Cassazione Civile, Sez. Lav., 05 giugno 2024, n. 15697 - Covid e vaccinazione obbligatoria: sospensione dal servizio e dalla retribuzione. Obbligo di repechage
Nota a cura di Serra Dionisio, in Labor on line, 15.7.2024 "Sulla prima e sulla seconda fase dell’obbligo vaccinale Covid per gli operatori sanitari"
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio - Presidente
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa -Consigliere
Dott. TRICOMI Irene - Consigliere
Dott. BELLÈ Roberto - Rel. Consigliere
Dott. CAVALLARI Dario - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 10847-2023 proposto da:
ASL 2 AZIENDA SOCIOSANITARIA LIGURE, elettivamente domiciliata in Roma, Via Simeto 27 presso lo studio dell'Avv. Paola Baglio, che la rappresenta e difende;
- ricorrente -
contro
A.A., B.B., C.C., D.D., E.E., F.F., G.G., H.H., I.I., J.J., domiciliati come da Pec registri di giustizia presso l'Avv. Roberto Penello, che li rappresenta e difende
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 12/2023 della CORTE D'APPELLO di GENOVA, depositata il 12.1.2023, R.G.N. 165/2022;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/03/2024 dal Consigliere dott. ROBERTO BELLÈ;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l'avvocato PAOLA BAGLIO per la ricorrente.
Fatto
1. La Corte d'Appello di Genova ha riformato la sentenza del Tribunale di Savona con cui era stata rigettata la domanda proposta dai lavoratori meglio indicati in epigrafe, in servizio presso la ASL n. 2 Savonese come operatori socio-sanitari, al fine di sentir accertare l'illegittimità della sospensione dal servizio e dalla retribuzione, attuate nei loro confronti dal datore di lavoro, in ragione del non essersi gli stessi sottoposti alla vaccinazione obbligatoria Covid ai sensi dell'art. 4 del D.L. 44/2021.
La Corte territoriale evidenziava come il comma 8 dell'art. 4, nel testo vigente al momento dei provvedimenti di sospensione, prevedeva che "ove possibile" i lavoratori fossero adibiti a mansioni anche inferiori e riteneva che le argomentazioni della ASL, per quanto astrattamente ragionevoli e condivisibili, non fossero sorrette neppure da un principio di prova da cui poter trarre elementi indiziari, mancando l'indicazione di quanti fossero in proporzione i lavoratori non vaccinati rispetto al totale numero dei sanitari, di quanti posti non a contatto con l'utenza e non a rischio fossero stati assegnati ai non vaccinati esentati e se vi fosse stata assunzione di operatori sanitari in sostituzione dei non vaccinati.
La Corte territoriale aggiungeva che, in mancanza di quei dati, le sospensioni restavano aprioristiche e assunte senza tenere conto delle effettive criticità, anche considerato che gli stessi dirigenti dei singoli dipartimenti interpellati, nelle risposte alla ricognizione da parte dell'Ufficio delle risorse umane dell'ente, avevano fornito risposte astratte e stereotipate.
2. La ASL ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, poi illustrati da memoria.
I lavoratori hanno resistito con controricorso, parimenti seguito da memoria. Anche il Pubblico Ministero ha depositato memoria, con la quale ha insistito per il rigetto del ricorso.
Diritto
1. Va preliminarmente disattesa l'istanza di rinvio della discussione fatta pervenire dal difensore dei controricorrenti in ragione di un virus intestinale contratto in prossimità dell'udienza, con prognosi di giorni quattro.
L'istanza non contiene alcuna menzione all'impossibilità - in sé non insita in qualunque stato patologico e tanto meno in presenza di un generico virus intestinale con prognosi assai contenuta - di una sostituzione del difensore. Vale pertanto il consolidato principio per cui "l'istanza di rinvio dell'udienza di discussione per grave impedimento del difensore, ai sensi dell'art. 115 disp. att. c.p.c., allorché non faccia riferimento all'impossibilità di sostituzione mediante delega conferita ad un collega, si risolve nella prospettazione di un problema attinente all'organizzazione professionale del difensore, che non rileva ai fini del richiesto differimento" (Cass., S.U., 26 marzo 2012, n. 4773; Cass. 17 ottobre 2014, n. 22094; Cass. 3 maggio 2018, n. 10546; Cass. 10 giugno 2020, n. 11121).
