Tribunale di Bologna, 04 aprile 2024 - Suicidio del lavoratore malato di mesotelioma: amianto e responsabilità dell'impresa


 




REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA
Sezione Lavoro

Il Tribunale, nella persona del giudice dott. Luigi Bettini, ha pronunciato la seguente
SENTENZA


nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1974/2021 promossa da:
Omissis (C.F. con il patrocinio dell'avv. FERRETTI FRANCESCA e dell'avv. STANGHERLIN FRANCESCA e dell'avv. MANGIONE STEFANIA, elettivamente domiciliati presso il difensore avv. FERRETTI FRANCESCA

RICORRENTI
 

contro
 

"RETE FERROVIARIA ITALIANA - SOCIETA' PER AZIONI" IN SIGLA "RFI S.P.A." (C.F. 01585570581), con il patrocinio dell'avv. CARINCI FRANCO, elettivamente domiciliata presso il difensore avv. CARINCI FRANCO

RESISTENTE

CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da ricorso introduttivo e memoria difensiva di costituzione.

 

FattoDiritto
 


Con ricorso depositato il 17.11.2021 Omissis evocavano in giudizio, davanti al Tribunale di Bologna quale giudice del lavoro, Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. affermando che: Omissis era stato dipendente delle Ferrovie dello Stato dal 1969 sino al 1992; 2) era stato assunto il 18.12.1969 a Bologna, lavorando sino alla cessazione del rapporto presso il Deposito Locomotive Bologna Centrale delle Ferrovie dello Stato, poi R.F.I. s.p.a., con mansioni di operaio carpentiere fino al 1976, di aggiustatore meccanico dal 1976 al 1987 e, infine, di conduttore centrale termica; 3) in precedenza, dal 1957 al 1969 aveva lavorato come apprendista meccanico e successivamente come manutentore meccanico presso diverse imprese, senza mai essere entrato in contatto con l'amianto; 4) dall'8.1.1963 al 20.12.1964 aveva svolto il servizio militare in Marina come tecnico ecogoniometrista e addetto al bar, senza avere mai effettuato lavori di manutenzione nelle navi; 5) nello svolgimento delle mansioni alla dipendenze della società resistente era stato pesantemente esposto all'amianto, poiché tale materiale era usato all'epoca come isolante e coibentante dei mezzi ferroviari e, a partire dagli '60 e '70, ogni rotabile che necessitava di manutenzione e riparazione era letteralmente pieno di amianto, in diverse forme: pannelli, cartoni, nastri, corde, applicazioni a spruzzo; 6) il contatto con l'amianto si era realizzato durante gli interventi di manutenzione e di riparazione a cui i rotabili erano sottoposti, in particolare durante le attività di decoibentazione delle lamiere, di rimozione della pannellatura posta all'interno della cassa (cd. spannellatura), di smontaggio di parti interne (plafoniere, telai dei finestrini, porte di salita) che comportavano la messa a nudo di tratti della superficie di amianto spruzzato, di rialzo e interventi nel sottocassa e nei vani di contenimento di apparecchiature elettriche, oltre che riparazioni a banco; 7) nell'aprile del 2020 gli era stato diagnosticato un mesotelioma pleurico, che si era dimostrato via via sempre più invalidante, rendendo necessario un ulteriore ricovero e ben quattro cicli di chemioterapia; 8) il 26.11.20202 si era suicidato, gettandosi dalla finestra della sua abitazione.
Richiamate le relazioni AUSL depositate nella consulenza tecnica ordinata nel procedimento penale aperto con riferimento al decesso di alcuni ex dipendenti FS e conclusosi con la sentenza n. 257/2003 del Tribunale Penale di Bologna, e altre successive indagini peritali in ambito civilistico nel corso di giudizi del tutto analoghi al presente, i ricorrenti chiedevano che fosse accertata la responsabilità della società resistente ai sensi degli artt. 2043, 2087, 2050, 2051 c.c. e che fosse conseguentemente condannata la medesima società al risarcimento del danno non patrimoniale sofferto, che quantificavano in complessivi €. 1.947.361,00 o nella diversa somma ritenuta di giustizia.
Si costituiva in giudizio Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. chiedendo il rigetto delle domande perché infondate in fatto e in diritto.
Negava, anzitutto, l'esistenza di nesso causale tra la malattia contratta da Omissis e le mansioni lavorative da lui svolte presso il Deposito Locomotive di Bologna Centrale; negava altresì l'esistenza della colpa e - più in generale - la sussistenza di qualsiasi comportamento illegittimo da parte sua in ragione del fatto che la nocività dell'amianto era nota solo dagli anni Novanta che per il periodo precedente, aveva comunque adottato tutte le misure che le conoscenze scientifiche e la tecnica mettevano a disposizione per rendere sicuro l'ambiente di lavoro. Contestava, infine, la liquidazione del danno operata dai ricorrenti.
Istruita la causa documentalmente e a mezzo delle prove orali ammesse con l'ordinanza istruttoria del 24.1.2022, compiuta una CTU medico-legale, la causa era decisa all'udienza del 4.4.2024, mediante lettura del dispositivo, con motivazione riservata.
Le domanda dei ricorrenti sono solo in parte fondate e, come tali, meritano accoglimento nella misura di seguito indicata.
Anzitutto, dall'istruttoria compiuta è emersa con chiarezza l'esposizione all'amianto di Omissis nelle lavorazioni alle dipendenze di R.F.I. s.p.a. Il teste ha dichiarato: "Ho lavorato per RFI dal gennaio 1970 nel reparto carpenteria a Bologna, deposito locomotive di Bologna centrale fino al giugno 1995, prima come operaio, poi come tecnico, poi come capo tecnico. Ho lavorato con il signor Omissis per circa quattro anni, lui era entrato circa un mese prima di me, direi nel dicembre 1969. Insieme eravamo al reparto carpenteria ove svolgevamo l'attività di riparazione per lo più di macchine che avevano subito degli incidenti. Se non vi erano macchine sinistrate facevamo manutenzione ai mezzi ordinari. Nei mezzi sinistrati tagliavamo i pezzi di lamiera sinistrata con una smerigliatrice e li sostituivamo con pezzi nuovi. Quando toglievamo i pezzi rotti, facevamo parecchia polvere e togliendo il pezzo emergevano fiocchi di amianto che era stato utilizzato per la coibentazione del mezzo.
Saldavamo i pezzi nuovi con una saldatrice elettrica.
La manutenzione ordinaria consisteva nel verificare le condizioni del mezzo e ripristinare i pezzi avariati, dal portacenere al supporto del banco di manovra, a quella di supporto dell'apparecchiatura frenante, all'arredamento. Quando smontavamo i pannelli interni eravamo a contatto con l'amianto, questo succedeva spesso soprattutto nel caso di pannelli superiori in cui dovevamo fare passare dei tubi per il passaggio dei cavi elettrici da una testata all'altra
L'attività la svolgevamo all'interno del capannone, l'unico mezzo di protezione erano i guanti e la cuffia per il rumore e gli occhiali.
All'interno del capannone oltre a noi vi era un piccolo reparto ove facevano le saldature.
Nel reparto di saldatura vi erano degli impianti di aspirazione carrellati per i fumi, dalla nostra parte non vi era aspirazione.
Normalmente ci limitavamo a sostituire il pezzo danneggiato ma non sostituivamo la coibentazione.
Nel capannone lavoravamo circa in venti persone.
Quando non abbiamo più lavorato insieme il signor Omissis è andato a lavorare al reparto rimessa TE, però abbiamo continuato a frequentarci, anche dopo il pensionamento.
A volte lo incontravo in bicicletta o al mare, avevamo la casa vicina e facevamo insieme i giri in bicicletta.
Quattro anni fa ho smesso di fare i giri in bici per motivi di salute in quanto ho subito un intervento chirurgico per un tumore". Il teste Omissis - ha dichiarato: "Ho lavorato per RFI dal maggio 1970 fino a dicembre 1999 presso il deposito locomotive in via Lazzaretto 19 ed ero aggiustatore meccanico.
Il signor Omissis era un mio collega abbiamo lavorato insieme dal 1976 al 1986.
Lavoravamo nella rimessa TE (treni elettrici), eravamo divisi in gruppi di lavoro: aggiustatori, meccanici, elettricisti, elettronici, e aggiustatori pneumatici che si occupavano soprattutto dell'aria compressa.
Il signor Omissis si occupava in generale di serrature di sicurezza cioè le porte per l'accesso alle cabine oppure le serrature per accedere alla cabina alta tensione.
Si occupava anche della riparazione di treni incidentati, ma preciso che i treni incidentati di cui ci occupavamo noi avevano un danno contenuto; se il danno era molto esteso, il locomotore veniva portato in altro reparto, il reparto carpenteria o officina a seconda del danno.
I danni di cui ci occupavamo noi erano risolvibili in uno o due giorni di lavoro.
Al bisogno il signor Omissis poteva altresì occuparsi dell'impianto pneumatico oppure della sostituzione di vetri frontali o laterali.
Per smontare i vetri era necessario "spannellare" il pannello e si veniva a contatto con l'amianto che era a spruzzo ultimamente, prima era usato come isolante soprattutto per l'impianto di riscaldamento .
Potevamo venire a contatto con l'amianto altresì nel caso di riparazione all'impianto frenante che era a disco, l'amianto era nelle pastiglie, mescolato ad altri materiali.
Quali mezzi di protezione utilizzavamo i guanti e degli occhiali di materiale plastico.
Preciso che nello svolgimento della nostra attività ci occupavamo altresì di realizzare delle guarnizioni per le tubature per l'impianto pneumatico di diverse dimensioni fatte di amiantite, una lastra che conteneva amianto che noi spezzavamo e tagliavamo a misura.
Le attività sopra descritte venivano fatte all'interno di un capannone che aveva due binari.
