Cassazione Penale, Sez. 4, 03 luglio 2024, n. 25906 - Gamba del lavoratore schiacciata da un sollevatore Merlo. Rischi interferenziali e segregazione delle aree di cantiere



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta da:

Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente

Dott. VIGNALE Lucia - Relatore

Dott. BRANDA Francesco Luigi - Consigliere

Dott. MARI Attilio - Consigliere

Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



sui ricorsi proposti da:

A.A. nato a B il (Omissis)

B.B. nato a B il (Omissis)

avverso la sentenza del 26/10/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal Consigliere LUCIA VIGNALE;

udite le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore SILVIA SALVADORI, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;

uditi i difensori presenti:

in difesa di A.A., avvocato PIERO MAGRI, del foro di MILANO, che ha illustrato i motivi di ricorso e ne ha chiesto l'accoglimento;

in difesa di B.B., avvocato DAVID ERMINI, del foro di FIRENZE, sostituto processuale ex art. 102 cod. proc. pen. dell'avvocato FRANCESCO MARESCA del foro di Firenze, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.

 

Fatto



1. Con sentenza del 26 ottobre 2023, la Corte di appello di Firenze ha riformato, quanto al trattamento sanzionatorio, la sentenza pronunciata il 21 marzo 2022 dal Tribunale di Firenze con la quale B.B. e A.A. sono stati ritenuti responsabili del reato di cui agli artt. 590, commi 2 e 3 cod. pen. in danno di C.C., dipendente della Eurometal Srl

2. Il procedimento ha ad oggetto un infortunio sul lavoro verificatosi il 18 luglio 2016 a Sesto Fiorentino, in un magazzino di proprietà della "Esselunga Spa" ove erano in corso lavori di ristrutturazione che vedevano coinvolte più imprese. Secondo la ricostruzione fornita dai giudici di merito, i lavori erano stati affidati in appalto alla "SA-FER Spa" che aveva subappaltato la fornitura e il montaggio della carpenteria metallica alla "Eurometal Srl". Il Piano di sicurezza e coordinamento (PSC) predisposto dal coordinatore per la sicurezza nella fase della progettazione prevedeva che le aree di lavoro delle diverse imprese dovessero essere separate in modo da evitare interferenze tra le lavorazioni. Il giorno dell'infortunio i dipendenti della Eurometal dovevano trasportare all'interno del magazzino alcune longarine metalliche lunghe 10 metri che sarebbero state impiegate per realizzare un soppalco. Le longarine dovevano essere collocate nella zona sud del capannone, destinata alla Eurometal, ed erano portate all'interno della struttura attraverso una porta presente sul lato sud. Nella zona nord, invece, lavorava la SA-FER i cui dipendenti utilizzavano una porta situata sulla parete nord. Le aree operative assegnate alle due ditte erano delimitate da un nastro bianco e rosso. Il trasporto delle longarine all'interno del capannone avveniva con carrelli elevatori che prelevavano e trasportavano una longarina alla volta. C.C., dipendente della Eurometal Srl, insieme a un collega, collaborava da terra accompagnando i carrelli nel percorso e dando indicazioni ai colleghi. Mentre svolgeva questa attività egli fu urtato da un sollevatore a forche, condotto da D.D., dipendente della SA-FER, che, procedendo in retromarcia, aveva invaso l'area di capannone assegnata alla Eurometal. Avendo udito le urla di C.C., D.D. si fermò evitando di travolgerlo, ma la gamba sinistra del lavoratore rimase schiacciata tra la ruota del sollevatore a forche e la longarina accanto alla quale egli si trovava. C.C. riportò lesioni dalle quali derivò una malattia durata più di quaranta giorni.

B.B. e A.A. sono stati chiamati a rispondere dell'infortunio: il primo, nella qualità di Coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva; il secondo, quale datore di lavoro dell'infortunato. I giudici di merito hanno ritenuto che B.B. non abbia provveduto a verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, la corretta attuazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni del PSC, in base al quale, terminato l'allestimento del cantiere, le aree di pertinenza delle singole imprese dovevano essere "segregate", e non semplicemente separate da un nastro. Hanno ritenuto dunque che egli abbia causato l'infortunio per colpa specifica consistita nella violazione dell'art. 92, comma 1, lett. a), D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81. Quanto a A.A., i giudici di merito hanno ritenuto la violazione dell'art. 100 D.Lgs. n. 81/08 perché, quale datore di lavoro ex art. 299 D.Lgs. n. 81/08, presente in cantiere e concretamente ingeritosi nella materia della sicurezza del lavoro, egli non aveva dato attuazione a quanto previsto nel PSC e nel POS e non aveva assicurato la segregazione dell'area del cantiere destinata alle lavorazioni della Eurometal. Secondo i giudici di merito, se le aree di cantiere assegnate alle diverse ditte non fossero state delimitate da un nastro, ma segregate con predisposizione di barriere rigide (come era previsto dal PSC), lo sconfinamento nell'area di competenza della Eurometal da parte del sollevatore condotto da D.D. non sarebbe stato possibile e l'infortunio non si sarebbe verificato.

3. Contro la sentenza della Corte di appello hanno proposto tempestivo e rituale ricorso sia B.B. che A.A.. I ricorsi sono articolati in più motivi che vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari alla decisione come previsto dall'art. 173, comma 1, D.Lgs. 28 luglio 1989 n. 271.

4. Il ricorso proposto nell'interesse di B.B. si articola in due motivi.

4.1. Col primo motivo la difesa lamenta vizi di motivazione. Sostiene, in particolare, che la ricostruzione fornita dai giudici di merito sarebbe frutto di una errata interpretazione delle disposizioni del PSC che non imponeva di installare in ogni caso rigide barriere di separazione tra le aree assegnate ad imprese diverse. In tesi difensiva, tale necessità non esisteva nel caso di specie perché, in ragione delle dimensioni del capannone e della natura delle attività che erano state programmate quel giorno, il rischio interferenziale era modesto e, di conseguenza, era sufficiente segnare il confine tra le aree di cantiere con un nastro bicolore, come in concreto era stato fatto.

