Cassazione Penale, Sez. 4, 14 marzo 2024, n. 10652 - Sentenza Amatrice. Posizione di garanzia
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente -
Dott. FERRANTI Donatella - Relatore -
Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere -
Dott. MICCICHÈ Loredana - Consigliere -
Dott. D'ANDREA Alessandro - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
A.A. nato a A il (omissis)
B.B. nato a ROCCA SINIBALDA il 20/05/1954
A.T.E.R. (GIÀ' I.A.C.P.) DELLA PROVINCIA DI RIETI REGIONE LAZIO
avverso la sentenza del 14/03/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere DONATELLA FERRANTI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCA CERONI che ha concluso chiedendo.
IL Proc. Gen. conclude per il rigetto del ricorso di B.B., per l'inammissibilità del ricorso di A.A. e per il rigetto dei ricorsi dei Responsabili civili A.T.E.R. (già I.A.C.P.) DELLA PROVINCIA DI RIETI e REGIONE LAZIO.
Udito il difensore
È presente l'avvocato BLASI IDA del foro di ROMA in difesa delle parti civili C.C. E D.D. che, dopo aver ampiamente esposto le motivazioni, conclude chiedendo l'inammissibilità o in subordine il rigetto dei ricorsi come da conclusioni e nota spese che deposita.
È presente l'avvocato DELLA VIGNA WANIA del foro di TERAMO in difesa delle parti civili E.E., F.F., G.G., più altri omessi.
Il difensore associandosi alle conclusioni del P.G. e riportandosi anche alla memoria già depositata, dopo aver esposto le motivazioni chiede la conferma della sentenza impugnata come da conclusioni e nota spese che deposita.
È presente l'avvocato ROCCA CECILIA del foro di RIETI in difesa delle parti civili H.H., I.I., più altri omessi, che, come da conclusioni e nota spese depositate, chiede il rigetto dei ricorsi.
In difesa dalla parte civile J.J. è presente l'avvocato DE LUCA GUIDO FELICE del foro di TERAMO il quale conclude chiedendo la conferma della sentenza impugnata, come da conclusioni e nota spese depositate in udienza.
È presente l'avvocato COLAIACOMO GRAZIELLA del foro di ROMA, in difesa delle parti civili K.K., L.L., più altri omessi, che associandosi alle conclusioni del P.G., chiede la conferma della sentenza impugnata e il conseguente rigetto dei ricorsi presentati come da conclusioni e nota spese depositate.
È presente l'avvocato GIANCASPRO MARIO del foro di PERUGIA, in difesa della parte civile M.M. che, come da conclusioni e nota spese depositate, chiede la conferma della sentenza impugnata.
È presente l'avvocato CAMERINI EMANUELA del foro di RIETI in difesa della parte civile N.N. che chiede il rigetto dei ricorsi depositando altresì conclusioni e nota spese.
Alle ore 12,00 d'ordine del Presidente l'udienza è sospesa.
Alle ore 12,12 d'ordine del Presidente l'udienza è aperta.
In difesa del Responsabile civile REGIONE LAZIO è presente l'avvocato D'AMATA CARLO del foro di ROMA il quale, dopo aver esposto nei dettagli i motivi di ricorso, insiste nell'accoglimento.
È presente l'avvocato BRUNELLI DAVID del foro di PERUGIA, in difesa del Responsabile civile A.T.E.R. (GIÀ' I.A.C.P.) DELLA PROVINCIA DI RIETI che non concordando con le conclusioni del P.G., dopo aver ampiamente illustrato i motivi di doglianza, insiste nell'accoglimento del ricorso.
È presente l'avvocato OLIVETI MARCO del foro di ROMA in difesa di A.A. il quale dopo aver illustrato i punti salienti del ricorso, ne chiede l'integrale accoglimento.
In difesa del ricorrente B.B. sono presenti entrambi i difensori del foro di Roma, avvocato COPPI FRANCO CARLO e avvocato BORGOGNO ROBERTO. L'avvocato BORGOGNO esponendo nei dettagli i principali motivi di ricorso, insiste nell'accoglimento.
L'avvocato COPPI dopo aver integrato con ulteriori argomentazioni il ricorso di B.B., insistendo nell'accoglimento chiede l'annullamento della sentenza impugnata.
Il dott. O.O., tessera ordine Avvocati di Roma n. (omissis) è presente in udienza per la pratica forense.
Fatto
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Rieti dell' 8.09.2020, appellata da A.A., P.P., Q.Q., B.B., R.R. e dai responsabili civili Comune di A., Regione Lazio, A.T.E.R. (già IACP) della Provincia di Rieti, dichiarava non doversi procedere nei confronti di Q.Q. e R.R., . per essere i reati a loro ascritti estinti per morte degli imputati e nei confronti di P.P. per incapacità irreversibile di partecipare al processo, ai sensi dell'art 72 bis c.p.p. e per l'effetto revocava le statuizioni civili di condanna emesse nei confronti di Q.Q., P.P., R.R. e del responsabile civile Comune di A.
Confermava nel resto la condanna degli imputati A.A. e B.B. alle spese processuali e con i responsabili civili Regione Lazio e A.T.E.R. (già IACP) della Provincia di Rieti, in solido alla rifusione delle spese di costituzione e giudizio sopportate dalle parti civili costituite nel giudizio di appello.
1.1. I fatti addebitati riguardavano le scosse sismiche che a partire dalle 03:36 del 24 agosto 2016 si susseguivano in una vasta area dell'Italia centrale. Il territorio del Comune di A. registrava da subito una serie di crolli, con elevata perdita di vite umane: 237, sul totale nazionale censito di 299 vittime (fonte: Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Protezione civile, dati aggiornati al 22/8/18). In specie nella zona di piazza S., risultavano crollate le palazzine aventi i numeri civici (omissis) (fronteggiante la piazza S., e in seguito appellata come palazzina (omissis)) e (omissis) (più arretrata rispetto alla piazza, con accesso dalla via (omissis), in seguito appellata come palazzina (omissis)), edifici pei sottoposti a sequestro.
2. In particolare il capo di imputazione fa riferimento alla violazione degli artt. 40 comma 2, 41 comma 1 e 3, 43, 61 n.9, 81 comma 1, 113, 434 commi 1 e 2 in relazione all'art. 449, 589 commi 1 e 4 e 590 commi 1,2 e 5 cod. pen., perché in cooperazione colposa tra loro, con condotte colpose autonome e indipendenti, oltre che con S.S. (non perseguibile in quanto deceduto in data (omissis)), T.T. (non perseguibile in quanto deceduto nell'anno (omissis)), U.U. (non perseguibile in quanto deceduto in data (omissis)) e V.V. (non perseguibile in quanto deceduto in data (omissis)), nelle rispettive qualità con le condotte commissive e omissive appresso contestate, per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia oltre che nell'inosservanza della Legge n. 1684 del 25.11.1962 "Provvedimenti per l'edilizia, con particolari prescrizioni per le zone 'sismiche", della Legge n. 1086 del 5.11.1971 "Norme per la disciplina delle opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica", della Legge n. 64 del 2.2.1974 "Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizione per le zone sismiche" e del DM 3.03.1975 pubblicato in GU n.93 dell'8.04.1975 "approvazione delle norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche", causavano o comunque contribuivano a causare il crollo di edifici siti in A., piazza S. n. (omissis) (palazzina "(omissis)") e piazza S. n. (omissis) (palazzina "(omissis)") (censiti al Nuovo Catasto Urbano di A. al foglio (omissis) particelle, rispettivamente, (omissis) in occasione della scossa di terremoto verificatasi in data 24.8.2016 alle ore 3,36.
2.1. A.A., in specie perché, in qualità di direttore tecnico della SO.GE.AP. Srl, impresa appaltatrice dei lavori di costruzione di due palazzine commissionate dall'Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Rieti e da realizzare in A. alla piazza S. nn. (omissis), per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia oltre che nell'inosservanza della Legge n. 1684 del 25.11.1962 "Provvedimenti per l'edilizia, con particolari prescrizioni per le zone sismiche", della Legge n. 1086 del 5.11.1971 "Norme per la disciplina delle opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica", della Legge n. 64 del 2.2.1974 "Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche" e del D.M. del 3.3.1975 pubblicato in G.U. n. 93 dell'8.4.1975"Approvazione delle norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche", nonché in violazione dell'art. 6 comma 5 del Capitolato speciale d'appalto approvato dal Consiglio di Amministrazione dell'I.A.C.P. di Rieti con delibera n. 4 del 30 ottobre 1972,realizzava un progetto strutturale in variante all'originario progetto delle strutture in cemento armato (quest'ultimo realizzato dall'Ing. W.W., depositato in data 16.11.1972, posizione n. (omissis), e approvato in data 15.12.1972 con nota n. (omissis) dell'Ufficio Genio Civile di Rieti, ma mai eseguito), progetto in variante recante la data del 12.7.1984 (aggiunta a penna a modifica della data originariamente apposta, 3.8.1973), depositato presso l'Ufficio del Genio Civile di Rieti in data 14.7.1984, posizione n. (omissis), e approvato in data 6.2.1985 con nota n. (omissis) a firma del Coordinatore del Settore decentrato dell'Ufficio del Genio Civile di Rieti Ing. U.U. (quest'ultimo non perseguibile in quanto deceduto in data (omissis)), sulla base del quale venivano realizzati i due predetti edifici, progetto strutturale non conforme alle leggi previste per le costruzioni in zona sismica vigenti all'epoca della sua predisposizione e presentazione all'Ufficio del Genio Civile, in quanto realizzato ponendo in essere le seguenti violazioni a regole tecniche e a norme di legge:
A) il calcolo delle azioni sismiche veniva effettuato considerando solo due telai longitudinali ed uno trasversale (coincidente con i due telai di testata sul lato corto), mentre non venivano previsti telai centrali (tra l'altro maggiormente caricati), per cui i pilastri centrali di tutti i telai longitudinali non venivano armati a pressoflessione nella direzione del lato corto, con la conseguenza che i pilastri (omissis) risultavano vulnerabili per azioni sismiche nella corrispondente direzione lungo il lato corto;
B) i pilastri di tutta la struttura non venivano verificati per azioni taglianti (che sono tra le azioni principali indotte dal sisma);
C) non venivano inserite travi di collegamento tra i pilastri (omissis) e i telai longitudinali venivano collegati tra di loro solo dai solai in laterocemento, così progettando una struttura vulnerabile alle azioni sismiche;
D) i calcoli delle azioni sismiche erano errati, in quanto le azioni sismiche venivano calcolate con distribuzione costante lungo l'altezza, mentre le norme sismiche vigenti all'epoca della progettazione e della presentazione del progetto di variante (Legge n.1684 del 25.11.1962, Legge n. 64 del 2.2.1974 e Decreto Ministeriale del 3.3.1975), prevedevano che le forze sismiche dovessero essere calcolate, in condizioni pseudo statiche, con un;s distribuzione di forze linearmente crescenti lungo l'altezza dell'edificio (distribuzione lineare proporzionale ai momenti di massa e non alla distribuzione delle masse) e in ogni caso in quanto diversi pilastri, a tutte le elevazioni, non erano stati calcolati e progettati considerando agenti, nella relativa direzione, le forze sismiche;
E) tutti i pilastri risultavano molto sottili, con spessore prevalente pari a 20 cm, e la loro armatura esigua;
F) le staffe presenti non derivavano da un calcolo, in quanto la verifica alle sollecitazioni di taglio, in base alla quale vanno progettate le staffe, non veniva eseguita; inoltre, il passo delle staffe non rispettava il disposto normativo per le strutture in conglomerato cementizio armato all'epoca vigente, in quanto le staffe dovevano avere un passo massimo pari alla metà della larghezza del pilastro e, quindi, in questo caso il passo massimo tra le staffe sarebbe dovuto essere 10 cm e non 25 cm.
2.2. A B.B. veniva contestato: "perché, in qualità di Dipendente della Regione Lazio, Assessorato ai Lavori Pubblici, Ufficio Sismico del Genio Civile (Settore decentrato) di Rieti, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia oltre che nell'inosservanza della Legge n. 1086 del 5.11.1971 "Norme per la disciplina delle opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica", della Legge n. 64 del.2.1974 "Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche,, e del D.M. del 3.3.1975 pubblicato in G.U. n. 93 dell'8.4.1975 "Approvazione delle norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche", in data 11.7.1985 sottoscriveva, unitamente al Direttore dei Lavori Arch. S.S. e al Dirigente Responsabile dell'Ufficio Genio Civile (Settore decentrato) di Rieti V.V. (entrambi non perseguibili in quanto deceduti rispettivamente il (omissis) e il (omissis)), il verbale di accertamento con il quale, dopo aver indicato in premessa "che in data 15/12/1972 n. l 2455 questo Settore ha concesso alla Ditta I.A.C.P. l'autorizzazione ai sensi della legge 2/2/1974 n. 64 per la costruzione del fabbricato in oggetto", "che in data 16/2/1985 n. 31267 lo stesso Settore ha approvato il progetto di variante" e "che in data 25/3/1985 la ditta medesima ha chiesto un certificato attestante la regolarità tecnica dell'opera eseguita, ai sensi e per gli effetti dell'art. 28 della legge 2/2/1974 n. 64", dichiarava di aver, in data 2.4.1985 in A., "proceduto ad una ricognizione delle opere riscontrandole conformi agli elaborati approvati salvo modifiche di modeste entità che si ritengono ammissibili", dando successivamente atto che "il collaudo statico delle strutture in c.a. e stato eseguito con esito favorevole come risulta dal relativo certificato in data 9. (10)9.1977, depositato a questo Settore decentrato in data 15.(10)9.1977 n. 238 ai sensi della legge n. 1086 del 5-11-1971, cosi omettendo di rilevare che le opere di cui egli stava accertando la conformità agli elaborati progettuali approvati erano terminate il 26.9.1977 ed erano state collaudate il 9.9.1977 e quindi ben sette anni prima della presentazione (avvenuta in data 14.7.1984) e approvazione del progetto di variante (avvenuta in data 6.2.1985), dovendosi pertanto gli edifici realizzati dalla SO.GE.AP. Srl in A. alla piazza S. nn. (omissis) considerarsi abusivi in quanto realizzati in esecuzione di un progetto di variante non ancora depositato e approvato e quindi in violazione della normativa sulle opere di conglomerato cementizio armato e antisismica; omettendo altresì, in violazione degli artt. 17, 18 e 21 della Legge n. 64 del2.2.1974 e dell'art. 331 c.p.p., di segnalare all'Autorità Giudiziaria che gli edifici di piazza S. nn. (omissis) in A. erano stati realizzati in esecuzione di un progetto difforme dal progetto depositato ed autorizzato dal Genio Civile di Rieti ai sensi della normativa antisismica, omissioni che consentivano il rilascio da parte del Coordinatore del Settore decentrato dell'Ufficio del Genio Civile di Rieti Ing. U.U. (quest'ultimo non perseguibile in quanto deceduto in data (omissis)) del Certificato di conformità dei predetti edifici alle norme per l'edilizia antisismica, ai sensi ed agli effetti dell'art. 28 della Legge n. 64 del 2.2.1974, condotte che costituiscono evidenti concause della perdita delle vite umane conseguenti al crollo degli edifici".
3.Il Giudice di primo grado ha illustrato in maniera rigorosa il procedimento tecnico logico, giuridico e fattuale utilizzato per addivenire alle affermazioni di responsabilità degli imputati e in particolare, partendo dall'assunto accusatorio che l'evento giuridicamente inteso - i decessi e i ferimenti delle persone indicate - si sia verificato in conseguenza diretta del sisma, ha individuato la catena di condotte commissive e omissive, che sono quelle meglio descritte nel capo di imputazione, fattori tutti concorrenti col sisma stesso, utilizzando ricostruzioni e ragionamenti complessi, in larga misura fondati sulle acquisizioni delle scienze di Eiettore e ripercorrendo la 'vita materiale' degli edifici, fino al sisma, correlata alla loro 'vita amministrativa', dunque tutti i profili di approvazione e autorizzazione, evidenziando anche quale fosse per ciascuna di queste fasi la normativa di riferimento; ha poi analizzato il sisma e le sue caratteristiche, cercando di ricostruirne, dando conto delle analisi sul campo effettuate in fase di indagine, gli effetti sugli edifici, le conclusioni svolte dai consulenti tecnici, il cui apporto di conoscenze è stato esaminato in considerazione sia dello specifico 'modus procedendi' da ciascuno adottato, sia delle conclusioni dagli stessi raggiunte, conclusioni che sono state anche durante il processo comparate in un confronto diretto. Da questa disamina sono scaturite la complessiva ricostruzione della vicenda e la valutazione di tutti gli elementi ritenuti utili alla decisione (capitolo 9), che sono poi stati rapportati alle posizioni dei singoli imputati (capitolo 10), mediante l'illustrazione dell'apporto causale che agli stessi è stato riconosciuto, distinguendo la fase di progettazione ed esecuzione da quella autorizzativa e fornendo un inquadramento giuridico delle condotte, correlando a tali ruoli svolti le singole responsabilità e la misura delle sanzioni. Infine ha valutato (capitolo 12) i riflessi civilistici della vicenda, verificando dunque la posizione dei responsabili civili citati in giudizio e le istanze risarcitorie delle parti civili.
3.1. Va evidenziato che il Giudice di primo grado nell'ambito del suo percorso argomentativo ha escluso l'indimostrato carattere eccezionale del sisma, sottolineando numerosi indicatori oggettivi di una 'ordinarietà' non solo del sisma ma anche dei suoi effetti: si trattava dunque di scossa sismica di magnitudo 6.0 (su un range delle principali scosse registrate in Italia che varia da 6,9 a 5,6: per indicazione unanime dei CCTT un grado di magnitudo in più comporta un aumento esponenziale di potenza di circa 32 volte: se bene si intendono tali dati, il sisma de L'Aquila, cui si è fatto più volte riferimento, di magnitudo 6.1, aveva circa intensità tripla; la scossa del 30/10/16, intensità 6,5, di circa dieci volte superiore), avvenuta a una profondità di 8,1 km, (i valori di profondità per tutte le scosse registrate nell'Italia centrale sono del medesimo ordine di grandezza e la mera media matematica di tali eventi (sempre escluso quello del mare territoriale di Sicilia) è di 8,73, valore dunque assai prossimo a quello in esame, che è 8,1;- durata complessiva di circa 16 secondi, con un picco tra i 2 e i 6 secondi (volendo con ciò recepire la più ampia indicazione dei CCTT RRCC si è trattato dunque di scossa di durata nettamente inferiore non solo a quella dell'Irpinia del 1980 (che era stata complessivamente di un minuto, con fase distruttiva appunto di circa 30 secondi), ma anche di quella de L'Aquila del 2006 (circa trenta secondi totali).
3.2. Quanto alla posizione di A.A., il Giudice di primo grado ha argomentato che l'imputato ha escluso la sua qualità di progettista, sostenendo in sede di spontanee dichiarazioni e nelle memorie scritte nell'ottobre 2017 (fol. 404 e 405 sentenza di primo grado) di essersi occupato della costruzione degli edifici progettati dall'Architetto S.S., in qualità di direttore tecnico della società SO.GE.AP. appaltatrice dei lavori e in tale veste ha depositato e siglato in tutte le pagine il progetto al Genio civile per i calcoli del cemento armato, ai sensi della legge n. 1086/1971, cui conseguiva la licenza a costruire del 9.11.1973; ha partecipato alla consegna dei lavori e seguito i lavori medesimi fino alla ultimazione del 1977 (fol. 406 e 406 sentenza di primo grado); occupandosi poi nel 1984 anche della relazione tecnica dell'impianto di riscaldamento della palazzina A. Affermava il Giudice di primo grado che A.A. si è dichiarato estraneo alla presentazione della variante e del progetto del 1984, anche se nella memoria ipotizzava che il procedimento fosse stato messo in atto per sanare alcune irregolarità emerse ben dopo la certificazione di ultimazione dei lavori e collaudo(fol 405 sentenza di primo grado).Il Giudice di primo grado a fol 408 argomenta che risulta accertato che il A.A., nella sua qualità, ha firmando calcoli e disegni da altri (materialmente) predisposti, ha depositato il progetto al Genio civile a norma della Legge n. 1086 citata, progetti cui dava esecuzione e le cui caratteristiche tecniche erano gravemente carenti, così concorrendo a realizzare il crollo. È stato ritenuto, infatti, insufficiente l'aggancio realizzato tra ferri e pilastri. In particolare - pur se all'epoca non vi erano norme cogenti sul punto- era contrario alle buone tecniche costruttive prevedere pochi 'nodi' dei ferri e consentire che in alcuni punti i ferri stessi (lasciati dunque dritti) si potessero sfilare dai pilastri.