Vi lavoravamo circa una ventina di persone almeno.
Il capannone era dotato di un impianto di aerazione che serviva anche per riscaldare l 'ambiente .
A fine giornata quando veniva fatto il collaudo del mezzo a seguito dell'intervento si azionavano i ventilatori che dovevano raffreddare i motori.
Questi ventilatori spostavano molta aria che veniva convogliata verso l'esterno del locomotore ma restava all'interno del capannone che era chiuso.
Frequentavo il signor Omissis anche fuori dall'ambiente di lavoro, lui era uno sportivo amava la bicicletta e lo sci e la corsa a piedi.
Ci siamo frequentati soprattutto finché abbiamo lavorato insieme, dopo il pensionamento più di rado
".
Dunque, entrambi i testimoni sono risultati concordi nell'affermare che - nel sostituire i pezzi della carrozze incidentati o comunque rotti - venivano a contatto con la polvere di amianto usata per la coibentazione dei mezzi, sia quando asportavano pezzi rotti che quando smontavano pannelli interni, sia anche quando realizzavano guarnizioni per le tubature dell'impianto pneumatico, per il quale usavano lastre di amiantite che dovevano spezzare e tagliare a misura, operazioni - tutte - quelle descritte - compiute con i soli occhiali e guanti protettivi e all'interno di un capannone privo di impianto di areazione.
Né tali testimonianze risultano contraddette da quella di Omissis che ha dichiarato: "Prima del 1992, per quanto io possa sapere, ho reperito documentazione dalla quale è emerso che già dagli anni '50 sono stati posti a disposizione di tutto il personale dispositivi di protezione individuali quali: semi maschere facciali simili a quelle dei saldatori in cui venivano applicati filtri di diversa tipologia. Nel 1985 nel deposito locomotive di Bologna Centrale è stato realizzato l'ambiente di sorveglianza SI che è un reparto dotato di filtri assoluti in cui il personale scoibentava le parti di amianto visibili che erano emerse durante le attività di riparazione. Il signor Omissis non mi risulta aver mai lavorato in questo reparto. Dopo il 1984, quando è emersa la dannosità dell'amianto al personale sono stati forniti la tuta in Twike dotata di cappuccio, le maschere filtranti, degli aspiratori carrellati.
Non so dire quale fosse la procedura che gli operai addetti alla manutenzione dovessero seguire.
Esaminata la posizione del signor Omissis ho rilevato che lui dal 1969 al 1985 ha lavorato presso l'officina e dal 1986 al 1992 ha lavorato nel reparto attrezzeria con attività di manutenzione alla centrale termica. In carpenteria le attività che venivano svolte erano le seguenti: una parte della carpenteria era dedicata alla saldatura, un'altra parte si occupava soprattutto di mezzi incidentati, in sostanza dovevano togliere il pezzo di lamiera incidentato e sostituirlo. Non so dire quali attrezzi venissero usati per togliere la parte incidentata, non ho visto come fosse l'attività in quei tempi. Togliendo i pezzi incidentati si veniva a contatto con l'amianto in quanto segregato.
Nel reparto carpenteria veniva svolta altresì attività di manutenzione ordinaria quali cambio dei sedili, lampade etc. In questa lavorazione era possibile venire a contatto con rondelle di amianto ma compatto, laddove la lavorazione riguardasse la sostituzione di scaldiglie.
Non ho contezza se il signor Omissis abbia lavorato in carpenteria, dalla documentazione è emerso che era addetto presso l'officina
" .
Il testimone ha reso generiche dichiarazioni basate, come da lui stesso affermato, unicamente sulla documentazione aziendale circa l'utilizzo dell'amianto tra la metà degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta, precisando di non avere alcuna conoscenza diretta dei fatti. Non ha comunque negato che sul cantiere i dipendenti - fra cui Omissis - fossero a contatto con l'amianto. Dalle testimonianze risulta pertanto pienamente provata un'esposizione significativa di Omissis all'inalazione di fibre di amianto, nello svolgimento della propria attività di carpentiere prima e di aggiustatore poi.
Ciò trova inoltre conferma nei documenti prodotti dai ricorrenti (documenti da n. 2 a n. 8 di parte ricorrente) e nella stessa consulenza tecnica medico legale esperita in corso di causa nella quale si legge: "Sulla base di quanto sopra evidenziato si può ritenere che il sig. Omissis negli anni dal 1969 al 1984 presso il Deposito locomotori abbia svolto operazioni di manutenzione corrente, di revisione periodica e le riparazioni di minore impegno, con conseguente esposizione a fibre di amianto. L'entità di tale esposizione non è equiparabile a quella che realizzatasi bello stesso periodo presso l'Officina Grandi Riparazioni. Tuttavia, gli interventi su materiali contenenti amianto hanno determinato un'esposizione variabile ma nel tempo ma anche con possibili picchi. Possiamo considerare, sulla base dei dati di letteratura prima esaminati, livelli di esposizione variabili tra O, 1 e 1 fibra con possibili picchi superiori, almeno negli anni tra il 1969 e la fine degli anni '70. In ogni caso si tratta di un'esposizione che può certamente aver avuto e un ruolo causale nella genesi del mesotelioma pleurico insorto nel sig. Omissis. Ricordo come ad oggi non sia riconosciuta l'esistenza di una dose soglia di fibre di amianto per la comparsa del mesotelioma pleurico.
Dal 1957 al 1969, prima di entrare nelle Ferrovie dello Stato, il signor Omissis ha sempre lavorato come meccanico addetto alla manutenzione. Le ditte presso le quali ha svolto la mansione di addetto alla costruzione e riparazione, erano officine con produzione varia dai motori, ... alle biciclette, alle presse e stampi. Non vi sono notizie certe sulla possibile esposizione ad amianto nel corso di questi anni, salvo per il periodo dal 08.01.1963 al 9.12.1964, quando il signor Omissis svolse il servizio militare presso la Marina Militare e, in particolare dal 1.6.1963 al 20.12.1964 come marinaio imbarcato su nave militare. Infatti, benché anche in questo caso non vi siano dati in grado di documentare un'esposizione ad amianto, è tuttavia, noto come sulle navi vi fossero numerosi materiali contenenti amianto
".
E tuttavia, aggiunge il consulente tecnico: "... dati di monitoraggio ambientale e personale evidenziano possibilità di esposizione di entità sensibilmente diverse, a seconda, principalmente, degli anni di esecuzione dei campionamenti, della mansione svolta e delle condizioni dei locali nelle quali si svolgevano le diverse attività. La presenza di amianto friabile anche in ambienti di vita sulla nave, diversi dalla sala macchine e motori, come negli ambienti dedicati anche al riposo dell'equipaggio, come prima documentato, è stata in grado di determinare un'esposizione a fibre di amianto, in particolare sulle navi militari e tra queste su quelle più datata come costruzione, più diffusa, sebbene, certamente, non con i livelli possibili tra gli addetti alle opere di manutenzione/riparazione e gli addetti alla sala macchine. Ma come già ricordato per l'insorgenza del mesotelioma pleurico non è stata individuata una possibile soglia minima di effetto".
Ha poi aggiunto: "La diagnosi di mesotelioma pleurico destro bifasico posta al signor Omissis nell'aprile 2020 appare essere una diagnosi certa, confermata in particolare dall'indagine immunoistochimica.
Altrettanto certamente il signor Omissis è stato esposto a fibre di amianto nel corso della sua vita lavorativa.
Vi è stata un'esposizione di livello variabile, non documentata da dati di monitoraggio personale o ambientale, con possibili picchi nel corso della sua attività presso il Deposito Locomotori di Bologna, in particolare negli anni tra il dicembre 1969 e il dicembre 1983.
Ma esposizione ad amianto il signor Omissis può averla avuta anche nel corso del servizio militare assolto presso la Marina Militare in particolare nel periodo svolto durante il quale è stato imbarcato su nave militare, dal 1.6.1963 al 20.12.1964. In particolare in merito all'esposizione a fibre di amianto durante questo periodo i dati di letteratura supportano un'esposizione in particolare negli anni tra il 1960 e il 1980 del personale imbarcato su navi militari, che anche per motivi militari presentavano una diffusa presenza di materiali contenenti amianto. L'esposizione è risultata certamente maggiore per determinate mansioni e zone di lavoro, come addetti motoristi e manutentori presso sale motori, ma ha interessato anche il restante personale a bordo, proprio per la diffusa presenza di materiale friabile contenente amianto, ad esempio anche nelle sale alloggio personale e in conseguenza degli ambienti di piccole dimensioni e con ridotta ventilazione".
Il consulente tecnico ha così concluso: "Sussiste nesso causale tra l'ambiente di lavoro e le mansioni svolte dal signor Omissis, la comparsa di mesotelioma pleurico bifasico destro, ma è necessario considerare come fonte di esposizione a fibre di amianto non solo l'attività svolta presso il Deposito Locomotori delle Ferrovie dello Stato ma anche il precedente periodo di servizio militare svolto presso la Marina Militare imbarcato su nave.
I dati presenti agli atti non evidenziano la presenza di fattori ereditari nella formazione del processo psichico che ne ha determinato l'exitus. Tuttavia, è necessario evidenziare come l'impossibilità di esaminare lo stato psichico del signor Omissis abbia un'importante ricaduta sulla possibilità di valutare il processo psichico che lo ha portato al suicidio.

