discostato di soli 1 o 2.

In realtà i motivi di ricorso non partono - come è giusto che fosse e come ha fatto il giudice di secondo grado, che peraltro come richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità si è confrontato in maniera approfondita con la pronuncia assolutoria di primo grado prima di ribaltarla- dalla contestazione mossa al C.C..

Come si evince dall'editto accusatorio a tale imputato, nella qualità di datore di lavoro della società Ambiente Spa, era stato contestato; 1) di avere omesso di tracciare e stabilire un adeguato percorso della via di esodo e di emergenza che dai locali posti sotto il capannone lavoro o dal locale spogliatoio conducesse fino all'uscita dello stabilimento durante lo svolgimento delle operazioni di sistemazione dei materiali depositati nel piazzale; 2) di non aver previsto appositamente nel documento di valutazione dei rischi quelli interferenti nel piazzale antistante il capannone C durante il funzionamento delle macchine operatrici predisponendo le opportune misure e assicurando di conseguenza l'adeguata formazione in proposito dei lavoratori addetti e a quelli interessati al percorso delle vie di esodo.

Il prevenuto era chiamato a rispondere, alla stregua dell'imputazione, in altri termini, sia dell'asserita inadeguatezza del percorso pedonale di esodo e sia per non aver inserito nel DVR della Ambiente Spa la valutazione dei rischi concernenti le manovre delle macchine operatrici all'interno del piazzale, nonché per non aver curato un'adeguata formazione dei dipendenti in riferimento proprio al percorso delle vie di esodo.

Ebbene nella pronuncia oggi impugnata si dà atto anche per tale imputato che il tema dell'omessa o inadeguata formazione dell'A.A. non è stato in alcun modo esplorato nella sentenza di primo grado, avendo il tribunale nolano solo osservato che, dopo l'incidente, la società del C.C. era stata invitata a formare i lavoratori sulle nuove vie di esodo e sui comportamenti da assumere, con riferimento al divieto assoluto di attraversare le zone operative quando sono in funzione i mezzi e all'obbligo di usare le nuove vie di esodo.

Anche per il C.C., si dà atto tuttavia della produzione da parte della difesa di attestati di formazione e informazione dei dipendenti della Ambiente Spa che non sono stati in alcun modo valutati dal giudice di primo grado. E di come il dott. E.E., come evidenziato dalla difesa, avesse riferito che la Ambiente Spa aveva provveduto alla formazione dei dipendenti e che era necessaria solo una nuova formazione/informazione concernente l'adeguamento, richiesto dall'ASI., delle vie di esodo.

Sul punto, confrontandosi con le censure della parte civile riproposte acriticamente in questa sede, osserva in sentenza la Corte territoriale che la richiesta di adeguamento tecnico della via di esodo ovvero la successiva modifica dello stato dei luoghi non implicano certo, di per sé, la colpa degli imputati nella gestione della via di esodo al momento del sinistro, rispondendo ciò a diversi criteri di valutazione e di analisi.

Quanto al contenuto del DVR, la Corte partenopea evidenzia come già il giudice nolano avesse osservato (a pag. 13 della propria pronuncia) che quello della Ambiente Spa conteneva la previsione che il personale dovesse indossare DPI ad alta visibilità durante gli spostamenti nel piazzale e il divieto di spostamenti al di fuori dei percorsi pedonali, specificando che il percorso pedonale era segnalato da strisce colorate.

Dunque, anche su tale punto si evidenzia in sentenza come la contestazione cristallizzata nell'imputazione (mancata previsione specifica dei rischi riguardanti la circolazione nel piazzale di macchine operatrici) non fosse stata analizzata in maniera specifica né riempita di contenuto dal giudice di primo grado, atteso che comunque il documento in atti conteneva già delle prescrizioni concernenti il comportamento dei lavoratori nella fase dell'attraversamento del piazzale.

In specie, i giudici del gravame del merito danno atto che, come evidenziato dalla difesa, nel DUVRI della Ambiente Spa era stato individuato specificamente il rischio di persone durante l'accesso con veicoli o durante le lavorazioni che richiedono l'impiego di automezzi ed erano state, altresì, stabilite misure per evitarlo, come ad esempio l'obbligo a carico del personale di rispettare la segnaletica orizzontale e verticale durante la circolazione all'interno delle varie aree, l'obbligo di mantenere la distanza di sicurezza dai mezzi in movimento, l'obbligo di mantenere le vie di esodo pedonale sgombre da materiali e persino il divieto del passaggio di persone durante la circolazione degli automezzi (il richiamo è al paragrafo 5 del DUVRI).