2. Va altresì disattesa, sempre in via preliminare, l'eccezione di improcedibilità del ricorso per mancato deposito della sentenza notificata con corrispondente relata, perché in realtà quel deposito è stato eseguito ab origine (doc. 03 della ricorrente); quel documento è riportato anche nell'indice e contiene l'originale telematico della notificazione eseguita dall'Avv. Penello all'Avv. Pipicelli, difensore in appello della ASL, in data 7.4.2023, data rispetto alla quale la notifica del ricorso per cassazione, avvenuta il 15.5.2023, è tempestiva in quanto rispettosa del termine di sessanta giorni di cui all'art. 325, co. 2, c.p.c.
3. Nel merito, la ricorrente, con il primo motivo di impugnazione, assume la violazione dell'art. 4, co. 8 del D.L. 44/2021, dell'art. 2697 c.c. ed egli artt. 3 e 5 della L. n. 604/1966, in relazione anche a quanto deciso da Corte costituzionale 9 febbraio 2023, n. 15, sul presupposto che non poteva né assimilarsi, come alla fine era avvenuto, l'assetto giuridico del repechage previsto in ambito di licenziamento a quello stabilito dall'art. 4, co. 8, cit., né addossarsi di conseguenza l'onere della prova della possibilità di repechage sul datore di lavoro, senza contare la possibilità di ricorrere alle presunzioni e al fatto che lo stesso legislatore, modificando poi il D.L. 44/2021, aveva eliminato il repechage, mantenendolo solo rispetto ai soggetti che l'art. 4, co. 2 esentava dalla vaccinazione.
Il secondo motivo assume la violazione delle stesse norme, oltre che dell'art. 1 L. 241/1990, dell'art. 97 Cost. e dell'art. 2700 c.c. e con esso si afferma che l'argomentare probatorio della Corte territoriale avrebbe sottovalutato la natura assolutamente eccezionale della normativa coinvolta in causa, finendo altresì per violare sia la discrezionalità esistente in capo alle Aziende nel delineare l'assetto organizzativo più funzionale ai propri obiettivi, sia l'art. 2700 c.c. che avrebbe imposto di valorizzare l'efficacia probatoria fino a querela di falso della Deliberazione aziendale n. 626/21.
4. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente data la loro stretta connessione logica, sono fondati, ma nei soli limiti di seguito precisati.
5. È preliminare ad ogni altra considerazione l'esame della normativa con la quale il legislatore, a fronte dell'emergenza sanitaria di rilevanza internazionale data dalla diffusione e gravità dell'epidemia da SARS - Cov 2 (che già l'11 marzo 2020 l'OMS aveva definito "pandemia"), ha adottato misure finalizzate a tutelare la salute pubblica e, fra queste, ha incluso la vaccinazione, che le più autorevoli voci scientifiche a livello mondiale indicavano come strumento idoneo a contrastare la diffusione del virus.
5.1. Con l'art. 4 del D.L. n. 44 del 1° aprile 2021, convertito con modificazioni nella legge n. 76 del 28 maggio 2021, è stato previsto l'obbligo vaccinale per "gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all'articolo 1, comma 2, della Legge 1° febbraio 2006, n. 43, che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali" e si è individuato nella vaccinazione, da somministrare nel rispetto del piano disciplinato dalla Legge n. 178 del 2020, art. 1, comma 457, nonché delle indicazioni fornite dalle regioni, un "requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati".
Dall'obbligo vaccinale il legislatore ha esentato, fra gli appartenenti alle categorie sopra indicate, solo coloro che si trovavano in una condizione di "accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale".
Nell'iniziale formulazione la norma, oltre a stabilire una rigida scansione di adempimenti a carico degli ordini professionali, delle regioni e province autonome, nonché delle aziende sanitarie locali (commi da 3 a 6, che non hanno specifica rilevanza ai fini di causa), prevedeva, al comma 6, che l'accertamento da parte dell'azienda sanitaria locale di mancato adempimento dell'obbligo vaccinale "determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS - Cov 2".
Aggiungeva il comma 8 che il datore di lavoro, ricevuta comunicazione dell'accertamento, era tenuto ad adibire "il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio".