Secondo il ricorrente il PSC stabiliva che, in presenza di rischi interferenziali, le aree di cantiere assegnate a ciascuna impresa dovessero essere segregate ed essere abbastanza ampie "da contenere ingombri necessari per eseguire lavori che comportano rischi non compatibili con altre attività", ma, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di merito, non prevedeva modalità di segregazione sempre uguali e consentiva separazioni realizzate con modalità diverse a seconda dell'entità del rischio interferenziale.

La difesa osserva, in particolare:

- che, per alcune attività tra loro incompatibili, il PSC non prevedeva una ripartizione di spazi, ma escludeva la possibilità stessa di eseguire attività contestuali e stabiliva che alcune ditte potessero operare solo se altre avevano sospeso la propria opera o l'avevano terminata;

- che la delimitazione delle aree di competenza delle diverse ditte era prevista solo quando più lavorazioni potevano svolgersi contemporaneamente;

- che la segregazione assoluta con barriere aveva ragion d'essere soltanto per le opere e le lavorazioni che comportavano un "rischio alto", come nel caso in cui vi fosse rischio di caduta di materiali dall'alto;

- che, per lavorazioni non caratterizzate da rischi così elevati, non era esclusa una divisione delle aree di cantiere realizzata tramite segnalazioni idonee ad assicurare la distanza fisica tra le diverse attività;

- che i preposti dovevano svolgere un ruolo di vigilanza e intervenire a sospendere le lavorazioni se riscontravano situazioni di pericolo.

Secondo il ricorrente, nel caso di specie, l'installazione di barriere rigide non era necessaria perché la SA-FER e la Eurometal operavano all'interno di un capannone di grandi dimensioni, a notevole distanza l'una dall'altra, le aree di rispettiva operatività erano state delimitate con un nastro bicolore e tale precauzione era sufficiente. Il rischio concretizzatosi, infatti, fu conseguenza dell'estemporanea decisione di spostare una betoniera (che, comunque, era posta a nove metri di distanza dal confine tra le due aree) e della maldestra esecuzione della manovra retromarcia, realizzata da D.D. in modo tale da invadere l'area dì competenza Eurometal: una condotta che attivò un rischio eccentrico rispetto a quelli che il coordinatore per la sicurezza nella fase esecutiva era chiamato a governare.

4.2. Col secondo motivo, la difesa deduce carenza di motivazione per essere stato attribuito a B.B., quale coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva, un dovere di puntuale controllo delle singole attività lavorative che è invece demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto). Secondo la difesa, tenuto conto delle attività che erano programmate quel giorno (tra le quali non era compreso lo spostamento della betoniera) e dei compiti di "alta vigilanza" che la legge attribuisce al coordinatore per la sicurezza nella fase esecutiva, B.B. non aveva altro obbligo che quello di verificare l'esistenza di una separazione tra l'area di lavoro di SA-FER e quella di Eurometal e dall'istruttoria dibattimentale è emerso che al mattino, quando B.B. si recò in cantiere, la separazione (costituita da un nastro bianco e rosso) era installata.

Inoltre, lo spostamento della betoniera, quale attività che comportava il sollevamento della stessa, era "ad alto rischio", e B.B. avrebbe dovuto essere portato a conoscenza del fatto che tale attività sarebbe stata svolta, ma questo non era avvenuto. In sintesi, secondo la difesa, il rischio concretizzatosi fu determinato da una attività non programmata della quale il coordinatore per la sicurezza nella fase esecutiva non era stato informato e in relazione alla quale egli non poteva intervenire. La difesa si duole che analoghe osservazioni, formulate nei motivi di appello non abbiano trovato risposta nella sentenza impugnata.

5. Il ricorso proposto nell'interesse di A.A. si articola in sei motivi.

5.1. Col primo motivo, la difesa deduce violazioni di legge e vizi di motivazione dolendosi che i giudici di merito non abbiano considerato quale causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento ai sensi dell'art. 41, comma 2, cod. pen. la condotta di D.D..

Il difensore osserva: che D.D. si avvicinò all'area Eurometal, alla guida di un sollevatore, per spostare una betoniera; che quella attività non era programmata e D.D. non era stato incaricato di svolgerla dal preposto della SA-FER (società per la quale egli lavorava); che le lavorazioni SA-FER programmate per il giorno dell'infortunio non prevedevano che ci si dovesse avvicinare all'area di lavoro Eurometal, sicché la delimitazione tra le aree di cantiere realizzata con un nastro bianco e rosso era più che sufficiente allo scopo.

In sintesi, la difesa sostiene che in relazione alle lavorazioni programmate per quel giorno, non v'era alcun rischio di interferenza tra SA-FER ed Eurometal sicché il datore di lavoro non doveva intervenire per prevenirlo e ricorda che, proprio quel giorno, nell'area di cantiere assegnata alla Eurometal era dovuta intervenire una squadra di elettricisti e il coordinatore per la sicurezza, dopo esserne stato informato, aveva stabilito che le lavorazioni Eurometal dovessero essere sospese fino a che gli elettricisti non avessero terminato la propria opera. Ciò che puntualmente era avvenuto.

5.2. Col secondo motivo, la difesa deduce vizi di motivazione per essere stata ritenuta contraria a norme cautelari la mancata installazione di barriere rigide atte a segregare le aree di cantiere assegnate alle due ditte. Il difensore osserva che il cantiere Eurometal era ancora in fase di allestimento perché i dipendenti della società stavano portando all'interno del capannone (nell'area loro assegnata) le traversine di metallo che avrebbero dovuto essere usate per la realizzazione di un soppalco e ricorda che, secondo l'interpretazione del PSC fornita dalla sentenza impugnata (pag. 3), nella fase di allestimento del cantiere le divisioni con nastri erano consentite, mentre nella fase successiva doveva essere realizzata una vera e propria segregazione delle aree assegnate alle diverse ditte. Nel ricorso si sostiene che la sentenza impugnata è contraddittoria perché afferma che A.A., quale datore di lavoro, era tenuto a verificare che il PSC e il POS fossero rispettati e le aree di lavoro fossero segregate con barriere fisse, ma non considera che, per quanto riguarda la Eurometal, la fase dell'allestimento non era ancora terminata.