A questo proposito appaiono rilevanti alcuni fattori legati sia alla patologia, successione di più tumori nell'arco di alcuni anni, incurabilità del mesotelioma pleurico, dolore scarsamente rispondente alle terapie farmacologiche, sia alla personalità del signor Fabbri che dallo psicologo dell'ANT viene descritta come "soggetto che oltretutto faceva della propria vigoria fisica uno dei capisaldi dell'esistenza: forte camminatore fin dall'infanzia montanara e ciclista dilettante appassionato. ... Gesto infine di libertà proprio di natura non arrendevoli, particolarmente forti, lucide e pratiche che mal si adattano ad una vita da invalidi e concepiscono l'esistenza come un inestinguibile darsi da fare, costruire, realizzare, lavorare sine die.
Come evidenziato dai dati di letteratura prima riportati il quadro di depressione sostenuto dalla ricaduta della malattia sulle risorse individuali, dalla perdita dell'autonomia fisica, dalla perdita di significato della vita, di uno scopo e della dignità, dalla mancanza di un supporto sociale, dal sentirsi come un peso per gli altri, insieme con specifiche caratteristiche demografiche, quali sesso maschile, età avanzata, ha un ruolo fondamentale nella decisione suicidaria, al di là della specifica neoplasia.
Certamente, come evidenziato dai dati di letteratura prima citati, si rileva nel caso del sig. Omissis un incompleto supporto del quadro psicologico e l'assenza di una valutazione psichiatrica e di una presa in carico completa anche farmacologica in grado di intervenire sia sul "dolore" sia sull'aspetto depressivo e sulla conseguente intenzionalità anticonservativa.