La disposizione si concludeva con la previsione, in caso di impossibilità di una diversa utilizzazione del prestatore, della sospensione dal servizio, accompagnata dalla privazione della retribuzione e di ogni altro emolumento, ed efficace sino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021 (comma 8: Quando l'assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9 non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato; comma 9: La sospensione di cui al comma 6 mantiene efficacia fino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il31 dicembre 2021.)
5.2. In questa prima fase, dunque, il bilanciamento fra il diritto del singolo tutelato dall'art. 32 Cost., comprensivo anche della libertà negativa di non essere assoggettato a trattamenti sanitari non richiesti o non accettati, e l'interesse della collettività alla tutela della salute pubblica, è stato realizzato dal legislatore prevedendo un modello che, come efficacemente evidenziato dalla Corte Costituzionale, "pur individuando in determinate categorie i destinatari dell'obbligo vaccinale, ne delimitava il perimetro in modo tale da rapportarlo al concreto svolgimento dell'attività lavorativa e ammettendo anche la possibilità di utilizzare diversamente, nel contesto lavorativo, coloro che non si sottoponessero alla vaccinazione" (Corte Cost. 9 ottobre 2023 n. 186).
6. La scelta inizialmente operata è stata ripensata dal legislatore che, a seguito dell'aggravarsi della situazione sanitaria, ha reso più stringenti i vincoli posti alle categorie che qui vengono in rilievo e con il D.L. 26 novembre 2021 n. 172, convertito dalla Legge 21 gennaio 2022 n. 3, ha modificato il testo del richiamato art. 4 del D.L. n. 44 del 2021 ed in particolare:
a) al comma 1 ha soppresso l'inciso "che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali", di modo che all'esito della riformulazione i destinatari dell'obbligo vaccinale sono stati individuati sulla base della sola categoria professionale di appartenenza, senza alcuna considerazione dei servizi e dei luoghi di espletamento dell'attività lavorativa;
b) è stato parimenti soppresso il potere/dovere del datore di lavoro, previsto dal comma 8 del testo originario, di adibire il lavoratore non vaccinato a mansioni non comportanti rischio di diffusione del contagio, potere/dovere che è rimasto circoscritto alla sola ipotesi di vaccinazione non effettuata a causa di accertato e documentato pericolo per la salute;
c) all'accertamento del rifiuto della vaccinazione è stata correlata la sospensione dall'esercizio della professione sanitaria nella sua interezza e non delle sole prestazioni implicanti contatti interpersonali;
d) è stato inserito il comma 10 dell'art. 4 secondo cui "per la verifica dell'adempimento dell'obbligo vaccinale da parte degli operatori di interesse sanitario di cui al comma 1, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 4-ter, commi 2, 3 e 6.
6.1. L'art. 4-ter, richiamato dal citato comma 10 del riformulato art. 4 ed inserito nel testo dell'originario D.L. n. 44 del 2021 sempre dal D.L. n. 172 del 2021 ha dettato una specifica disciplina degli adempimenti posti a carico dei dirigenti preposti alle strutture alle quali l'obbligo vaccinale è stato esteso, al fine di assicurare il pronto accertamento dell'avvenuto rispetto dell'obbligo medesimo (commi 2 e 3).
Ha poi previsto, ricalcando l'analoga disposizione contenuta nell'art. 4, comma 6, che "L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati." (ancora comma 3).
Infine, sul presupposto della contrarietà a diritto dello svolgimento di attività lavorativa in violazione dell'obbligo vaccinale, il legislatore ha previsto, al comma 5, che "Lo svolgimento dell'attività lavorativa in violazione dell'obbligo vaccinale di cui al comma 1 è punito con la sanzione di cui al comma 6 e restano ferme le conseguenze disciplinari secondo i rispettivi ordinamenti di appartenenza.", ed ha affermato l'applicabilità della medesima sanzione alle categorie di personale soggette all'obbligo vaccinale ai sensi degli artt. 4 e 4 bis del Decreto Legge, come riformulato (Le disposizioni di cui al primo periodo si applicano anche in caso di esercizio della professione o di svolgimento dell'attività lavorativa in violazione degli obblighi vaccinali di cui agli articoli 4 e 4-bis.). In particolare il comma 6 dell'art. 4-ter, nel rinviare alla disciplina delle sanzioni dettata dall'art. 4 del D.L. 25 marzo 2020 n. 19 (riferibile alla violazione delle misure di contenimento dettate per evitare la diffusione del COVID 19), ha precisato che " Per le violazioni di cui al comma 5, la sanzione amministrativa prevista dal comma 1 del citato articolo 4 del Decreto-Legge n. 19 del 2020 è stabilita nel pagamento di una somma da euro 600 a euro 1.500. ".