Il ricorrente sottolinea:

- che l'installazione di barriere fisse, avvenuta dopo l'infortunio, non fu conseguenza dell'infortunio stesso e delle prescrizioni impartite dagli operatori della prevenzione, ma sarebbe avvenuta in ogni caso quando le attività dì movimentazione delle travi fossero state completate;

- che, nel corso di tali attività di movimentazione, la predisposizione di barriere fisse era da evitare perché faceva sorgere il rischio di schiacciamento di parti del corpo dei lavoratori tra le travi e le barriere (era dunque fonte di un pericolo maggiore rispetto a quello che mirava ad evitare).

La difesa si duole che tale argomentazione, sviluppata nei motivi di appello, sia stata fraintesa nella sentenza impugnata che ha ritenuto irrilevante la maggiore difficoltà delle attività di movimentazione delle travi in presenza di barriere rigide osservando che "ragioni di complessità o incrementata difficoltà nello svolgimento delle operazioni recedono rispetto alla prioritaria esigenza di tutelare la sicurezza degli ambienti di lavoro".

5.3. Col terzo motivo, la difesa deduce erronea applicazione dell'art. 100, comma 3, D.Lgs. n. 81/08 per essere stato ascritto a A.A. di non aver attuato quanto prescritto dal PSC.

Il difensore osserva: che, come si evince dalla lettura del PSC, il compito si segregare le aree di cantiere destinate alle diverse ditte al fine di prevenire il rischio interferenziale era affidato al preposto dell'impresa affidataria e, quindi, della SA-FER; che la SA-FER aveva curato l'apposizione del nastro bicolore e fu la SA-FER, dopo l'infortunio, a collocare le transenne rigide; che pertanto il PSC non prevedeva a carico della Eurometal l'obbligo di curare la segregazione dell'area e, in ogni caso, il Coordinatore non aveva formulato alcun rilievo in ordine alle modalità di separazione realizzate da SA-FER sicché A.A. non aveva ragione di attivarsi.

5.4. Col quarto motivo, la difesa deduce violazione dell'art. 43 cod. pen. per essere stato valutato prevedibile ed evitabile il comportamento tenuto da D.D., a causa del quale - come già argomentato - sorse il rischio interferenziale concretizzatosi in occasione dell'infortunio.

Il difensore osserva che la mancanza di barriere fisse, quand'anche ascrivibile a A.A., non avrebbe comunque determinato l'evento se D.D. non avesse proceduto in retromarcia fino ad invadere, senza necessità, l'area di cantiere riservata alla Eurometal e ciò avvenne perché questa manovra non fu eseguita con la doverosa cautela: D.D. non si accertò che alle spalle del veicolo da lui condotto non vi fosse nessuno e neppure risulta aver azionato i segnali sonori e luminosi che avvertono del movimento di un carrello elevatore. Secondo la difesa, A.A. non poteva prevedere un così imprudente comportamento e non aveva l'obbligo giuridico di evitarlo essendo D.D. dipendente della SA-FER.

5.5. Col quinto e sesto motivo la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione per essere stata attribuita a A.A. la qualifica di datore di lavoro.

Il difensore del ricorrente riferisce che - come documentato nel corso del giudizio - con delibera in data 11 novembre 2:014 il Consiglio di amministrazione della Eurometal Srl aveva attribuito il ruolo di datore di lavoro ai sensi del D.Lgs. n. 81/08 a E.E. cui era stata affidata la gestione della sicurezza dei luoghi di lavoro. Secondo la difesa, i giudici di merito hanno attribuito a A.A. -che era il presidente del CdA e il legale rappresentante della società - funzioni di datore di lavoro di fatto ai sensi dell'art. 299 D.Lgs. n. 81/08 sulla base di un vero e proprio travisamento delle deposizioni dei testi F.F., G.G. e H.H. i quali hanno dichiarato di essersi rapportati con A.A. - e ciò non stupisce atteso che egli era presente in cantiere per gestire i rapporti commerciali con i clienti -ma non hanno detto di essersi rapportati con lui per questioni relative alla materia della sicurezza sul lavoro. Sarebbe illogico, inoltre, aver attribuito decisiva rilevanza al fatto che A.A. sottoscrisse il PSC, atteso che, con tale sottoscrizione, egli si impegnò soltanto a trasmettere il documento al datore di lavoro, senza sostituirsi ad esso nella valutazione dei rischi e nella individuaz one delle modalità di svolgimento dei lavori. Il POS, infatti, non fu predisposto da A.A., ma da E.E.. Fu E.E. a nominare il preposto in cantiere nella persona di I.I. e questi era presente alle riunioni di coordinamento. Era I.I., inoltre, a rapportarsi stabilmente col preposto SA-FER e col coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva.

6. Con memoria del 13 maggio 2025, il difensore di A.A. ha chiesto a questa Corte di pronunciare sentenza ex art. 129 cod. proc. pen. per essere il reato estinto per prescrizione. Secondo il difensore, pur tenendo conto della sospensione del termine prescrizionale, prevista dall'art. 83, comma 4, d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27) per il periodo 9 marzo - 11 maggio 2020, questo termine sarebbe maturato alla data del 3 maggio 2024 perché "l'unico rinvio che potrebbe essere considerato (...) quale causa di sospensione della prescrizione" è quello concesso all'udienza del 15 marzo fino all'udienza successiva, tenutasi il 26 aprile 2021.

