Cassazione Penale, Sez. 4, 02 luglio 2024, n. 25753 - Caduta dal tetto del container durante le operazioni di pulizia. Responsabilità del datore di lavoro e del preposto


 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta da:

Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente

Dott. BELLINI Ugo - Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere

Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere

Dott. DAWAN Daniela - Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



sui ricorsi proposti da:

A.A. nato a E il omissis

B.B. nato a E il omissis

avverso la sentenza del 19/10/2023 della CORTE APPELLO di SALERNO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA DAWAN;

letto il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCA CERONI che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso
 

Fatto


1. La Corte di appello di Salerno ha confermato la sentenza del locale Tribunale che ha dichiarato A.A. - legale rappresentante dell'azienda agricola "Santa Michela Srl" e datrice di lavoro dell'infortunato - e B.B. - dipendente dell'anzidetta azienda agricola in qualità di preposto per la sicurezza dei lavoratori - colpevoli del delitto di lesioni colpose ai danni del lavoratore di cittadinanza marocchina C.C., per colpa generica e per violazione di norme riguardanti la sicurezza la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Più specificamente: alla A.A. si contesta la violazione delle disposizioni previste dall'art. 122, in combinato disposto con l'art 105 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, per aver mancato di fornire al suddetto lavoratore, operante ad un'altezza superiore a due metri, adeguate misure di protezione individuale, ovvero, comunque, precauzioni atte ad evitare ed eliminare il pericolo di caduta dall'alto; al B.B. è contestata la violazione dell'art. 19, comma 1, lett. a) e c), medesimo decreto, per aver omesso di sovrintendere e vigilare sull'osservanza, da parte del lavoratore infortunato, dell'obbligo di fare uso dei mezzi di protezione, avendogli, tra l'altro, commissionato un lavoro in quota, in specie la pulizia della superficie superiore di un container, senza predisporre alcun sistema di protezione per il rischio di caduta dall'alto. Condotte di entrambi gli imputati che determinavano la caduta dal tetto di copertura del container (installato presso la sede operativa dell'azienda agricola "Santa Michela Srl") di C.C., che riportava gravi lesioni personali, aggravate ai sensi dell'art. 583, comma 1, cod. pen. (fatto commesso a E, il 25/10/2016).

2. Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso entrambi gli imputati, a mezzo del comune difensore e con un unico atto con cui sollevano i seguenti motivi:

2.1. Manifesta illogicità della motivazione sul punto decisivo della sentenza relativo all'assenza degli imputati sui luoghi nel momento in cui si verificava l'incidente, diversamente da quanto assunto dalla Corte territoriale, nonché violazione dell'art. 192 cod. proc. pen., per aver disatteso i criteri logici di valutazione della prova. La Corte di appello ha desunto la presenza sul posto degli imputati, al momento dell'infortunio, dalle dichiarazioni di D.D., sorella dell'imputata, e di E.E., cugino della persona offesa, che ne affermavano invece l'assenza;

2.2. Erronea applicazione degli artt. 28 e 3 D.Lgs. 81/2008 che, secondo la Corte di appello, prevederebbero l'obbligo di predisporre un DVR che contenga anche la specifica tipologia di rischio per lavori in quota, imposta tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio, indipendentemente dall'eventualità che detti lavori facciano parte o meno del tipo di lavorazione aziendale. La difesa osserva che non si tratta di un obbligo previsto dall'art. 28 D.Lgs. 81/2008, poiché non emerge dal dato normativo l'obbligo di includere nel DVR il rischio specifico relativo allo svolgimento dei lavori in quota, sganciato da qualsiasi valutazione delle concrete ed effettive attività lavorative aziendali. Nel caso di specie, risulta accertato che l'azienda agricola "Santa Michele Srl" è sempre stata dedita alla lavorazione di terreni, dislocati in vari siti nel Comune di Eboli per la produzione di ortaggi in campo aperto o sotto serra e che mai tale azienda è stata dedita alla coltivazione di alberi da frutto o di piante o di altre attività che comunque richiedessero l'esecuzione di lavori in quota o l'uso di scale; che i lavoratori, compresa la persona offesa, sono sempre stati assunti come braccianti per lavorazioni in campo aperto o in serra, con un ciclo di lavorazione da svolgere in tutte le sue fasi esclusivamente al suolo. È questa la ragione per la quale il DVR, approntato dal datore di lavoro il 02/09/2015, non ha previsto la valutazione dei rischi e delle misure da attuarsi nel caso di lavori in quota che espongano i lavoratori al pericolo di caduta dall'alto;