Come si osserva in sentenza l'idoneità del documento è poi stata effettivamente confermata dal tecnico dott. E.E., a detta del quale erano stati redatti tre documenti di sicurezza, uno ciascuno di valutazione dei rischi da parte delle due società e un terzo dedicato ai rischi legati alle /possibili interferenze tra le attività delle stesse; egli ha poi aggiunto che non erano state riscontrate inadempienze di tipo generale sotto il profilo della mancata valutazione dei rischi e della mancata formazione e che si era in presenza di un comportamento "non consono" dei lavoratori coinvolti.

Dirimente a fondare la congrua e logica conclusione dei giudici partenopei che alla luce del materiale probatorio testé riepilogato non possano dirsi sussistenti a carico del C.C. gli addebiti colposi relativi alla incompletezza del DUVRI e all'inadeguata formazione dei lavoratori è la circostanza che al momento del fatto la vittima non rispettò affatto le prescrizioni indicate nel DUVRI.

8. La sentenza impugnata si sofferma analiticamente su quello che a giudizio della Corte partenopea è l'aspetto più rilevante ai presenti fini, ovvero l'inadeguatezza della via di esodo, e sul tema centrale del carattere abnorme, eccezionale ed imprevedibile del comportamento del lavoratore.

Sul punto, viene correttamente ricordato il dictum di Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018 Bozzi Rv. 272222 - 01 secondo cui "il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro".

Conferente appare anche il richiamo a Sez. 3, n. 38209 del 07/07/2011, Negri Rv. 251294 - 01 ove si è affermato che "il datore di lavoro non risponde per la mancata adozione di misure atte a prevenire il rischio di infortuni ove la condotta non sia esigibile per l'imprevedibilità della situazione di pericolo da evitare (nella cui motivazione la Corte, in una fattispecie nella quale l'operaio deceduto aveva agito in palese violazione delle specifiche prescrizioni impostegli dal suo datore di lavoro, ha precisato che, in tal caso, la condotta colposa del lavoratore assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento)".

Ebbene, come ricorda la Corte territoriale, nel caso in esame, dall'istruttoria è emerso che: 1) A.A., per ragioni del tutto contingenti e imprevedibili da parte del C.C., al momento del sinistro si trovava in azienda sebbene il suo orario di lavoro fosse terminato da oltre due ore ed ha attraversato il piazzale in un orario in cui - sia a causa dell'assenza di operai che dell'accumulo di rifiuti - vengono di solito azionati i mezzi meccanici per la movimentazione dei rifiuti; 2) il D.D., che è risultato essere stato formato in maniera adeguata sui rischi connessi alla manovra del mezzo, poteva legittimamente attendersi che non vi fossero lavoratori che in quella fascia oraria attraversassero il piazzale, per di più ben al di fuori del percorso segnalato; 3) il percorso non poteva dirsi intrinsecamente pericoloso né inadeguato essendo stato tracciato, per forza di cose, all'interno del vastissimo piazzale che occupava la quasi totalità della superficie dell'opificio ed essendo stato segnalato.

Del resto, a differenza di quanto sostenuto dalla parte civile ricorrente, il tema, alla luce delle contestazioni, non è quello della pericolosità della via di esodo, bensì quello del suo essere ingombra e non percorribile quale causa determinante della scelta della vittima di allontanarsi da essa nell'uscire dallo stabilimento. E in tale ottica corretto appare il rilievo della Corte territoriale che il fatto che in altre occasioni - da alcune fotografie in atti - sia emerso che la via di esodo fosse impegnata da rifiuti o mezzi meccanici (pag. 9 della memoria della parte civile) non ha alcun rilievo nel caso di specie perché nulla dimostra direttamente in ordine allo stato dei luoghi al momento del fatto.

Resta il dato di un percorso evidenziato da strisce bianche e gialle, nonché da segnaletica verticale, e che i lavoratori della Ambiente Spa, come dichiarato del teste G.G. e del dott. E.E., erano stati formati anche sull'uso dei segnali medesimi, pure mediante la distribuzione di appositi opuscoli.