Infatti, dai dati presenti agli atti non risulta, a fronte del rilievo di una intenzionalità anticonservativa, segnalata però successivamente alla morte del sig. Omissis con lettera conseguente a richiesta dei familiari, una presa in carico psichiatria.
Per quanto riguarda il danno biologico si può considerare il danno temporaneo alla luce della rapida evoluzione della malattia che non permette di raggiungere una condizione stabile fino al decesso
".
E ancora - con specifico riferimento al nesso di causalità - il consulente tecnico ha precisato: "... intendendo per determinante ciò che "Che determina, cioè provoca direttamente l'avverarsi di un fatto" (Dizionario Treccani) e per efficace ciò che "Che produce pienamente l'effetto richiesto o desiderato" (Dizionario Treccani) nessuno dei due aggettivi può essere riferito al caso in oggetto. Il mesotelioma pleurico da cui era affetto il sig. Omissis ha avuto un ruolo nell'ambito della multifattorialità nell'ambito dell'exitus autosoppressivo. Ma tale ruolo non è stato unico e lo stesso non può essere considerato aver provocato direttamente il fatto né aver prodotto pienamente l' effetto. L'effetto finale è stato un sovrapporsi di cause estrinseche ed intrinseche, tra le quali la struttura di personalità che ha portato alla hopelessness ed alla helplessness. Vissuti di assenza di speranza e di impossibilità di aiuto che costituiscono, come abbiamo visto, uno degli indici più attendibili di rischio suicidario. Rischio che non è stato rilevato o sufficientemente considerato e che ha portato alla sostanziale assenza di un supporto terapeutico in grado di contrastare l'ideazione suicidaria.
... appare evidente come non sia possibile introdurre delle percentuali nella genesi di un atto sul quale ha inciso in modo importante la struttura di un animo umano e il mancato intervento terapeutico a tale condizione. In che percentuale ha pesato l'assenza di un adeguato trattamento farmacologico? Difficile se non impossibile dare percentuali
''.
Le conclusioni della consulenza tecnica medico legale, svolta con motivazione ampia convincente, appaiono frutto di un iter logico ineccepibile e privo di vizi, condotto in modo accurato e in continua aderenza ai documenti, agli atti e alle risultanze di causa. Inoltre, il consulente tecnico ha replicato puntualmente alle osservazioni fatte dai consulenti delle parti e anche a tali repliche deve farsi riferimento, essendo interamente condivisibili.
Se queste sono le conclusioni, deve ritenersi sussistente il nesso di causalità fra l'esposizione all'amianto alle dipendenze della società resistente e il decesso. Da un lato, infatti, l'esposizione all'amianto presso il Deposito Locomotive di Bologna Centrale è indicata come certa, mentre quella durante il servizio militare in Marina solo come possibile, e dunque deve ritenersi accertata la sussistenza del nesso causale con riferimento alla prima, visto che per costante giurisprudenza il nesso di causalità relativo all'origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione che può essere data anche in termini di probabilità sulla base della particolarità della fattispecie, essendo impossibile nella maggior parte dei casi ottenere la certezza dell'eziologia. È necessario acquisire il dato della probabilità qualificata attraverso ulteriori elementi idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale (fra le altre Cass. civ., sez. lav., n. 13814/17), elementi che - nel caso in esame - difettano con riferimento al servizio militare.
Dall'altro non risulta rilevante il fatto che il suicidio di Omissis, a distanza di alcuni mesi dalla diagnosi, faccia ritenere tale gesto soltanto concausato dall'infausta notizia e dall'esito della malattia, in ragione della multifattorialità delle patologie psichiche e, quindi, anche del gesto suicidiario.
Detto altrimenti, ad avviso del consulente tecnico il suicidio di Omissis trova origine non solo nella malattia ma anche in altri fattori, quali la struttura psichica del soggetto e l'assenza di sostegno psicologico durante la malattia, senza che sia possibile stabilire l'incidenza causale di ciascuno di essi- in termini percentuali - sull'evento.
E tuttavia, come detto, ciò non fa venire meno il nesso di causalità fra l'esposizione all'amianto e l'evento poiché "Come è noto, elemento costitutivo del diritto al risarcimento è il nesso di causalità intercorrente tra l'inadempimento ed il danno, nesso la cui rilevanza è ricavabile dalla disciplina dettata in materia di responsabilità contrattuale dall'art. 1223 c.c. (ed applicabile anche alla responsabilità extracontrattuale ai sensi art. 2056 c.c.) che prevede la risarcibilità di tutti i danni costituenti conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento. La giurisprudenza di questa Corte, prendendo le distanze da numerose teorie formulate in dottrina sul nesso eziologico tra condotta ed evento (teoria della equivalenza di cause o della conditio sine qua non, secondo cui causa è la totalità degli elementi indispensabili per il verificarsi dell'effetto; teoria della causalità adeguata, secondo cui causa non è ogni condizione dell'evento ma solo quella condizione in generale idonea a determinarlo, cioè adeguata all'evento; teoria della causa prossima o della prevalenza, secondo cui causa dell'evento deve considerarsi quella forza ultima, che prevalendo su tutte le altre, produce un cambiamento nella situazione fattuale esistente; teoria dello scopo della norma, che ravvisa, invece, il nesso di causalità fra un fatto e quelle conseguenze dannose che rientrano nello scopo protettivo della norma) ha con numerose decisioni seguito, sulla scia del disposto dell'art. 41 c.p., quello che è stato definito il principio della causalità umana, in base al quale per ritenere sussistente il nesso eziologico tra una condotta e l'evento è richiesto che l'uomo con la sua azione ponga in essere un fattore causale del risultato e che tale risultato non sia dovuto al concorso di circostanze le quali, rispetto ad esso, si presentino con carattere di eccezionalità o atipicità. Così si è statuito che, in tema di nesso eziologico, tutti gli antecedenti
- diretti o indiretti, prossimi o remoti senza i quali l'evento dannoso non si sarebbe verificato,
vanno considerati causa di esso, eccettuando la sola ipotesi ... in cui sia individuabile, nella sequenza causale, un antecedente prossimo (costituito da un antecedente eccezionale ed imprevedibile), idoneo da sé solo a determinare l'evento, e che esclude; di conseguenza, l'efficacia causale degli antecedenti più remoti, retrocessi al rango di mere occasioni ...
Le considerazioni sinora svolte inducono, quindi, a condividere l'assunto che il suicidio non rappresenta un evento idoneo ad interrompere il nesso di causalità tutte le volte che l'illecito ha determinato nel soggetto leso dei gravi processi di infermità psichica, concretizzantisi in psicosi depressive o in altre gravi forme di alterazioni dell'umore e del sistema nervoso e di autocontrollo. Rispetto a tali infermità il suicidio non si configura, infatti, quale evento straordinario o atipico tale da risultare estraneo alla sequela causale ricollegabile all'iniziale condotta illecita.
A tale fine va evidenziato come questa Corte sia pervenuta alla conclusione che il suicidio del danneggiato da fatto illecito, avvenuto nella immediatezza ed in conseguenza di quest'ultimo, non è evento idoneo ad interrompere il nesso di causalità _fra fatto antigiuridico ed evento - morte, osservando al riguardo - in una fattispecie in cui il soggetto leso (un militare del corpo della guardia di finanza) aveva subito lesioni gravi per un incidente stradale (frattura ed, a partire dal terzo medio, lo sfracellamento della gamba sinistra) - che per la particolare struttura psicoreattiva del soggetto leso "il dolore fisico, la immediata consapevolezza della gravità della lesione e la subitanea prefigurazione della futura menomazione avevano causato in lui una reazione psicogena abnorme di trasformazione degli impulsi etero - aggressivi in impulsi auto - aggressivi, così da determinarlo, in modo incoercibile, al suicidio" (cfr. in questi termini: Cass. 7 febbraio 1996 n. 969).
Alla luce delle considerazioni sinora svolte la sentenza impugnata non merita alcuna censura nella parte in cui ha ritenuto la sussistenza del nesso causale fra l'infortunio subito dal ... e la sua determinazione di suicidarsi. Ed invero, sulla base dell'elaborato peritale (secondo cui la depressione, se di una certa gravità, deve considerarsi fattore idoneo ad integrare, secondo un giudizio ontologicamente statistico - probabilistico, una causa necessaria, anche se non esclusiva, del volgersi della volontà al suicidio), il Tribunale ha evidenziato come la patologia fisica, neurologica e psichica, anche su base organica, che era derivata al quale
conseguenza immediata e diretta della intossicazione di monossido di carbonio, aveva determinato nella vittima uno stato di grave depressione, che era stata concausa dell'avvenuto suicidio" (così Cass. civ., sez. lav., n. 2037/00).
E ancora: "... in una siffatta situazione di concorrenza di cause - l'una ascrivibile ad un fattore naturale (pregressa situazione patologica del danneggiato) e l'altra ascrivibile alla condotta umana (lo stress psico-fisico determinato dalla condizione di abbandono cagionata dalla omessa sorveglianza della paziente cui era tenuta la struttura sociosanitaria nella quale la stessa era ricoverata) - l'autore del fatto illecito risponde, in base ai criteri della causalità materiale, di tutti i danni che ne sono derivati, a nulla rilevando che gli stessi siano stati concausati anche da un evento naturale, il quale può invece rilevare ai fini della stima del danno, ossia sul piano della causalità giuridica