 

Diritto


1. Nessuno dei motivi di ricorso merita accoglimento.

2. Si deve preliminarmente osservare che, a differenza di quanto sostenuto dal difensore di A.A., ad oggi il reato oggetto di imputazione non è estinto per prescrizione. I fatti per cui si procede furono commessi il 18 luglio 2016 e il reato di cui all'art. 590, commi 2 e 3, cod. pen. si prescrive quando sono decorsi sette anni e sei mesi dal fatto. A questo termine, che sarebbe scaduto il 18 gennaio 2024, si devono aggiungere i giorni nei quali il corso della prescrizione è rimasto sospeso. Tale sospensione non si è verificata solo ai sensi dell'83, comma 4, d.l. n. 18/2020 perché l'udienza del 4 maggio 2020 fu rinviata in ragione dell'emergenza pandemica, ma anche dal 26 aprile 2021 al 20 settembre 2021. Come risulta dalla lettura del verbale dell'udienza del 26 aprile 2021, infatti, in quella data il difensore di A.A. chiese un rinvio adducendo un impedimento per essere stato in contatto con soggetto risultato positivo al Covid e aver ritenuto perciò necessario mettersi "in isolamento volontario". Il Tribunale constatò che l'impedimento dedotto non era documentato, ma ritenne di concedere ugualmente il rinvio richiesto in ragione della "situazione sanitaria generale del paese". La successiva udienza fu fissata al 20 settembre 2021.

Costituisce ius receptum il principio secondo il quale "Qualora il giudice, su richiesta del difensore, accordi un rinvio della udienza, pur in mancanza delle condizioni che integrano un legittimo impedimento (...), il corso della prescrizione è sospeso per tutta la durata del differimento, discrezionalmente determinato dal giudice avuto riguardo alle esigenze organizzative dell'ufficio giudiziario" (Sez. U, n. 4909 del 18/12/2014, dep. 2015, Torchio, Rv. 262914; Sez. 3, n. 19687 del 21/03/2018, Tudisca, Rv. 273057). In questo caso non trovano applicazione i limiti di durata della sospensione previsti dall'art. 159, comma 1, n. 3 cod. pen. e il termine di prescrizione resta sospeso fino all'udienza successiva.

Applicando questi principi al caso che ci occupa il termine di prescrizione è rimasto sospeso, oltre che ai sensi dell'art. 83 d.l. n. 18/2020, per 147 giorni dal 26 aprile al 20 settembre 2021 e non è ancora decorso.

3. Entrando nel merito dei motivi di ricorso occorre preliminarmente chiarire che, come concordemente riferito dai giudici di merito, il PSC prevedeva in più punti che le diverse aree di lavoro delle imprese coinvolte nella ristrutturazione del capannone dovessero essere segregate e segnalate.

Con specifico riguardo all'allestimento del cantiere, il PSC prevedeva quanto segue: "il preposto dispone le attrezzature nelle zone assegnate a ciascuna impresa esecutrice, con l'accortezza di segnalare le aree per tenere lontani gli estranei, anche solo col nastro bicolore durante la predisposizione delle segregazioni e indicazioni, necessaria per ogni singola zona operativa" (la trascrizione del contenuto del documento è tratta dalla sentenza di primo grado - pag. 9).

La sentenza impugnata riferisce (pag. 5 e pag. 6) che, oltre a prevedere la segregazione delle aree assegnate a ciascuna impresa quale adempimento necessario nella fase di allestimento del cantiere, nella parte generale, relativa alla valutazione dei rischi interferenziali, il PSC prevedeva:

- delimitazioni - indicate come "segregazioni" - di aree "tanto ampie da contenere ingombri necessari per eseguire lavori che comportassero rischi non compatibili con altre attività";

- la segregazione tra la zona in cui sarebbe proseguito lo svolgimento dell'attività del supermercato e le zone di ristrutturazione edilizia, con individuazione, in queste ultime zone, di specifici settori operativi di intervento "segregati e indipendenti tra loro".

La sentenza impugnata (pag. 6) chiarisce che, come specificato nel capitolo del PSC dedicato alle modalità organizzative, prima di iniziare i lavori, il coordinatore per la sicurezza nella fase esecutiva avrebbe dovuto indicare "le modalità di segregazione degli spazi assegnati all'interno delle aree del cantiere" e le "incompatibilità tra lavorazioni". Per poter rilevare tali incompatibilità, inoltre, sulla base del PSC, il coordinatore doveva essere portato a conoscenza "degli interventi di manutenzione straordinaria, degli avvicendamenti ingresso e termine delle lavorazioni, dell'inizio delle lavorazioni, soprattutto quelle identificate come ad alto rischio", così da poter "verificare periodicamente il rispetto delle prescrizioni e compatibilità della relativa parte di PSC".

Dal tenore di tali disposizioni i giudici di merito hanno desunto che l'impresa affidataria doveva provvedere a delimitare l'area destinata alla prosecuzione dell'attività del supermercato rispetto a quella nella quale si sarebbero svolti i lavori di ristrutturazione e, all'interno di quest'ultima area, doveva delimitare le zone assegnate a ciascuna impresa esecutrice. La delimitazione poteva avvenire anche "con un nastro bicolore", ma solo "durante la predisposizione delle segregazioni e indicazioni" che era comunque "necessaria per ogni singola zona operativa". Muovendo da queste premesse le sentenze di primo e secondo grado hanno ritenuto che, terminata la fase dell'allestimento, non fosse più possibile delimitare le aree di cantiere facendo uso di un semplice nastro, tanto più che, secondo il PSC, queste aree non dovevano essere semplicemente delimitate, ma "segregate".