Tale circostanza è stata rilevata in situ dai consulenti stessi e si evince anche molto chiaramente da alcune fotografie acquisite agli atti (accanto a ferri spezzati taluni appaiono 'sfilati' dai punti di loro inserimento). Se dunque vi sono state anche delle traslazioni, e non un crollo assolutamente solo verticale -aspetto questo sul quale i Consulenti tecnici dei RRCC hanno molto insistito, e che può ritenersi dimostrato considerando appunto gli spostamenti finali degli edifici - si ritiene che vi sia stato un apporto causale al crollo dato dalla mancata previsione di elementi di ritenzione, in grado di tenere insieme i telai costituenti gli edifici. Tale dato si lega, all'altro dato oggettivo (e sempre attinente alla progettazione) e cioè al fatto dell'accennata asimmetria dei pilastri: non si comprende infatti come tali collegamenti per mezzo dei solai potessero assicurare stabilità a telai che in taluni casi erano 'imperfetti', cioè scaricavano su pilastri non allineati. Il Giudice di primo grado ha evidenziato tra l'altro che anche il CT dell'ATER, responsabile civile, ha dovuto convenire sul fatto che non pochi pilastri non rispettavano i valori prescritti: il pilastro n. (omissis) al primo ordine in direzione (omissis) ((omissis)); lo stesso pilastro, al secondo ordine, per entrambe le direzioni ((omissis) per (omissis); (omissis), (omissis)); il 7 al secondo ordine in direzione (omissis) ((omissis)); il (omissis) in direzione (omissis) ((omissis)), il (omissis) in direzione (omissis) ((omissis)). Il cedimento a "taglio," anche di uno solo dei punti indicati, avrebbe inevitabilmente e progressivamente sovraccaricato i pilastri vicini, con un effetto a catena ampiamente descritto nella ricostruzione del Giudice di primo grado che rilevava altresì: "evidenti carenze di progettazione, che rendevano, quindi, per palesi violazioni della normativa in materia, il progetto non autorizzabile (e che forse costituiscono la ragione per cui non si ritenne in fase di esecuzione di presentare una vera 'variante'); carenze verificatesi anche nella fase esecutiva".
Anche a ritenere legittima l'assenza (almeno, in molti dei nodi) di piegature del ferri, non prescritte dalla norma, ma già in quel periodo invalse nella prassi, è risultata altrettanto incontroversa l'attendibilità delle prove di schiacciamento effettuate dai CCTT del P.M. presso l'Università de L'Aquila da cui emerge che sia stato utilizzato invece un cemento che può ritenersi almeno di una classe inferiore, 16-20; e ciò in via del tutto prudenziale e secondo un criterio di particolare rigore e garanzia degli imputati, perché in realtà i valori rilevati (si è fatto riferimento, da tutti i CCTT, a un valore medio di 16,6; ma sono stati indicate anche punte di 11 e un valore medio di 14, 9 per le strutture in elevazione, quelle più sensibili) porterebbero ad un 'salto' di ben due classi. Lo stesso CT di difesa Y.Y. aveva affermato che : "siamo proprio alla frontiera dei calcestruzzi scadenti", valori che il Giudice ha ritenuto non essere stati smentiti dagli analoghi campionamenti in apparenza regolari svolti all'epoca.
Afferma ed argomenta il Giudice di primo grado che, ben precise carenze progettuali ed esecutive, in violazione di specifiche disposizioni di legge e delle norme tecniche di costruzione, che non possono essere liquidate come 'formali ' la cui somma e interazione con riferimento al rapporto numero e dimensioni pilastri/resistenza cemento/dimensioni e numero ferri - sono state stata concausa efficiente a determinare il crollo delle palazzine e ciò tenuto conto della natura prescrittiva della normativa vigente al momento della progettazione ed esecuzione delle palazzine medesime.
Il tutto in presenza di omissioni nei controlli amministrativi, a partire dal progetto, anzi gli elaborati originari di W.W. che venivano utilizzati per l'approvazione dello IACP, intervenuta il 30/10/72,con conseguente varo del bando. Tali progetti venivano presentati (dichiarandone una formale attribuzione all'arch. S.S. e all'ing. W.W.), al Genio civile, che il 15/12/1972 emetteva l'autorizzazione sismica, inviandola a firma dell'Ing. capo X.X. al Sindaco di A. Tale approvazione è stata definita 'inspiegabile' dallo stesso CT di ATER perché :"il progetto W.W./S.S. non è ...chiamabile come tale, appellabile come tale. ...Quindi questo progetto mancava di un primo elemento essenziale per potersi chiamare tale ...li "gli" mancava la relazione di calcolo... ".
All'autorizzazione era seguita l'aggiudicazione alla ditta del P.P., SO.GE.AP; la consegna dei lavori il 25/5/73, in cui 'compare' per la prima volta l'ing. A.A. (che si qualifica, direttore tecnico di SO.GE.AP); l'esecuzione dei lavori stessi, il cui importo passava dagli 81 milioni di lire iniziali a 155 milioni di lire, maggiore importo che peraltro non veniva dichiarato nel certificato ultimazione lavori, sottoscritto dal P.P. e dal S.S., Proprio dalle spontanee dichiarazioni rese dall'ing. A.A. all'udienza del 20/3/19 (pp. 72 e ss.), emerge come lo stesso abbia recisamente negato la qualità di progettista ma abbia al contempo rivendicato di avere effettuato il deposito degli elaborati ai sensi della L. 1086/71, che ha riconosciuto in quelli apparentemente datati 1984, epoca della variante, pur affermando essere stati redatti nel 1973.
In sostanza, emerge che prima della realizzazione dell'opera era stato depositato in data 16/11/1972, con prot. n. (omissis) sez. (omissis) il 'progetto/non-progetto' W.W. ai fini della normazione antisismica al Genio civile, Ufficio che rilasciava autorizzazione in data 15/12/1972, con protocollo n. (omissis) e posizione n. (omissis); che il Comune di A. il 9/11/1973 rilasciava la licenza di costruzione; mentre dopo il sollecito al deposito ex l. 1086/71, fatto dallo IACP il 9/05/1973 con missiva depositata al Genio civile, il giorno seguente veniva depositato dallo stesso ing. A.A. (che ha riconosciuto tale circostanza) ai sensi dell'art. 711.1086/71 (normazione sui cementi armati) il suo progetto, deposito 'recepito' 15/9/1977 con il n. (omissis). Due progetti diversi per struttura e caratteristiche, nonostante l'autorizzazione a fini sismici nel richiamare l'art. 4 della legge citata ricordasse che si doveva depositare "altra copia del progetto": chiara è dunque l'indicazione che, se diverse e parallele erano all'epoca le due procedure, unico doveva essere il progetto depositato.
Tale situazione sembra essere stata alla base del passaggio amministrativo successivo, intervenuto tra il 1984 e il 1985. Nel momento in cui doveva essere ottenuto il certificato di abitabilità (che indubbiamente in base a una normativa dell'epoca investiva aspetti diversi, più attinenti alla idoneità sanitaria) ritiene il Giudice di primo grado che ci si poneva la questione della conformità a fini sismici, conformità quest'ultima anch'essa propedeutica al rilascio di detto certificato. La missiva di richiesta del Presidente IACP del 23/5/79 era rimasta lettera morta, perché 'annullata ' e mai recapitata. Afferma il Giudice di primo grado, nella sua ricostruzione del compendio probatorio, che " proprio per non richiamare l'attenzione su una realizzazione di un secondo progetto diverso da quello già depositato a fini sismici a distanza di tempo 'comparivano' (o 'ricomparivano') datati al 12/7/84 gli elaborati A.A., accompagnati dalla lettera di pari data con la quale il Direttore dei lavori S.S. dichiarava di avere 'disposto una variante al progetto delle strutture in c.a., già depositato ai sensi della Legge 64 al Genio civile di Rieti con il n. (omissis)', argomentando che "la variante si era resa necessaria per soddisfare una richiesta dell'impresa costruttrice SO.GE.AP. ed anche per tenere conto della reale situazione del terreno emersa dopo lo sbancamento generale".
Dunque, interveniva una richiesta di variante, a sei anni dalla conclusione dell'opera, richiesta che veniva ricevuta dallo IACP, il cui Presidente Q.Q. inviava una missiva in data 3.05.1984 alla Regione-Assessorato ai Lavori Pubblici, che il 6/2/85 autorizzava l'inizio dei lavori ai sensi dell'art. 18 l. 64/74 (nel frattempo intervenuta in subiecta materia); il 25/3/85 lo IACP depositava la richiesta al Genio civile del certificato di conformità alle norme per l'edilizia antisismica, che veniva rilasciato l'11/07/85 dal coordinatore di settore: ing. U.U. dopo il verbale di accertamento redatto dal geom. B.B. tra il 2/4/85 (in minuta) e l'11/7/85 (in dattiloscritto), controfirmato dal dirigente V.V., cui seguivano dopo varie interlocuzioni il verbale di visita e il certificato di collaudo c.d. "tecnico-amministrativo" del 30/4/86 e il certificato di abitabilità da parte del Comune (9/10/89).
Afferma, sul punto, il Giudice di primo grado che "l'assoluta falsità e inconferenza della motivazione addotta per tale 'variante' risultano da una pletora di ragioni: nel corso dei lavori le varianti (effettive) erano state già indicate, non attenevano a profili strutturali (ma comunque avevano fatto lievitare circa del doppio l'importo originario dell'appalto); il progetto 'variato' vedeva la medesima impronta sul suolo di quello originale, dunque alla dichiarazione astratta di necessità di una modifica legata alla conformazione del terreno non erano seguite le uniche modifiche che ne sarebbero state consequenziali (le esigenze rappresentate apparivano "strumentali, in quanto il disegno globale dell'edificio non è sostanzialmente cambiato, come non è cambiato il tipo di fondazione superficiale, né la profondità del piano fondale, invero molto superficiale)".È stato altresì dato atto dal Giudice di primo grado che la SO.GE.AP. era fallita e che gli appartamenti erano tutti abitati da almeno sei anni.
Evidenzia, inoltre, il Giudice di primo grado che i CCTT dei RRCC hanno cercato di 'recuperare' questo passaggio intendendolo come sanatoria, ma che si trattava, invece, di un'opera compiuta. L'unica procedura possibile a quello stato era quella della segnalazione all'AG e il conseguente avvio di un procedimento penale, che necessariamente prevedeva a latere un accertamento di conformità dell'opera e la conseguente adozione dei relativi provvedimenti, che potevano andare dalla demolizione (integrale o parziale) alla emanazione di prescrizioni, cui il titolare doveva necessariamente conformarsi per conservare il costruito.
Da tale iter il Giudice di primo grado argomentava che i due edifici in questione non avevano mai avuto una effettiva e approfondita verifica di idoneità dal punto di vista sismico. Tale verifica non veniva effettuata nella fase iniziale, mentre del tutto impropriamente era autorizzato il 'non progetto' W.W., diverso da quello effettivamente realizzato e depositato (a fini statici) dal A.A.; successivamente il cd. progetto A.A. veniva 'recuperato' e utilizzato per un 'nuovo deposito' ai sensi della normativa antisismica, come 'variante', che però parimenti non portava ad alcun controllo effettivo, perché non veniva svolta alcuna verifica sostanziale della rispondenza dei fabbricati alla normativa antisismica.
In conclusione il Giudice di primo grado affermava che "tutte le omissioni e gli 'aggiramenti' indicati privavano dunque le palazzine di momenti di verifica che potevano consentire la emersione delle anomalie progettuali e realizzative indicate, la diversità tra quanto autorizzato e il realizzato: e dunque l'adozione delle necessarie contromisure tecniche, che potevano consistere in meri interventi di rinforzo o più radicalmente nella demolizione e ricostruzione a norma degli edifici, avrebbero evitato il crollo delle palazzine e il disastro del terremoto".
4. La Corte di appello, nella sentenza impugnata, dopo aver illustrato (fino a fol 24) il percorso motivazionale del Giudice di primo grado e, in particolare, descritto l'iter amministrativo riguardante la realizzazione delle palazzine IACP di Piazza S. in A. e le argomentazioni tecnico scientifiche dei consulenti tecnici, nell'esame dei motivi di appello (riportati a fol 25, 26, 27, 28) ha valutato le condotte relative al contributo causale ascritto agli imputati ricorrenti, A.A. e B.B., e ne ha confermato l'affermazione di responsabilità penale sotto il profilo oggettivo e soggettivo (fol 59), ritenendo che il crollo delle costruzioni e la morte e le lesioni delle persone offese si erano verificate quali conseguenze di una pluralità di apporti causali imputabili ai soggetti che hanno concorso alla realizzazione delle palazzine e a coloro che per la PA, deputata ai controlli sulla normativa antisismica, hanno tradito tale funzione; la scossa di terremoto si è posta come fattore concausale ultimo di una serie condizionalistica, che si è composta di contributi umani, frutto di scelte effettuate nell'interesse personale, a scapito della sicurezza e della protezione delle persone e dei beni di un territorio storicamente segnato da eventi sismici.
Entrambi gli imputati ricorrenti, afferma la Corte, hanno agito, quale sia stato il motivo personalissimo, se interesse economico o superficialità, nella consapevolezza di violare un sistema di protezione posto a tutela della collettività, a fronte del rischio sismico prevedibile ed evitabile nelle conseguenze disastrose.
5. Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione i difensori di fiducia, Avv.ti Franco Coppi e Roberto Borgogno, per B.B. deducendo i seguenti motivi:
5.1. con il primo motivo violazione di legge nonché vizio di motivazione con riferimento alla prima delle condotte omissive contestate, sopra riportata, l'aver omesso di rilevare che le opere di cui accertava la conformità agli elaborati progettuali approvati erano terminate il 26.09.1977 ed erano state collaudate il 9.09.1977, quindi ben sette anni prima delle presentazione, avvenuta il 14.06.1984, della variante e dell'approvazione avvenuta il 6.02.1985.
Deducono che il Geom. B.B., dipendente precario del Genio Civile, proprio nel sopralluogo del 2.04.1985 di cui fu incaricato successivamente all'approvazione del progetto di variante e finalizzato al rilascio da parte del dirigente Ing. U.U. della certificazione di conformità sismica delle palazzine, aveva segnalato l'esistenza di un collaudo già effettuato sette anni prima dell'approvazione del progetto di variante. Questa segnalazione in un verbale controfirmato dal Dirigente dell'Ufficio sismico avrebbe dovuto impedire a U.U. di emettere il certificato di conformità sismica e comunque è elemento che prova la estraneità del ricorrente al disegno criminoso.
Lamentano che a seguito del sopralluogo che aveva evidenziato un collaudo preesistente di sette anni, il Dirigente avrebbe dovuto non rilasciare il certificato e revocare in autotutela la precedente approvazione del progetto di variante e invece ha agito in piena consapevolezza di voler mettere "a posto le carte". Nessuna valenza probatoria può avere la circostanza che B.B., secondo prassi, ha compilato il modulo prestampato sulla scorta del quale l'ingegnere capo doveva far redigere e sottoscrivere la copia dattiloscritta del certificato di conformità.
Evidenziano in vari passaggi del ricorso la illogicità della motivazione laddove, premesso che il Dirigente del Genio Civile e il Dirigente dell'Ufficio sismico erano consapevoli di agire in via postuma per mettere "a posto le carte" con la finta approvazione del progetto realizzato come variante, tutte le eventuali omissioni del geom. B.B. rispetto agli accertamenti da compiere nel sopralluogo sarebbero irrilevanti perché non idonei ad incidere sull'iter successivo della pratica; in ogni caso il ricorrente aveva evidenziato la circostanza rilevante che doveva indurre a revocare l'approvazione del progetto di variante e non emettere il certificato di conformità.
Non aver segnalato che le palazzine erano già abitate non rientrava nei suoi compiti non avendo competenza a segnalare violazioni della legge 1085 del 1971, competendo invece al sindaco e ai funzionari comunali vigiliare che le costruzioni non fossero utilizzate prima del certificato di collaudo.
5.2. Con il secondo motivo violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla seconda condotta colposa omissiva contestata sopra descritta.
Lamentano che l'obbligo che gli è stato contestato di denuncia è stato assolto invece con la evidenziazione del collaudo statico nel verbale di sopralluogo che aveva trasmesso all'Ingegnere capo del Genio civile di Rieti che aveva l'obbligo di riferire all'autorità giudiziaria.
Deduce che il motivo di appello articolato sul punto a pag 39 non è stato preso in considerazione dalla Corte distrettuale e che l'obbligo di denuncia riguardava l'attività di verifica dei lavori in corso con sopralluoghi di opere già effettuate. Nel caso di specie l'anomalia riguardante l'approvazione di un progetto di variante del 1985 e un collaudo effettuato 7 anni prima era stata evidenziata nel verbale di sopralluogo controfirmato dal dott. V.V. e rivolto al dirigente dell'Ufficio (nel caso di specie trovano applicazione gli artt. 21, 22, 29 l. 64/1974). B.B. non aveva la qualifica di funzionario del Genio civile cui è diretto l'art. 21, anche se nel modulo prestampato aveva apposto la sua firma sotto la stampigliatura funzionario; tale qualifica spettava sicuramente al Dott. V.V.
5.3. Con il terzo motivo violazione di legge, in quanto la responsabilità penale dell'imputato è stata affermata per condotte omissive diverse da quelle originariamente contestate nel capo di imputazione. La Corte distrettuale argomenta la responsabilità penale del ricorrente dal fatto che era a conoscenza che il progetto delle due palazzine era approvato realizzato e collaudato e nessuna concreta variante era stata apportata con ciò in evidente contraddizione con i fatti addebitati nel capo di imputazione.
5.4. Con il quarto motivo violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento alla ritenuta configurabilità in capo al dipendente del Genio Civile di un obbligo giuridico di impedire il crollo degli edifici.
Non è stato accertato se nei confronti del Genio Civile la normativa antisismica preveda a carico dei dipendenti una posizione di garanzia riguardo all'obbligo d attivarsi per impedire il crollo degli edifici collocati nell'area di competenza.
In realtà tali obblighi scaturiscono dalla normativa edilizia a carico di altre figure che partecipano alla fase della progettazione ed esecuzione dell'opera. La classificazione della zona rischio 1 dal 2003 comportava per i nuovi progetti di mettere in atto e misure antisismiche e verifiche specifiche. Tanto che la legge regionale prevedeva il controllo da parte del settore decentrato opere e lavori pubblici dei progetti a campione nella misura del 15 per cento dei preavvisi pervenuti mensilmente ai sensi dell'art. 17 della legge n.64/1974, proprio in relazione alla impossibilità per il Genio civile di verificare la conformità alla normativa antisismica di tutti le iniziative costruttive avviate. Di qui deriva, secondo tale ricostruzione, che a carico dei dipendenti del Genio civile incombe solo un obbligo di sorveglianza sull'attività di edificazione da esercitare esclusivamente a campione.
5.5. Con il quinto motivo violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'affermata rapporto di causalità tra le violazioni della normativa antisismica ascritte al progettista e il crollo delle palazzine. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata rinnovazione istruttoria con riferimento alla perizia tecnica richiesta dalle difese degli imputati.
Mancanza di un giudizio controfattuale che giunga a dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che B.B., ove avesse tenuto le condotte doverose richieste, le palazzine di Piazza S. non sarebbero crollate per effetto del terremoto del 2016 e sarebbe stata salvata la vita delle persone decedute o comunque si sarebbero evitate lesioni e danni personali derivanti dal crollo. Le palazzine erano state realizzate su progetto dell' Ing. A.A. del 1972 /73 sulla base della normativa vigente in materia antisismica (legge 1864 del 1962) e collaudato nel 1977 dopo pochi anni l'entrata in vigore della legge del 1974 n. 64; fino al 2003 A. era nella zona sismica 2 e quindi non vi è prova oltre ogni ragionevole dubbio che se le palazzine fossero state adeguate dopo il 1985 secondo il progetto di variante alle norme antisismiche avrebbero resistito al sisma del 2016 che aveva una caratteristica eccezionale di particolare intensità superiore a quella di cui tener conto sulla base delle norme antisismiche del 2008 in vigore al momento del sisma.
Tali deduzioni della difesa del ricorrente erano autorevolmente supportate dalle consulenze dei tecnici del responsabile civile e dell'Ater di Rieti .
La Corte territoriale aveva immotivatamente disatteso la richiesta di una perizia di ufficio sulla intensità del terremoto e sulle effettive cause del crollo delle palazzine volta a verificare se vi erano errori costruttivi o difformità del progetto alla normativa antisismica vigente peraltro obsolete, considerato che fino al 2003 il rischio era stato sottostimato dalla stessa regione o se comunque l'edificio sarebbe ugualmente crollato alla luce delle accelerazioni innescate dall'evento sismico del 2016.
Criticano i passaggi argomentativi a fol 48 e 56 della sentenza impugnata, evidenziano l'impossibilità, alla luce delle deduzioni del ct Y.Y., di impostare un corretto giudizio controfattuale sulla scorta della mera osservazione che tra due edifici limitrofi uno è crollato e l'altro ha avuto gravi lesioni senza però il crollo.
5.6. Con il sesto motivo violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al nesso di causa tra le condotte omissive ascritte a B.B. nel 1985 e il crollo delle palazzine a seguito del terremoto.
Lamenta il ricorrente che se l'assunto ritenuto in sentenza è che le due palazzine in argomento erano state realizzate mediante un progetto depositato presso l'Ufficio cemento armato del Genio civile di Rieti regolarmente collaudato ma mai preventivamente sottoposto all'Ufficio sismico del Genio civile, come previsto dalla legge 64/1974, e che quindi vi fu l'idea di approvarlo in via postuma con un progetto di variante, di regolarizzazione attraverso una serie di atti ideologicamente falsi, il ragionamento controfattuale svolto il sentenza non è logico.