2.3. Manifesta illogicità della motivazione sul punto decisivo della sentenza relativo alla inidoneità delle dichiarazioni della persona offesa e del cugino presente al fatto, E.E., a provare la responsabilità degli imputati; violazione dell'art. 192 cod. proc. pen. per violazione dei criteri logici di valutazione della prova. La doglianza afferisce all'ordine di svolgere il lavoro di pulizia del tetto del container asseritamente dato dal B.B. rispetto al quale la Corte di appello ha richiamato per relationem, condividendola, la motivazione del Tribunale di Salerno che aveva fondato il giudizio di responsabilità dell'imputato sulle dichiarazioni della persona offesa e del cugino che riferivano di tale ordine. Così facendo, la Corte avrebbe omesso di considerare le dichiarazioni dei testi della difesa F.F. e G.G. da cui emerge la totale inutilità e, quindi, la non ipotizzabilità di tale ordine di pulizia, mai impartito dal B.B.;

2.4. Carenza della motivazione per omesso esame del motivo di appello relativo alla formazione specifica in tema di rischio correttamente impartita alla persona offesa e al cugino; inidoneità delle loro dichiarazioni a provare la responsabilità degli imputati; mancata applicazione dell'art. 20 D.Lgs. 81/2008, che avrebbe portato ad escludere il giudizio di penale responsabilità degli imputati, in quanto non presenti al momento in cui si verificava l'incidente sul lavoro. La sentenza impugnata è viziata da motivazione carente per non aver esaminato il motivo relativo all'inattendibilità della persona offesa e del cugino E.E., le cui dichiarazioni sono state alla base del giudizio di penale responsabilità e che erano i soli presenti la mattina dell'incidente. Le dichiarazioni del teste E.E. erano volte a mascherare il proprio inadempimento all'obbligo di adoperarsi per eliminare la situazione di pericolo incombente su di lui e sulla persona offesa che, in maniera improvvida, imprevedibile ed esorbitante rispetto agli ordini di pulizia ricevuti, e per propria esclusiva iniziativa, era salita con uno scaletto inidoneo sul tetto del container, per effettuare la pulizia dagli aghi di pino, non richiesta e del tutto inutile. Lo stesso è a dirsi per le analoghe dichiarazioni rese dalla persona offesa. Costoro, lavoratori esperti e formati in materia di sicurezza, erano ben consapevoli di essere venuti meno ai loro obblighi in materia di salute e sicurezza sanciti dal predetto art. 20, sulla cui osservanza il datore di lavoro e il preposto legittimamente confidavano;

2.5. Erronea applicazione degli artt. 28 e 3 D.Lgs. 81/2008 e dell'art. 122, in combinato disposto con l'art. 105 del medesimo decreto, che impone per l'esecuzione di lavori di costruzione e di manutenzione in quota di adottare "adeguate impalcature, o ponteggi, o idonee opere provvisionali, o, comunque, precauzioni atte di eliminare i pericoli di caduta di persone e di cose". Il riferimento è alla condotta abnorme, imprevedibile ed esorbitante delle mansioni da svolgere del lavoratore infortunato. Al riguardo, la Corte territoriale ha ritenuto che, perché il comportamento del lavoratore possa ritenersi tale, è necessario che il datore di lavoro abbia posto in essere le cautele finalizzate alla disciplina e al governo del rischio di comportamento imprudente. La Corte di appello disattende il motivo di gravame relativo all'esclusione del nesso causale, erroneamente ritenendo la sussistenza dell'obbligo gravante sull'imputata, datrice di lavoro, A.A. di valutare e gestire la specifica tipologia di rischio per lavori in quota e l'obbligo dunque di adottare le misure appena richiamate, inconferenti, come si è detto, con le attività svolte dall'azienda agricola in questione.