La lettura del PSC fornita dai giudici di merito non è smentita - come vorrebbe il ricorrente B.B. - dal fatto che, a pag. 21, quel documento assegnava al coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva il compito di indicare, prima dell'inizio dei lavori, "le modalità di segregazione degli spazi assegnati all'interno delle aree del cantiere". Il documento, infatti, parla, ancora una volta, di una "segregazione", non di una mera delimitazione, e consente al coordinatore in fase esecutiva - comunque tenuto ad assicurare la segregazione delle aree - di adottare modalità di segregazione diverse a seconda del tipo di rischio che, in concreto, doveva essere gestito.

3.1. Le premesse interpretative cui i giudici di merito hanno fatto riferimento nel valutare se le prescrizioni del PSC fossero state rispettate, non possono dirsi incomplete, sono coerenti col testo del documento, non appaiono illogiche e non sono state efficacemente smentite nei motivi di ricorso.

Quanto al ricorso proposto nell'interesse di B.B.St., basta osservare che non contrasta con la lettura del PSC fornita dai giudici di merito né la possibile esistenza di lavorazioni che dovevano essere svolte in tempi diversi, né la possibilità di prevedere forme di segregazione differenti in ragione del maggiore o minor grado del rischio interferenziale. Come è evidente, infatti, la segregazione delle aree non poteva essere sufficiente se il rischio interferenziale era tale da impedire il contestuale svolgimento di lavorazioni diverse; ma, quando era possibile svolgere lavorazioni diverse in aree confinanti, la necessaria "segregazione" poteva avere caratteristiche differenti e prevedere barriere di diverso tipo a seconda dell'entità del rischio concreto. Una divisione tra aree confinanti realizzata con nastro bicolore, però, non è certamente una "segregazione" e non si può ignorare che, quando l'infortunio si verificò, le lavorazioni in corso prevedevano, tra l'altro, anche la movimentazione di carichi, sicché, in concreto, il rischio interferenziale non era modesto.

Per quanto riguarda il ricorso proposto nell'interesse di A.A., si deve sottolineare: che la segregazione delle aree doveva essere compiuta in modo da garantire l'esecuzione dei lavori in sicurezza e l'ampiezza dell'area destinata ad ogni impresa doveva essere funzionale alla lavorazione in corso (l'area, infatti, doveva essere abbastanza ampia "da contenere ingombri necessari per eseguire lavori che comportassero rischi non compatibili con altre attività"); che nella fase di allestimento del cantiere l'impresa affidatala poteva delimitare le aree con nastro bicolore, ma - per espressa previsione del PSC - prima che i lavori avessero inizio, la segregazione doveva essere eseguita (e concordata col CSE).

A ciò deve aggiungersi che il PSC attribuiva alla SA-FER il compito di segregare le aree affidate alle diverse ditte, ma non per questo i datori di lavoro delle imprese esecutrici potevano disinteressarsi di tale adempimento. Come risulta dalla sentenza impugnata (pag. 3), infatti, il POS della Eurometal (che doveva essere coerente con le previsioni del PSC) prevedeva la segregazione delle aree di lavoro. Peraltro, ai sensi dell'art. 95 D.Lgs. n. 81/08, i datori di lavoro delle imprese esecutrici hanno l'obbligo di curare, ciascuno per la parte di competenza: "la scelta dell'ubicazione di posti di lavoro, tenendo conto delle condizioni di accesso a tali posti, definendo vie e zone di spostamento o di circolazione"; le "condizioni di movimentazione dei vari materiali"; "le interazioni con le attività che avvengono sul luogo, all'interno o in prossimità del cantiere".

3.2. Compiendo una scelta particolarmente rigorosa, il PSC aveva stabilito che la delimitazione delle aree con nastro bicolore fosse possibile solo nella fase di allestimento del cantiere. Una volta iniziate e lavorazioni, le aree assegnate a imprese diverse dovevano essere "segregate" e l'uso di tale espressione rende evidente che quando - come nel caso di specie - si trattava di aree confinanti, non era sufficiente segnalare il confine, ma era necessario rendere quelle aree reciprocamente inaccessibili. Questa scelta, trasfusa in precise disposizioni del PSC, era vincolante sia per il coordinatore per la sicurezza nella fase esecutiva che per i datori di lavoro delle imprese impegnate in cantiere, i quali dovevano adattare i rispettivi POS alle previsioni del PSC.

B.B. e A.A., infatti, sono stati chiamati a rispondere dell'infortunio per non aver osservato rispettivamente l'art. 92, comma 1, lett. a) e l'art. 100, comma 3, D.Lgs. n. 81/08: B.B., per non aver verificato l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici, delle disposizioni contenute nel PSC; A.A., per non aver attuato quanto previsto nel PSC e nel POS.

4. Fatte queste premesse, che sono indispensabili per comprendere il ragionamento logico - giuridico svolto dai giudici di merito e valutare in questa prospettiva i motivi di ricorso, è doveroso riferire su alcune circostanze di fatto non controverse delle quali si deve tenere conto ai fini della decisione.