Il Geom. B.B. estraneo agli accordi illeciti aveva segnalato che le palazzine erano state già collaudate nel 1977 ed abitate, l'Arch S.S. direttore dei lavori aveva attestato che le strutture non erano più ispezionabili ma conformi alla normativa antisismica rimettendo al Dirigente qualsiasi decisione in merito anche sull'eventuale notizia all'Autorità giudiziaria e l'Ing. U.U., quale Ingegnere capo, aveva approvato il progetto di variante il 6.02.1985.
Se anche il geom. B.B. avesse denunciato all'AG, poiché il reato era prescritto, la competenza sarebbe passata alla Regione che doveva valutare la compatibilità antisismica e le valutazioni dell'Ing. U.U. sarebbero state le stesse che ha assunto nell'approvazione della variante.
Se anche fossero stati predisposti adeguamenti all'epoca dei fatti, l'area era considerata rischio 2 fino al 2003 e conseguentemente gli adempimenti antisismici, anche ove effettuati, non avrebbero con certezza evitato i danni del terremoto, verificatosi trenta anni dopo, così come erroneamente sostenuto dalla sentenza impugnata sulla base di un giudizio meramente ipotetico.
In ogni caso era certamente applicabile alle palazzine in quanto ultimate prima del 1983 il condono previsto dalla legge 1985.
La difesa contesta che il ragionamento secondo cui ove il geom. B.B. avesse redatto uno specifico verbale di denuncia per la constata violazione dell'art. 20 L 64/1974, il progetto sarebbe stato ritenuto non conforme alla normativa antisismica in vigore e le palazzine sarebbero state demolite o rese conformi alla normativa antisismica e che ove rese conformi alla normativa in vigore nel 1985, avrebbero resistito alle sollecitazioni del 2016. Al riguarda deduce che si tratta di un ragionamento di carattere ipotetico argomentato sulla base di condotte umane dipendenti da una serie di variabili imprevedibili e non dimostrabili, oltre ogni ragionevole dubbio.
5.7. Con il settimo motivo violazione di legge in relazione agli artt. 43,113,434 commi 1 e2 in relazione all'art. 449 589 commi 1 e 4 e 590 commi 1,2,5 cod. pen. carenza e contraddittorietà manifesta della motivazione, in relazione al nesso di prevedibilità fra le condotte colpose ascritte al ricorrente e il crollo delle palazzine a seguito del terremoto del 24.03.2016.
In punto di elemento soggettivo non sono state prese in considerazioni le conseguenze derivanti dall'infelice articolazione del capo di imputazione, già dedotte in appello, in quanto non viene evocato l'art. 586 cod.pen. e non viene compiuta alcuna valutazione circa la concreta prevedibilità ed evitabilità dell'evento nel contesto amministrativo in cui il ricorrente operava e allo stesso è stato addebitato il comportamento illecito, a titolo di colpa, esclusivamente sulla base del fatto che avrebbe avuto consapevolezza della funzione preventiva della normativa antisismica.
In realtà, il giudice avrebbe omesso di considerare che il crollo delle palazzine derivava da difetti costruttivi non emersi e non evidenziati nel procedimento amministrativo che ha riguardato l'approvazione dei progetti la costruzione delle palazzine e il collaudo. Il ricorrente dipendente precario non poteva prevedere che dalle omissioni del suo agire poteva derivare il crollo delle palazzine per effetto dell'accelerazione sismica provocata da un evento incerto in relazione a difetti costruttivi dell'opera che pregiudicavano la statica dell'edificio.
5.8. Con l'ottavo motivo violazione di legge in relazione agli artt. 43,113,434 commi 1 e2, all'art. 449 589 commi 1 e 4 e 590 commi 1,2,5 cod pen., carenza e contraddittorietà manifesta della motivazione con riferimento alla mancata assoluzione del geom. B.B. per l'inconfigurabilità dell'elemento soggettivo del concorso colposo nel delitto doloso commesso dall'ing U.U.
5.9. Con il nono motivo violazione degli artt. 7 CEDI), 25 comma 2 Cost. 2 comma 4 cod.pen. nonché carenza e illogicità manifesta della motivazione rilevabile dal testo del provvedimento impugnato nella parte in cui la sentenza ha applicato la cornice sanzionatoria in vigore al momento dell'evento indicata dal legislatore da mesi sei ad anni 15 di reclusione e non quella in vigore al momento della condotta, da mesi sei a anni dodici di reclusione più favorevole e ciò in contrasto il principio fissato dalle Sez. Unite del 2018 n.4098,con conseguenze negative e preclusive in tema di misure alternative alla detenzione per una condotta omissiva compiuta 39 anni fa.
5.10. Con il decimo motivo violazione di legge con riferimento agli artt. 62 bis,132 e 133 cod.pen. conche carenza e manifesta illogicità della motivazione in relazione al mancato riconoscimento in favore del ricorrente della prevalenza delle attenuanti generiche, stante la palese marginalità del ruolo e il tempo trascorso, circa 31 anni; all'epoca della condotta omissiva era da poco assunto come precario del Genio civile di Rieti e al momento dell'evento era in procinto della pensione.
5.11. Con l'undicesimo motivo solleva, in subordine, questione di legittimità costituzionale per violazione dell'art. 27 comma 3 Cost, art 7 della Convenzione EDU nella parte in cui per i reati colposi non è prevista la prescrizione quanto l'evento si verifichi molto dopo la condotta, avvenuta nel 1985, superiore cioè al numero di anni massimo di prescrizione del reato e comunque non sia previsto che la prescrizione nei reati colposi di evento decorra dal momento in cui è stata posta in essere la condotta omissiva.
6. L'Azienda territoriale per l'Edilizia Pubblica ATER della provincia di Rieti responsabile civile, mediante il difensore di fiducia, Avv. David Brunelli, ha proposto ricorso con il seguente motivo:
violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza della legittimazione passiva Ater per gli imputati A.A. e B.B. e vizio di motivazione sul punto.
Deduce che la Corte di appello di Roma in riforma della sentenza di primo grado, con riferimento agli imputati Q.Q. e R.R. deceduti, e P.P., riconosciuto incapace di partecipare al processo, aveva revocato le statuizioni civili nei confronti del responsabile civile Comune di A., mentre ha confermato la condanna di Ater in solido con gli imputati A.A. e B.B.
Lamenta che la responsabilità per la posizione di A.A. era stata ritenuta sulla base del fatto che A.A. aveva fornito un contributo alla realizzazione delle palazzine rimaste sempre intestate a IACP, aveva effettuato il deposito del progetto ai sensi della legge 1086/71 su sollecito IACP e la licenza a costruire era intestata all'Ente e tutti i verbali di sospensione lavori cui aveva partecipato A.A. erano controfirmati dal Presidente IACP, ente che era rimasto proprietario fino alla assegnazione degli appartamenti. Quanto a B.B., la responsabilità dell'Ente era stata ritenuta sulla base del fatto che il procedimento era iniziato su carta intestata dello IACP, che era la Ditta cui si faceva riferimento nel verbale di accertamento e nel certificato di conformità. Veniva, pertanto, attribuita all'Ente una responsabilità diretta nella causazione dell'evento, incompatibile in quanto tale con la posizione del responsabile civile. Solo per l'imputato Q.Q., l'Ente poteva assumere il rapporto di legittimazione passiva, ai fini del risarcimento del danno, stante il rapporto di immedesimazione organica; non per gli altri imputati, in quanto il A.A. aveva un incarico derivante da un contratto di appalto come progettista e direttore tecnico, quale socio della ditta che aveva vinto la gara di appalto, SO.GE.AP; B.B. era dipendente del Genio Civile, Regione Lazio.
7. La Regione Lazio quale responsabile civile a mezzo del difensore Avv. Carlo D'Amata ha presentato ricorso per i seguenti motivi:
7.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge e carenza di motivazione, in relazione alla omessa valutazione delle argomentazioni difensive nel giudizio di appello trattandosi per ciò che concerne A.A., di imputato non dipendente dalla Regione Lazio. Richiama pagg 11 e 12 dell'atto di appello. Ribadisce che A.A. era direttore tecnico e amministratore della SO.GE.AP ed ha svolto attività professionale per la IACP di Rieti fino alla trasformazione in ATER ad opera della LR. Lazio n.30/2002, Ente dotato di personalità giuridica, autonomia patrimoniale, imprenditoriale e contabile, non soggetto a nessun controllo o vigilanza da parte della Regione Lazio.
7.2. Con il secondo motivo lamenta carenza assoluta di motivazione risultante dal testo del provvedimento in punto di mancata ripartizione delle percentuali di responsabilità posto che è stato estromesso il Comune di A. e che la provvisionale in favore di tutte le parti civili, pari a 4,5 milioni circa di euro, è stata pagata tutta dalla Regione Lazio e che in sede di rivalsa la Regione Lazio stante l'omessa indicazioni delle percentuali di responsabilità potrà richiedere solo il 50%.
7.3. Con il terzo motivo si duole del vizio di motivazione in relazione alla mancata perizia tecnica con conferimento dell'incarico ad un perito competente in materia sismologica e scienza delle costruzioni richiesta dalle difese degli imputati e dei responsabili civili essendosi il Tribunale basato sulla ricostruzione tecnica del Ct Ing Z.Z.
7.4. Con il quarto motivo lamenta il vizio di motivazione con riferimento alla irrilevanza causale della condotta colposa del geometra B.B., il quale faceva emergere l'esistenza di un collaudo effettuato sette anni prima dell'approvazione della variante e che, ciò nonostante, il Dirigente U.U., unico titolato al rilascio, aveva rilasciato il certificato di conformità sismica, "per mettere a posto le carte", anziché procedere in autotutela e revocare la precedente approvazione della variante.
7.5. Con il quinto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta posizione di garanzia in capo al dipendente del genio civile B.B. per quanto attiene all'obbligo giuridico di impedire il crollo degli edifici; B.B. non era funzionario e il verbale, sottoscritto da V.V., che era certamente funzionario, è stato portato a conoscenza dell'Ingegnere Capo U.U., che aveva l'obbligo giuridico di intervenire e segnalare l'abuso.
8. A.A., mediante il difensore di fiducia, Avv. Marco Oliveti ha presentato ricorso deducendo i seguenti motivi:
8.1. violazione di legge e mancata assunzione di una prova decisiva.
Lamenta che le abitazioni Ater crollate a seguito del terremoto sono state costruite negli anni 1971/1973 e che il progetto era stato sottoscritto dall'Arch. S.S., deceduto nel (omissis), come risultato in dibattimento a seguito dell'esame del CT Ing. A.A.A. e alla interpretazione della sigla ivi apposta. La difesa A.A. ha chiesto perizia grafica con riferimento al progetto e alla sua sottoscrizione ma erroneamente il Giudice di prime cure ha ritenuto un atteggiamento confessorio da parte dell'imputato, che non si è voluto sottoporre a interrogatorio per sfuggire alla gogna mediatica e ha reso spontanee dichiarazioni senza ripresa video. A.A. era direttore tecnico incaricato della contabilità e in tale veste ha apposto la sua sigla.
Lamenta, inoltre, che i Giudici di merito hanno valutato solo la tesi del CT del PM Z.Z. quanto alla non eccezionalità del terremoto senza alcun riferimento alle deduzioni dei CT degli imputati e responsabili civili. Il Giudice ha svolto, errando, il ruolo di peritus peritorum, pur se sfornito della competenza specifica; di qui la necessità di una perizia di ufficio asettica e inoppugnabile che potesse supportare un giudizio di responsabilità de singolo imputato al di là di ogni ragionevole dubbio.
9. Gli Avv. Wania Della Vigna e Guido Felice De Luca, difensori e procuratori speciali di alcune parti civili costituite, hanno presentato memoria scritta in cui hanno evidenziato tra l'altro come i ricorsi devono essere ritenuti inammissibili atteso che le doglianze formulate reiterano in maniera pedissequa quelle già proposte con gli atti di appello e sulle quali la Corte territoriale ha reso motivazione esaustiva ed esente da vizi logici e di metodo; dinanzi ad doppia pronuncia di eguale segno, c.d. "doppia conforme", come nel caso di specie, il vizio di travisamento della prova (nell'accezione di vizio di tale gravità e centralità da scardinare il ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale / probatorio non considerato ovvero alterato quanto alla sua portata informativa, secondo la nozione pacificamente accolta nella giurisprudenza di legittimità, può essere rilevato in sede di legittimità soltanto nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado.
10. Ha presentato una memoria scritta, in replica alle deduzioni scritte delle parti civili, la difesa di B.B. deducendo tra l'altro che il progetto in variante, approvato da parte del Dirigente del Genio Civile in data 16.2.1985 (e quindi certamente prima che il Geom. B.B. fosse chiamato ad eseguire il sopralluogo ad opera ultimata), rappresenta il presupposto del sopralluogo e del verbale di accertamento redatto da B.B. (nell'aprile del 1985). Per la difesa dello B.B. questo è un punto centrale di tutta la vicenda perché da esso discendono tutte le importanti conseguenze sull'insussistenza del profilo oggettivo e soggettivo del reato, che sono segnalate e oggetto di tutti gli atti difensivi.
Diritto
1. I ricorsi impongono le considerazioni che seguono.
1.1. Va premesso che le censure dei ricorrenti non colgono nel segno, là dove evidenziano il vizio motivazionale della sentenza impugnata, in relazione alla mancanza di una adeguata ricostruzione della vicenda fondata su prove aventi dignità scientifica in merito alla effettiva sussistenza del nesso causale fra il comportamento addebitato agli imputati A.A. e B.B. ed il crollo delle palazzine.
È ben noto che, nell'esaminare le doglianze attinenti alla tenuta argomentativa della sentenza, particolarmente rigorosi sono i limiti del controllo di legittimità sulla sentenza di merito. Infatti, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne né la ricostruzione dei fatti né l'apprezzamento operato dal giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Con l'ulteriore precisazione, che l'illogicità della motivazione, deve risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento. In altri termini, l'illogicità della motivazione, deve risultare percepibile ictu oculi, in quanto l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore (non modificata dalla novella sul testo dell'art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen. ad opera della legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett. a e b), a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. Inoltre, il vizio della "manifesta illogicità" della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica, come si è detto con espressione particolarmente efficace, "rispetto a sé stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa (ovvero ad altri che devono essere specificamente indicati nel ricorso) ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante ed incompatibile con i principi della logica.
Sicché, in sintesi, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia: a) sia "effettiva" e non già meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero sia esente da incongruenze insormontabili tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso per cassazione: c.d. autosufficienza dell'impugnazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico. Nel vigente ordinamento, infatti, alla Corte di cassazione non è consentito procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti, magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi da quelli operati dal giudice del merito; così come non è consentito che, attraverso il richiamo agli "atti del processo", possa esservi spazio per una rivalutazione dell'apprezzamento del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice del merito: infatti al giudice di legittimità resta tuttora preclusa - in sede di controllo della motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ipoteticamente preferibili rispetto a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, in quanto un tale modo di procedere trasformerebbe la Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto.
1.2. Inoltre, è appena il caso di rammentare che dinanzi ad una doppia pronuncia di eguale segno, c.d. "doppia conforme", come nel caso di specie, in quanto la modifica ad opera della Corte di appello non ha riguardato i ricorrenti, il vizio di travisamento della prova (nell'accezione di vizio di tale gravità e centralità da scardinare il ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio non considerato ovvero alterato quanto alla sua portata informativa, secondo la nozione pacificamente accolta nella giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio e altri, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, Buraschi, Rv. 243636; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, Rv. 237207) può essere rilevato in sede di legittimità soltanto nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado. Invero, sebbene in tema di giudizio di cassazione, in forza della richiamata novella dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. ad opera della legge n. 46 del 2006, risulta sindacabile il vizio di travisamento della prova (che sia desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti specificamente indicati dal ricorrente), travisamento che si ha quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (cfr., tra le tante, Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014, Capuzzi e altro, Rv. 258438; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013, dep. 2014, Nicoli, Rv. 258432; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; oltre alle già citate Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio e altri, Rv. 258774; Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, Buraschi, Rv. 243636; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, Rv. 237207).
1.3. Operata tale premessa, si prende atto che nel caso di specie i giudici di appello hanno riesaminato lo stesso identico materiale probatorio già sottoposto al Tribunale, senza operare richiami a dati probatori non esaminati dal primo giudice né introdurne di nuovi, e, dopo aver preso atto delle censure degli appellanti, sono giunti alla medesima conclusione sulla sussistenza di penale responsabilità degli imputati, con argomentazioni proprie logiche e pertinenti all'impianto probatorio.
Sviluppando i principi suesposti, deve ritenersi che la sentenza impugnata non contenga alcun travisamento della prova o dei fatti e che sotto i plurimi profili denunziati riguardanti il difetto motivazionale, regga al vaglio di legittimità, non palesandosi assenza, contraddittorietà od illogicità della motivazione, per tutte le ragioni che via via si illustreranno in riferimento alle singole posizioni e ai motivi prospettati dalle difese, che saranno accorpati secondo il criterio della omogeneità tematica.
Quanto alle censurate violazioni di legge, essendo nella concreta struttura dei ricorsi per lo più denunziate promiscuamente rispetto ai dedotti difetti motivazioni3li, si dirà di ciascuna di esse in prosieguo.
1.3.1. Va, comunque, ribadito il principio già affermato da questa Corte, pienamente operante nel caso di specie, che sussiste la cooperazione nel delitto colposo quando il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge ovvero da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio o, quantomeno, sia contingenza oggettivamente definita della quale gli stessi soggetti risultino pienamente consapevoli (v. in tal senso, Sez. 4, n. 22214 del 12/04/2019, Scindone, Rv. 276685 - 01).
La Corte regolatrice ha compiutamente ricostruito la figura del garante, quale soggetto facente parte di una relazione protettiva - teorica che ha preso le mosse nell'ambito dei reati omissivi impropri o commissivi mediante omissione, ma che ha assunto un significato più ampio, anche in presenza di causalità commissiva - in forza della quale il titolare di una posizione di garanzia può essere ritenuto responsabile del mancato impedimento o comunque della verificazione dell'evento lesivo occorso al soggetto garantito.
La giurisprudenza di legittimità si è specificamente soffermata sulla nozione - e sui criteri di selezione - del soggetto che versa in posizione di garanzia, in coerenza con i principi di tassatività e determinatezza che presiedono alla formulazione delle norme penali: si tratta, in realtà, di un'elaborazione imposta dalla funzione incriminatrice direttamente svolta dalla "clausola" di cui all'art. 40, comma 2, cod. pen., per il caso di inosservanza degli obblighi impeditivi da parte del soggetto individuato come garante. Al riguardo, la Corte regolatrice ha osservato che si delinea, una posizione di garanzia, nei sensi ora indicati, a condizione che: (a) un bene giuridico necessiti di protezione, poiché il titolare da solo non è in grado di proteggerlo; (b) una fonte giuridica -anche negoziale - abbia la predetta finalità di tutela; (c) tale obbligo di protezione gravi su una o più persone specificamente individuate; (d) queste ultime siano dotate di poteri atti ad impedire la lesione del bene garantito ovvero siano ad esse riservati mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari ad evitare che l'evento dannoso sia cagionato. In tale ambito ricostruttivo, la Suprema Corte ha anche precisato che un soggetto può dirsi titolare di una posizione di garanzia se ha la possibilità, con la propria condotta, di influenzare il decorso degli eventi, indirizzandoli verso uno sviluppo idoneo ad impedire la lesione del bene giuridico garantito (Sez. 4, n. 38991 del 10/06/2010, Quaglierini, Rv. 248849). In verità, sin dagli anni novanta del secolo scorso, la giurisprudenza è venuta elaborando la "teoria del garante", muovendo dall'osservazione - e dalla valorizzazione - del significato, profondo, anche in riferimento al principio solidaristico di matrice costituzionale (ex art. 2 Cost.) che deve riconoscersi agli "obblighi di garanzia", discendenti dallo speciale vincolo di tutela che lega il soggetto garante, rispetto ad un determinato bene giuridico, per il caso in cui il titolare dello stesso bene sia incapace di proteggerlo autonomamente (Sez. 4, n. 4793 del 06/12/1990, dep. 29/04/1991, Bonetti, Rv. 191792). Per quanto rileva in questa sede, occorre altresì evidenziare che la Suprema Corte ha chiarito che, nell'individuazione dei reali destinatari degli obblighi protettivi, vengono in rilievo le funzioni in concreto esercitate dal soggetto agente; che spetta all'interprete procedere alla selezione delle diverse posizioni di garanzia, per tutti i casi della vita - non tipizzati dal legislatore - corrispondenti ad una situazione di passività, in cui versi il titolare del bene protetto; e che l'interprete deve individuare il contenuto degli obblighi impeditivi specificamente riferibili al soggetto che versa in posizione di garanzia (cfr. Sez. U, ri. 9874 del 01/07/1992, Giuliani, Rv. 191185). Nella materia di interesse, è stato pertanto affermato il condiviso principio di diritto in forza del quale, ai fini dell'operatività della clausola di equivalenza di cui all'art. 40, cpv. cod. pen., nell'accertamento degli obblighi impeditivi gravanti sul soggetto che versa in posizione di garanzia, l'interprete deve tenere presente la fonte da cui scaturisce l'obbligo giuridico protettivo, che può essere la legge, il contratto, la precedente attività svolta, o altra fonte obbligante; in tale ambito ricostruttivo, al fine di individuare lo specifico contenuto dell'obbligo, si è in particolare chiarito che occorre valutare sia le finalità protettive fondanti la stessa posizione di garanzia, sia la natura dei beni dei quali è titolare il soggetto garantito, che costituiscono l'obiettivo della tutela rafforzata, alla cui effettività mira la clausola di equivalenza (Sez. 4, n. 9855 del 27/01/2015, Chiappa, Rv. 26244001). La giurisprudenza ha poi considerato che occorre delimitare lo specifico ambito in cui si esplica l'obbligo di governare le situazioni pericolose in capo al garante (la cosiddetta area di rischio), così da conformare il relativo obbligo protettivo, giuridicamente rilevante ai fini della operatività dell'imputazione dell'evento lesivo (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 26110701). Il rilievo muove dalla considerazione che la selezione dei garanti - i quali non costituiscono un numerus clausus - viene in concreto a dipendere dalla operatività della richiamata clausola di equivalenza, in combinato disposto con le molteplici fattispecie ad evento naturalistico causalmente orientate, che possono essere declinate nella corrispondente fattispecie omissiva impropria.