3. Con requisitoria scritta, il Procuratore generale ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

4. In data 28/02/2024 sono pervenute conclusioni e nota spese per la costituita parte civile FILLEA CGIL Regione Campania.

 

Diritto


1. I ricorsi sono inammissibili.

2. Occorre premettere che ci si trova di fronte ad una doppia, conforme, affermazione di responsabilità e che, in tale evenienza le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 12/04/2012, Valerio, Rv. 252615).

3. Ciò detto, i ricorsi sono inammissibili perché reiterano doglianze cui la Corte di territoriale ha offerto motivazione congrua, esaustiva in fatto e corretta in diritto, rispetto alla quale i ricorrenti non si sono confrontati criticamente, limitandosi, in maniera appunto inammissibilmente generica, a lamentare una presunta ma inesistente carenza o illogicità della motivazione. Gli imputati, infatti, oppongono al logico, congruo e corretto convincimento della Corte territoriale, argomenti fattuali e di merito che esulano dal perimetro assegnato al giudizio di legittimità. Eccede, invero, dalla competenza della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito.

4. Con riguardo alla dedotta violazione dell'art. 192 cod. proc. pen., occorre ribadire che non è consentito il motivo di ricorso che deduca la violazione dell'art. 192 cod. proc. pen., per censurare l'omessa od erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti od acquisibili, in quanto i limiti all'ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non possono essere superati ricorrendo al motivo con cui si deduca una violazione di legge (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo Nicola, Rv. 280027-04).

Tanto premesso, del tutto irrilevante, ai fini dell'affermazione della responsabilità degli imputati, è la circostanza della loro mancata presenza sui luoghi ove si verificava l'infortunio: ciò, in ragione della posizione di garanzia da entrambi rivestita, la quale imponeva alla A.A., datrice di lavoro dell'infortunato (e in quanto tale, principale destinataria degli obblighi prevenzionistici), di adottare, per lavori in quota, adeguate opere provvisionali e, comunque, precauzioni atte ad eliminare il pericolo di caduta dall'alto, e al B.B., preposto (nonché rappresentante dei lavoratori per la sicurezza), di informare l'amministratrice unica della società, di richiedere l'osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di rischio e di non ordinare, e comunque di impedire, che il lavoratore svolgesse un'attività rischiosa in assenza dei necessari presidi di sicurezza.

La circostanza della presenza (o meno) degli imputati sul luogo dell'accaduto si appalesa irrilevante, ai fini dell'affermazione della loro responsabilità, anche tenuto conto che, come ricorda la sentenza di primo grado, essi erano ben a conoscenza dello stato dei luoghi e del tipo di operazioni da svolgere, atteso che il B.B. era soggetto che aveva incaricato il E.E. e che la stessa A.A. aveva fatto riferimento ad un'attività di pulizia connessa ad un'ispezione da parte di una società certificatrice.