È poi significativo osservare che il legislatore, rendendo evidente la doverosità della vaccinazione e l'assenza di qualsivoglia discrezionalità da parte dei datori di lavoro, abbia assoggettato a sanzione anche questi ultimi, in caso di omissione degli adempimenti necessari al fine di assicurare il rispetto dell'obbligo vaccinale.
Infatti il comma 6, nel prevedere che "La violazione delle disposizioni di cui al comma 2 è sanzionata ai sensi dell'articolo 4, commi 1, 3, 5 e 9, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35" deve essere riferito all'inciso "I dirigenti scolastici e i responsabili delle istituzioni di cui al comma 1, lettera a), i responsabili delle strutture in cui presta servizio il personale di cui al comma 1, lettere b), c) e d), assicurano il rispetto dell'obbligo di cui al comma 1.", atteso che lo svolgimento di attività lavorativa in assenza dell'assolvimento dell'obbligo, e, quindi, del requisito richiesto dalla prima parte del comma 2, è già autonomamente considerato e sanzionato nel comma 5 della disposizione.
6.2 Corte Costituzionale 9 febbraio 2023, n. 15, nel ritenere non fondate le plurime questioni di legittimità prospettate dai giudici rimettenti, ricostruita l'evoluzione del quadro normativo, ha sottolineato che con la modifica introdotta dal D.L. n. 172/2021 il legislatore ha scelto di non esigere più dal datore di lavoro uno sforzo di cooperazione volto all'utilizzazione del personale inadempiente in altre mansioni ed ha ritenuto non irragionevole detta scelta, in considerazione delle finalità di tutela della salute del lavoratore stesso, degli altri lavoratori e dei terzi, portatori di interessi costituzionali prevalenti sull'interesse del dipendente, la cui tutela, nella situazione di emergenza venutasi a delineare, si intendeva perseguire.
D'altra parte, si può qui rilevare, è razionale che, evolvendosi l'obbligo vaccinale nel senso di coinvolgere la "categoria" in sé degli operatori sanitari, a prescindere dei servizi e dei luoghi di espletamento dell'attività lavorativa (v. supra, punto 6, lett. a), venisse correlativamente meno l'obbligo di repechage, non avendo più fondamento, a quel punto, un tentativo di ricollocazione di personale che, a parte il caso di chi fosse esentato per altre ragioni dalla vaccinazione, nella propria generalità non era più ammesso al lavoro se non previa copertura vaccinale.
Sempre Corte Costituzionale n. 15 cit. ha, poi, evidenziato, e le considerazioni espresse vanno integralmente richiamate perché condivise da questa Corte, che, una volta venuto meno, in relazione alle categorie sottoposte all'obbligo vaccinale, il dovere datoriale di repechage, il rifiuto della prestazione offerta dal lavoratore non vaccinato non integra mora credendi, perché fondato sulla carenza di un requisito essenziale di carattere sanitario per lo svolgimento della prestazione stessa e ciò giustifica anche la sospensione dell'obbligo retributivo e la mancata previsione dell'assegno alimentare perché, se il riconoscimento di quest'ultimo "si giustifica alla luce della necessità di assicurare al lavoratore un sostegno allorquando la temporanea impossibilità della prestazione sia determinata da una rinuncia unilaterale del datore di lavoro ad avvalersene e da atti o comportamenti che richiedono di essere accertati in vista della prosecuzione del rapporto, ben diverso è il caso in cui, per il fatto di non aver adempiuto all'obbligo vaccinale, è il lavoratore che decide di sottrarsi unilateralmente alle condizioni di sicurezza che rendono la sua prestazione lavorativa, nei termini anzidetti, legittimamente esercitabile".