Sviluppando tali principi, si è in particolare considerato che in tema di reati omissivi colposi, la posizione di garanzia può essere generata non solo da investitura formale, ma anche dall'esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante mediante un comportamento concludente dell'agente, consistente nella presa in carico del bene protetto (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, cit.; Sez. 4, n. 2536 del 23/10/2015, dep. 2016, Bearzi, Rv. 26579701).
Tali valutazioni discendono dal superamento della cosiddetta concezione formale della posizione di garanzia, di talché il ruolo protettivo può avere una fonte normativa non necessariamente di diritto pubblico ma anche di natura privatistica, anche non scritta e addirittura trarre origine da una situazione di fatto, cioè da un atto di volontaria determinazione, che costituisca il dovere di intervento e il corrispondente potere giuridico, che consente al soggetto garante, attivandosi, di impedire l'evento.
1.3.2. Quanto poi all'utilizzo del sapere scientifico va ribadito che è compito del giudice dare conto, attraverso la motivazione, della legge scientifica che ritiene più o meno convincente e idonea a spiegare l'efficacia causale di una determinata condotta, tenendo conto sempre di tre parametri di valutazione: la preventiva dialettica tra le varie opinioni scientifiche; il ruolo del giudice che non crea la legge, ma la rileva; la necessità che l'affermazione del legame causale avvenga al di là di ogni ragionevole dubbio, tenuto conto dei principi della sentenza Franzese sui limiti di validità delle leggi statistiche, delle generalizzazioni empiriche del senso comune, delle rilevazioni epidemiologiche.
Il giudice di merito può "governare"- da iudex peritorum piuttosto che da peritus peritorum - le informazioni scientifiche veicolate nel processo e il giudice di legittimità procedere al vaglio di razionalità del ragionamento svolto dal primo.
Si tratta di un percorso tutt'altro che astratto, ma al contrario scandito in un vero e proprio decalogo richiamato dalla nota pronuncia della Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini e altri, Rv. 248943, in cui il rapporto tra sapere scientifico e giudizio penale risiede tutto in questo nucleo di razionalità sul quale poi si esplicherà il controllo di legittimità, non già per sancire la validità/affidabilità della legge scientifica utilizzata (che, si ribadisce, attiene all'accertamento in fatto proprio del giudizio di merito), ma la logicità del percorso seguito dal giudice del merito nell'apprezzare la validità del sapere scientifico e nell'utilizzarlo quale strumento di accertamento del fatto.
La giurisprudenza di questa Corte insegna che il principio di colpevolezza impone la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione - da parte del garante - di una regola cautelare, sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata, mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l'evento dannoso (ex multis, Sez. 4, ri. 32216 del 20/06/2018, Capobianco, Rv. 273568). In aderenza alla griglia logica e metodologica ora richiamata, la Corte è chiamata a verificare come in concreto alle condotte, attive ed omissive, ascritte agli odierni imputati sia ricollegabile l'evento morte e le lesioni delle vittime del crollo delle palazzine a seguito del terremoto verificatosi in A.
Giova sinteticamente richiamare i principi che, secondo il diritto vivente, governano l'apprezzamento giudiziale della prova scientifica da parte del giudice di merito e che presiedono al controllo che, su tale valutazione, può essere svolto in sede di legittimità. Al riguardo, si è chiarito che alla Corte regolatrice è rimessa la verifica sulla ragionevolezza delle conclusioni alle quali è giunto il giudice di merito, che ha il governo degli apporti scientifici forniti dagli specialisti. La Suprema Corte ha evidenziato che qualsiasi lettura della rilevanza dei saperi di scienze diverse da quella giuridica, utilizzabili nel processo penale, non può avere l'esito di accreditare l'esistenza, nella regolazione processuale vigente, di un sistema di prova legale, che limiti la libera formazione del convincimento del giudice; che il ricorso a competenze specialistiche con l'obiettivo di integrare i saperi del giudice, rispetto a fatti che impongono metodologie di individuazione, qualificazione e ricognizione eccedenti i saperi dell'uomo comune, si sviluppa mediante una procedimentalizzazione di atti (conferimento dell'incarico a periti e consulenti, formulazione dei relativi quesiti, escussione degli esperti in dibattimento) ad impulso del giudicante e a formazione progressiva; e che la valutazione di legittimità, sulla soluzione degli interrogativi causali imposti dalla concretezza del caso giudicato, riguarda la correttezza e conformità alle regole della logica dimostrativa dell'opinione espressa dal giudice di merito, quale approdo della sintesi critica del giudizio. La Corte regolatrice ha in particolare affermato che il giudice di legittimità non è giudice del sapere scientifico e non detiene proprie conoscenze privilegiate. La Suprema Corte è cioè chiamata a valutare la correttezza metodologica dell'approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all'affidabilità delle informazioni che utilizza ai fini della spiegazione del fatto (cfr. Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini, Rv. 248944; Sez. 4, n. 42128 del 30.09.2008, Rizza, n.m.). E il giudice di merito può fare legittimamente propria, allorché gli sia richiesto dalla natura della questione, l'una piuttosto che l'altra tesi scientifica, purché dia congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha ritenuto di non dover seguire. Suole affermarsi che al giudice è attribuito il ruolo di giudice dei periti. Detta locuzione, secondo le indicazioni espresse dalla giurisprudenza sopra richiamata, esprime efficacemente, in realtà, il ruolo di metodologo e di epistemologo che l'ordinamento assegna al giudice di merito, quale professionista al quale sono demandati i compiti decisori, nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali. La necessaria razionalità del discorso giustificativo della decisione giudiziaria impone, infatti, di bandire argomentazioni basate sull'intuito del giudicante, chiamato a governare saperi extragiuriidici. Nel giudizio di stampo accusatorio, il giudice, in veste di metodologo, deve razionalmente selezionare il sapere accreditato che può utilmente orientare la decisione: in tale ambito funzionale, il giudicante assume il ruolo di "gate keeper" della piattaforma probatoria, che si forma nel contraddittorio delle parti, che dibattono anche sulla individuazione, sul contenuto e sull'affidabilità delle tesi scientifiche di riferimento. Il giudice è perciò chiamato a sviluppare un preliminare esame che involge la stessa affidabilità delle diverse tesi - spesso contrapposte - che consulenti tecnici e periti veicolano nel giudizio. Come è stato osservato, nello sviluppo di tale ruolo, il giudice deve esaminare le basi fattuali sulle quali le argomentazioni degli esperti sono state condotte; deve verificare l'ampiezza, la rigorosità e l'oggettività della ricerca; ed apprezzare conclusivamente l'attitudine esplicativa dell'elaborazione teorica prescelta, nonché il grado di consenso che le tesi sostenute dall'esperto raccolgono nell'ambito della comunità scientifica (Sez. 4, n. 18678 del 14.3.2012, Campelli, Rv. 252621).
Nell'ambito dei ragionamenti esplicativi, si formulano giudizi sulla base di generalizzazioni causali, congiunte con l'analisi di contingenze fattuali. In tale prospettiva, si è chiarito che il coefficiente probabilistico della generalizzazione scientifica non è solitamente molto importante; e che è invece importante che la generalizzazione esprima effettivamente una dimostrata, certa relazione causale tra una categoria di condizioni ed una categoria di eventi (cfr. Sez. U, sentenza n. 30328, in data 11.9.2002, Franzese, Rv. 222138).
Per comprendere appieno il significato nomofilattico della decisione ora citata giova ricordare i termini del contrasto, in tema di causalità omissiva, che le Sezioni Unite nel 2002 furono chiamate a comporre.
Le Sezioni Unite superarono l'impasse affermando che per offrire la prova del fatto il giudice non può attingere a criteri di mera probabilità statistica, ma che, di converso, occorre fare riferimento al criterio della probabilità logica, intesa come "la verifica aggiuntiva, sulla base dell'intera evidenza disponibile, dell'attendibilità dell'impiego della legge statistica" rispetto al singolo evento oggetto dell'accertamento giudiziale.
E, proprio in riferimento al tema della casualità omissiva - che viene in rilievo nel caso di specie - le Sezioni Unite, con la sentenza ora citata, chiarirono che il giudizio di certezza sul ruolo salvifico della condotta omessa presenta i connotati del paradigma indiziario e si fonda anche sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico, da effettuarsi ex post sulla base di tutte le emergenze disponibili e culmina nel giudizio di elevata "probabilità logica". Ciò significa che, anche nel caso di frequenze medio basse, cioè a dire di una legge di copertura che esprima un basso indice di accadibilità dell'evento, è dato affermare la sussistenza del nesso di derivazione causale tra condotta mancata e l'evento naturalistico, in termini di certezza, avuto riguardo alle particolarità del caso concreto. Nell'alveo di tale insegnamento si è quindi affermato che le incertezze alimentate dalle generalizzazioni probabilistiche possono essere in qualche caso superate nel crogiuolo del giudizio focalizzato sulle particolarità del caso concreto quando l'apprezzamento conclusivo può essere espresso in termini di elevata probabilità logica (Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini, Rv. 248943). E si è chiarito che, ai fini dell'imputazione causale dell'evento alla condotta doverosa non realizzata, il giudice di merito deve sviluppare un ragionamento esplicativo, di natura controfattuale, che si confronti adeguatamente con le particolarità della fattispecie concreta, chiarendo che cosa sarebbe accaduto se fosse stato posto in essere il comportamento richiesto all'imputato dall'ordinamento. Si tratta di insegnamento ribadito dalle Sezioni Unite che si sono nuovamente soffermate sulle questioni riguardanti l'accertamento della causalità omissiva e sui limiti che incontra il sindacato di legittimità, nel censire la valutazione argomentativa espressa in sede di merito (Sez. U, n. 38343 del 24.04.2014, Espenhahn, Rv. 261106). Nella sentenza ora richiamata,, le Sezioni Unite hanno sviluppato il modello epistemologico già indicato nella citata pronunzia del 2002 - che delinea un modello dell'indagine causale capace di integrare l'ipotesi esplicativa delle serie causali degli accadimenti e la concreta caratterizzazione del fatto storico - ribadendo che, nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto. In particolare, si è sottolineato che, nella verifica dell'imputazione causale dell'evento, occorre dare corso ad un giudizio predittivo, sia pure riferito al passato: il giudice si interroga su ciò che sarebbe accaduto se l'agente avesse posto in essere la condotta che gli veniva richiesta.
Sintetizzando le considerazioni sin qui esposte, deve rilevarsi che nelle fattispecie omissive improprie, qualificate dalla presenza di condizioni negative dell'evento, si rende indispensabile la ricostruzione di decorsi causali ipotetici: il giudice, procedendo alla ricostruzione controfattuale del nesso causale, si interroga in ordine all'evitabilità dell'evento, per effetto delle condotte doverose che non sono state poste in essere, fondandosi sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico, da effettuarsi ex post sulla base degli elementi oggettivi acquisiti nel quadro probatorio.
Tanto premesso, si passa ora ad esaminare le singole posizioni processuali in applicazione dei principi fin qui evidenziati.
2. I motivi articolati dalla difesa di B.B. ripercorrono sostanzialmente i motivi di appello riassunti a v. fol 27/28 della sentenza impugnata.
2.1. I motivi di ricorso da 1 a 7, con eccezione del terzo, possono essere esaminati congiuntamente, in quanto sotto diversi profili, attengono tutti alla affermazione di responsabilità con riferimento alla condotta omissiva, alla sussistenza del nesso di causa, alla posizione di garanzia, al giudizio controfattuale, alla prevedibilità dell'evento.
A tal proposito la Corte di appello ha argomentato facendo leva sul contenuto del "verbale di accertamento", in parte in modulo prestampato e in altra parte riempito a mano (nella minuta) o dattiloscritto, acquisito in atti (e riportato alle pagine 74 e 75 della sentenza di primo grado), sia nella versione di bozza che in quella definitiva, entrambe con la firma per esteso dello B.B. (il cognome e poi il nome, leggibili) sotto la dicitura "il funzionario del Settore", decentrato di Rieti, atto del procedimento iniziato presso l'Autorità amministrativa competente per la verifica del (doveroso) rispetto della normative antisismica di cui alla legge 2 febbraio 1974 n.64,Ufficio del Genio civile di Rieti.
Nella ricostruzione dei fatti sulla base del corposo compendio probatorio dettagliatamente descritto dal Giudice di primo grado e richiamato dalla Corte distrettuale si è affermato correttamente che è irrilevante, ai fini del presente processo, la precarietà del contratto di lavoro dello B.B., che aveva preso servizio la prima volta al Genio civile nel giugno 1979 ed era stato collocato in altri uffici del Genio civile fino ai primi mesi dell'anno 1984, quando aveva iniziato a lavorare nell'Ufficio che si occupava dell'edilizia sociale. Risultava tra l'altro che con decorrenza dal 1.06.1985 aveva ottenuto il riconoscimento della VI qualifica funzionale posta immediatamente sotto quella dirigenziale per area tecnico progettuale (fol 450), di qui unitamente al dato formale della sottoscrizione del verbale di accertamento quale funzionario del Genio civile, l'effettivo esercizio di una pubblica funzione peraltro riconosciuta anche con delibera della Giunta regionale del 16.02.1988. Dunque, all'atto dell'accertamento relativo alle palazzine IACP di piazza S. in A. del 2/ 4/1985, il geometra B.B. era informato come risulta dal terzo punto della premessa di cui al verbale di accertamento della richiesta in data 25/3/1985 da parte dello I.A.C.P., diretta ad ottenere il rilascio del certificato di conformità dell'opera alla normativa antisismica ai sensi dell'art. 28 della stessa legge n. 64/74 in relazione al progetto di variante in data 16/2/1985 n. 31267 approvato dallo stesso Settore" (Genio civile di Rieti), come risultante dal punto 2 della premessa del verbale di accertamento redatto dallo stesso B.B. e finalizzata al rilascio dell'abitabilità.
È pure vero che B.B., come sottolineato dalla difesa, nell'atto di impugnazione, menzionava nel verbale di accertamento, che il collaudo statico degli edifici risaliva al 1977; questa circostanza però come logicamente argomentano i Giudici del merito non ha impedito l'emissione del certificato di conformità sismica -invece rilasciato proprio in data 11/7/1985, stesso giorno in cui il verbale di accertamento del geometra B.B. era stato formato e protocollato (da quanto risulta dallo stesso atto; si veda la minuta del verbale, che reca un precedente numero di protocollo, cancellato a penna e sostituito da quello poi dattiloscritto sull'atto fol 73 e 74 sentenza di primo grado)- da parte del Dirigente del Genio civile di Rieti ing. U.U. (deceduto), responsabile del procedimento.
Lo B.B. nei motivi di ricorso chiama in causa la piena responsabilità di altri (oltre al Dirigente U.U. -di cui in più punti dell'impugnazione sembra adombrare responsabilità penali legate alle dolose illiceità nell'azione amministrativa), che erano in grado ed avevano il dovere di accorgersi delle irregolarità legate all'approvazione del progetto di variante rispetto a costruzioni già ultimate e abitate- e di una procedura che, invece, era in concreto diretta a sanare precedenti illegittimità e ciò per evidenziare di non aver avuto un ruolo nella procedura medesima se non occasionale e limitato, meramente formale.
La Corte territoriale, invero, ricostruisce nell'iter procedurale, i comportamenti rilevanti sotto il profilo colposo dello B.B. che in data 2/4/1985 aveva proceduto, alla presenza del Direttore dei lavori arch. S.S., alla "ricognizione delle opere"; probabilmente nella stessa data lo B.B.- aveva redatto la minuta del verbale di accertamento, con riempimento manoscritto degli spazi .di interesse del relativo modulo prestampato (parte manoscritta che reca cancellature -anche nel numero di protocollo- e sovrascrittura, di epoca non accertata, fol 74 sentenza di primo grado); ben tre mesi dopo, in data 11/7/1985, lo B.B. aveva redatto e firmato la versione del verbale di accertamento in forma dattiloscritta e protocollata; proprio nello stesso giorno il Dirigente dell'Ufficio del Genio Civile di Rieti ing. U.U. aveva rilasciato il certificato di cui all'art. 28 legge 2 febbraio 1974, n. 64; in quella stessa data dell'11/7/1985 lo B.B. aveva predisposto la minuta del certificato di conformità antisismica ex art. 28 cit. a firma del. dirigente U.U. (la circostanza è pacifica, come dallo stesso B.B. ammesso in dibattimento nel corso del suo esame).
Lo B.B. era quindi informato "degli esiti della sua attività di accertamento", avendo egli stesso predisposto la minuta della certificazione di conformità antisismica a firma del dirigente ing. U.U. senza alcuna evidenziazione delle irregolarità e incongruenze accertate e macroscopicamente illegittime, prima tra tutte la circostanza che gli immobili erano abitati da tempo.
Nella premessa del verbale di accertamento da lui predisposto B.B. risultava aver inserito al primo punto, "che in data 15/12/1972 n.l 2455 questo Settore ha concesso alla ditta IACP l'autorizzazione ai sensi della legge 2/2/1974 n. 64 per la costruzione del fabbricato in oggetto" e dunque, menzionava un provvedimento autorizzativo emesso dalla preposta Autorità amministrativa a seguito di verifica dei presupposti e delle condizioni stabilite dalla normativa di epoca successive all'autorizzazione; l'indicazione è, con evidenza, come afferma logicamente la Corte territoriale, idonea a creare un'apparenza di regolarità formale del progetto originario ai sensi della legge n. 64/74, applicabile alle costruzioni in corso (art. 32 cit.). Il certificato di ultimazione dei lavori di edificazione delle palazzine IACP di piazza S. in A., risalente al 1977 (epoca di effettivo completamento della costruzione delle palazzine), indicava (si veda la riproduzione a pag.61 della sentenza di primo grado) il completamento dei lavori alla data del 26/9/1977, precedente alla data del collaudo, erroneamente indicata dallo B.B. (anche nella parte manoscritta della minuta dell'atto), di un mese successiva a quella effettiva del certificato di collaudo stesso, depositato agli atti del Genio civile.
La Corte di appello, con giudizio in fatto insindacabile, afferma che nessuna particolare meritevolezza e comunque idoneità ad escludere il nesso causale del comportamento dello B.B., rispetto al quadro probatorio, va ricollegata a quella indicazione meramente formale contenuta nel verbale di collaudo, in quanto l'imputato non poteva certamente omettere l'indicazione del precedente collaudo, depositato agli atti dell'Ufficio che si occupava dei controlli amministrativi sulle costruzioni in zona sismica.
Lo B.B., nella sua qualità di funzionario del settore decentrato di Rieti, come da lui stesso indicato e a ciò delegato, è autore del sopralluogo e di un atto pubblico che si inseriva nel procedimento come necessario presupposto ai fini della concessione del provvedimento di abitabilità delle palazzine IACP da parte del Comune.
In tale prospettiva non può porsi in dubbio che lo B.B. ha consapevolmente contribuito alla formazione progressiva dell'iter, anche occupandosi della predisposizione dopo tre mesi dall' ispezione del documento finalizzato al rilascio del certificato da parte dell'Ing. U.U., omettendo i rilievi necessariamente legati al sopralluogo, tra cui in via principale il fatto che le palazzine erano da tempo abitate (fol 58).
Risultano dalla puntuale ricostruzione del Giudice di primo grado- da fol 434 a 436 -e dalle argomentazioni logiche e coerenti della Corte distrettuale, con riferimento ai dati probatori acquisiti - i documenti dell'iter amministrativo, il verbale di accertamento e i certificati, antisismico e di abitabilità- le seguenti evidenti discrasie: la variante aveva ad oggetto lavori che lo IACP avrebbe dovuto realizzare, in base alla normativa del 1974, tra il 6 febbraio e il 25.03.85, nelle due palazzine di quattro piani in realtà già collaudate, ultimate fin dal 1977 e già da tempo abitate.
