Cassazione Penale, Sez. 4, 13 giugno 2024, n. 23648 - Lavoratore investito da una cassaforma in cemento armato movimentata da un mezzo meccanico. Responsabilità del preposto


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente

Dott. CALAFIORE Daniela - Consigliere

Dott. BELLINI Ugo - Consigliere-Rel.

Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere

Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A. nato a B il (Omissis)

avverso la sentenza del 29 giugno 2023 della Corte Appello Sez. Dist. di Bolzano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Bellini Ugo;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Odello Lucia che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

La difesa del ricorrente A.A. ha depositato memoria difensiva di replica alle conclusioni del Pubblico Ministero insistendo nell'accoglimento del ricorso.

 

Fatto


1. Con sentenza in data 29 giugno 2023 la Corte di Appello di Trento ha confermato la decisione del Tribunale di Bolzano che aveva riconosciuto A.A. colpevole del reato di lesioni colpose ai danni di B.B. con inosservanza della disciplina relativa alla prevenzione degli infortuni, per essere stato lo stesso investito da una cassaforma in cemento armato che l'imputato si apprestava a movimentare con mezzo meccanico. In particolare, al A.A., quale soggetto preposto dalla azienda C.C. addetto alla lavorazione era contestato, ai sensi dell'art. comma 1, lett. c) D.Lgs. n.81/2008 di non avere proceduto ad una corretta disposizione e accatastamento delle casse-forme collocate nei pressi di un pilastro in modo da escluderne la caduta e il ribaltamento. I giudici di merito inoltre, alla stregua delle testimonianze acquisite nel corso del dibattimento, avevano altresì ravvisato profili di colpa generica in quanto era emerso che era stato proprio il preposto alle lavorazioni ad ordinare alla persona offesa di issarsi sopra il manufatto per agganciarlo alla catena della gru, onde consentirne il trasporto, ma tale metodica di lavoro era in contrasto con qualsiasi regola di prudenza, stante il rischio di ribaltamento, ed era espressamente vietata dalle prescrizioni datoriali che facevano parte integrante del sistema di sicurezza aziendale. La Corte di appello evidenziava altresì che, anche nel caso in cui tale ordine non fosse stato impartito al dipendente, l'imputato che si stava avvicinando con la gru al punto di allocazione dei casseri, avrebbe dovuto tentare di inibire al dipendente la condotta realizzata, e cioè quella di arrampicarsi sula sommità della cassaforma, trattandosi di operazione vietata, ma ciò non era avvenuto, rendendo ancora più verosimile la condivisione da parte del Omissis della scorretta metodica di lavoro.

2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la difesa di A.A. articolando due motivi di ricorso.

2.1 Con un primo motivo di ricorso deduce manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova in relazione agli artt.192 comma 1, 194, 234 e 546 comma 1, lett. e) cod. proc. pen. Assume che entrambi i giudici di merito erano pervenuti all'accertamento della responsabilità dell'imputato omettendo di valutare decisivi elementi istruttori concernenti il rispetto della sicurezza sul luogo di lavoro, la corretta informazione e formazione dei dipendenti sui rischi connessi alle lavorazioni e, in particolare, su quelli concernenti le modalità di intervento sui casseri che imponevano di non salire sui manufatti, se non mediante strumenti di lavoro quali scale ed impalcature pure presenti in prossimità dei manufatti da movimentare e del pilastro ove questi erano appoggiati. Assume ancora che i dipendenti avevano ricevuto personalmente le direttive aziendali che facevano divieto di fare ricorso a prassi lavorative elusive di quanto nelle stesse stabilito. Se il giudice distrettuale avesse considerato che il caposquadra aveva assicurato ai dipendenti tutti gli strumenti e tutte le informazioni necessarie per operare in sicurezza, sarebbe stato escluso ogni profilo di colpa a suo carico.

Con il secondo motivo di ricorso assume violazione di legge, anche processuale, in relazione alle disposizioni del testo unico D.Lgs.81/2008 e degli artt.40 e 41 cod. pen., nonché manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova in relazione agli artt.192 comma 1, 194, e 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.

Assume l'esclusiva rilevanza causale della condotta del lavoratore quale, per la sua eccezionalità e imprevedibilità, nonché per il palese contrasto con ogni disposizione impartita, aveva rappresentato l'antecedente causale esclusivo dell'evento, in quanto il cassero si era ribaltato non per un difetto di stoccaggio, ma per la sconsiderata azione del A.A. che si era improvvidamente arrampicato sullo stesso determinandone il ribaltamento, mentre l'imputato non avrebbe in alcun modo potuto impedire l'evento trattandosi di azione improvvisa e imprevedibile e comunque attuata repentinamente prima che il ricorrente avesse avuto la possibilità di dissuaderlo. Il giudice di appello aveva omesso di considerare prove decisive senza indicare il criterio adottato nella valutazione complessiva delle prove assunte, in particolare con riferimento al mancato riconoscimento della interruzione del rapporto di causalità.
 