Con motivazione logica e congrua i giudici partenopei evidenziano che il fatto che il percorso fosse parzialmente ingombro non ha assunto valenza dirimente nella decisione dell'infortunato di spostarsi, giacché - come chiarito dal primo giudice - l'ingombro era minimo (bottigliette di plastica e fili di ferro) e non tale da rendere concretamente impraticabile il percorso segnalato; e il mezzo che l'ha colpito, era dotato, per come riferito dalla stessa vittima, di apparecchi sonori e luminosi di segnalazione.

Per la Corte territoriale, quando è avvenuto l'incidente, la parte civile si trovava a circa sei o sette metri dalle vie di esodo pedonale, come dichiarato dal C.C. (che sopraggiunse sul posto nell'immediatezza dei fatti) e come confermato dal teste di p.g. Omissis, che intervenne subito dopo l'incidente fotografando il luogo dell'investimento, sito a circa 6 o 7 metri dal camminamento di transito.

La conclusione logica, per la Corte partenopea, è che la decisione di uscire, non di poco, dal percorso segnalato fu estemporanea e ascrivibile solo a una scelta dell'A.A., in quanto dagli atti emerge che la via di esodo non era a tal modo ingombra da risultare impercorribile;

Rilevano, dunque, i giudici del gravame del merito che a carico dell'A.A., che è risultato essere stato adeguatamente formato sul punto, il DUVRI poneva specifici doveri di comportamento, come ad esempio quello di rispettare la segnaletica orizzontale e verticale durante la circolazione delle aree all'interno dell'azienda, di mantenere la distanza di sicurezza dai veicoli in movimento e finanche il divieto di transito durante la circolazione degli automezzi (paragrafo 5 del DUVRI). Egli ha, invece, consapevolmente violato tali regole percorrendo un tragitto notevolmente diverso rispetto a quello segnalato, nonostante vi fosse un mezzo meccanico in movimento (dotato di segnalatori acustici e luminosi) e senza fare attenzione a tenersi a distanza dallo stesso.

Si è trattato, insomma, secondo la logica valutazione dei giudici del gravame del merito, di un comportamento più che imprudente, posto in essere autonomamente e al di fuori delle prescrizioni imposte, peraltro temuto in maniera imprevedibile dal C.C., sia a causa della formazione/informazione impartita, sia dell'orario in cui il lavoratore si trovava ancora in azienda e sia perché la pulizia delle aree non rientra tra i compiti della Ambiente Spa ma è oggetto di un contratto di appalto con la Neogea Spa; inoltre, dagli atti emerge che i soggetti deputati a controllare che detta compagine operasse bene erano i lavoratori F.F. e G.G., esplicitamente a ciò delegati in base al contratto di appalto allegato in atti.

Tali considerazioni hanno, perciò, indotto la Corte territoriale a ritenere che il cd. comportamento alternativo lecito preteso dal C.C. e su cui torna l'odierno ricorso (nella specie, allocare diversamente le vie di esodo o prevedere barriere fisiche a tutela dei pedoni) non avrebbe avuto un'efficacia impeditiva rispetto all'evento dannoso, giacché l'incidente avvenne molto al di fuori della via di esodo segnalata e la decisione della vittima non fu determinata dal fatto che egli reputasse rischiosa la via segnalata a causa della sua allocazione, ovvero perché mancavano le barriere oppure la segnaletica era sbiadita, ma semplicemente dalla presenza di alcuni rifiuti sulla sede, non tali tuttavia da impedire del tutto il passaggio.

9. La sentenza impugnata si colloca nel solco e fa tesoro dei principi affermati da Sez. 4, n. 8883 del 10/02/2016, Santini, Rv. 266073 - 01 che vanno qui ribaditi, in cui si chiarì che il sistema della normativa antinfortunistica si è evoluto passando da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro, quale soggetto garante investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, ad un modello "collaborativo" in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori (il caso era quello di un elettricista esperto - cui era stato affidato un lavoro da svolgersi attraverso un elevatore e con una serie di strumenti di protezione di cui era stato dotato - soggetto particolarmente esperto di sicurezza sul lavoro essendo stato egli stesso nominato responsabile della sicurezza dei lavoratori della sua azienda, che decise, forse per fare più in fretta, o comunque incautamente, di salire sul tetto per meglio posizionare i fili, percorrendo il tratto ricoperto da sottili lastre di eternit, che inevitabilmente si sfondò, e precipitò al suolo).