Parimenti infondato il motivo con cui la difesa intende evidenziare che era di competenza del Dirigente e non dello B.B. effettuare la segnalazione alla AG per il reato di cui all'art. 20 legge n. 64/74.
Invero, l'accertamento effettuato dallo B.B. si inseriva come elemento essenziale e propedeutico nel procedimento di collaudo di competenza del Genio civile, diretto al rilascio del menzionato certificato di conformità dell'opera sotto il profilo della normativa antisismica ai sensi dell'art. 28 cit., a sua volta avente destinazione propedeutica all'emanazione della licenza di abitabilità da parte dell'Amministrazione comunale, deputata a verificare la conformità delle costruzioni al rispetto delle normative di settore (edilizia, urbanistica, vincoli di altra natura, misure tecniche antisismiche nelle zone classificate a rischio).
Si trattava, dunque, di un procedimento amministrativo articolato in una serie di atti e fasi endoprocedimentali, al quale partecipavano Amministrazioni diverse, in quanto deputate, ciascuna, alle verifiche e valutazioni nelle materie di competenza, tutte strumentali all'adozione del provvedimento che abilitava la destinazione della costruzione all' uso abitativo.
L'attività materiale ricognitiva spettante allo B.B. comportava l'accesso sui luoghi e l'imputato avrebbe dovuto rilevare, non solo la circostanza che i lavori di costruzione erano da tempo conclusi, dato noto agli atti dell'ufficio tecnico del Genio civile, ma che gli immobili erano abitati, pur senza avere la abitabilità in relazione alla normativa antisismica e che quindi nessuna variante in corso d'opera era stata realizzata né poteva essere realizzata.
Lo B.B., pur a conoscenza della funzione della preventiva attività amministrativa a lui demandata, di verifica finale delle condizioni di adeguatezza e sicurezza delle abitazioni sotto il profilo del rischio sismico, e pur avendo certamente osservato, nel corso della ricognizione, il già intervenuto insediamento negli alloggi da parte degli assegnatari, ha omesso del tutto di riferirne nel verbale di accertamento proprio nella finale ottica amministrativa di adozione del provvedimento abilitante l'abitazione.
L'omessa indicazione nel verbale di quella constatazione obiettiva aveva tradito la funzione accertativa tipica dell'atto mediante la fondamentale e preventiva verifica materiale, il cui esito favorevole è stato prodromico al rilascio del certificato ai sensi dell'art. 28 cit, che mira a garantire l'interesse generale alla tutela della collettività dal rischio tellurico.
La Corte di legittimità ha già formulato in varie pronunce una ricognizione del quadro normativo in tema di costruzioni nelle zone sismiche (Sez. 3, n. 50624 del 17/09/2014, Baldolini, non mass.) e ha avuto modo di precisare che, nelle zone sismiche, l'obbligo di informativa e di produzione degli atti progettuali non è limitato in relazione alle dimensioni e alle caratteristiche dell'opera, ma riguarda tutte le opere indicate dalla disposizione normativa, nessuna esclusa e dunque anche le opere c.d. "minori", perché diversamente verrebbe frustrato il fine di rendere possibile il controllo preventivo e documentale dell'attività edilizia nelle zone sismiche (Sez. 3, n. 8140 del 06/07/1992, Di Scala, Rv. 191390). Siccome gli obblighi previsti dagli artt. 93 e 94 T.U.E. sono finalizzati a consentire il controllo preventivo della Pubblica Amministrazione, non rileva, ai fini della sussistenza del reato, l'effettiva pericolosità o meno della costruzione realizzata, in violazione degli adempimenti e in assenza delle prescritte autorizzazioni, perché le contravvenzioni previste dalla normativa antisismica, rientrando nel novero dei reati di pericolo presunto, puniscono inosservanze formali, con la conseguenza che neppure la verifica postuma dell'assenza del pericolo ed il rilascio del provvedimento abilitativo incidono sulla illiceità della condotta, in quanto gli illeciti sussistono in relazione al momento di inizio dell'attività (Sez. 3, n. 5738 del 13/05/1997, Petroni, Rv. 208299). La normativa antisismica è ispirata a preservare la pubblica incolumità in zone particolarmente soggette al verificarsi di movimenti tellurici, prescrivendo, da un lato, necessari obblighi burocratici e particolari prescrizioni tecniche costruttive e costituendo, dall'altro, un'anticipazione della tutela dell'interesse cui la norma incriminatrice appresta protezione (pubblica incolumità).
In definitiva, la ratio della normativa antisismica si fonda sulla necessità, rivolta a tutela dell'incolumità pubblica, di dettare i criteri che devono essere obbligatoriamente seguiti per la costruzione di qualsiasi struttura realizzata nelle parti del territorio nazionale individuate dalla normativa di settore come zone a rischio sismico, in modo da ridurre la tendenza della costruzione a subire un danno cui, a seguito di un evento sismico, la costruzione stessa, secondo un giudizio prognostico ex ante, rischierebbe comunque di essere sottoposta.
Da ciò consegue che detto rischio, nel caso di mancata conformazione delle costruzioni alle norme di settore, è destinato ad ampliarsi perché, a causa delle ricadute che dalla violazione della normativa antisismica scaturiscono, aumenta il pericolo di danno sulla incolumità delle persone che usano il bene o che con esso si trovino in contatto.
In conclusione, in relazione alla responsabilità dell' imputato e al suo contributo causale e al giudizio controfattuale, la Cotte di appello ha sottolineato che l'omessa segnalazione delle irregolarità dal punto di vista sismico nell'ambito dell'incarico ricevuto nella sua qualità di geometra del Genio civile era funzionale alla verifica delle condizioni di tutela e strumentale alla emanazione del certificato di conformità ai sensi dell'art. 28 per l'osservanza delle disposizioni di cui alla legge 1974 n.64 e ha costituito un importante contributo causale all'adozione dell'atto finale dell'Ufficio del Genio civile e della licenza di abitabilità; nel caso contrario, invece, si sarebbe avviato il procedimento di accertamento delle violazioni antisismiche previsto dalla legge citata e ciò avrebbe quantomeno impedito il rilascio del certificato di conformità antisismica o comunque impedito il realizzarsi del contributo causale dello B.B. alla conclusione del procedimento amministrativo (v. fol 43,44,45 sentenza impugnata).
La dizione utilizzata nel verbale di accertamento " ha proceduto a una ricognizione delle opere riscontrandole conformi agli elaborati approvati salvo modifiche di modesta entità" e la dizione in cui si recepiva l'assicurazione del Direttore lavori sulla corrispondenza al progetto delle parti non ispezionabili evidenziano il significato positivo e di approvazione del verbale e non certo quello di segnalazione delle anomalie palesi dall'ispezione dei luoghi e dall'esame degli atti e cioè che i lavori erano ultimati, le palazzine abitate e non poteva certo parlarsi di variante in corso d'opera (fol 457 sentenza di primo grado e fol 58 sentenza impugnata).
2.2. È, pertanto, infondato il secondo motivo che attiene al giudizio controfattuale e al mancato espletamento di una perizia volta a verificare che il rispetto nella normativa antisismica non avrebbe evitato l'evento in relazione alle difformità delle conclusioni dei consulenti che, peraltro, hanno tutti concordato sui valori della magnitudo e della durata del sisma.
Il terremoto di A. è stato un evento sismico di elevata potenza ma di magnitudo non insolita in Italia e nell'Italia centrale appenninica (fol 53), di qui l'esclusione e la ritenuta e motivata superfluità di una perizia da parte della Corte di appello, considerata la puntuale ricostruzione dei dati tecnici e di tutte le opinioni dei CT da parte del Giudice di primo grado volta ad escludere l'eccezionalità del sisma e dei suoi effetti (fol 53).
La sentenza di primo grado, secondo la motivazioni logiche e coerenti della Corte di appello (a pag 54), aveva già puntualmente esaminato le argomentazioni dei consulenti di difesa sotto il profilo dell'assenza del carattere insolito o anomalo rispetto ad altri eventi sismici.
La Corte ha evidenziato che gli effetti near fault puntualmente e tecnicamente descritti nella relazione di consulenza del Prof Y.Y. - presentata come memoria dal Comune di A.- e particolarmente quelli legati alla spiccata direzionalità dei terremoti, egli effetti rotazionali, alla caratteristica del filing step, hanno riguardato tutta l'area della zona di A. in cui erano collocate le palazzine IACP. I Giudici di merito hanno altresì evidenziato che nello stesso territorio era presente una stazione AMTS di monitoraggio di rilevazione dati presso l'Istituto Capranica, sito a 100 mt di distanza(v. fol 55). Il dato di fatto incontrovertibile del giudizio controfattuale è che nella zona circostante nessun altro edificio in cemento armato ere crollato alla scossa delle 3.36 del 24.08.2016 né il palazzo di civile abitazione ad angolo di piazza S. realizzato nel 1951/1952, né quello al numero (omissis) ex Ina-IACP realizzato nel 1956 /1957, né quello al numero (omissis) ex Ina-IACP realizzato nel 1965, né le palazzine di edilizia privata ai civici (omissis) realizzate negli anni 1972/1973 1968/1970 a costruzione So.ce.ap e direzione lavori A.A.: nessun decesso, quindi, se non nelle palazzine gemelle crollate oggetto del presente procedimento, caratterizzate da un progetto costruttivo deficitario di effettive verifiche preventive o successive sotto il profilo antisismico e con cemento armato di scarsa qualità (diversa addirittura da quella indicata nel progetto), a dimostrazione che la buona tecnica antisismica di costruzione attuata anche in epoca precedente era idonea ad assolvere la funzione protettiva del rischio sismico (fol 56).
2.3. Non ha fondamento né alcun rilievo ai fini della responsabilità penale dello B.B., per i reati contestati, la deduzione di cui al sesto motivo in cui si afferma che, anche ove lo stesso avesse denunciato il reato sismico all'AG a seguito del verbale di ispezione, il reato era prescritto. Sul punto rileva il Collegio che la contravvenzione prevista dall'art.3 della legge n.64 del 1974 - in virtù della quale le costruzioni in zone sismiche debbono essere conformi alle norme di sicurezza richiamate da appositi decreti ministeriali oltre che dall'art. 1 della stessa l. n.64 del 1974 - ha natura permanente (cfr ex plurimis Sez. 3, Sentenza n. 1857 del 14/05/1999 Ce. (dep. 16/07/1999) Rv. 214611 - 01).
La permanenza non cessa con la fine dei lavori e dura fino a che la costruzione "rimane in piedi" in modo difforme dai criteri di sicurezza previsti.
2.4. Quanto alla posizione di garanzia dello B.B. , nel richiamare i principi già esposti sul punto nel paragrafo 1, va ricordato che, nei reati colposi omissivi impropri, l'addebito della responsabilità presuppone l'individuazione di una posizione di garanzia da cui discenda l'obbligo giuridico di impedire l'evento, il quale si caratterizza rispetto agli altri obblighi di agire in ragione della previa attribuzione al garante degli adeguati poteri di impedire accadimenti offensivi di beni altrui (Sez. 4, n. 22614 del 19/02/2008, Gualano, Rv. 239900).
Lo B.B., in ragione della propria qualifica di dipendente del Genio civile settore decentrato di Rieti, ha redatto il verbale di accertamento e avrebbe potuto impedire la prosecuzione dell'iter amministrativo illegittimo, la ed. " messa a posto delle carte", conclusosi con il rilascio del certificato di conformità antisismica da lui stesso predisposto e di abitabilità da parte del Comune di A. In tal senso sarebbe stato sufficiente che lo stesso avesse evidenziato, come il suo ruolo imponeva, le incongruenze rilevate dal punto di vista amministrativo e materiale: primo fra tutti che gli edifici erano abitati e che nessuna attività di variante, postuma, era stata posta in essere.
Al di là di un'assunzione formale della posizione di garanzia (che in ogni caso come sopra affermato esisteva), va evidenziato che la fonte dell'obbligo giuridico può radicarsi in molte situazioni della vita quotidiana in cui di fatto si realizza un contatto fra consociati in cui uno dei due assume per impegni contrattuali pregressi, di fatto ed anche spontaneamente, un ruolo di garanzia rispetto all'altro e di gestione del rischio.
Ciò è riscontrabile nel caso di specie, in cui - al di là della investitura formale -evidentemente lo B.B. per il ruolo rivestito, risultante dal verbale di accertamento, poneva in essere una serie di condotte inadeguate a gestire il rischio sismico, ponendo in pericolo il bene costituzionalmente garantito qual è l'incolumità pubblica.
2.5. Quanto alla dedotta insussistenza dell'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 449 cod. pen., al riguardo, va osservato che, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, la Corte territoriale ha enucleato plurimi profili di rimproverabilità nelle condotte dello B.B., desumibili dall'effettiva conoscenza degli atti menzionati nel verbale e dello stato dei luoghi nonché dalla mancata segnalazione di elementi idonei a fronteggiare il rischio sismico e, infine, dalla consapevole scelta di non comunicare dati allarmanti, quali la circostanza che le palazzine a seguito della pregressa assegnazione degli appartamenti erano abitate da anni.
In definitiva, il rimprovero mosso allo B.B. è stato logicamente argomentato dai Giudici di merito alla luce dei riscontri documentali e testimoniali sopra descritti, ponendo in evidenza che lo stesso, pur a conoscenza della funzione preventiva a lui demandata, aveva omesso del tutto di. riferire le condizioni di inadeguatezza e di insicurezza delle abitazioni sotto il profilo del rischio sismico omettendo altresì di segnalare che le stesse erano state assegnate da tempo e che risultavano occupate. La segnalazione dell'abitazione in corso da anni delle palazzine era dunque doverosa nel verbale di accertamento, perché nell'ambito di quel procedimento amministrativo l'acquisizione dei dati relativi allo stato e delle caratteristiche dei luoghi era rimessa proprio alla constatazione diretta demandata funzionalmente allo B.B.
La condotta alternativa lecita dell'agente modello, nella stessa funzione e attività dello B.B., avrebbe impedito l'adozione di quell'atto dell'ufficio del Genio civile e della concessione della licenza di abitabilità dando invece avvio al procedimento di accertamento delle violazioni.
In definitiva, i profili di colpa contestati al prevenuto concernono proprio il mancato espletamento di quelle verifiche sulla sussistenza delle condizioni di sicurezza e di adeguatezza delle abitazioni sotto il profilo del rischio sismico, che avrebbero consentito, una volta segnalate all'organo competente, la corretta valutazione in ordine alla insussistenza delle condizioni per il rilascio del certificato di conformità antisismica e quindi di quello conseguente di abitabilità.
Sul punto va richiamata la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno e per intero è destinatario dell'obbligo di tutela imposto dalla legge e l'omessa applicazione di una cautela è addebitabile a ogni singolo obbligato (cfr. Sez. 4 n. 928 del 28.09.2022,Bocchio, rv 284086, in tema di violazione di normativa antinfortunistica).
2.6. Del tutto generica oltre che manifestamente infondata la censura di cui al terzo motivo con cui si contesta la violazione del principio di correlazione tra accuse e sentenza, in quanto il capo di imputazione faceva riferimento alla mancata indicazione del collaudo, mentre la affermazione di responsabilità addebitata allo B.B. sarebbe basata anche sul non aver segnalato che le palazzine erano abitate e che quindi doveva escludersi il progetto di variante mai eseguito.
Invero, l'affermazione non si raffronta con il complesso percorso argomentativo illustrato dalla Corte distrettuale e lo sintetizza in maniera del tutto semplicistica.
Ritiene il Collegio che è evidente la piena coerenza tra i fatti contestati e quelli accertati ai fini dell'affermazione di colpevolezza come risulta dal mero raffronto tra il capo di imputazione e gli elementi probatori che hanno caratterizzato la ricostruzione dei fatti e degli addebiti sopra ampiamente riportati di cui ai foll. 37 e ss della sentenza impugnata.
Va ribadito il principio che nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pur specifica, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini della contestazione suppletiva di cui all'art. 516 cod. proc. pen., né rileva ai fini della ravvisabilità del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 cod. proc. pen. (cfr. Sez. 4, n. 6564 del 23/11/2022, Spampinato, Rv. 284101 - 01).
Così in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa, sicché l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. 3 , n. 24932 del 10/02/2023,Gargano, Rv. 284846 - 01).
2.7. L'ottavo motivo con cui si deduce l'inconfigurabilità dell'elemento soggettivo del concorso colposo nel delitto doloso commesso dall'Ing. U.U. è manifestamente infondato, oltre che generico, in quanto le condotte contestate, come affermato dalla Corte territoriale a fol 59, sono state tutte inquadrate e ricondotte ai reati colposi, anche nei confronti degli altri imputati e in specie del U.U.
2.8. Il nono motivo e l'undicesimo motivo che possono essere trattati congiuntamente sono infondati.
Nel delitto di disastro colposo, previsto dall'art. 449 cod. pen., il momento di consumazione del reato coincide con l'evento tipico della fattispecie e quindi con il verificarsi del disastro, da intendersi come fatto distruttivo di proporzioni straordinarie dal quale deriva pericolo per la pubblica incolumità (v. da Sez. 4, n. 47779 del 28/09/2018, Di Paolo, Rv. 274355 - 01).
Appare altresì utile richiamare la distinzione tra le ipotesi criminose di cui al primo e al secondo comma dell'art. 434 cod. pen.: in tema di reati contro l'incolumità pubblica, per la configurabilità del delitto di disastro colposo (artt. 434 e 449 cod. pen.) è necessario che l'evento si verifichi, diversamente dall'ipotesi dolosa (art. 434, comma primo, cod. pen.), nella quale la soglia per integrare il reato è anticipata al momento in cui sorge il pericolo per la pubblica incolumità mentre, qualora il disastro si verifichi, risulterà integrata la fattispecie aggravata prevista dal secondo comma dello stesso art. 434 (Sez. 4, n. 35684 del 05/07/2018, Salzano, Rv. 273414; Sez. 4, n. 4675 del 17/05/2006, dep. 2007, Bartalini, Rv. 235668).
Venendo al caso in esame, in linea coi predetti principi, la condotta criminosa è stata attuata mediante plurime azioni ed omissioni; da ciò deriva l'impossibilità di seguire l'impostazione delle difese, secondo cui sarebbe addebitabile a B.B. una sola condotta di natura istantanea relativa al verbale di accertamento, avvenuta in epoca remota e, successivamente, plurimi comportamenti di natura omissiva integranti condotte commissive e/o omissive a carico altri soggetti in posizione di garanzia.
Va ribadito il principio per cui il delitto di disastro doloso di cui all'art. 434 cod. pen. è configurato come reato istantaneo ad effetti permanenti, in cui la persistenza del pericolo, come pure il suo inveramento quale concreta lesione della pubblica incolumità, non sono richiesti per la realizzazione del delitto, giacché non sono elementi del fatto tipico e non assumono rilievo rispetto alla consumazione del reato. La fattispecie colposa di cui all'art. 449 cod. pen. è eventualmente permanente. Si tratta, infatti, di reato a forma libera, che può consistere in un macro evento di immediata evidenza e di notevoli dimensioni (crollo, naufragio, deragliamento, ecc.), ma anche in un evento non immediatamente percepibile, che si dispiega in un arco di tempo molto prolungato. Il disastro colposo, pertanto, è un reato eventualmente permanente, in cui il fatto previsto dalla legge può esaurirsi nel momento in cui si concretano gli elementi costitutivi della ipotesi tipica di reato, ma può anche protrarsi con una ininterrotta attività che in ogni momento riproduce l'ipotesi stessa (Sez. 1, n. 714 del 17/12/1992, dep. 1993, Daprea, Rv. 192800). Nel reato eventualmente permanente, peraltro, la fattispecie tipica esige o ammette una protrazione nel tempo senza soluzione di continuità (Sez. 3, n. 16042 del 28/02/2019, Antonioli, Rv. 275396, in cui il reato eventualmente permanente è distinto dal reato a consumazione prolungata o frazionata, caratterizzato dalla ripetizione di singole condotte lesive dell'interesse protetto dalla norma che determinano il superamento dei limiti soglia nel tempo. Tali principi trovano conferma nella variegata tipologia di disastri ipotizzabile in natura, in quanto, in materia di pubblica incolumità, il legislatore ha ravvisato la più pregnante esigenza di sanzionare la produzione colposa di determinati eventi anche soltanto pericolosi rispetto ad altri settori penali.
Alla luce di quanto esposto in ordine alla condotta e all'evento del reato di disastro innominato, deve rilevarsi che il reato deve essere considerato unico e vale la data ultima di consumazione con il verificarsi del disastro e la cessazione della permanenza ai sensi dell'art. 158 cod.pen., apparendo irrilevante che la parte iniziale della condotta attribuita a B.B. o ad altri imputati risalga ad epoca anteriore all'entrata in vigore della legge che ha elevato la cornice edittale massima a 15 anni di reclusione, essendo stata valutata come condotta illecita endoprocedimentale destinata a supportare il certificato di conformità alla normativa antisismica e la successiva abitabilità.