Diritto


1. Deve considerarsi che la Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado che ha dichiarato l'imputato responsabile del reato ascritte, configurandosi quindi, nel caso che occupa, una c.d. "doppia conforme" di condanna, avendo entrambi i giudici di merito affermato la responsabilità del A.A. in ordine al reato oggetto di contestazione. Ne deriva che le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Ulteriore conseguenza della "doppia conforme" di condanna è che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione solo nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L e altro, Rv. 272018-01). Nessuna di queste condizioni appare ravvisabile nel caso in disamina, in cui il ricorso, sotto l'apparenza del vizio motivazionale, pretende di asseverare, su alcuni punti specifici, una diversa valutazione del compendio probatorio, richiamando aspetti di merito non deducibili in sede di legittimità e prospettare una ricostruzione alternativa della dinamica del sinistro la quale peraltro risulta smentita dalle fonti probatorie acquisite.

2.1 È noto, infatti, che esulano dal numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimità le doglianze che investano profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto, che sono riservati alla cognizione del giudice di merito le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U. n. 930 del 13/12/1995 - dep. 1996, Clarke, Rv. 203428-01; Sez.4, n.4842 del 2/12/2003, Elia e altri, Rv.229369). Più recentemente è stato riconosciuto che ricorre il vizio di motivazione manifestamente illogica nel caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse, nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono, e, invece, di motivazione contraddittoria quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice - conducenti ad esiti diversi - siano state poste a base del suo convincimento (Sez.5, n.19318 del 20/01/2021, Cappella, Rv.281105).

3. Tanto chiarito, nel caso di specie, la Corte di appello ha ricostruito la vicenda fattuale in modo logico e coerente, evidenziando in termini analitici e coerenti tutti i passaggi salienti, in termini causali, che hanno determinato la verificazione del sinistro e operando la ricostruzione di quest'ultimo in termini coerenti con le risultanze processuali, in particolare sulla base delle testimonianze acquisite, evidenziando come la persona offesa si fosse issata sulla cassaforma da movimentare per agganciarla con la catena, su specifica richiesta dell'imputato preposto alle lavorazioni e ciò in palese violazione delle prescrizioni datoriali relative alle metodiche di lavoro da utilizzare per la movimentazione delle casseforme, e comunque in violazione delle disposizioni del D.Lgs. 81/2008 che disciplinano gli obblighi a carico del soggetto preposto alle lavorazioni (art.19 comma 1 lett. a), c) e d), in relazione alla sovraintendenza e alla vigilanza delle lavorazioni e al dovere di segnalazione del pericolo imminente e grave per il lavoratore, nonché in violazione dell'art.96 comma 1 lett. c) D.Lgs. n. 81/2008, sulle modalità di stoccaggio e di accatastamento dei materiali da movimentare.

3.1 Invero il giudice distrettuale, a fronte dei rilievi provenienti dalla difesa dell'imputato, da pag. 6 a pag. 9 della sentenza si è soffermato a saggiare e riconoscere l'attendibilità della deposizione del teste D.D. assunta alla udienza dibattimentale, il quale, presente e partecipe alle lavorazioni, aveva affermato che era stato l'imputato ad impartire al E.E. l'invito a salire sopra la cassaforma per agganciarla e l'attendibilità di tale testimonianza è stata riconosciuta sia attraverso una preliminare verifica sulla credibilità intrinseca del testimone, sia sulla base di una valutazione di attendibilità estrinseca, esaminando tutte le circostanze del caso concreto, relative alle modalità delle lavorazioni, alla ubicazione delle casseforme, all'impiego di mezzi meccanici, alla distanza che separava il testimone dal preposto, nonché quella che correva tra preposto e il dipendente, e ai tempi necessari per procedere alle operazioni di ancoraggio. Il giudice distrettuale, peraltro, oltre a confermare il giudizio di responsabilità del prevenuto per avere ordinato al manovale di procedere ad una operazione vietata e comunque pericolosa, ha riconosciuto profili di colpa in capo al A.A. anche per non avere vigilato sul presupposto che la distanza intercorrente tra quest'ultimo, che conduceva il mezzo meccanico, e l'operaio, avrebbe consentito al primo di ordinare al secondo di desistere dall'arrampicarsi acrobaticamente sulla cassaforma, mettendo in pericolo la stabilità del manufatto che era peraltro collocato alla base di un pilastro, aggettante verso valle.