" (tra le altre, da ultimo, Cass. civ, III, 13037/23).
Può pertanto essere affermato che la morte di Omissis è stata (con)causata da mesotelioma pleurico contratto in conseguenza di esposizione all'amianto durante le lavorazioni compiute da costui quale dipendente della società resistente.
Deve inoltre ritenersi infondata 1'eccezione svolta dalla società resistente circa l'assenza di qualunque colpa datoriale.
Fermi ex art. 118 disp. att. c.p.c. i precedenti di questo Tribunale su controversie analoghe e in particolare le sentenze n. 856/19 del 6.12.2019 e n. 311/21 del 27.8.2021, le cui motivazioni si condividono pienamente, deve inoltre rilevarsi che la pericolosità dell'amianto era nota da molti decenni poiché i primi studi sulla pericolosità dell'amianto risalgono ai primi anni del Novecento.
Esistevano leggi da cui non poteva non evincersi che I 'uso dell'amianto è nocivo, e pertanto, necessitava l'uso di cautele specifiche. In particolare, già il R.D. 14.6.1909, all'art. 29 tabella B, n. 12, includeva la filatura e la tessitura dell'amianto tra i lavori insalubri o pericolosi nei quali l'applicazione delle donne minorenni e dei fanciulli era vietata o sottoposta a specifiche cautele. Seguiva una norma sostanzialmente identica con l'art. 36, tabella n. 13, decreto luogotenenziale del 6.8.1916 n. 1136, che dettava la regolamentazione per l'esecuzione della legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli. In seguito, il R.D. 7.8.1936 n. 1720, che approvava le tabelle indicanti i lavori per i quali era vietata l'occupazione dei fanciulli e delle donne minorenni, prevedeva alla tabella B i lavori pericolosi, faticosi e insalubri in cui è consentita l'occupazione delle donne minorenni e dei fanciulli, subordinatamente all'osservanza di speciali cautele e condizioni e, tra questi, al n. 5, la lavorazione dell'amianto, limitatamente alle operazioni di mescola, filatura e tessitura. Infine, il regolamento n. 169/60, all'art. 1 prevedeva espressamente che la presenza dell'amianto nei materiali di lavorazione, potesse dar luogo, avuto riguardo alle condizioni delle lavorazioni, ad inalazione di polvere di silice libera o di amianto tale da determinare un rischio per la salute.
È dunque evidente come, da un punto di vista normativo, già al tempo dello svolgimento del rapporto di lavoro per cui è causa fosse ben nota la pericolosità delle fibre di amianto impiegate nelle lavorazioni, tanto che le stesse erano circondate da particolari cautele di origine legislativa. Dunque la notorietà del rischio intrinseco a tale tipo di lavorazione avrebbe imposto l'adozione di misure volte a eliminare o quantomeno a ridurre il rischio, in ottemperanza alla norma di chiusura di cui all'art. 2087 c.c., posto che nei primi anni settanta, era prevedibile, secondo le conoscenze mediche e scientifiche di quel periodo, che l'esposizione all'amianto comportasse, in assenza della benché minima misura di sicurezza, l'insorgere di asbestosi, di tumori al polmone e all'apparato digerente.
Risulta, pertanto, sussistente il requisito della prevedibilità dell'evento dannoso, consistente nella rappresentazione ex ante da parte dell'agente modello (homo eiusdem conditionis et professionis), della potenziale idoneità della condotta a dar vita a una situazione di danno. La mancata adozione di misure di protezione individuali e collettive costituisce pertanto violazione dell'art. 2087 c.c., con conseguente responsabilità contrattuale di RFI s.p.a. nei confronti del lavoratore e di responsabilità extracontrattuale nei confronti dei suoi prossimi congiunti ex art. 2043 c.c.
Del resto, secondo un recente arresto giurisprudenziale, con riferimento alle cautele da adottarsi, " ... la responsabilità dell'imprenditore, ai sensi dell'art. 2087 c.c., non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, ma non è circoscritta alla violazione di regole d'esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, sanzionando anche, alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l'omessa predisposizione di tutte le misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di indagare sull'esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico. Sicché, qualora sia accertato che il danno è stato causato dalla nocività dell'attività lavorativa per esposizione all'amianto, è onere del datore di lavoro provare di avere adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia ... Se allora incombe al lavoratore, che lamenti di avere subito un danno alla salute a causa dell'attività lavorativa svolta, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro, qualora egli abbia fornito la prova di tali circostanze, sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non sia ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi... D'altro canto, dal dovere di prevenzione imposto al datore di lavoro dall'art. 2087 c.c., (che non configura una ipotesi di responsabilità oggettiva) non può desumersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile e innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere la responsabilità del datore di lavoro ogni volta che un danno si sia comunque verificato, occorrendo invece che l'evento sia pur sempre riferibile a sua colpa, per violazione di obblighi di comportamento imposti da norme di fonte legale o suggeriti dalla tecnica, ma concretamente individuati ...
E in particolare è opportuno sottolineare la diversa modulazione di contenuto dei rispettivi oneri probatori a seconda che le misure di sicurezza omesse siano espressamente e
specificamente definite dalla legge (o da altra fonte ugualmente vincolante), in relazione ad una valutazione preventiva di rischi specifici, oppure debbano essere ricavate dallo stesso art. 2087 c.c., che impone l'osservanza del generico obbligo di sicurezza: nel primo caso, riferibile alle misure di sicurezza cosiddette "nominate", la prova liberatoria incombente sul datore di lavoro si esaurisce nella negazione degli stessi fatti provati dal lavoratore, ossia nel riscontro dell'insussistenza dell'inadempimento e del nesso eziologico tra quest'ultimo e il danno; nel secondo caso, relativo a misure di sicurezza cosiddette "innominate", la prova liberatoria a carico del datore di lavoro è invece generalmente correlata alla quantificazione della misura di diligenza ritenuta esigibile, nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza, imponendosi, di norma, al datore di lavoro l'onere di provare l'adozione di comportamenti specifici che, ancorché non risultino dettati dalla legge (o da altra fonte equiparata), siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli standard di sicurezza normalmente osservati o trovino riferimento in altre fonti analoghe ... Nel caso di specie, pure in assenza di norme specifiche per il trattamento dei materiali contenenti amianto (introdotte con D.P.R. 10 febbraio 1982, n. 15), era tuttavia imposta l'adozione di misure idonee a ridurre il rischio di esposizione dei lavoratori alle polveri, in virtù del D.P.R. n. 303 del 1956, art. 21, facente obbligo al datore, nei lavori normalmente fonte di polveri di qualunque specie, di adottare provvedimenti atti ad impedirne o a ridurne la diffusione nell'ambiente di lavoro (primo comma) e, in caso di impossibilità di sostituzione del materiale di lavoro polveroso, di adottare procedimenti lavorativi in apparecchi chiusi o muniti di sistemi di aspirazione e raccolta delle polveri per impedirne la dispersione (comma 3); ed ancora, quando inattuabili tali misure tecniche di prevenzione e possibile per la natura del materiale polveroso, di provvedere all'inumidimento del materiale (comma 4); infine, qualunque sistema adottato per la raccolta e l'eliminazione delle polveri, di impedire che esse possano rientrare nell'ambiente di lavoro (comma 5)" (così Cass. civ., sez lav., n. 14614/14).
E nel caso in esame è emerso chiaramente dalle testimonianze che nessun presidio era stato apprestato per la riduzione delle polveri di amianto che si liberavano nell'aria con le lavorazioni, né mezzi di protezione individuali, né impianti strutturali. Né la società resistente ha offerto prova dell'esistenza di presidi volti anche solo a ridurre le polveri di amianto con cui i suoi dipendenti venivano a contatto durante la lavorazione delle carrozze dei treni.
Deve quindi ritenersi sussistente la responsabilità di Rete Ferroviaria Italiana s.p.a.
Quanto poi alle voci di danno e alla loro liquidazione allegate dai ricorrenti, sia iure hereditatis che iure proprio, deve rilevarsi quanto segue.
Circa il danno non patrimoniale complessivamente subito da Omissis e transitato nella sfera giuridica dei ricorrenti iure successionis, esclusa da Cass. civ., SS.UU., n. 15350/15 la risarcibilità iure hereditatis di un danno da perdita della vita, la Suprema Corte ha ritenuto configurabile e trasmissibile il danno subito dalla vittima, nell'ipotesi in cui la morte sopravvenga dopo apprezzabile lasso di tempo dall'evento lesivo, nella duplice componente di danno biologico ''terminale", cioè di danno biologico da invalidità temporanea assoluta (Cass. civ., n. 26727 del 2018; Cass. civ., n. 21060 del 2016; Cass. civ., n. 23183 del 2014 e Cass. civ., n. 22218 del 2014) e di danno morale - nella specie anche definito "catastrofale" - consistente nella sofferenza patita dalla vittima che lucidamente e coscientemente assiste allo spegnersi della propria vita (Cass. civ., n. 13198 del 2015; Cass. civ., n. 13537 del 2014; Cass. civ., n. 7126 del 2013; Cass. civ., n. 2564 del 2012).