2.8.1. Quanto alla questione di legittimità costituzionale non è rilevante oltre che manifestamente infondata. Per quanto concerne, in particolare, la prescrizione, deve tenersi presente che, dal punto di vista ontologico, per il delitto di disastro colposo, previsto dall'art. 449 cod. pen., il momento di consumazione del reato coincide con l'evento tipico della fattispecie e quindi con il verificarsi del disastro, da intendersi come fatto distruttivo di proporzioni straordinarie dal quale deriva pericolo per la pubblica incolumità e non con riferimento alle condotte che costituiscono la serie causale che possono in ipotesi assurgere anche a distinte ed autonome violazioni.
Come noto, la legge 4 dicembre 2005, n. 251, così detta ex Cirielli, ha profondamente modificato la disciplina della prescrizione stabilendo che questa, in via generale, estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque in un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria. La citata legge ha previsto delle deroghe alla disciplina introdotta; tra tali deroghe, v'è quella, dettata dall'art. 157, comma 6, cod. pen., secondo cui sono raddoppiati i termini di prescrizione, per quanto rileva in questa sede, per i reati di cui all'art. 449 cod.pen.. Non sfugge che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 143 del 2014, ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 157, sesto comma, cod. pen., nella parte in cui prevede che i termini di cui ai precedenti commi del medesimo articolo siano raddoppiati, rispetto al reato di incendio colposo, ai sensi dell'art. 449, in riferimento all'art. 423 cod. pen. Ma la Corte Costituzionale, muovendo dal rilievo che la prescrizione costituisce nell'attuale configurazione un istituto di natura sostanziale, ha considerato che la discrezionalità legislativa, in materia, deve essere pur sempre esercitata nel rispetto del principio di ragionevolezza e in modo tale da non determinare ingiustificabili sperequazioni di trattamento, tra fattispecie omogenee. Proprio il percorso argomentativo ora richiamato, in via di estrema sintesi, induce a ritenere manifestamente infondata l'eccezione di legittimità costituzionale dedotta dalla difesa, in riferimento all'art. 27 Cost., giacché non appare affatto collidente con il delineato principio di ragionevolezza. La Suprema Corte ha rilevato che il delitto di disastro colposo innominato (ex artt. 434 e 449 cod. pen.) è integrato da un "macro evento", che comprende non soltanto gli eventi disastrosi di grande immediata evidenza (crollo, naufragio, deragliamento ecc.) che si verificano magari in un arco di tempo ristretto, ma anche quegli eventi non immediatamente percepibili, che possono realizzarsi in un arco di tempo anche molto prolungato, che pure producano quella compromissione delle caratteristiche di sicurezza, di tutela della salute e di altri valori della persona e della collettività che consentono di affermare l'esistenza di una lesione della pubblica incolumità (Sez. 4, n. 4675 del 17/05/2006 - dep. 06/02/2007, Bartalini, Rv. 23566901). Il richiamato principio di diritto è stato successivamente ribadito, osservandosi che rispetto al disastro innominato previsto dall'art. 434 cod. pen., con l'espressione "altro disastro", viene in rilievo non soltanto il macro evento di immediata manifestazione esteriore che si verifica in un arco di tempo ristretto, ma anche l'evento, non visivamente ed immediatamente percepibile, che si realizza in un periodo molto prolungato, sempre che comunque produca una compromissione delle caratteristiche di sicurezza, di tutela della salute e di altri valori della persona e della collettività tale da determinare una lesione della pubblica incolumità (Sez. 1, n. 7941 del 19/11/2014 - dep. 23/02/2015, Schmidheiny, Rv. 26279001).
La Corte Costituzionale con la sentenza di rigetto n. 327 del 2008 era stata investita della questione con la quale si dubitava della determinatezza della nozione di disastro di cui all'art. 434, cod. pen. e ha affermato che è possibile delineare una nozione unitaria di "disastro", i cui tratti qualificanti si apprezzano sotto un duplice e concorrente profilo: da un lato, sul piano dimensionale, si deve essere al cospetto di un evento distruttivo di proporzioni straordinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi; dall'altro lato, sul piano della proiezione offensiva, l'evento deve provocare - in accordo con l'oggettività giuridica delle fattispecie criminose in questione (la "pubblica incolumità") - un pericolo per la vita o per l'integrità fisica di un numero indeterminato di persone, senza che peraltro sia richiesta anche l'effettiva verificazione della morte o delle lesioni di uno o più soggetti.
Inoltre con sentenza 112/2018 la Corte costituzionale si è pronunciata positivamente, per la seconda volta in pochi mesi, sulla legittimità costituzionale della disciplina della prescrizione in materia di delitti contro la pubblica incolumità e, in particolare, dell'art. 157 co. 6 cod.pen., nella parte in cui stabilisce che i termini di prescrizione per i delitti colposi di danno (art. 449 c.p.) sono raddoppiati.
La Corte richiama e ribadisce gli approdi interpretativi cui era giunta già nella sentenza 265/2017, quando era stata investita di una questione sostanzialmente analoga, in quanto identica per norma impugnata e per parametro di legittimità, sebbene riferita a un diverso titolo di reato (comunque ricompreso nell'art. 449 c.p.).
Le motivazioni delle due sentenze - a firma dello stesso redattore - risultano in larga misura sovrapponibili ed hanno un nucleo concettuale comune relativo alle funzioni della disciplina in materia di prescrizione. Ne discende una generale istanza di proporzione tra la gravità del reato e il tempo necessario a prescrivere: di essa si ha traccia sia nel sistema previgente, organizzato per "fasce" edittali, sia in quello attuale, dove opera il criterio della pena massima della singola figura criminosa.
Si tratta di una correlazione solo tendenziale: in assenza di uno specifico vincolo costituzionale, deve riconoscersi al legislatore un certo spazio di libertà nell'introdurre deroghe alla regola generale modificando la durata dei termini, vuoi nel senso di innalzarli o di ridurli rispetto alle coordinate individuate tramite riferimento al disvalore del reato.
Se ne ha conferma in una serie di norme - della cui legittimità costituzionale non si è mai dubitato - che prevedono, per due o più fattispecie, termini di prescrizione non proporzionali al rapporto tra le pene delle medesime. In particolare, per quanto riguarda le ipotesi di equiparazione, è possibile rammentare che il già richiamato criterio in vigore prima della riforma del 2005 comportava che un unico termine si applicasse a tutti i reati rientranti in una stessa fascia di gravità edittale, circostanza che poteva verificarsi anche per la forma dolosa e colposa di uno stesso fatto di reato (così accadeva proprio per i delitti di incendio ex artt. 423 e 449).
Ancora oggi, del resto, il tempo necessario a prescrivere è identico per quei reati puniti con pene che, pur diverse a seconda della versione dolosa o colposa, in entrambi i casi si collocano al di sotto della soglia minima prevista dall'art. 157 co. 1 cod.pen.: casi del genere si riscontrano anche nei delitti contro l'incolumità pubblica, come ad esempio nei rapporti tra omissione o rimozione colposa di cautele contro gli infortuni sul lavoro ex art. 451 cod.pen. e corrispondente fattispecie dolosa prevista dall'art. 437 co. 1 cod.pen.
Ciò è costituzionalmente legittimo, afferma la Corte, perché, in generale, "a differenziare la fattispecie dolosa da quella colposa, assicurando la proporzionalità del trattamento sanzionatorio al disvalore del fatto, provvede la pena".
Quanto alla durata dei termini di prescrizione, invece, si tratta di valutare la ragionevolezza delle scelte discrezionali del legislatore anche alla luce di elementi ulteriori rispetto a quelli che fondano la diversa gravità dei due titoli di imputazione soggettiva.
Per verificare il rispetto del parametro costituzionale rilevante, ossia l'art. 3, diviene allora cruciale tenere conto delle finalità che la disciplina in materia di prescrizione può perseguire nell'ambito della reazione punitiva statale. La Corte ritiene di poter essenzialmente ricondurre l'istituto della prescrizione come causa estintiva del reato a una duplice ratio: da un lato sta il progressivo affievolirsi nel tempo dell'allarme sociale destato dall'illecito; dall'altro lato, ponendosi nella prospettiva del reo, vi è il maturare in capo a costui di un diritto all'oblio per il fatto commesso.
Dato questo fondamento, vi sono almeno due elementi - prosegue la Corte - che possono rendere ragionevole un allungamento dei termini di prescrizione in relazione ad alcuni tipi o classi di reati: la sussistenza di un allarme sociale così intenso da determinare "una "resistenza all'oblio" (...) più che proporzionale all'energia della risposta sanzionatoria"; la complessità delle attività probatorie necessarie, in sede di indagini preliminari o in giudizio, per accertare il reato nelle sue componenti oggettiva e soggettiva.
Nel caso di frana, naufragio e anche disastro innominato l'elemento materiale - per definizione condiviso dalle rispettive versioni dolose e colpose - generano un uniforme oltre che intenso allarme sociale, sempre più avvertito nella coscienza pubblica anche alla luce delle conseguenze a lungo termine che vi si ricollegano. La Corte sul punto richiama, come esempio di tale sensibilità, la l. 68/2015, con la quale il legislatore, attraverso tra l'altro la previsione di una autonoma norma incriminatrice, aveva inteso potenziare la risposta penale nei confronti di fatti di macro-danneggiamento ambientale fino ad allora ricondotti proprio alla fattispecie di cui all'art. 434. Considerazioni analoghe la sentenza n.112/2018 ritiene di poter agevolmente estendere alle fattispecie di cui agli artt. 426 e 428 cod.pen., stante la comune appartenenza al genus dei "disastri" - nozione appunto elaborata dalla giurisprudenza anche costituzionale sulla base di caratteristiche oggettive, a prescindere dalla componente psicologica.
Anche sul versante delle ragioni di ordine probatorio la verifica della Corte ha esito positivo: ciò sia perché l'accertamento del fatto tipico presenta il medesimo grado di difficoltà, dovendosi peraltro tenere conto della normale lungo latenza degli effetti dannosi di tali illeciti; sia perché, anche avendo riguardo all'elemento soggettivo, la complessità delle attività istruttorie necessarie per fondare un addebito a titolo di colpa può ritenersi sostanzialmente equivalente a quella riscontrata nell'accertamento della responsabilità dolosa.
In conclusione, la Corte nella pronuncia che qui si richiama ritiene di dover evocare ancora una volta il contesto in cui si colloca la disposizione di cui trattasi. In particolare, invita a tener conto, attraverso una valutazione comparativa con l'assetto esistente, dello scenario alternativo con cui il legislatore si è idealmente confrontato al momento di introdurre l'art. 157 co. 6 cod.pen.: in mancanza di questa norma, il nuovo criterio di calcolo previsto dalla riforma del 2005 avrebbe comportato la drastica riduzione dei termini di prescrizione dei disastri colposi da dieci a sei anni, che diventava un vero e proprio dimezzamento (da quindici a sette e mezzo) considerando i mutati aumenti per gli atti interruttivi.
La Corte sembra quindi voler rimarcare che attraverso la norma impugnata il legislatore perseguiva un fine legittimo e ciò preclude di sostituire alla scelta del legislatore una scelta diversa solo perché ritenuta "migliore" (o più opportuna) di quella.
E deve pertanto ritenersi non irragionevole la scelta del legislatore di contrastare la riduzione dei termini di prescrizione delle fattispecie di disastro colposo anche se realizzata attraverso un meccanismo che rende tali termini uguali a quelli delle corrispondenti ipotesi dolose.
2.8.2. Nel nono motivo, la difesa B.B. deduce, sia pure in maniera generica, anche una pretesa illegalità della pena base, argomentando dalla pena irrogata al A.A., che sia pure qualificata dal Giudice di primo grado "intermedia" tra il minimo e il massimo edittale, in realtà non teneva conto, secondo le deduzioni difensive, che la forbice edittale al momento del verificarsi dell'evento per il reato più grave di omicidio colposo plurimo era di anni dodici e non di anni quindici. Deduceva che lo stesso errore era stato di conseguenza compiuto per B.B. per il quale la pena base era stata individuata in anni cinque di reclusione.
Il motivo oltre che generico è aspecifico al pari di quello attinente alla entità del trattamento sanzionatorio.
Come argomentato correttamente dalla Corte di appello a fol 61, il giudice di primo grado a fol 473, a proposito dello B.B., in relazione alla specificità della condotta, della buona condotta processuale e al ruolo minore rispetto al dirigente U.U., ha individuato la pena base in cinque anni di reclusione (pienamente in linea con il principio di sanzione intermedia affermato a fol 472 rispetto al massimo della pena edittale, prevista prima dell'entrata in vigore del DL 23.05.2008 n. 92 conv. con la L. 125/2008), con concessione delle attenuanti generiche equivalenti all'aggravante di cui all'art. 61 comma 9 cod. pen. ed ha effettuato un aumento di 8 mesi di reclusione per la continuazione. La Corte territoriale ha evidenziato che nessun elemento ulteriore positivo è stato addotto per mutare in senso favorevole all'imputato il giudizio di bilanciamento a titolo di equivalenza operato già dal Tribunale di Rieti. Ha sottolineato che non può essere sottaciuta, infatti, la rilevanza della predisposizione della minuta della certificazione di conformità da parte dello B.B., a dimostrazione che non vi erano ostacoli all'adozione da parte del dirigente dell'atto di certificazione finale di competenza del Genio civile oltre che il suo silenzio sui dati di fatto riscontrati nel corso di sopralluogo, quali l'assenza di lavori recenti di variante e la pregressa abitazione delle palazzine. La Corte territoriale ha valutato con giudizio di merito insindacabile la adeguatezza della pena in considerazione del contributo di ridotta entità ma non certo marginale e dell'elevatissimo numero di vittime e del fatto che il crollo aveva riguardato due palazzine adibite a civili abitazioni (fol.62).
2.9. Quanto al motivo decimo riguardante il mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze di cui all'art. 62 bis cod. pen., nel richiamare le considerazioni al paragrafo precedente, si evidenzia che, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269). Nel motivare la mancata concessione nel giudizio di bilanciamento della prevalenza la Corte distrettuale a fol 61 ha argomentato che il giudice ha già valutato la complessità dell'azione amministrativa e il ruolo minore dello B.B. rispetto al dirigente firmatario ma ha altresì valorizzato, come sopra illustrato, la predisposizione da parte del ricorrente della minuta della certificazione di conformità senza evidenziare ostacoli alcuno all'adozione dell'atto conclusivo del procedimento e quanto rilevato nel sopralluogo in relazione alla omessa esecuzione dei lavori di cui alla variante e all'occupazione da tempo da parte di inquilini nello stabile.
Il dato temporale infatti non ha alcun rilievo trattandosi di norme cautelari destinate a prevenire il rischio sismico in relazione a costruzioni destinate a durare nel tempo. Il giudice ha preso in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti e ha fatto riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 7, Ord. n. 39396 del 27/05/2016, Jebali, Rv. 268475; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).
In conclusione, nel rispetto dei suindicati principi sopra richiamati, con motivazione non manifestamente illogica, la Corte territoriale ha riconosciuto congruo il giudizio di bilanciamento riguardanti le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti dal primo giudice non essendo emersi elementi ulteriori favorevoli tali da indurre il mutamento del giudizio di bilanciamento.
3. Il primo motivo di ricorso della difesa A.A., con cui deduce violazione di legge e mancata assunzione di una prova decisiva, perizia grafica, con riferimento alla sigla apposta al progetto che fu redatto dall'Architetto S.S. e al quale il A.A., direttore tecnico incaricato della ditta appaltatrice, ha apposto la sua sigla provvedendo anche al deposito presso il Genio civile (v. paragrafo 3.1.ritenuto in fatto), è manifestamente infondato, oltre che generico e aspecifico.
Sul punto la Corte territoriale afferma:" la questione posta dall'appellante A.A. relativa alla paternità del progetto di edificazione delle palazzine effettivamente realizzato sotto la sua direzione di direttore tecnico nella costruzione dei due edifici, che, con certezza, era stata conclusa nel 1977, tanto che gli appartamenti erano stati via via assegnati a partire proprio da quel momento ed erano stati abitati, con inizio nello stesso periodo, dai nuclei familiari assegnatari degli alloggi di edilizia popolare, non assume rilievo. Alla successiva richiesta e alla conclusione dell'iter amministrativo, risalente al periodo 1984-1985 e relativo, solo ai fini antisismici, al progetto di variante, non aveva fatto seguito, infatti, alcuna ripresa dei lavori, neppure parziale o per parti accessorie, e questo costituisce un dato certo perché testimoniato da coloro che nelle palazzine abitavano (da anni) e perché sostanzialmente non contestato".
Dunque, prosegue la Corte territoriale, nella sua ricostruzione in fatto, uno stesso progetto era stato realizzato, senza successive variazioni, con i lavori assegnati alla SO.GE.AP. S.r.L nel 1973, conclusi definitivamente nell977 di cui il A.A. era Direttore tecnico.
Si imputa al A.A. di aver concorso, nella veste di direttore tecnico dell'impresa costruttrice SO.GE.AP. S.r.L, alla realizzazione delle palazzine IACP di piazza S. n.(omissis) in A. con una tecnica progettuale e costruttiva inosservante delle minime misure antisismiche che, in una zona certamente rientrante in quelle classificate a rischio sismico, erano normativamente imposte in modo che i fabbricati, nella concreta eventualità del sisma, fossero connotati da caratteristiche protettive tali da evitarne il crollo e il conseguente danno all'incolumità delle persone.
Non vi sono dubbi che sia stata raggiunta la prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, della piena responsabilità del ricorrente. Sulla base delle argomentazioni e dell'elencazione ragionata degli elementi probatori di cui alle sentenze di merito risultano evidenziate le attività certamente poste in essere dal A.A. nella costruzione delle palazzine, risalente agli anni 1973/1977 (e mai più ripresa in epoca successiva), secondo un progetto difforme da quello, cui aveva contribuito per la parte statica l'ing. W.W. e per la parte edilizia l'arch. S.S., che era stato presentato per ottenere la concessione edilizia. Ciò afferma la Corte distrettuale non solo per la partecipazione del datore di lavoro del A.A., la SO.GE.AP. Srl, quale concorrente unico, alla gara di appalto indetta dallo IACP, ma altresì per la richiesta di autorizzazione sismica per la realizzazione degli immobili inviata all' "Ufficio del Genio civile di Rieti" (si veda la nota a firma del Presidente IACP in data 15/11/1972) "ai sensi e per gli effetti della legge 25 novembre 1962 n. 1684",effettuata dal A.A. stesso.
La Corte distrettuale ribadisce che per ottenere la licenza di costruire fu presentato un progetto formalmente rispettoso dei dettami normativi (al solo fine di ottenere l'appalto e il rilascio dei provvedimenti autorizzatori in specie la licenza del Comune di A. del 9.11.1973), per poi cercare di sanare le evidenti discrasie fra l'approvato e il realizzato, presentando il progetto corrispondente al realizzato cui aveva contribuito il A.A., facendosi autorizzare una variante (a lavori da anni conclusi) mai nei fatti attuata con l'avvio di nuovi lavori: il progetto di variante autorizzato corrispondeva a quello già eseguito nella fase di costruzione sotto la direzione tecnica del A.A.
Ciò che ai fini del presente giudizio rileva, infatti, è che le palazzine erano state edificate, sin dall'inizio, secondo il progetto che era stato invece presentato, a molti anni di distanza dall'ultimazione dei lavori di costruzione, per la richiesta di approvazione di variante, agli atti dell'articolazione reatina del competente Provveditorato regionale dei Lavori Pubblici del Lazio (Genio civile) e del Comune di A. (per la licenza di abitabilità).
Il dato è provato e assodato in giudizio e l'appellante A.A. non lo ha contestato, concentrando invece la prospettazione difensiva nel negare la paternità di una collaborazione al progetto iniziale nonostante nel corso delle spontanee dichiarazioni rese in dibattimento (pagine 72 e ss. verbale trascrizioni udienza 20/3/2019) non avesse negato la paternità degli elaborati tecnici (c.d. disegni) di progetto eseguiti nelle opere in cemento armato, ma ne ha anticipato l'epoca di realizzazione al 1973. Quest'ultimo dato è verosimile e non contestato, perché proprio conformemente a quei disegni e calcoli le palazzine erano state in effetti realizzate e perché proprio nell'anno 1973 è collocata l'esecuzione di quei disegni nella menzione fattane nella nota IACP a firma del Presidente Q.Q. (cfr. pagine 67- 68-69 della sentenza), datata 3/5/1984 (di cui esistono tre versioni, una delle quali con firma riconosciuta dal Presidente IACP Q.Q.) e diretta al Responsabile del settore opere e lavori pubblici della Regione Lazio per l'approvazione ai sensi della legge 64/1974 in cui espressamente si fa riferimento ai disegni di variante redatti dall'Ing A.A. il 3.08.1973, firmati dall'Architetto S.S..(fol 68/69 sentenza di primo grado).
La circostanza che il A.A. abbia contribuito alla realizzazione dei lavori di edificazione delle palazzine IACP di piazza S. secondo un progetto difforme da quello in via amministrativa assentito sotto il profilo edilizio, è provato con certezza dalla convergenza, pluralità e significatività degli elementi già elencati dal giudice di primo grado (pagine 404 e ss. della sentenza), non smentiti puntualmente nell'atto di appello né nel ricorso con argomentazioni validamente sostenute da elementi di fatto a conforto.