7. Tirando le fila del discorso, va detto che la legittimità delle sospensioni disposte dal datore di lavoro in conseguenza del mancato adempimento di detto obbligo vaccinale deve essere verificata sulla base della disciplina vigente ratione temporis e, pertanto, nella prima fase, che va dall'entrata in vigore del D.L. n. 44/2021 (1° aprile 2021) sino all'entrata in vigore del D.L. n. 172/2021 (26 novembre 2021), il datore di lavoro aveva un obbligo di repechage generalizzato, mentre nella seconda fase, iniziata con il D.L. 172/2021, la sospensione doveva essere disposta, in caso di rifiuto della vaccinazione e senza alcuna discrezionalità da parte del datore di lavoro (cfr. Cass., S.U., 5 aprile 2023, n. 9403), per tutti gli appartenenti alle categorie indicate nell'art. 4, comma 1, in ragione della sola qualifica posseduta ed a prescindere da qualunque valutazione sulle mansioni espletate e fatti salvo soltanto gli esentati per ragioni di salute di cui al comma 2.
7.1 Tutto ciò ha comportato che gli operatori sanitari che, nella prima fase, erano esentati in ragione dell'attività in concreto svolta o potevano fare affidamento sull'obbligo del repechage imposto al datore di lavoro, nella seconda fase, persistendo il rifiuto, sono divenuti, per espressa volontà del legislatore, inidonei allo svolgimento dell'attività lavorativa - il tutto sempre fatta eccezione per gli esentati per ragioni di salute, sempre soggetti incondizionatamente al repechage - con le conseguenze di cui sopra si è già dato conto, quanto alla necessità della sospensione ed alla sanzionabilità della condotta tenuta in violazione del divieto posto dalla normativa sopravvenuta.
7.2 Detta evoluzione va apprezzata anche nei casi in cui si discute della legittimità di provvedimenti di sospensione adottati nella vigenza dell'originario art. 4 del D.L. n. 44/2021 perché, sebbene la valutazione sulla legittimità del provvedimento debba essere espressa in relazione alla normativa vigente ratione temporis, nondimeno dello ius superveniens occorre tener conto per determinare le conseguenze che derivano dall'eventuale illegittimità della sospensione medesima, se disposta nella prima fase in violazione della normativa di Legge.
Si è già ricordato che la Corte costituzionale, nell'escludere l'illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui prevede anche la sospensione dell'obbligo retributivo, ha condivisibilmente evidenziato che questo obbligo, in assenza di prestazione, può sorgere solo in presenza di mora credendi del datore di lavoro, ossia di rifiuto ingiustificato dell'attività lavorativa che, invece, il dipendente avrebbe potuto legittimamente rendere.
Pertanto, il dipendente che, in ipotesi illegittimamente sospeso nella vigenza del testo originario del D.L. n. 44 del 2021 senza verifica di una sua diversa collocazione lavorativa, risultasse ancora non vaccinato pur dopo il sopravvenire del regime di cui al D.L. n. 172, non ha più diritto alle retribuzioni per il periodo successivo al mutamento normativo.
8. Resta da definire quale sia la data dirimente, nel passaggio tra l'una e l'altra delle fasi la cui scansione come sopra ricostruite,
In proposito, nonostante il D.L. n. 172 del 2021 cit. sia entrato in vigore fin dal 27.11.2021, ritiene il collegio che il discrimine temporale tra le due diverse discipline succedutesi nel tempo sia da fissare al 15.12.2021.
Infatti, il rinvio dell'art. 4 co. 10, alle disposizioni dei neointrodotti commi 2, 3 e 6 dell'art. 4-ter, nonché il richiamo del co. 5 della stessa norma ai casi dell'art. 4, fa ritenere che sia unitario anche l'evolversi temporale delle discipline sostanziali, cui va aggiunta l'osservazione per cui la medesima data è considerata dall'art. 4, co. 1, con riferimento all'eventuale integrazione dei vaccini con la dose di richiamo, profilo anch'esso che fa propendere per un'unificazione in quel medesimo contesto temporale dello svilupparsi nei sensi sopra esposti del regime normativo.
È invece da escludere che abbiano rilievo gli adempimenti cui all'art. 4, co. 3 ss., che riguardano gli Ordini professionali, le cui decisioni finali di sospensione dall'esercizio delle professioni possono avere conseguenze sui rapporti di lavoro, senza però togliere che rispetto a questi ultimi valga il divieto di prestazione che è insito nella sanzione comminata dall'art. 4-ter, co. 5, espressamente estesa allo "svolgimento dell'attività lavorativa in violazione degli obblighi vaccinali di cui agli articoli 4" (che qui interessa) "e 4-bis".