Come recentemente affermato dalla Corte di legittimità "La distinzione è coerente con il più recente itinerario giurisprudenziale di legittimità secondo cui il danno non patrimoniale costituisce sì una categoria unitaria dal punto di vista giuridico (nel senso che tanto l'accertamento, quanto la liquidazione di tale pregiudizio, devono essere compiuti secondo regole identiche in relazione alla lesione di qualsiasi diritto inviolabile della persona costituzionalmente protetto) ma, tuttavia, fenomenologicamente binaria sotto il profilo della sua concreta manifestazione: ogni danno non patrimoniale può, dunque, estrinsecarsi tanto in una modificazione peggiorativa della vita quotidiana e delle attività dinamico-relazionali della persona, quanto nella sofferenza interiore (cd danno morale). In tale prospettiva, in presenza di un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, quale pregiudizio dinamico-relazionale incidente sul fare a-reddituale dell'individuo (sia quali ripercussioni comuni a tutte le persone che dovessero patire quel medesimo tipo di invalidità, sia come compromissioni peculiari del caso concreto, da risarcire in sede di personalizzazione), nonché di una ulteriore somma a titolo di ristoro delle conseguenze che non hanno fondamento medico-legale - perché non aventi base organica ed estranee alla determinazione medico - legale del grado percentuale di invalidità permanente- rappresentate dalla sofferenza interiore (nel richiamato itinerario vanno ricordate: Cass. n. 18641 del 2011; Cass. n. 11851 del 2015; Cass. n. 901 del 2018; Cass. n. 7513 del 2018; Cass. n. 23469 del 2018; Cass. n. 20795 del 2018; da ultimo: Cass. n. 4878 del 2019, la quale ha anche sottolineato che, laddove il pregiudizio determinato dal dolore dell'animo, dalla vergogna, dalla disistima di sé, dalla paura, dalla disperazione, sia dedotto e provato, esso deve formare oggetto di separata valutazione e liquidazione)" (così Cass. civ., n. 12041/2020).
Ciò posto, la giurisprudenza di legittimità (così Cass. civ., n. 17577/19) avalla tecniche di liquidazione del danno ''terminale" commisurate alle tabelle che stimano l'inabilità temporanea assoluta con opportuni "fattori di personalizzazione", i quali tengano conto dell'entità e dell'intensità delle conseguenze derivanti dalla lesione della salute in vista del prevedibile exitus, ossia del fatto che, se pur temporaneo, tale danno è massimo nella sua intensità ed entità, tanto che la lesione alla salute non è suscettibile di recupero ed esita, anzi, nella morte.
In tali casi il danno è comprensivo sia di un danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell'evento lesivo fino a quella del decesso) sia di una componente di sofferenza interiore psichica di massimo livello (danno cd. "catastrofale"), correlata alla consapevolezza dell'approssimarsi della fine della vita, che deve essere misurata secondo criteri di proporzionalità e di equità che tengano conto della sua particolare rilevanza ed entità. Pertanto, mentre nel primo caso la liquidazione può ben essere effettuata sulla base delle tabelle relative all'invalidità temporanea, nel secondo caso risulta integrato un danno non patrimoniale di natura del tutto peculiare che comporta la necessità di una liquidazione che si affidi a un criterio equitativo - denominato "puro" ancorché sempre puntualmente correlato alle circostanze del caso - che sappia tener conto della enormità del pregiudizio sofferto a livello psichico in quella determinata circostanza. Ai fini della sussistenza del danno catastrofale, la durata di tale consapevolezza non rileva ai fini della sua oggettiva configurabilità, ma per la sua quantificazione secondo criteri di proporzionalità e di equità (così Cass. civ., n. 16592/19, n. 23153/19 e n. 21837/19).
Da ultimo la Corte ha affermato che " ... il danno subito dalla vittima, nell'ipotesi in cui la morte sopravvenga dopo apprezzabile lasso di tempo dall'evento lesivo, è configurabile e trasmissibile agli eredi nella duplice componente di danno biologico "terminale", cioè di danno biologico da invalidità temporanea assoluta, e di danno morale consistente nella sofferenza patita dal danneggiato che lucidamente e coscientemente assiste allo spegnersi della propria vita ; la liquidazione equitativa del danno in questione va effettuata commisurando la componente del danno biologico all'indennizzo da invalidità temporanea assoluta e valutando la componente morale del danno non patrimoniale mediante una personalizzazione che tenga conto dell'entità e dell'intensità delle conseguenze derivanti dalla lesione della salute in vista del prevedibile exitus ";
14. è stata poi confermata la correttezza ... di tecniche di liquidazione del danno ''terminale" commisurate alle tabelle che stimano l'inabilità temporanea assoluta con opportuni "fattori di personalizzazione", i quali tengano conto dell'entità e dell'intensità delle conseguenze derivanti dalla lesione della salute in vista del prevedibile exitus ... ,·
15. con la pronuncia n. 12041/2020 ora citata, cui il Collegio intende dare continuità, si è chiarito che:
a) in caso di malattia professionale o infortunio sul lavoro con esito mortale, che abbia determinato il decesso non immediato della vittima, al danno biologico terminale , consistente in un danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data del 'evento lesivo fino a quella del decesso) può sommarsi una componente di sofferenza psichica (danno catastrofale), sicché , mentre nel primo caso la liquidazione può essere effettuata sulla base delle tabelle relative all'invalidità temporanea, nel secondo la natura peculiare del pregiudizio comporta la necessità di una liquidazione che si affidi ad un criterio equitativo puro che tenga conto della "enormità" del pregiudizio, giacché tale danno, sebbene temporaneo , è massimo nella sua entità ed intensità, tanto da esitare nella morte ...,·
b) si tratta di danni che vanno tenuti distinti e liquidati con criteri diversi;
e) per il danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell'evento lesivo fino a quella del decesso) la liquidazione può ben essere effettuata sulla base delle tabelle relative all'invalidità temporanea e deve essere effettuata in relazione alla menomazione dell'integrità fisica patita dal danneggiato sino al decesso; tale danno, qualificabile come danno "biologico terminale" , dà luogo ad una pretesa risarcitoria trasmissibile "iure hereditatis" da commisurare soltanto all'inabilità temporanea, adeguando tuttavia la liquidazione alle circostanze del caso concreto, ossia al fatto che, se pur temporaneo, tale danno è massimo nella sua intensità ed entità, tanto che la lesione alla salute non è suscettibile di recupero ed esita, anzi, nella morte.
d) invece il danno catastrofale - che integra un danno non patrimoniale di natura del tutto peculiare consistente nella sofferenza patita dalla vittima che lucidamente e coscientemente assiste allo spegnersi della propria vita - comporla la necessità di una liquidazione che si affidi a un criterio equitativo denominato "puro ' - ancorché sempre puntualmente correlato alle circostanze del caso - che sappia tener conto della sofferenza interiore psichica di massimo livello, correlata alla consapevolezza dell 'approssimarsi della fine della vita, la quale deve essere misurata secondo criteri di proporzionalità e di equità adeguati alla sua particolare rilevanza ed entità, e all'enormità del pregiudizio sofferto a livello psichico in quella determinata circostanza ...;
e) ai fini della sussistenza dei danno catastrofale, la durata di tale consapevolezza non rileva ai .fini della sua oggettiva configurabilità, ma per la sua quantificazione secondo i suindicati criteri di proporzionalità e di equità ...,·
.f) per ottenere uniformità di trattamento a livello nazionale, pe1· questa ultima voce di danno si reputa comunemente necessario fare riferimento al criterio di liquidazione adottato dal Tribunale di Milano, per l' ampia diffusione sul territorio, appunto, nazionale e per il riconoscimento attribuito dalla giurisprudenza di legittimità, alla stregua in linea generale e in applicazione dell'art. 3 Cost. del parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico a norma degli artt. 1226 e 2056 c.c., salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono ...;
16. osserva il collegio che la disparità di trattamento in materia risulta tanto più irragionevole, perché destinata a consumarsi nella sfera protetta dal riconoscimento costituzionale del diritto alla salute quale diritto fondamentale ed inviolabile della persona umana ; proprio dal nucleo irriducibile di tale diritto discende il principio dell'integrale riparazione del pregiudizio quale aspetto essenziale della tutela risarcitoria dei valori non patrimoniali dell' individuo
" (Cass. ci . sez. lav. n. 36841/22).
Cio premesso nel caso in esame il consulente tecnico ha ritenuto che nel periodo che va dalla diagnosi, in data 14.4.2020 fino al 26.11.2020 data del decesso la percentuale del danno biologico temporaneo al 100% non essendovi stata alcuna stabilizzazione dei postumi e, quindi non risultando un danno biologico permanente. Applicando i parametri delle tabelle del Tribunale di Milano, da tempo adottate anche da questo Tribunale , che prevedono la liquidazione di un importo compreso in una forbice tra €. 99,00 ed €.149,00 giornalieri e applicato il valore massimo per l' intero periodo - pari a 226 giorni - de e essere riconosciuta la somma di €. 33.374,00.