Il A.A., socio di capitali della SO.GE.AP. S.r.L (per ammissione dello stesso appellante con pari indicazione a pag. 7 dell'appello), era, presente come "tecnico" della SO.GE.AP. S.r.L, aggiudicatrice dell'appalto, all'atto di consegna dei lavori in data 25/5/1973 (v. verbale a firma, oltre che del Presidente IACP, del direttore dei lavori S.S. e del rappresentante della società, P.P.: "oggi venticinque maggio 1973 a seguito di preavviso dato dal sottoscritto Architetto Direttore dei lavori si sono trovati in A. i signori P.P. in qualità di Amministratore della Società aggiudicatrice e l'ing. A.A. tecnico della stessa. Alla presenza continua di tutti gli intervenuti sulla scorta del progetto approvato...").
Il A.A. aveva conseguentemente e personalmente provveduto ad effettuare il deposito del progetto in data 7/ 9/ 1973 al Genio civile (cfr. registro cartaceo riportato a pag-48 della sentenza impugnata), ai sensi della legge n. 1086/1971.
Dunque, il A.A. conosceva, almeno, il progetto che era stato presentato dalla società SO.GE.AP. s.r.l - di cui era socio di capitali e nell'ambito della quale ricopriva, quale ingegnere la veste di direttore tecnico- per l'aggiudicazione dell'appalto e per ottenere i provvedimenti autorizzativi.
Il A.A. aveva svolto il ruolo di Direttore tecnico; nel certificato di collaudo statico dei due fabbricati IACP di piazza S. in A., datato 9/9/1977, fra i tecnici responsabili, l'ing A.A. risulta indicato quale "progettista delle opere in cemento armato", mentre l' Arch. S.S. è annoverato quale direttore dei lavori.
Anche nella Relazione a struttura ultimata, elaborata dal direttore dei lavori arch. S.S. ai sensi dell'art. 6 legge n. 64/74 e risalente al maggio 1977 (si veda la riproduzione a pag.54 della sentenza del Tribunale di Rieti), si legge: "dichiara che i due fabbricati sono stati ultimati il 27 maggio 1977 nel pieno rispetto del progetto delle strutture in c.a. eseguito dall'ing. A.A. e denunciato a codesto spettabile Ufficio il 7/8/1873".
Il A.A., nelle dichiarazioni spontanee rese in dibattimento, si è espressamente riferito agli elaborati tecnici (diversi da quelli realizzati dall'ing. W.W.) presentati insieme alla richiesta di variante nel 1984 dall'arch.S.S. -dunque, quelli cui era stata data effettiva esecuzione nella costruzione delle palazzine IACP-, ammettendo che, almeno in una versione, si trovava la propria firma nella qualità di direttore tecnico della ditta appaltatrice (insieme a quella dell'arch. S.S. come progettista). Senza negare di averli realizzati, il A.A. precisava soltanto che quegli elaborati erano gli stessi che per la SO.GE.AP. Srl erano stati da lui depositati nel 1973 al Genio civile.
Dunque, proprio il direttore tecnico dell'impresa che aveva realizzato i lavori, significativamente indicato nel verbale di collaudo quale "progettista delle opere in cemento armato" e con qualifica professionale e iscrizione all'Albo adeguate a quella funzione, aveva personalmente depositato alla competente Autorità amministrativa gli elaborati tecnici da lui firmati, insieme all'arch. S.S., che erano stati poi eseguiti nella realizzazione dei lavori di costruzione dei due fabbricati IACP.
Tutti gli elementi, secondo la coerente ricostruzione dei Giudici di merito, conducono, dunque, ad affermare, che il A.A. aveva tecnicamente e fattivamente contribuito alla realizzazione del progetto effettivamente eseguito nei lavori di edificazione delle due palazzine di piazza S. e la conclusione trova una decisiva conferma anche nella già richiamata, esplicita e formale indicazione dell'attribuzione al A.A. della paternità di quegli elaborati nella nota in data 3/5/1984 a firma del Presidente dello IACP (in tutte e tre le versioni, sia quelle a firma disconosciuta dall'Q.Q., che in quella a firma riconosciuta dallo stesso), avente ad oggetto " Costruzione di N.12 alloggi popolari in A.", in cui, premesso che "Non avendo a suo tempo l'impresa SO. GE. AP. Srl assuntrice dei lavori indicati in oggetto, ottemperato a quanto previsto dalla legge 2.2.1874 e dal D.M. 3.3.1875, si rimette in duplice copia il progetto di variante delle strutture relativo alla costruzione indicata - in oggetto", si dava atto dell'allegazione dei "Disegni di variante delle strutture, redatti dall'Ing. A.A. datati 3.8.1873 e firmati dal D.l. Arch. S.S. che ha seguito di persona la realizzazione della struttura", così attribuendo certa paternità agli elaborati tecnici.
La convergenza degli elementi probatori sopra elencati ha condotto la Corte distrettuale ad escludere legittimamente la necessità di disporre la perizia grafologica richiesta dall'appellante A.A. ed oggetto del motivo di ricorso.
Il Collegio condivide il principio già affermato da questa Corte secondo cui il rigetto della richiesta di perizia, se logicamente e congruamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità, trattandosi di un giudizio di fatto.
E che inoltre la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art.606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove il richiamo all'art. 495, comma 2, cod.proc.pen., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività (v. Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, A., Rv. 270936 - 01).
Deve conseguentemente ritenersi provato che A.A., proprio nella veste di direttore tecnico, ha svolto gli adempimenti burocratici di competenza tecnica dell'impresa SO.GE.AP. Srl, si è personalmente occupato dei lavori di costruzione delle palazzine IACP di piazza S. in A., sia provvedendo alle incombenze tecnico-amministrative (anche con la personale presenza all'atto di consegna dei lavori) sia depositando gli elaborati tecnici delle strutture in data 7/9/1973 al Genio civile. Da tali comportamenti i Giudici di merito hanno logicamente argomentato la piena consapevolezza da parte del A.A. e l'analitica sua conoscenza che la struttura delle costruzioni in cemento armato non era stata realizzata secondo i disegni tecnici dell'ing. W.W., depositati per ottenere l'appalto e assentiti sotto il profilo antisismico (timbro per approvazione del progetto in datal5/12/1972; atto riprodotto a pag. 41 della sentenza di primo grado) e oggetto del permesso di costruire, rilasciato dal competente Comune di A.
3.1. Quanto al secondo motivo, in cui il ricorrente lamenta che i Giudici di merito hanno valutato solo la tesi del CT del PM Z.Z. circa la non eccezionalità del terremoto, senza alcun riferimento alle deduzioni dei CT degli imputati e responsabili civili, così svolgendo il Giudice il ruolo di peritus peritorum, sfornito della competenza specifica, è manifestamente infondato, oltre che generico. La censura difensiva non tiene conto della complessa e rigorosa analisi basata su elementi tecnici effettuata dai Giudici di merito, in piena applicazione dei principi di diritto richiamati nella premessa al paragrafo 1.
Va ricordato, tra l'altro, il principio che non è configurabile il vizio di motivazione della sentenza che utilizzi i risultati della consulenza tecnica del pubblico ministero escludendo la necessità di una perizia, in difetto di un effettivo e documentato contrasto con la tesi contrapposta prospettata dal consulente dell'imputato (v. Sez. 1, n. 47252 del 17/11/2011 ,Rv. 251404 - 01 Sez. 1, n. 51171 del 11/06/2018, Rv. 274478 - 01).
La Corte di Appello a fol 49 ha argomentato che dall'istruttoria dibattimentale era emerso che: - il crollo era stato determinato proprio a causa della debolezza del vano scala, del cedimento dei pilastri di dimensioni incongrue, inadeguatamente armati e non verificati per azioni taglianti delle strutture di aggancio tra i ferri e pilastri, della complessivamente scarsità del calcestruzzo, della mancanza di adeguati, in numero e modo, elementi di rinforzo antisismico degli edifici conseguenti a calcoli deficitari dell'azione sismica (fol 355, 357 sentenza di primo grado).
La Corte territoriale, così come il primo Giudice, ha valutato le tesi difensive del CT Guida volte in sostanza a giustificare, con riferimento a prassi dell'epoca, l'obiettiva e innegabile incongruità del progetto effettivamente realizzato sotto il profilo dei calcoli di verifica dei carichi su alcuni pilastri; anzi evidenziava che il Ct della difesa non poteva evitare di ammettere che i calcoli dei pilastri risultavano riportare, almeno per due di essi, valori diversi da quelli previsti dalla normativa tecnica che vi era un'assenza di calcoli a taglio relativa ai pilastri (omissis) ubicati nella posizione centrale delle palazzine. Proprio la obiettiva e ammessa debolezza dei pilastri del vano scala era stata indicata dall'Ing. A.A.A., consulente tecnico del Pm, il settore originario del cedimento delle strutture e del crollo ad effetto domino di tutti e due gli edifici gemelli (fol 50), mentre in altre costruzioni in cemento armato situate nella stessa piazza non si erano verificati crolli o perdite di vite umane, nonostante si trattasse di palazzi di costruzione anche anteriori a quelli dell' IACP. Ulteriore riscontro veniva tratto circa tale dinamica del crollo anche dal Ct di difesa Y.Y. che aveva evidenziato l'irregolarità dei pesi gravanti sui pilastri (omissis) del vano scala.
La Corte distrettuale ha svolto correttamente il giudizio controfattuale affermando che se gli accorgimenti costruttivi antisismici, noti all'epoca, fossero stati adottati, l'evento non si sarebbe verificato o, quantomeno, si sarebbe verificato in misura minore, come riscontrato dal fatto che laddove le opere erano state edificate secondo regola d'arte non si erano registrati gravi danni, ma di categoria da 1 a 3, in grado di preservare la vita e l'incolumità degli abitanti, mentre nella palazzine crollate IACP, costruite con l'uso di materiali scadenti e un minor numero di elementi portanti stabili e solidi e di insufficienti strutture di saldo collegamento tra gli stessi, il rischio sismico accertato e noto nella zona aveva provocato danni di grado 5 con il crollo degli edifici e la morte di molte persone e gravi lesioni di altre.
È pacifico, afferma la Corte distrettuale - con argomentazioni logico giuridiche inconfutate-che alla costruzione, iniziata nel 1973, si applicasse la normativa in materia antisismica.
Riguardo al tale ultima tematica, il disposto dell'art.32 (titolato "Costruzioni in corso e progetti già approvati") della legge 2 febbraio 1974 n.64, recante "Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche", statuisce, per la disciplina transitoria, l'applicabilità delle nuove norme tecniche introdotte nelle zone sismiche a far data dall'entrata in vigore dal D.M. 3/3/1975 pubblicato in G.U. n. 93 dell'EV4/1975)"alle costruzioni in corso e ai progetti già approvati alla data di entrata in vigore delle norme tecniche, salvo il disposto del precedente articolo.
Non vi è, dunque, ribadisce la Corte, alcun riferimento normativo che induca a dubitare della applicabilità delle disposizioni tecniche per le costruzioni nella zona sismica di A., introdotte con la legge 2 febbraio 1974 n. 64 e II D.M. 3/3/1975.
Come noto, nella serie causale produttiva dell'evento, i fattori causali successivi assumono il ruolo di concausa e non interrompono lo sviluppo condizionalistico, né eliminano la responsabilità per i fatti precedenti e concorrenti, laddove non costituiscano evenienze dal carattere eccezionale ed imprevedibile, qualità che non può, con certezza essere attribuita al rilascio dei successive atti amministrativi quali l'abitabilità.
Nel caso di specie, la responsabilità, di chi -il A.A.- aveva concorso alla costruzione di edifici privi dei necessari requisiti previsti dalla normativa in materia antisismica, non è eliminata dalla successiva, positiva ed illegittima verifica dell'agibilità delle costruzioni, trattandosi, invece, di responsabilità concorrenti, produttive dell'unico, drammatico, evento.
D'altro canto, è stato accertato che il A.A. per sua stessa ammissione (e per l'obiettività che risulta dal registro di deposito cartaceo del Genio civile), aveva effettuato il deposito delle tavole tecniche del progetto a 17 pilastri (diverso dalle tavole tecniche dello W.W., a 23 pilastri, allegato alle richieste di Autorizzazione edilizia) in data 7/9/1973 ai sensi della legge n. 1086/1971, ben conoscendo che all'adempimento di quell'obbligo di mero deposito non avrebbe fatto seguito una valutazione sostanziale dell'adeguatezza del progetto da parte della pubblica amministrazione, ma al contempo rivelando la volontà, ancor prima del rilascio della licenza edilizia (in data 9/11/1973), di costruire le palazzine secondo elaborati tecnici delle strutture in cemento armato diversi e meno strutturati da quelli approvati sotto il profilo antisismico (in data 15/12/1972 dal Genio civile) e, per questo, sottratti al preventivo e sostanziale vaglio previsto a garanzia dell'effettiva dotazione delle costruzioni delle misure contro il rischio di crollo legato agli scuotimenti tellurici.
Il A.A. -che nella veste di direttore tecnico si era occupato anche degli adempimenti burocratici e delle pratiche amministrative- non aveva chiesto l'attestazione di conformità antisismica ex art. 28 legge 2 febbraio 1974, n. 64 alla fine dei lavori di costruzione delle palazzine nel 1977.
L'ulteriore sottrazione al controllo amministrativo successivo ai fini antisismici conforta la prova della consapevolezza che la realizzazione delle palazzine non aveva rispettato la normativa tecnica antisismica.
Logica e argomentata, oltre che supportata dalle ricostruzioni tecniche e dai saperi scientifici, che rispettano il canone di certezza al di là di ogni ragionevole dubbio, è l'affermazione secondo la quale il A.A. aveva apportato un consapevole e rilevante contributo alla realizzazione delle palazzine IACP in assenza delle necessarie misure tecniche di protezione antisismica e alla sottrazione del progetto realizzato ai relativi controlli in via amministrativa, cui si legano gli ulteriori sviluppi causali conducenti ai crolli del 24 agosto 2016.
Il crollo era stato determinato da onde sismiche che raggiungevano - nell'arco dei pochissimi secondi di picco del sisma- 0.660 G nella direzione N-S, 0.509 G nella fase verticale e di 0.463 G nella direzione E-W. Come mostrano le stesse simulazioni grafiche realizzate dai CCTT, gli edifici venivano dunque sottoposti a contemporanei scuotimenti nelle varie direzioni di ingresso della scossa: scossa che -in base ai precedenti storici dell'area, per l'energia liberata, per la sua durata e per l'entità della sua fase più distruttiva, per la profondità dell'epicentro, non poteva definirsi "eccezionale"; né sono risultati dimostrati secondo i Giudici di merito profili di eccezionalità degli effetti, in ragione di direzione delle scosse, fenomeni di near fault o di amplificazione locale, certamente esistenti e rilevanti ma non tali da superare e sovvertire i dati oggettivi sopra riportati, e ciò anche in ragione degli studi di microzonazione intervenuti ex post, che hanno confermato tale valutazione consentendo di appoggiarla su ricostruzioni maggiormente ancorate a dati reali e non ipotetici, e anzi evidenziando come i valori registrati nel sito AMTS fossero verosimilmente un 10% superiori rispetto a quelli registrabili per le palazzine di piazza S., posizionate su terreno dotato di valori di amplificazione inferiori (1,6 rispetto a 1,8).
In seguito alla scossa, le strutture perdevano dunque coesione, registrandosi verosimilmente una serie di rotture simultanee al piede o alla testa dei pilastri, nei punti -sottoposti alle maggiori sollecitazioni - in cui gli stessi si collegavano alle travi, finendo per ruotare su se stessi e venire espulsi all'esterno o all'interno della struttura, con un movimento a cerniera che comportava un 'impacchettamento' dei piani quasi uno sull'altro con una possibile genesi iniziale (pur se il fenomeno indubbiamente va considerato come contemporaneo) dai pilastri aventi valori di resistenza al taglio non a norma, debolezza maggiormente rilevabile rispetto alla direzione est-ovest, sottovalutata in sede di progettazione.
La prevalenza della spinta in direzione da nord a sud comportava che gli edifici subissero alla fine della caduta una traslazione maggiore in quella direzione, considerando anche che a spostamenti maggiori in termini assoluti sull'asse longitudinale si accompagnavano maggiori spostamenti in termini di massa sull'asse trasversale. Le immagini riportate nella sentenza di primo grado mostrano i resti degli edifici in larghissima parte collassati all'interno della stessa impronta di loro fondazione; in un moto che complessivamente, anche avendo riguardo alle testimonianze dei sopravvissuti, può definirsi tendenzialmente verticale, con impacchettamento dei piani uno sull'altro.
Si è accertato che il crollo era da imputare in primis a difetti di progettazione, che riguardavano: la previsione di 17 pilastri (invece dei 23 contemplati nel progetto portato all'autorizzazione dello IACP e del Genio civile), pilastri che erano di dimensioni insufficienti di numero, collegati esclusivamente dai solai, peraltro, in alcuni punti 'asimmetrici'; pilastri che risultavano non calcolati per tutte le direzioni di possibile ingresso del sisma e per le azioni a tagliola difetti di esecuzione, che riguardavano: la carente piegatura dei ferri, necessaria secondo le buone tecniche costruttive, la mancanza di uno dei ferri posizionati sul lato trasversale, l'utilizzo di un cemento scadente, o comunque di qualità inferiore a quello di progetto, l'impiego di ferri con caratteristiche non dia progetto (da 1O e non da 16) e in misura minore (la citata assenza del terzo ferro), che avrebbero consentito un risparmio e comunque da collocare in un ordine di grandezza apprezzabile.
Le condotte omissive corrispondono a condotte doverose dei soggetti posti in posizione di garanzia per norme di legge e di contratto, violazioni aventi incidenza sostanziale e non formale, rispetto alla normativa di riferimento, posto che negli anni '70 vigeva in pieno la normativa prescrittiva, in cui era lo Stato a fissare dei parametri, e chiedeva al progettista semplicemente di attenersi, non lasciandogli margine per elaborare modelli prestazionali, che subentravano solo gradualmente nella impostazione tecnica e - di conseguenza, spesso dopo eventi sismici - nella normativa.
Ulteriori concause dell'evento sono state le reiterate omissioni nelle procedure di verifica delle opere, da parte dei pubblici funzionari che avrebbero potuto e dovuto rilevare i difetti, negare le autorizzazioni di loro competenza o finanche solo disporre degli approfondimenti:-la presentazione al Genio civile a fini sismici del ed. 'progetto W.W.', pacificamente non autorizzabile per carenza degli elementi essenziali e comunque diverso da quanto effettivamente realizzato, -la mancata contestuale sottoposizione, invece, del progetto A.A., che era quello effettivamente realizzato con le caratteristiche sopra indicate, presentato ai soli fini statici, ma il cui elaborato non è stato rinvenuto (ve ne è solo traccia nel registro del Genio civile)e al contestuale deposito di altro progetto redatto sempre dal A.A. per diversa operarla presentazione con data 3/5/84 (depositata il 14/7/84) di 'domanda di variante' a firma del Presidente IACP Q.Q.- con una serie di 'versioni' tese "ad aggiustare le carte", aventi ad oggetto il progetto A.A., datate 12.07.1984 (fol 67 sentenza di primo grado):deposito questo che dava origine alla posizione n. (omissis) che di fatto varava una sanatoria ma senza le procedure di verifica dal punto di vista sismico che a tale forma erano connaturate, volendo in realtà nascondere una situazione di grave irregolarità che non poteva ritenersi di natura formale. Il funzionario B.B. del Genio civile, come sopra indicato, varava un accertamento in loco del tutto formale e apparente, privo di qualsivoglia valenza di 'segnalazione' delle numerose anomalie emergenti dagli stessi atti, con il rilascio infine del certificato di abitabilità da parte del Comune di A., in persone dell'assessore R.R., dopo il rilascio del certificato antisismico ex art. 28 l.n 64 del 1974 da parte dell'Ing.U.U., coordinatore di settore del Genio civile.
Né può dirsi che la scossa di terremoto sia stata un causa sopravvenuta idonea da sola a produrre l'evento. Sul punto, questa Corte, ha avuto modo di statuire che in tema di causalità, un sisma non costituisce di per sé causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento in quanto i terremoti di massima intensità sono eventi rientranti tra le normali vicende del suolo, e non possono essere considerati come eventi eccezionali ed imprevedibili quando si verifichino in zone già qualificate ad elevato rischio sismico, o comunque formalmente qualificate come sismiche (Sez. 4, n. 24732 del 27/01/2010,La Serra, Rv. 248115).
Nel caso di specie, come rilevato dalla Corte di merito, la zona era notoriamente a rischio sismico, pertanto la possibilità del sopravvenire di scosse di terremoto non poteva considerarsi una circostanza imprevedibile. Inoltre, il fatto che il sisma non sia stata causa esclusiva del crollo, è testimoniato dal fatto che altri edifici costruiti secondo le indicazioni progettuali avevano subito danni non gravi.