Divieto che relega altresì a mero iter procedimentale, da seguire a cura del datore di lavoro - anche per i fini di cui alla sanzione del comma 6 - quanto previsto dal comma 3 del medesimo art. 4-ter, ma che porta a ritenere che fin dal 15.12.2021 il mancato pagamento della retribuzione agli operatori sanitari che non si fossero vaccinati non fosse più contra ius.
8.1 La ricostruzione in questi termini dell'evolversi temporale della disciplina sugli obblighi vaccinali e degli effetti di essa sui rapporti di lavoro è altresì coerente con la necessità di assicurare un lasso temporale - quello tra il 27.11.2021 (data di entrata in vigore del nuovo D.L.) ed il 15.12.2021 - al fine di permettere ai lavoratori di valutare il da farsi, stante il fatto che il loro rifiuto della prestazione evolveva dall'ambito della liceità - fino ad allora sussistente in mancanza di offerta di prestazioni alternative da parte del datore - a quello dell'inadempimento.
9. In definitiva, fino al 14.12.2021, chi non rientrava - come gli odierni controricorrenti - tra le categorie esentate dalla vaccinazione, poteva rifiutare il vaccino ed il rapporto di lavoro proseguiva, seppure in regime di sospensione ma con obbligo retributivo, a meno che il datore di lavoro avesse dimostrato di non poter trovare una diversa collocazione non a rischio, nel quale caso le retribuzioni non erano dovute; dal 15.12.2021, invece, il rifiuto del vaccino diveniva causa tout court di inadempimento per tali lavoratori, senza ulteriori mediazioni attraverso repechage e, con ciò, il rifiuto datoriale di ricevere la prestazione, per quanto già detto ai punti 6.2 e 7.2, da quel momento non può più essere considerato illegittimo.
10. Ciò posto, il primo motivo è tuttavia infondato, nella parte in cui con esso si sostiene che il regime probatorio, quanto al repechage, non farebbe gravare sul datore l'onere di comprovare l'inesistenza di posti per un'utile ricollocazione del lavoratore.
Non vi è dubbio che la fattispecie sostanziale non sia quella del licenziamento, ma non vi è altrettanto dubbio che la Legge imponesse, come evidenziato da Corte costituzionale 15/2023 cit. uno "sforzo di cooperazione" destinato inevitabilmente ad essere ricondotto ad un obbligo datoriale.
Se di obbligo si tratta, valgono però i consolidati principi per cui addotto (da parte del lavoratore) l'inadempimento, non può che essere il datore a dimostrare di avere invece adempiuto o che, per l'assenza di posti, non era possibile adempiere (Cass., S.U., 30 ottobre 2001, n. 13533).
10.1 In mancanza di prova in tal senso da parte datoriale - profilo su cui in concreto si tornerà in prosieguo - spetta dunque al lavoratore, in mancanza di attuazione fisiologica del sinallagma, a titolo risarcitorio, un importo non inferiore alle retribuzioni perdute.
11. Venendo quindi ai profili più strettamente riguardanti l'accertamento dei fatti, non è fondato l'assunto della ASL secondo cui la Delibera della ASL, essendo da valorizzare come atto pubblico, rispetto alle circostanze in essa attestate avrebbe portata di fede privilegiata.
A prescindere dalla effettiva natura di atto pubblico di quella delibera, la Corte territoriale, con apprezzamento rigoroso ma in sé ineccepibile, non si è discostata dai fatti in essa riferiti.
Piuttosto la Corte di merito, a fronte di valutazioni contenute nella delibera stessa, che ovviamente, anche se si trattasse di atto pubblico non avrebbero effetto di fede privilegiata (Cass. 29 agosto 2008, n. 21816; Cass. 27 ottobre 2008, n. 25844; Cass. 22 giugno 2020, n. 15108), ha ritenuto che fossero necessarie al convincimento giudiziale migliori specificità non emerse dall'istruttoria.
Così, rispetto al riscontro, di cui alla Delibera, che vi era un "significativo" numero di "personale aziendale che risultava non avere aderito alla compagna vaccinale", la Corte ha ritenuto che fosse necessario sapere "quanti fossero", cioè quale fosse il numero esatto dei "lavoratori vaccinati", "rispetto al complessivo numero dei sanitari operanti presso i vari distretti della ASL" e che non bastasse il dato, in qualche modo anch'esso in fondo non privo di sfumature valutative, in ordine al fatto che l'azienda "aveva esaurito" i posti disponibili attraverso la ricollocazione del personale esentato dalla vaccinazione, senza che fosse stato precisato l'ulteriore dato, quello effettivamente obiettivo, di "quanti" posti non a contatto fossero stati assegnati a tale personale.