Tale principio, normativamente affermato dal Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro di cui al D.Lgs. 9.04.2008 n. 81, naturalmente non esclude, per la giurisprudenza di questa Corte (cfr. ex multis Sez. 4, n. 7364 del 14.1.2014, Scarselli, Rv. 259321) che permanga la responsabilità del datore di lavoro, a fronte del comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente. Ciò perché la carenza dei dispositivi di sicurezza, e anche il loro costante non utilizzo, non può certo essere sostituita dall'affidamento del datore di lavoro sul comportamento prudente e diligente di quest'ultimo.

Il diverso tema che ci occupa è quello relativo all'esistenza e alla predisposizione dei presidi antinfortunistici, rispetto all'utilizzo dei quali il lavoratore era stato anche formato, e al loro estemporaneo e volontario non utilizzo da parte di quest'ultimo.

Come ricorda anche sez. 4, n. 41486 del 5.5.2015, Viotto, non mass. 5 -che il Collegio condivide pienamente- in giurisprudenza, da; principio "dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore" (che s. rifà spesso all'art. 2087 del codice civile), si è passati - a seguito dell'introduzione del D.Lgs. 626/94 prima e, successivamente, del T.U. 81/2008 - al concetto di "area di rischio" (cfr. Sez. 4, n. 36257 del 01/07/2014, Colucci, Rv. 260294; Sez. 4, n. 43168 del 17/6/2014, Cinque, Rv. 260947; Sez. 4, n. 21587 del 23/03/2007, Pelosi, Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva.

Nello stesso solco si è affermato più recentemente che, in tema di infortuni sul lavoro, la condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non è solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell'ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (così Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, Musso, Rv. 275017 - 01 che ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva escluso la responsabilità del datore di lavoro per le lesioni riportate da un lavoratore che, per sbloccare una leva necessaria al funzionamento di una macchina utensile, aveva introdotto una mano all'interno della macchina stessa anziché utilizzare l'apposito palanchino di cui era stato dotato).

In modo strettamente connesso all'"area di rischio" o alla "sfera di rischio" che l'imprenditore è tenuto a dichiarare nel DVR, si sono, perciò, andati ad individuare i criteri che consentissero di stabilire se la condotta del lavoratore dovesse risultare appartenente o estranea al processo produttivo o alle mansioni di sua specifica competenza.

Si è dunque affermato il concetto di comportamento "esorbitante", diverso da quello "abnorme" del lavoratore. Il primo riguarda quelle condotte che fuoriescono dall'ambito delle mansioni, ordini, disposizioni impartiti dal datore di lavoro o di chi ne fa le veci, nell'ambito del contesto lavorativo, il secondo, quello, abnorme, già costantemente delineato dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità, si riferisce a quelle condotte poste in essere in maniera imprevedibile dal prestatore di lavoro al di fuori del contesto lavorativo, cioè, che nulla hanno a che vedere con l'attività svolta.

Il T.U. 81/2008 impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e comunque di agire con diligenza, prudenza e perizia.

Le tendenze giurisprudenziali -va qui ribadito- si dirigono anch'esse verso una maggiore considerazione della responsabilità dei lavoratori (c.d. "principio di autoresponsabilità del lavoratore). In buona sostanza, si abbandona il criterio esterno delle mansioni e - come condivisibilmente rilevava la sentenza 41486/2015, "si sostituisce con il parametro della prevedibilità intesa come dominabilità umana del fattore causale".

Il datore di lavoro non può avere, dunque, come si riteneva in passato, un obbligo di vigilanza assoluta rispetto al lavoratore, ma una volta che ha fornito tutti i mezzi idonei alla prevenzione ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, egli non risponderà dell'evento derivante da una condotta imprevedibilmente colposa del lavoratore.

Questi principi si attagliano specificamente al caso di specie, essendo rimaste provate non solo la valutazione preventiva del rischio derivante dalla movimentazione dei mezzi nel piazzale, ma anche la concreta dotazione al lavoratore, nel frangente dell'infortunio, di un percorso segnalato per transitare in sicurezza.

10. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna della parte civile ricorrente al pagamento delle spese del procedimento

 

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 16 maggio 2024.

Depositata in Cancelleria il 3 giugno 2024.