3.2 A fronte di tali argomenti, che impegnano la motivazione della sentenza impugnata per la sua maggiore estensione, la difesa del ricorrente omette totalmente di confrontarsi, sebbene gli stessi risultino decisivi per il riconoscimento della responsabilità dell'imputato, il quale avrebbe dato al sottoposto un ordine chiaramente illegittimo e che lo esponeva ad un immediato pericolo per la sua integrità fisica, ma si è limitato a sostenere, in termini generali, che ai dipendenti era stata assicurata un'adeguati formazione e una corretta informazione sui rischi connessi alle lavorazioni ed erano stati forniti adeguati presidi antinfortunistici, sia individuali che collettivi (motivo n. 1) e che comunque l'evento costituiva la conseguenza della condotta abnorme ed eccezionale del dipendente che aveva violato precise prescrizioni sulle modalità di agganciare le casseforme, nella impossibilità per il preposto di intervenire per evitare l'evento.

Ebbene, ritiene il Collegio che i motivi sopra richiamati siano manifestamente infondati in quanto in fatto, generici, privi di confronto con la decisione impugnata, non scanditi da necessaria critica alle argomentazioni poste a fondamento della decisione (Cass., Sez U, n.8825 del 27/10/2016, Galtelli) e privi di analisi censoria degli argomenti posti a fondamento del giudizio di responsabilità del ricorrente.

Il ragionamento sviluppato dal giudice distrettuale risulta coerente con le risultanze processuali e non se risulta altresì manifestamente illogico e si sottrae pertanto al sindacato di questo giudice di legittimità.

3.3 Orbene, alla stregua di tali principi, deve prendersi atto del fatto che la sentenza impugnata non presenta il vizio di motivazione dedotto dalla difesa del ricorrente, atteso che l'articolata valutazione, da parte dei giudici di merito, degli elementi probatori acquisiti, rende ampio conto delle ragioni che li hanno indotti a riconoscere la responsabilità dell'imputato e la censura proposta finisce sostanzialmente per riproporre argomenti già esposti in sede di appello, che tuttavia risultano ampiamente vagliati e correttamente disattesi dalla Corte territoriale; peraltro le incongruenze e i travisamenti evidenziati dalla difesa del ricorrente risultano meramente apparenti, atteso che il giudice di appello ha dato adeguato conto, alla stregua delle risultanze tecniche e degli esiti delle testimonianze che l'evento fu la diretta conseguenza di un ordine illegittimo dato al dipendente dall'odierno imputato e comunque di una carenza di vigilanza sulle modalità con le quali il E.E. aveva tentato di agganciare la cassaforma, su precisa indicazione del A.A.

4. Riconosciuti pertanto in capo al preposto della società datoriale i profili di colpa individuati in imputazione, sotto il profilo causale va riaffermato il principio secondo cui va esclusa l'interruzione del rapporto di causalità, in costanza della imprudente condotta del lavoratore (che si era issato sulle casseforme da movimentare pure in presenza di scale) quando, come nella specie, il sistema di sicurezza apprestato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità (Sez.4, 17/01/2017, Meda, Rv.269255; n.7955 del 10/10/2013, Rovaldi, Rv. 259313; n.22044 del 2/05/2012, Goracci non massimata; 7/02/2012, Pugliese, Rv.252373; n.21511 del 15/04/2010, Di Vita, n.m.).

4.1 Le disposizioni di sicurezza perseguono infatti il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l'area di rischio da gestire comprende il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro impedire l'instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e, come tali, latrici di possibili rischi per la sicurezza e la incolumità dei lavoratori, mentre il preposto è chiamato a intercettare e a impedire il formarsi di non corrette metodiche dei lavori cui sovraintende (Sez.4, n.22813 del 21/05/2015, Palazzolo, Rv.263497).

4.2 Invero, quanto alla dedotta condotta imprudente o incauta del lavoratore, è stato evidenziato dal S.C. che la colpa del lavoratore eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l'esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l'evento-morte o lesioni del lavoratore, che ne sia conseguito, può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento quando, per la sua stranezza ed imprevedibilità, non sia neppure collegato al segmento di lavorazione impegnato; in tema di causalità, la colpa del lavoratore, concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro ovvero al destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, esime questi ultimi dalle loro responsabilità solo allorquando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore (vedi Sez.4, 23292 del 28/04/2011, Millo, Rv.250709; n. 16397 del 5/03/2015, Guida, Rv.263386), ipotesi nella specie non ipotizzabile essendo emerso che il lavoratore si è limitato a dare esecuzione ad uno specifico ordine di lavoro promanante dal preposto alle lavorazioni.

5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al versamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Cosi deciso in Roma, il 6 marzo 2024.

Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2024.