11.1 È senza dubbio esatto il rilievo per cui la dimostrazione dell'impossibilità di repechage avrebbe potuto essere fornita anche mediante presunzioni, ma è altrettanto vero che il giudice non è tenuto a ricorrere a quel mezzo (Cass. 20 settembre 2013, n. 21603) e che la censura è generica e non si fonda sulla specifica denuncia - in ipotesi - del difetto di esame di specifici e decisivi fatti (art. 360 n. 5 c.p.c.), destinati a portare ad un giudizio contrario.
Pertanto, una volta rispettato l'assetto degli oneri probatori ed in assenza di una specifica censura nei termini appena detti, appartiene alla sfera del libero convincimento la richiesta di un maggior rigore anche nei particolari della vicenda analizzata.
11.2 È poi errato lamentare che, richiedendo un tale rigore, il giudice si sarebbe sostituito a scelte discrezionali del datore di lavoro inerenti all'organizzazione del lavoro, in quanto non è ciò quanto preteso dalla Corte territoriale, la quale ha soltanto affermato che l'accertamento dell'adempimento datoriale d'un obbligo sancito dalla legge imponeva un accertamento rigoroso.
12. Da quanto precede, è quindi indubbio e definitivamente accertato che le sospensioni dal servizio, fino al 14.12.2021, sono state attuate senza che il datore di lavoro abbia adempiuto il proprio obbligo di repechage. Tuttavia, prendendo atto che le sospensioni, secondo quanto riferisce la Corte territoriale, si sono estese fino al 31.12.2021 e che quindi esse ricadono anche in un periodo temporale in cui il rifiuto datoriale della prestazione non può più dirsi illegittimo - anzi, è la mancata vaccinazione dei lavoratori ad avere la portata di inadempimento - il ricorso va però accolto, in tali limiti, affinché la Corte territoriale rivaluti i fatti di causa, per il periodo dal 15.12.2021 in avanti e, dunque, nel restante periodo oggetto di causa, al fine di delimitare coerentemente con i principi qui espressi il diritto al risarcimento.
La sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame da condurre nel rispetto del principio di diritto che, sulla base delle considerazioni sopra esposte, di seguito si enuncia:
"l'art. 4 del D.L. 1.4.2021 n. 44, conv. con mod. in Legge n. 76 del 2021, nel testo originario, imponendo l'obbligo vaccinale agli operatori di interesse sanitario di cui all'art. 1, comma 2, della legge n. 43/2006 che svolgessero la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali ha consentito la sospensione di essi dal lavoro, senza obbligo di retribuzione, in caso di rifiuto del vaccino, subordinatamente alla dimostrazione, di cui è onerato il datore di lavoro, dell'impossibilità di utilizzazione in mansioni non implicanti contatti interpersonali e rischio di diffusione del contagio; conseguentemente, al dipendente sospeso dal servizio in assenza delle condizioni richieste dalla Legge vigente ratione temporis spetta il risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni perse, ma tale diritto viene meno, a partire dal 15.12.2021 e per quanto riguarda le retribuzioni successive, ove risulti che il lavoratore non si sia sottoposto a vaccinazione e ciò in conseguenza della sopravvenuta diversa formulazione del medesimo art. 4, con eliminazione dell'obbligo di repechage originariamente previsto e dell'applicazione del nuovo art. 4-ter, co. 2, 3, 5 e 6, in esito alle modifiche apportate dal D.L. n. 172 del 2021, conv. con mod. in legge n. 3 del 2022".
Alla Corte territoriale è demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di cassazione.
13. Infine, a tutela dei diritti dei controricorrenti, parti in controversia che coinvolge l'accertamento di loro delicate scelte sanitarie, si deve disporre, in caso di riproduzione in qualsiasi forma della presente sentenza, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi, ai sensi dell'art. 52, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Genova, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche al regolamento delle spese del giudizio di cassazione.
Dispone, in caso di riproduzione in qualsiasi forma del presente provvedimento, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti controricorrenti, ai sensi dell'art. 52, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 marzo 2024.
Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2024.