Come risulta dalla sentenza di primo grado (pag. 4), cui la sentenza di appello fa integrale rinvio per questa parte, il contratto di appalto tra Esselunga Spa e SA-FER Spa fu stipulato in data 8 febbraio 2016 e la consegna dell'area di cantiere alla SA-FER intervenne il 10 febbraio 2016. Il cantiere era molto vasto (più di 10.999 mq.) e all'interno erano stati individuati settori di competenza delle varie ditte presenti. L'incidente si verificò il 18 luglio 2016 (cinque mesi dopo la consegna del cantiere), all'interno dell'area sud di un capannone in corso di ristrutturazione (area dotata di un accesso autonomo e destinata alle lavorazioni Eurometal), mentre i dipendenti di questa ditta stavano trasportando all'interno del capannone travi metalliche destinate a costituire la struttura di un soppalco. Nell'area nord del capannone (dotata anch'essa di un proprio accesso autonomo) operava la SA-FER. Le due aree non erano segregate, ma divise da un nastro bicolore. Tra la zona nella quale i lavoratori SA-FER stavano operando e quella in cui operavano i lavoratori Eurometal vi erano circa 80 metri (pag. 1 della sentenza impugnata). Nell'area di competenza SA-FER, a circa nove metri dal confine con l'area di competenza Eurometal, vi era un cumulo di inerti e, accanto ad esso, una betoniera che D.D. si recò a prelevare, su indicazione del fratello J.J., utilizzando un sollevatore marca Merlo, munito di forche. Dopo aver prelevato la betoniera stringendola tra le forche, D.D. arretrò e superò il confine tra le due aree, urtando C.C. che stava seguendo il posizionamento di una trave metallica. La gamba dell'infortunato fu schiacciata contro quella trave dalla ruota del sollevatore. Della necessità di spostare la betoniera non era stato avvisato il coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva e neppure la Eurometal era stata avvisata. C.C. indossava cuffie protettive e l'ambiente era molto rumoroso, quindi non poteva sentire il cicalino di retromarcia (il cui funzionamento non è stato accertato). La luce posta sul tetto del sollevatore per segnalarne il funzionamento era stata staccata per non disturbare misurazioni laser che erano in corso. Per eseguire la manovra di retromarcia D.D. non si avvalse di un operatore di supporto.

5. Nel ricorso proposto nell'interesse di B.B.St. la difesa sostiene:

- in primo luogo, che, in ragione della distanza esistente tra le lavorazioni, il rischio interferenziale era modesto e, quindi, non v'era necessità di segregare le due aree, ma era sufficiente definirne il perimetro indicando una linea di confine;

- in secondo luogo, che B.B. avrebbe dovuto essere informato dell'iniziativa di spostare la betoniera perché si trattava del sollevamento di un carico e quindi di un'attività ad "alto rischio";

- infine, che, se avesse ricevuto questa informazione, B.B. avrebbe potuto prevedere misure di tutela ulteriori e non poté farlo perché non sapeva che qualcuno si sarebbe avvicinato al confine tra le due aree.

Si è già detto che, secondo la sentenza impugnata, il PSC prevedeva la segregazione delle aree di lavoro e consentiva la delimitazione delle stesse con nastri bicolori solo nella fase di allestimento del cantiere, una fase ormai ampiamente superata atteso che i lavori erano iniziati.

Tanto premesso, si deve osservare che la "segregazione" delle aree assegnate a imprese diverse era prevista dal PSC quale generale misura di cautela da attuarsi ogniqualvolta si trattava di aree tra loro confinanti, a prescindere dal tipo di lavorazioni che in quelle aree dovevano essere compiute. Le caratteristiche delle lavorazioni, infatti, potevano incidere sull'estensione dell'area e sul tipo di segregazione da predisporre, ma non sulla necessità di procedere alla "segregazione" e non può essere definita tale l'indicazione di una linea di confine realizzata tramite un nastro bicolore.

Come la sentenza impugnata ricorda (pag. 7), lo spostamento di una betoniera non può considerarsi estraneo alle attività che la SA-FER doveva svolgere nell'area del capannone a lei assegnata e, a prescindere dal fatto che quel giorno lo spostamento non fosse annunciato, non si trattava di una attività imprevedibile né di una attività che richiedesse particolare programmazione. La betoniera, infatti, era nella disponibilità della SA-FER (come lo era il sollevatore marca Merlo) ed era collocata in un'area assegnata a questa società, nella quale i dipendenti della stessa potevano considerarsi liberi di agire senza timore di rischi interferenziali. Si osserva in proposito che se - come sostenuto dal ricorrente - il pericolo connesso al sollevamento e trasporto della betoniera era tale da innalzare il livello del rischio interferenziale e da dover essere comunicato al coordinatore, allora il rischio era già alto e la necessità di segregare le aree confinanti era già evidente, perché la Eurometal stava compiendo proprio attività di sollevamento e trasporto di carichi pesanti tramite l'ausilio di muletti: attività non dissimili da quella iniziata da D.D. e certamente più pericolose sotto il profilo del rischio interferenziale, atteso che si trattava di trasportare e accatastare travi metalliche di notevole lunghezza e, in mancanza di segregazioni, uno sconfinamento nell'area di altrui pertinenza era astrattamente possibile.

Con motivazione congrua, non contraddittoria e non illogica i giudici di appello hanno osservato che, per espressa previsione del PSC, tutti gli spazi del cantiere dovevano essere "perfettamente segregati e non accessibili da estranei, frapponendo un sistema di transennature in modo da realizzare dei filtri ai percorsi degli addetti con evidenti segnalazioni di pericolo". Hanno sottolineato, inoltre, che nel PSC era scritto: "la segregazione dell'area comporterà particolare attenzione per gli addetti, i quali dovranno assumersi l'onere di mantenere efficaci tutte le protezioni all'interno della zona loro assegnata". Hanno rilevato infine che, in base alle previsioni del PSC, il coordinatore per l'esecuzione doveva essere informato "degli interventi di manutenzione straordinaria, degli avvicendamenti, ingresso e termine delle lavorazioni, dell'inizio delle lavorazioni, soprattutto quelle identificate ad alto rischio" e che lo spostamento di una betoniera da compiersi all'interno di un'area riservata alle lavorazioni di una sola ditta non può essere ricondotto a nessuna di queste ipotesi. Si è già detto, peraltro, che lo spostamento di materiale con uso di sollevatori a forche era programmato ed era in corso e, se si trattava di attività ad alto rischio (come B.B. sostiene), allora la segregazione delle aree avrebbe dovuto essere stata disposta e, a maggior ragione, la mera indicazione del confine tra le stesse era insufficiente.

6. La giurisprudenza è concorde nel ritenere che al coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione spettino "compiti di "alta vigilanza", consistenti:

a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori;

b) nella verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS" (Sez. 4, n. 45862 del 14/09/2017, Prina, Rv. 271026; Sez. 4, n. 44977 del 12/06/2013,, Lorenzi, Rv. 257167).