Anche rispetto alla censura, relativa all'imputata A.A., afferente alla mancata valutazione nel DVR del rischio per lavori in quota, la Corte territoriale ha offerto motivazione adeguata e corretta in diritto. Invero, l'obbligo per il datore di lavoro di elaborare un documento di valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro, di cui all'art. 28 D.Lgs. 81/2008 si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio (Sez. 3, n. 33567 del 04/07/2012, Griffoni, Rv. 253171). E, comunque, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro ha l'obbligo di adottare idonee misure di sicurezza anche in relazione a rischi non specificamente contemplati dal documento di valutazione dei rischi, cosi sopperendo all'omessa previsione anticipata. Non può essere infatti posto in dubbio che nella specie fosse doveroso porre in essere ulteriori cautele per evitare il rischio di eventi lesivi, come quello poi verificatosi, a prescindere dal contenuto del documento di valutazione del rischio previsto dall'art. 28 D.Lgs. 81/2008 (Sez. 4, n. 4075 del 13/01/2021, Paulicelli Giuseppe, Rv. 280389); e, dunque, nel caso che occupa, indipendentemente dall'eventualità che i c.d. lavori in quota facessero, o meno, parte del tipo di lavorazione aziendale svolta dal datore di lavoro. Nel DVR, a firma dell'imputata A.A., invece, il rischio specifico connesso alla necessità di lavorare sul tetto di un edificio/container alto più di 2,5 metri, rappresentato dal pericolo di precipitare dal tetto stesso, non era stato affatto contemplato e, in conseguenza, non erano stati disposti i presidi di sicurezza che la datrice di lavoro aveva l'obbligo di approntare. Le argomentazioni sul punto della Corte di appello sul punto appaiono coerenti, esaustive e non manifestamente illogiche, e pertanto immuni dai denunciati vizi di legittimità.

I motivi terzo e quarto contengono analoghe doglianze, di tal che unica ne è la trattazione. I ricorrenti lamentano, in particolare, la valutazione di attendibilità operata dai Giudici di merito rispetto alle dichiarazioni della persona offesa e del cugino, in specie afferente all'ordine impartito dal B.B. al lavoratore poi infortunato. Al riguardo, con riferimento ai limiti del giudizio di legittimità, va rammentato che questo è circoscritto alla verifica della completezza e della correttezza della motivazione di una sentenza, e non può esondare dai limiti cognitivi sanciti dagli artt. 606 e 609 cod. proc. pen. mediante una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito; le valutazioni espresse dalla sentenza impugnata, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che il processo formativo del libero convincimento dei giudice non ha subito il condizionamento di una riduttiva indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi di un'imprecisa ricostruzione del contenuto di una prova (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767). L'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha quindi un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944); e l'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dal testo della sentenza o da altri atti specificamente indicati, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). Gli accertamenti (giudizio ricostruttivo dei fatti) e gli apprezzamenti (giudizio valutativo dei fatti) cui il giudice del merito sia pervenuto attraverso l'esame delle prove, sorretto da adeguata motivazione esente da errori logici e giuridici, sono sottratti al sindacato di legittimità e non possono essere investiti dalla censura di difetto o contraddittorietà della motivazione solo perché contrari agli assunti del ricorrente; ne consegue che tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell'art. 606 cod. proc. pen., non rientrano quelle relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l'indagine sull'attendibilità dei testimoni e sulle risultanze peritali, salvo il controllo estrinseco della congruità e logicità della motivazione (Sez. 4, n. 87 del 27/09/1989, dep. 1990, Bianchesi, Rv. 182961).

Quanto alle concordi deposizioni testimoniali della persona offesa e del cugino, E.E., anch'egli lavoratore alle dipendenze dell'azienda agricola "Santa Michela Srl", con riguardo all'ordine impartito al lavoratore poi infortunato di salire sul tetto del container per pulirlo, la Corte di merito ha osservato che il narrato dell'infortunato, le cui dichiarazioni hanno costituito oggetto di esame e controesame dibattimentale, nonché di sommarie informazioni testimoniali, rese nell'immediatezza dei fatti e i cui verbali sono stati acquisiti con il consenso delle parti, "si rivela lineare e conseguente". Ha, in specie, evidenziato come la mancata costituzione di parte civile sia stata idonea ad escludere che le dichiarazioni accusatorie della persona offesa potessero essere inquinate da interessi economici e ne ha valorizzato la credibilità, intrinseca ed estrinseca, dalla considerazione logica, già effettuata dal Giudice di primo grado, secondo cui la persona offesa non ha lesinato di deporre in senso favorevole agli imputati, ricordando la cura e la premura che essi dimostrarono nel fornirgli le cure necessarie, conseguentemente escludendo, con un giudizio congruo e quindi incensurabile in questa sede, alcun intento calunniatorio. Giova, al riguardo, richiamare il consolidato principio della giurisprudenza della Corte di legittimità, secondo cui le regole dettate dall'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato (Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Manzini, Rv. 265104). Nella vicenda in esame, peraltro, i Giudici di entrambi i gradi di merito hanno altresì indicato, tra gli elementi di riscontro esterno, le dichiarazioni del cugino dell'infortunato che aveva precisato che il container era sempre stato adibito a deposito di fitofarmaci e di attrezzi da lavoro e che era la seconda volta che vedeva il cugino effettuare le operazioni di polizia del tetto, sul quale era salito con una scala di legno a pioli a tre piedi, confermando che era il B.B. ad impartire direttive sui compiti da svolgere e che, il giorno dell'infortunio, l'imputato aveva incaricato la persona offesa di provvedere a pulire il tetto del container, dal momento che il ristagno di acqua stava provocando sgoccioli all'interno.