Pertanto la negligente e imperita condotta del A.A., il quale aveva consentito che l'edificazione del manufatto avvenisse senza il rispetto della normativa antisismica, consapevolmente o per omesso controllo, correttamente è stata ritenuta una concausa del crollo, unitamente alla scossa sismica, evento quest'ultimo non imprevedibile. È condiviso il principio già affermato da questa Corte, Sez. 4, n. 2378 del 08/07/2016 Ud. (dep. 18/01/2017) Rv. 268874 - 01 che in tema di crollo colposo di costruzioni conseguente ad evento sismico è configurabile la responsabilità a titolo di cooperazione colposa del direttore dei lavori e del direttore tecnico di cantiere i quali non hanno controllato, nelle rispettive qualità, l'effettiva realizzazione degli elementi di rinforzo ed irrigidimento idonei a consolidare la struttura, in quanto tali accorgimenti avrebbero impedito o almeno in parte evitato il crollo, non potendo altresì considerarsi la scossa sismica - verificatasi in zona notoriamente soggetta a tale rischio -una causa sopravvenuta idonea da sola a determinare l'evento.
4. Posizione Azienda territoriale per l'Edilizia Pubblica ATER della provincia di Rieti responsabile civile.
Il ricorso è infondato.
Con il primo motivo lamenta che l'affermazione di responsabilità civile in solido con gli imputati A.A. e B.B. è stata ritenuta dalla Corte di appello per via diretta, nonostante la dichiarazione di non doversi procedere ne confronti di Q.Q., che era legato all'Ente da un rapporto organico, essere estinti i reati per morte dell'imputato.
Deduce che la Corte di appello ha attributo all'Ente Ater una responsabilità diretta nella causazione dell'evento e che tale affermazione è incompatibile con la posizione del responsabile civile. Solo per Q.Q., infatti, l'Ente poteva assumere il rapporto di legittimazione passiva ai fini del risarcimento del danno stante il rapporto di immedesimazione organica; non per gli altri imputati in quanto A.A. aveva un incarico derivante da un contratto di appalto come progettista e direttore lavori in quanto socio della ditta che aveva vinto la gara di appalto, So.Ge.ap; B.B. era dipendente del Genio Civile Regione Lazio.
Sul punto, va rilevato che la sentenza di primo grado a fol 476 e ss ha basato il titolo della responsabilità civile per Ater Provincia di Rieti, già IACP, sul fatto che aveva varato il bando per la costruzione delle palazzine e quindi doveva seguirne lo svolgimento ai sensi dell'art. 4 del capitolato speciale di appalto quale stazione appaltante, compiti che non ha mai esercitato nonostante la reiterata discrasia tra gli elaborati progettuali iniziali W.W./S.S. e quelli A.A. depositati al Genio civile e ha dato rilievo alla posizione dell'imputato Q.Q., allora presidente dell'IACP, che aveva inviato lui stesso al Genio civile, ai fini della normativa antisismica, il" non progetto" W.W. in base al verbale della commissione interna (passaggio che risulta incomprensibile anche ai CCTT dei responsabili civili) e che nel 1984 aveva riattivato la procedura per la variante sismica illegittima e mai realizzata in quanto si trattava di edifici terminati e abitati da anni.
La sentenza impugnata, pur dopo l'avvenuto decesso di Q.Q., collega sostanzialmente il permanere della responsabilità civile dell'Ater, al titolo di proprietà degli immobili crollati e alla posizione strettamente connessa degli imputati ricorrenti (fol 65): A.A. aveva fornito un fattivo contributo alla realizzazione delle palazzine intestate a IACP, aveva effettuato il deposito del progetto ai sensi della legge 1086/71 su sollecito IACP e la licenza a costruire era intestata all'Ente e tutti i verbali di sospensione lavori cui aveva partecipato A.A. erano controfirmati dal Presidente IACP, Q.Q.; quanto a B.B. la responsabilità dell'Ente derivava dal fatto che il procedimento amministrativo era iniziato con un' istanza dello IACP espressamente menzionato come "ditta" nel verbale di accertamento del 2.04.1985 redatto dal funzionario del Genio civile di B.B. e nel certificato di conformità rilasciato ex art. 28 (fol 65 sentenza impugnata).
Va richiamato il principio secondo cui in tema dì azione civile esercitata nel processo penale, deve ritenersi che la morte dell'imputato, intervenuta prima del passaggio in giudicato della sentenza, comporta la cessazione, unitamente al rapporto processuale penale, anche di quello civile inserito nel processo penale: la esistenza e permanenza in vita dell'imputato, difatti, funge da presupposto processuale della sentenza e della sussistenza del rapporto processuale, anche civilistico (Sez. 4, n. 44663 del 14/10/2005, Merotto, Rv. 232620 - 01; Sez. 3, n. 47894 del 23/03/2017,modica, Rv. 271160 - 01).
Inoltre ai sensi dell'art. 185 cod.pen., di cui gli artt. 74 e 75 cod.proc.pen. costituiscono articolazione-trasposizione sul piano processuale, l'azione civile da danno che può essere fatta valere nel processo penale è soltanto quella direttamente e strettamente collegata al fatto-reato, che abbia cagionato danno patrimoniale o non patrimoniale, di cui viene chiesto il risarcimento.
Non può assumere la veste di responsabile civile nel processo penale il soggetto giuridico che abbia un titolo diretto di responsabilità per i danni lamentati dalla parte civile su base contrattuale o extracontrattuale, né quello che abbia un titolo indiretto non correlato alla posizione della persona fisica tratta a giudizio quale imputato (Sez. 1 - n. 25158 del 03/02/2022, A, Rv. 283477 - 03).
La Corte di appello in realtà -deceduto l'Q.Q. - Presidente dell'IACP all'epoca dei fatti, configura il permanere della responsabilità civile dello IACP oggi ATER attraverso un percorso argomentativo giuridico non illogico ma coerente con il quadro probatorio: valorizza infatti la stretta interconnessione funzionale accertata tra le attività illecite, poste in essere dai ricorrenti imputati e ampiamente descritte nei paragrafi precedenti, risultanti dall'esame dell' iter amministrativo da fol 37 a fol 81 della sentenza di primo grado e le condotte dei vari rappresentanti dello IACP, succedutisi nel tempo, da ultimo Q.Q. imputato deceduto, idonea a creare il presupposto di immedesimazione di fatto e di concreta ingerenza dello IACP, proprietario delle palazzine, nell'operato del direttore tecnico della società appaltatrice So.ge.ap. e del funzionario addetto al controllo del rischio antisismico presso il Genio civile di Rieti (cfr. in motivazione Sez. 4, n. 38704 del 27/05/2011,Proietti, Rv. 251098 - 01), il tutto finalizzato all'ottenimento del certificato di abitabilità cui era interessato proprio l'IACP, oggi ATER della Provincia di Rieti. Tale stretta interconnessione e ingerenza in fatto, ritenuta dalla Corte territoriale, risulta dalla analitica e serrata ricostruzione del Giudice di primo grado che qui di seguito si riporta: "..dopo il sollecito al deposito ex l. 1086/71 fatto dallo IACP il 9/05/1973 con missiva depositata al Genio civile, il giorno seguente veniva depositato dallo stesso ing. A.A. (che ha riconosciuto tale circostanza) ai sensi dell'art. 71 1.1086/71 (normazione sui cementi armati) il suo progetto, e ciò il 7/9/77, deposito 'recepito' il 15/9/1977 con il n. 238. Tale situazione è stata alla base del passaggio amministrativo successivo, intervenuto tra il 1984 e N1985. Nel momento in cui doveva essere ottenuto il certificato di abitabilità ci si poneva la questione della conformità a fini sismici, conformità quest'ultima anch'essa propedeutica al rilascio di detto certificato. La missiva di richiesta del Presidente IACP del 23/5/79 era rimasta lettera morta, perché 'annullata ' e mai recapitata. Proprio per non richiamare l'attenzione su una realizzazione di un secondo progetto diverso da quello già depositato a fini sismici a distanza di tempo 'comparivano' (o 'ricomparivano') datati al 12/7/84 gli elaborati A.A.,
accompagnati dalla lettera di pari data con la quale il Direttore dei lavori S.S. dichiarava di avere disposto una variante al progetto delle strutture in c.a. già depositato ai sensi della Legge 64 al Genio civile di Rieti con il n. 12455, argomentando che la variante si era resa necessaria per soddisfare una richiesta dell'impresa costruttrice SO.GE.AP. ed anche per tenere conto della reale situazione del terreno emersa dopo lo sbancamento generale".
Dunque, interveniva una richiesta di variante, a sei anni dalla conclusione dell'opera, richiesta che veniva ricevuta dallo IACP, il cui Presidente Q.Q. inviava una missiva (datata 3/5/84) alla Regione-Assessorato ai Lavori Pubblici, che il 6/2/85 autorizzava l'inizio dei lavori ai sensi dell'art. 18 l. 64/74, il 25/3/85 lo IACP depositava la richiesta al Genio civile del certificato di conformità alle norme per l'edilizia antisismica, che veniva rilasciato l'11/07/85 dal coordinatore di settore ing. U.U. dopo il verbale di accertamento redatto dal geom. B.B. tra il 2/4/85 (in minuta) e l'11/7/85 (in dattiloscritto), controfirmato dal dirigente V.V., cui seguivano dopo varie interlocuzioni il verbale di visita e il certificato di collaudo c.d. "tecnico-amministrativo" del 30/4/86 e il certificato di abitabilità da parte del Comune (9/10/89). Le esigenze rappresentate apparivano "strumentali, in quanto il disegno globale dell'edificio non era sostanzialmente cambiato, come non era cambiato il tipo di fondazione superficiale, né la profondità del piano fondale; SO.GE.AP. nel frattempo era fallita e gli appartamenti erano tutti abitati da almeno sei anni: la società costruttrice non aveva dunque nessuna possibilità né interesse ad intervenire".
5. Posizione Regione Lazio quale responsabile civile.
5.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge e carenza di motivazione in relazione alla omessa valutazione delle argomentazioni difensive nel giudizio di appello riguardanti la legittimazione passiva della regione Lazio, con riferimento all'imputato A.A. non dipendente della Regione Lazio a differenza di B.B. e richiama la normativa per cui la IACP di Rieti fino alla trasformazione in ATER ad opera della LR Lazio n.30/2002 era Ente dotato di personalità giuridica, autonomia patrimoniale imprenditoriale e contabile non soggetta a nessun controllo o vigilanza da parte della Regione Lazio. Vanno richiamate sul punto le argomentazioni a fol 477 della sentenza di primo grado e a fol 63 della sentenza impugnata in cui, dopo un excursus normativo che illustra il graduale subentro delle Regioni nell'attività degli interventi di edilizia residenziale e abitativa pubblica e di edilizia convenzionata agevolata e sociale, con doveri di controllo di cui all'art. 5 DPR 30/1/1972 n 1036, si valorizzano come elementi per radicare la responsabilità della Regione il richiamo ai verbali di accertamento B.B., il cui ruolo di dipendente e funzionario dell'ente non è messo in dubbio e che fu incaricato proprio di fare il controllo per il Genio Civile nel 1985 per accertare la conformità alla normativa antisismica.
Diversa è la posizione che attiene all'imputato A.A. in cui nella sentenza impugnata si viene a configurare in realtà una responsabilità per fatto proprio, evocando a carico dell'Ente medesimo culpa in eligendo ed in vigilando perlomeno a partire dal 1977 (fol 64). Tale inquadramento si pone però in radicale contrasto con l'art. 185 cod.pen. e con l'art. 83 cod.proc.pen., che delineano la figura del responsabile civile. Come correttamente posto in luce dal ricorrente, la legittimazione passiva del responsabile civile in tanto sussiste in quanto nel processo penale sia imputato un soggetto, del cui operato lo stesso debba rispondere in base alla legge civile. Nel caso in esame, come si è dimostrato con le considerazioni in precedenza svolte, non sussiste alcun rapporto di dipendenza o di immedesimazione organica nemmeno di fatto tra la Regione Lazio e A.A., direttore tecnico della società appaltatrice; deve escludersi perciò una responsabilità ex art. 2049 c.c. azionabile in sede penale con la chiamata in causa del responsabile civile. Nel caso in cui si volesse ravvisare una responsabilità di tipo aquiliana ex art. 2043 c.c. essa dovrebbe essere valutata in sede civile e non in questa sede.
Siffatto principio, pacifico e condiviso da questa Corte, si rinviene in numerose pronunce, anche riguardo a situazioni in qualche modo assimilabile a quella in esame (Sez. 6, n. 41520 del 27/09/2012,Zaccagnini, Rv. 253809 -01; Sez. 4, 1/2-19/3/2012 n. 10701,Comune di Traona, Rv. 252674; Sez. 4 n. 38704, del 25/5/2011,Proietti, Rv.251098).
La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata senza rinvio limitatamente alla condanna al risarcimento del danno nei confronti della Regione Lazio quale responsabile civile in relazione alle statuizioni civili riferite alle condotte illecite ascritte a A.A.
5.2. Infondato il secondo motivo con cui si deduce carenza assoluta di motivazione risultante dal testo del provvedimento in punto di mancata ripartizione delle percentuali di responsabilità; la sentenza impugnata sul punto ha ben argomentato che l'effetto deriva dalla perequazione passiva e che la diversa ripartizione verrà effettuata dal giudice civile in sede di eventuale rivalsa.
Va ribadito il principio (cfr. Sez. 4, n. 16998 del 24/01/2006, Pisanu, Rv. 233832 - 01;Sez. 3, n. 16310 del 25/02/2009,mattiolo, Rv. 243392 - 01), secondo cui il giudice penale, nell'ipotesi di condanna generica, deve pronunciarsi solo sull'"an debeatur", e non anche sul "quantum", non essendo conseguentemente tenuto a stabilire la percentuale della colpa o della concorrente condizione posta in essere dall'autore del fatto. Si è affermato infatti che "A norma dell'art. 2055 cod.civ. se il fatto dannoso è imputabile a più persone tutte sono responsabili in solido al risarcimento del danno; colui che ha risarcito il danno ha azione di regresso nei confronti degli altri autori dell'illecito nella misura determinata dalla gravita della rispettiva colpa e dall'entità delle conseguenze che ne sono derivate. Nel dubbio le singole colpe si presumono uguali. Affinché più persone possano essere chiamate a rispondere in solido di un fatto illecito, secondo la regola anzidetta, non è neppure necessario che tutte abbiano agito con il medesimo atteggiamento soggettivo (dolo o colpa) essendo sufficiente che anche condotte indipendenti abbiano causato il medesimo fatto dannoso. Dal principio di solidarietà dianzi evidenziato discende che il problema della determinazione delle colpe si porrà solo allorché nei rapporti interni tra i vari responsabili dell'illecito, si dovrà ripartire il danno. L'impossibilità di determinare la percentuale di ciascuna colpa non impedisce in sede civile e tanto meno in sede penale, allorché viene pronunciata condanna generica, l'affermazione di responsabilità perché nel dubbio le varie colpe si presumono uguali. Invero il danneggiato da un fatto illecito imputabile a più persone, per il principio di solidarietà al quale prima si è fatto riferimento, può pretendere l'intero risarcimento anche da una sola delle persone obbligate, mentre la diversità gravita delle rispettive colpe e l'eventuale diseguale efficienza causale può avere rilevanza solo ai fini della ripartizione in tema dell'obbligazione passiva di risarcimento tra i vari responsabili (cfr. tra le altre Sez. 3, n. 19492 del 21/09/2007, Zaccagnini, Rv. 598978 - 01).
5.3. Il terzo motivo, attinente al mancato svolgimento della perizia tecnica in materia sismologica e scienza delle costruzioni richiesta dalle difese degli imputati e dei responsabili civili, è infondato. Il Collegio richiama il principio già affermato da questa Corte secondo cui il rigetto della relativa richiesta di perizia, se logicamente e congruamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità, trattandosi di un giudizio di fatto.
La mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art.606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l'articolo il richiamo all'art. 495, comma 2, cod.proc.pen., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività (Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, A, Rv. 270936 - 01).
Inoltre, nel caso di specie, come argomentato dal Giudice di primo grado a foll. 91 -93, l'Ing Z.Z. non è intervenuto come consulente tecnico del PM ma come ausiliario di PG, nominato il 26.09.2016, in quanto appartenente al Servizio monitoraggio sismico del territorio Dipartimento della protezione civile. Le osservazioni dallo stesso effettuate- poi oggetto di esame in dibattimento- sono state svolte in quanto appartenente al Servizio che gestisce due reti accelerometriche: la Ran costituita da 600 postazioni e l'Osservatorio sismico delle strutture con 150 postazioni provvista di accelerometri posizionati in punti significativi di strutture pubbliche. Nel caso di specie, nella giornata dell'evento sismico, fu monitorato specificatamente l'Istituto scolastico Capranica, dove era installato uno dei sistemi; Z.Z. si recò il giorno stesso presso l'istituto e recuperò i dati con la collaborazione dei vigili del fuoco e dei carabinieri, all'esito delle verifiche il confronto tra la registrazione OSS dell'Istituto Capranica, posto a breve distanza dalla piazza S. e la Ran situata a valle ha consentito mediante procedure tecniche specifiche, illustrate fol 93, di individuare i valori necessari poi utilizzati dal CT del PM Ing. A.A.A.
Il Giudice di primo grado a fol 101, dopo aver ripercorso le argomentazioni tecniche di tutti i CT, ha affermato, oltre alla circostanza che trattasi di zona storicamente interessata dal fenomeni sismici rilevanti, al momento del fatto classificata di seconda categoria, che la scossa aveva magnitudo 6,0 e una durata complessiva di 15 secondi all'interno della quale la fase più distruttiva poteva considerarsi avvenuta tra i cinque e i sei secondi con prevalenza di opinioni dei CT (Y.Y. e A.A.A. per un valore di 3), che tali scosse determinavano uno spostamento del terreno di 3,3 centimetri nella direzione est ovest e di 8,5 in nord sud; che nessuno dei ct ha posto in dubbio l'attendibilità delle due reti nazionali Ran a valle e OSS posizione scuola Capranica (fol 10).
5.4. I motivi quarto e quinto sono manifestamente infondati, oltre che generici e in fatto. A tal fine si rinvia alle argomentazioni già svolte con riferimento alla posizione B.B. al paragrafo 2.
6. In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alle statuizioni civili riferite a A.A. riguardanti il responsabile civile Regione Lazio il cui ricorso deve essere rigettato nel resto.
Il ricorso di A.A. deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000,00 a favore della Cassa delle Ammende.
Devono essere rigettati i ricorsi di B.B. di A.T.E.R. della Provincia di Rieti e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.
I ricorrenti A.A., B.B., A.T.E.R. della provincia di Rieti e Regione Lazio sono condannati in solido alla refusione delle spese di costituzione sostenute in questo giudizio di legittimità dalle parti civili liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
ANNULLA SENZA RINVIO LA SENTENZA IMPUGNATA NEI CONFRONTI DEL RESPONSABILE CIVILE REGIONE LAZIO LIMITATAMENTE ALLE STATUIZIONI CIVILI RIFERITE ALLE CONDOTTE ILLECITE ASCRITTE A A.A. RIGETTA NEL RESTO IL RICORSO DELLA REGIONE LAZIO. DICHIARA INAMMISSIBILE IL RICORSO DI A.A. CHE CONDANNA AL PAGAMENTO DELLE SPESE PROCESSUALI E DELLA SOMMA DI EURO TREMILA IN FAVORE DELLA CASSA DELLE AMMENDE. RIGETTA I RICORSI DI B.B. E DI A.T.E.R. DELLA PROVINCIA DI RIETI, CHE CONDANNA AL PAGAMENTO DELLE SPESE PROCESSUALI. CONDANNA IN SOLIDO A.A., B.B., A.T.E.R. DELLA PROVINCIA DI RIETI E LA REGIONE LAZIO ALLA REFUSIONE DELLE SPESE SOSTENUTE IN QUESTO GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ DALLE PARTI CIVILI, COSÌ LIQUIDATE: EURO 36.092,40, OLTRE ACCESSORI DI LEGGE, IN FAVORE E.E., F.F., G.G., più altri omessi, TUTTI RAPPRESENTATI DALL'AVV. WANIA DELLA VIGNA; EURO 3.000,00, OLTRE ACCESSORI DI LEGGE, IN FAVORE DI J.J., RAPPRESENTATO DALL'AVV. GUIDO FELICE DE LUCA; EURO 5.700,00, OLTRE ACCESSORI DI LEGGE, IN FAVORE DI K.K., L.L., più altri omessi, TUTTI DIFESI DAL'Avv.. GRAZIELLA COLAIACONO; EURO 3.000,00, OLTRE ACCESSORI DI LEGGE, IN FAVORE DI M.M., RAPPRESENTATA DAL'Avv.. MARIO GIANCASPRO; EURO 3.900,00, OLTRE ACCESSORI DI LEGGE, IN FAVORE DI C.C. E D.D., RAPPRESENTATI DALL'AVV. IDA BLASI; EURO 3.000,00, OLTRE ACCESSORI DI LEGGE, IN FAVORE DI N.N., RAPPRESENTATO DALL'AVV. EMANUELA CAMERINI; EURO 6.600,00, OLTRE ACCESSORI DI LEGGE, IN FAVORE DI I.I., H.H., più altri omessi, RAPPRESENTATI DALL'AVV. CECILIA ROCCA.
Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2024.
Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2024.