Alla luce delle suddette tabelle, questo costituisce il valore massimo, poiché la personalizzazione è compiuta sul valore del punto pari a €. 99,00 aumentato - al massimo - del 50% e, quindi di ulteriori €. 50 00, pari appunto a complessivi €. 149 00.
A questo danno va sommato il danno morale - cosiddetto danno catastrofale - da liquidarsi, secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, secondo un criterio puramente equitativo che tenga conto della durata e della pienezza della consapevolezza del sopraggiungere della morte in capo al danneggiato.
Ebbene, nel caso di specie occorre rilevare che a è stato diagnosticato il mesotelioma nell' aprile 2020 e che il decesso è sopravvenuto nel novembre di quell'anno, in seguito a suicidio causato anche dalla notizia di quell'infausta diagnosi. Durante questo periodo non può dubitarsi della piena consapevolezza in capo al Omissis, della prognosi infausta e questo perché, trattandosi di malattia di origine professionale, il decorso della stessa era ben noto al ricorrente. Dalla testimonianza di Omissis è emerso con chiarezza che, dopo la diagnosi della malattia era profondamente cambiato, si era chiuso in sé stesso, manifestava segni di depressione e profondo sconforto. Ha affermato la teste che: "Sono stata amica di famiglia dei signori Omissis fin dal 2000. Ci frequentavamo perché ballavamo insieme in un gruppo di ballo. Oltre al ballo so che il signor Omissis era molto sportivo e andava in bicicletta , siamo anche andati a fare una settimana bianca insieme e abbiamo sciato. Il signor Omissis ha svolto dette attività fino a metà febbraio 2020, poi con il covid ci siamo persi un po' di vista. Ha cominciato a stare male poi nel marzo 2020 e dopo ci siamo sentiti un po' al telefono con la moglie, quando ne aveva voglia perché mi diceva di non aver voglia di parlare con nessuno".
Tenuto conto di tutti questi elementi si ritiene il che il danno morale possa essere liquidato utilizzando un criterio equitativo puro per una somma pari ad €. 220.000 00 cui deve essere sommato il danno biologico da inabilità temporanea per un danno non patrimoniale complessivo di €. 253.374,00.
Tale valore equitativo, peraltro, non si discosta significativamente da quanto liquidato da questo Tribunale, a titolo di danno non patrimoniale, in casi analoghi, tenuto peraltro conto nel caso in esame, dell'età della vittima al momento del decesso pari a 79 anni (nella sentenza n. 856/19, già citata, il danno è stato liquidato in via equitativa e onnicomprensiva in€. 300.000,00).
Da tale importo non deve essere sottratto quanto riconosciuto dall'INAIL a titolo di indennizzo ex art. 13 D.l.lvo n. 38/00, poiché esso riguarda una voce di danno (quella da invalidità permanente) affatto diversa da quelle riconosciute nel presente giudizio che come si è detto alla luce degli insegnamenti della più recente giurisprudenza di legittimità afferiscono unicamente al danno morale e da inabilità temporanea. L'art. 13 D.l.vo n. 38/00 al secondo comma stabilisce che "In caso di danno biologico, i danni conseguenti ad infortuni sul lavoro verificatisi, nonché a malattie professionali denunciate a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3, l'INAIL nell'ambito del sistema d'indennizzo e sostegno sociale, in luogo della prestazione di cui all'art. 66, comma 1, n. 2), del testo unico, eroga l'indennizzo previsto e regolato dalle seguenti disposizioni...". A sua volta, l'art. 66 del T.U. elenca le prestazioni dell'assicurazione , fornite dall'INAIL: 1) un' indennità giornaliera per l'inabilità temporanea; 2) una rendita per l'inabilità permanente; 3) un assegno per l'assistenza personale continuativa ; 4) una rendita ai superstiti e un assegno una volta tanto in caso di morte; 5) le cure mediche e chirurgiche, compresi gli accertamenti clinici· 6) la fornitura degli apparecchi di protesi.. Dal combinato disposto delle due norme di legge, pertanto appare evidente come il danno biologico coperto dall'Istituto si riferisca esclusivamente e soltanto alla inabilità permanente, perciò con esclusione di quella temporanea.
L'esonero di cui all'art. 10 del T.U. non opera dunque per le responsabilità datoriali concernenti danni non coperti dalle prestazioni previste dall'art. 66 del medesimo testo unico, tra le quali non è compreso il danno biologico da invalidità temporanea, tenuto altresì conto che fino all'entrata in vigore del D.l.vo n. 38/00 l'INAIL copriva il solo danno patrimoniale, laddove per il resto pacificamente risultava, quindi, inapplicabile l'esenzione ex art.10 (Cass. civ., sez. lav., n. 9166/17).
La stessa Corte costituzionale ha affermato che "l'istituto dell'esonero ... è strettamente inserito nel vigente sistema previdenziale-assicurativo, come uno degli aspetti del complesso rapporto tra oggetto dell'assicurazione, erogazione dei contributi, prestazioni assicurative ... L'esonero opera pertanto all'interno e nell'ambito dell'oggetto dell'assicurazione, così come delimitata dai suoi presupposti soggettivi ed oggettivi. Laddove la copertura assicurativa non interviene per mancanza di quei presupposti, non opera L'esonero: e pur trovando il danno origine dalla prestazione di lavoro, la responsabilità è disciplinata dal codice civile, senza i limiti posti dall'art. 10 del T.U. del 1965 ... (Corte cost. n. 356/91). In tali casi vigono per il debitore le regole generali del diritto comune per il risarcimento del danno da inadempimento contrattuale.
Quanto poi al danno sofferto iure proprio dagli odierni ricorrenti (e dalla moglie della vittima, attualmente deceduta), in conseguenza della morte di Omissis rispettivamente marito di ... di cui Omissis è unico erede e agisce come tale nel presente giudizio - padre di Omissis, si ritiene che detto pregiudizio vada inteso come somma del danno morale soggettivo tradizionalmente inteso e del danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale quindi anche della componente c.d. esistenziale disancorato da ogni astratto riferimento a un danno biologico del 100% subìto dalla vittima 'primaria' , e che invece, debba, più opportunamente privilegiarsi nella liquidazione il legame familiare tra la vittima " primaria" e le vittime "secondarie' , tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto tra cui, soprattutto, la sopravvivenza o meno di altri congiunti, la convivenza o meno di quest' ultimi, la qualità e intensità della relazione affettiva familiare residua la qualità e intensità di detta relazione caratterizzante il rapporto parentale con la persona perduta, sia con la moglie - con cui conviveva - che con il figlio e con i nipoti con i quali aveva rapporti affettivi costanti, in ragione dell'assidua frequentazione.
A tal proposito dalla testimonianza di Omissis è emerso che: "Quando durante la nostra frequentazione, poi sono nati i nipoti dei signori Omissis ricordo che si occupavano dei bimbi portandoli al ballo, a scuola, al calcio etc . Credo che abbiano fatto ciò finché non è arrivato il covid, poi non hanno più potuto farlo. Il signor Omissis mi raccontava che andava a sciare con il figlio e a vedere le corse delle macchine con lui".
Applicando i parametri previsti dalle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano nell'anno 2022 - che stabiliscono il punto base della liquidazione e indicano il punteggio da attribuire a ciascun danneggiato - e recepite da questo Tribunale, relativamente al decesso del genitore, del coniuge non separato e del nonno, tenuto conto dell'età del deceduto (79 anni), dell'incontestato rapporto di convivenza con la moglie, delle strette e costanti relazioni con l'unico figlio, della intensità dei rapporti familiari sia con la moglie e i figlio che con i nipoti.
Tenuto altresì conto della malattia che ha portato Omissis al decesso, durante la quale la moglie e il figlio lo hanno costantemente assistito condividendone le sofferenze, appare equo e congruo liquidare, all'attualità, il danno de quo alla luce degli attuali punteggi tabellari in:
a) €. 232.185,00 - pari a complessivi punti 69, di cui punti dodici per l'età sua e del marito, 16 per la convivenza, 14 per il solo figlio parente superstite e 15 per la qualità e l'intensità della relazione affettiva - in favore della moglie Omissis e per lei - essendo deceduta - del figlio Omissis, unico erede, al quale spetta iure hereditatis·
b) €. 205.265,00 - pari a complessivi punti 61, di cui punti dodici per l'età del padre e venti per la sua, quattordici per la sola madre parente superstite e 15 per la qualità e l'intensità della relazione affettiva - in favore del figlio Omissis quale spetta iure proprio;
c) in€. 68.676,40 - pari a complessivi punti 47, di cui punti otto per l'età del nonno e venti per la loro, nove per i quattro parenti superstiti e dieci per la qualità e l'intimità della relazione affettiva - per ciascuno dei due nipoti, Omissis al quale spetta iure proprio.
Al pagamento di tutte queste somme RFI s.p.a. deve essere condannata a favore dei ricorrenti. Sulle somme come sopra liquidate a titolo di danno non patrimoniale, con liquidazione già effettuata all'attualità, sono altresì dovuti rivalutazione monetaria e interessi legali dalla presente pronuncia al saldo effettivo.
Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo (le anticipazioni nei limiti di quanto provato); sono definitivamente poste a carico della società resistente quelle della CTU liquidate come da separato decreto.