Nell'affermare la penale responsabilità di B.B. per non aver vigilato sulla corretta attuazione del PSC e non aver imposto la segregazione delle aree del capannone rispettivamente destinate alla SA-FER e alla Eurometal, i giudici di merito hanno fatto buon governo di questi principi.

A B.B., infatti, non è stato addebitato un mancato intervento sulla decisione di spostare la betoniera (decisione che non poteva né doveva prevedere). Gli è stato addebitato, invece, di non aver adempiuto agli obblighi di alta vigilanza propri del suo ruolo e di non aver controllato la corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento, imponendo loro la segregazione delle aree. Ed invero, come i giudici di merito hanno sottolineato, se la segregazione fosse avvenuta, le barriere poste sul confine avrebbero arrestato la marcia del sollevatore condotto da D.D. e gli avrebbero impedito di invadere l'area di cantiere assegnata alla Eurometal. In altri termini: se le due aree fossero state segregate, come previsto nel piano di sicurezza e coordinamento, e non ci si fosse limitati a segnalarne il confine, l'evento non si sarebbe verificato.

A questo proposito si deve ricordare che, come la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato, il coordinatore per la fase esecutiva opera attraverso procedure e ha un potere - dovere di intervento diretto solo quando constata una situazione di pericolo grave ed imminente (nel qual caso, ai sensi dell'art. 92, comma 1, lett. f), D.Lgs. n. 81/2008, può sospendere le singole lavorazioni); ma tra i suoi compiti vi è quello di identificare "momenti topici delle lavorazioni" e predisporre "attività che assicurino rispetto ad esse l'attuazione dei piani "attraverso la mediazione dei datori esecutori""; perciò "non può esimersi dal prevedere momenti di verifica della effettiva attuazione di quanto esplicato e previsto" (Sez. 4, n. 3288 del 27/09/2016, dep. 2017, Bellotti, Rv. 269046, pag. 9 della motivazione).

7. Devono essere esaminati a questo punto i motivi del ricorso proposto nell'interesse di A.A..

7.1. Per quanto riguarda il secondo motivo - col quale A.A. sostiene che l'apposizione di barriere fisse avrebbe comportato pericoli per la sicurezza dei lavoratori Eurometal, costretti a movimentare lunghe travi di metallo nelle adiacenze di barriere fisse - basta ricordare che le aree di cantiere assegnate a ciascuna impresa non dovevano solo essere segregate per evitare rischi interferenziali, ma anche essere abbastanza ampie da contenere gli ingombri necessari per l'esecuzione dei lavori sicché, ove l'area assegnata alla società non fosse stata sufficiente a operare in sicurezza, sarebbe stato possibile (e doveroso) attivarsi per ottenerne l'ampliamento.

Non ha alcun pregio l'argomento secondo il quale il cantiere Eurometal era in fase di allestimento sicché era possibile procedere ad una mera delimitazione con nastro bicolore. Basta in proposito osservare che, trasportando nel capannone le travi metalliche che avrebbe dovuto installare, la Eurometal aveva dato inizio alle lavorazioni ricevute in appalto. Come risulta dalla sentenza di primo grado, infatti (pag. 6), con riferimento alle lavorazioni Eurometal, il diario di cantiere riporta: alla data dell'11 luglio "inizio montaggio carpenteria soppalco" e alla data del 13 luglio "Eurometal procede con montaggio carpenteria soppalco".

8. Col primo motivo di ricorso la difesa di A.A. sostiene che la condotta di D.D. costituirebbe una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento. Col quarto motivo il ricorrente sostiene che la condotta di D.D. era imprevedibile e perciò inevitabile. Conclude che tale comportamento - causa diretta dell'evento lesivo - è idoneo ad escludere la responsabilità dell'imputato sotto il profilo della causalità oggettiva e, comunque, sotto il profilo della causalità della colpa.

La sentenza impugnata obietta (pag. 3): che la previsione di barriere fisse atte ad impedire la comunicazione tra aree operative differenti mirava proprio ad evitare il rischio che uno sconfinamento potesse verificarsi; che il rischio attivato dall'iniziativa di D.D. non era né eccentrico né esorbitante, atteso che egli si portò in un'area di cantiere posta "al limite tra le aree di spettanza di ciascuna ditta" (proprio là dove l'apposizione delle barriere era necessaria); che egli non agì in contrasto con le proprie mansioni perché utilizzò uno strumento di sollevamento in dotazione alla SA-FER per prelevare una betoniera della quale la SA-FER aveva disponibilità. In sintesi, secondo i giudici di merito, l'interferenza determinata dalla condotta del D.D. si colloca tra gli eventi che le misure di sicurezza omesse miravano ad evitare e il rischio verificatosi è tra quelli che il datore di lavoro era chiamato a governare. La sentenza impugnata osserva, inoltre (pag. 5 della motivazione): che il mancato inserimento del segnalatore luminoso e l'eventuale mancato inserimento del segnalatore acustico non possono rilevare in senso contrario perché non sarebbero stati sufficienti a impedire l'evento (l'ambiente era molto rumoroso, K.K. indossava cuffie fonoassorbenti e, quando fu urtato, dava le spalle al veicolo); che l'infortunio sarebbe stato impedito, invece, dalla presenza di barriere atte a segregare le diverse aree di lavoro, prevista dal PSC e anche dal POS.

Si tratta di motivazioni congrue, non illogiche né contraddittorie e conformi ai principi di diritto che regolano la materia.