Quanto alle dichiarazioni dei testi della difesa F.F. e G.G., che la Corte territoriale non ha preso in considerazione, occorre riaffermare che, nella motivazione della sentenza, il giudice dell'appello non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte e deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo (cfr. Sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021, Depretis Rocco, Rv. 281935), conseguendone che debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive le quali, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muià ed altri, Rv.254107). Le doglianze poi su eventuali inadempimenti, da parte della persona offesa e del cugino, degli obblighi di cui all'art. 20 D.Lgs. 81/2008, oltre ad essere versate in fatto, costituiscono mere illazioni, prive di alcuna rilevanza.

Manifestamente infondato è anche il quinto motivo di appello con cui si invoca l'abnormità della condotta della vittima, tale da aver attivato un rischio eccentrico ed esorbitante dalla sfera di rischio governata dal titolare della posizione di garanzia e da interrompere il nesso causale. La Corte di appello, nell'escluderla, ha ricordato che la condotta del lavoratore infortunato - il quale si è inerpicato, tramite una scala non idonea e non sicura, sul tetto scivoloso di un container alto più di 2 metri, per riuscire a pulirne il tetto liberandolo dal fogliame di risulta accumulato dal vento e dalla pioggia - "non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento, perché comunque riconducibile all'area di rischio proprio della lavorazione svolta, che è quella di bracciante agricolo, addetto de facto anche alle pulizie degli spazi e dei beni aziendali"; altresì considerando che, come ricordato dalla sentenza di primo grado, la A.A., nel corso del proprio esame, aveva affermato che il E.E. doveva provvedere ad una pulizia del capanno in vista di un controllo che sarebbe stato effettuato dalla Global Cap, società che rilascia certificazioni per prodotti agricoli. Si tratta di un dato fattuale che, come correttamente sostiene la sentenza impugnata, sgombra il campo da eventuali suggestioni derivanti dalla valutazione della condotta della vittima come eccentrica rispetto alle mansioni svolte, frutto di una sua censurabile iniziativa. Giova sul punto ricordare che la giurisprudenza di legittimità considera interruttiva del nesso di condizionamento la condotta del lavoratore non solo quando essa si collochi in qualche modo al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso ma anche quando, pur collocandosi nell'area di rischio, sia esorbitante dalle precise direttive ricevute e, in sostanza, consapevolmente idonea a neutralizzare i presidi antinfortunistici posti in essere dal datore di lavoro; cionondimeno, quest'ultimo, dal canto suo, deve aver previsto il rischio ed aver adottato le misure prevenzionistiche esigibili in relazione alle particolarità del lavoro. La giurisprudenza di legittimità è, infatti, ferma nel sostenere che non possa discutersi dì responsabilità (o anche solo di corresponsabilità) del lavoratore per l'infortunio quando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità (Sez. 4, n.22044 del 2/05/2012, Goracci, n.m.; Sez. 4, n.21511 del 15/04/2010, De Vita, n.m.). Le disposizioni antinfortunistiche perseguono, infatti, il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l'area di rischio da gestire include il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e per tale ragione foriere di pericoli (Sez. 4, n.4114 del 13/01/2011, n.4114, Galante, n.m.).

5. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 5 marzo 2024.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2024.