 


P.Q.M.


Il Tribunale di Bologna nella persona del giudice del lavoro dott. Luigi Bettini definitivamente pronunciando nella causa n. 1974/21 R. G. LAV. promossa da Omissis anche quale esercente la potestà genitoriale sui figli minori Omissis e contro Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. in persona del legale rappresentante pro tempore, ogni diversa istanza disattesa e respinta così provvede:
-condanna Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. al risarcimento del danno iure hereditatis a favore di Omissis liquidato in misura pari a complessivi €. 253.374,00, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria dalla data della pronuncia al saldo;
- condanna Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. al risarcimento dell'ulteriore danno iure hereditatis a favore di liquidato in misura pari a complessivi €. 232.185,00, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria dalla data della pronuncia al saldo;
- condanna Rete Ferroviaria Italiana spa alla rifusione del danno iure proprio a favore dei ricorrenti, liquidato in €. 205.265,00 a favore di e in €. 68.676,40 ciascuno a favore di Omissis rappresentati oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria dalla pronuncia al saldo;
- condanna Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. al pagamento delle spese processuali a favore dei ricorrenti, liquidate in complessivi per anticipazioni, oltre spese generali, IVA e CPA, come per legge; pone a carico di Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. quelle della CTU, liquidate come da separato decreto;
fissa il termine di sessanta giorni per il deposito della motivazione.
Bologna, 4.4.2024
In giudice del lavoro dott. Luigi Bettini