Si rammenta in proposito che, per giurisprudenza costante, un comportamento, anche avventato, del lavoratore, se realizzato mentre egli è dedito al lavoro affidatogli, può essere invocato come imprevedibile o abnorme solo se il datore di lavoro ha adempiuto tutti gli obblighi che gli sono imposti in materia di sicurezza sul lavoro (Sez. 4, n. 12115 del 03/06/1999, Grande A., Rv. 214999; Sez. 4, n. 1588 del 10/10/2001, Russello, Rv. 220651; Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014, Enne, Rv. 259227; Sez. 4, n. 16397 del 05/03/2015, Guida, Rv. 263386). A questo proposito, la giurisprudenza più recente ha opportunamente sottolineato che "in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia" (Sez. 4, n. 7012 del 23/11/2022, dep. 2023, Cimolai, Rv. 284237; Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Vigo, Rv. 281748; Sez. 4, n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti, Rv. 280914). Ponendosi in questa prospettiva, si è affermato che il comportamento negligente, imprudente e imperito tenuto dal lavoratore nello svolgimento delle mansioni a lui affidate può costituire concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, solo se questi "ha posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (Fattispecie in tema di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del datore di lavoro in quanto la mancata attuazione delle prescrizioni contenute nel Pos e la mancata informazione del lavoratore avevano determinato l'assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati al lavoratore infortunato)" (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242).

9. Restano da esaminare i motivi quinto e sesto con i quali A.A. sostiene che la qualifica di datore di lavoro gli è stata erroneamente attribuita atteso che tale qualifica era stata formalmente conferita a E.E. (altra componente del Consiglio di amministrazione della Eurometal Srl). Il ricorrente sostiene che i giudici di merito avrebbero attribuito a A.A. la qualifica di datore di lavoro di fatto ai sensi dell'art. 299 D.Lgs. n. 81/08 travisando il contenuto delle testimonianze assunte nel corso del giudizio.

La sentenza di primo grado (cui la sentenza di appello fa rinvio) riferisce, a pag. 13: che nessuno dei testimoni esaminati in giudizio ha detto di aver mai visto in cantiere E.E.; che G.G. (progettista e direttore dei lavori) ha espressamente dichiarato di non conoscerla; che invece, a detta di tutti i testimoni, A.A. si recava spesso in cantiere.

La difesa contesta tali affermazioni osservando:

- che, secondo G.G., A.A. sì recava in cantiere per questioni inerenti ai rapporti commerciali con i clienti e lo stato di avanzamento dei lavori, ma quando gli è stato chiesto se A.A. avesse partecipato alle riunioni per la sicurezza ha detto di non averne ricordo;

- che il teste F.F. non ha detto di aver visto A.A. partecipare alle riunioni di coordinamento;

- che il teste H.H. ha escluso di aver parlato con A.A. di questioni relative ai temi della sicurezza.

Le sentenze di primo e secondo grado hanno attribuito rilievo indiziario alla circostanza che nessuno dei testimoni esaminati in giudizio abbia mai parlato con E.E. e nessuno di loro l'abbia vista in cantiere, dove invece fu visto A.A.. Questo dato non è stato trasposto in modo inesatto nel ragionamento dei giudici di merito o distorto nel suo significato sicché non può dirsi che vi sia stato "travisamento della prova". La difesa, infatti, si limita a sottolineare che nessuno dei testimoni esaminati ha espressamente attribuito a A.A. competenze in materia di sicurezza del lavoro, ma che questo sia avvenuto non risulta dalla sentenza impugnata né da quella di primo grado.

Neppure può parlarsi di travisamento della prova per essere stata attribuita a G.G. l'affermazione secondo la quale A.A. partecipava alle "riunioni operative di cantiere". La sentenza di primo grado precisa,, infatti, che non si trattava delle riunioni per la sicurezza, ma delle riunioni operative che normalmente le precedono e nel ricorso si parla di questioni relative allo "stato di avanzamento dei lavori" che sono, senza dubbio, "riunioni operative". Resta fermo il dato - non controverso - che alle riunioni operative in materia di sicurezza E.E. non fu mai presente e G.G. neppure ebbe occasione di conoscerla.

Dalla lettura della sentenza impugnata emerge che l'attribuzione a A.A. della qualifica di datore di lavoro di fatto trova fondamento, più che nel dato indiziario della sua presenza in cantiere, nella constatazione che le attestazioni relative all'avvenuta formazione dei dipendenti erano sottoscritte da lui ed era lui a provvedere alla consegna dei dispositivi di protezione individuale (pag. 4 della sentenza impugnata, pag. 14 della sentenza di primo grado). Ma tale conclusione trova fondamento, soprattutto, nella costatazione che fu proprio A.A. a sottoscrivere per ricevuta il PSC le cui prescrizioni non furono rispettate e che, con la sottoscrizione, egli dichiarò di "accettare il Piano di Sicurezza e Coordinamento e di attuarlo". Non vale obiettare, come fa la difesa, che con tale sottoscrizione A.A. si limitò a "prendere in consegna" il PSC per trasmetterlo al datore di lavoro e fu poi E.E. a sottoscrivere il POS. I giudici di merito hanno ritenuto infatti che, avendo sottoscritto il PSC ed essendosi, con la sottoscrizione, impegnato ad attuarlo, A.A. abbia esercitato una prerogativa propria del datore di lavoro e hanno ritenuto che questo dato, unito agli altri sopra indicati, lo rendesse destinatario degli obblighi di prevenzione ai sensi dell'art. 299 D.Lgs. n. 81/08.

La motivazione è congrua, non illogica e non contrasta con i principi di diritto che regolano la materia. In tema di infortuni sul lavoro, infatti, "ai sensi dell'art. 299, D.Lgs. n. 81 del 2008, la posizione di garanzia grava anche su colui che, non essendone formalmente investito, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti al datore di lavoro e ad altri garanti ivi indicati, sicché l'individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale" (Sez. 4, n. 18090 del 12/01/2017, Amadessi, Rv. 269803; Sez. 4, n. 7954 del 10/10/2013, dep. 2014, Ventura, Rv. 259274; Sez. 4, n. 10704 del 07/02/2012, Corsi, Rv. 252676).

10. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 30 maggio 2024.

Depositata in Cancelleria il 3 luglio 2024.