Cassazione Penale, Sez. 4, 03 luglio 2024, n. 25890 - Caduta dal tetto dell'operaio impiegato nei lavori di pavimentazione all'interno di un cantiere. Tolleranza dell'uso di vie di spostamento pericolose



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta da:

Dott. DOVERE Salvatore - Presidente

Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere

Dott. CALAFIORE Daniela - Consigliere

Dott. CENCI Daniele - Consigliere

Dott. CIRESE Marina - Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA dalla parte civile B.B. nato il Omissis nel procedimento a carico di:

A.A. nato a C il Omissis

C.C.nato a S il Omissis

D.D. nato a C il Omissis

E.E. nato a C il Omissis

inoltre:

PARTE CIVILE ANMIL APS ONLUS

avverso la sentenza del 14/07/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere MARINA CIRESE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore SILVIA SALVADORI che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità dei ricorsi del PG e della parte civile.

È presente l'avvocato BULGHERONI CESARE GRAZIANO del foro di MILANO in difesa di ANMIL APS ONLUS il quale deposita conclusioni scritte e nota spese delle quali chiede la liquidazione e chiede l'accoglimento dei ricorsi del PG e delle parti civili

È presente l'avvocato BORDONI GABRIELE del foro di ROMA in difesa di B.B.

deposita conclusioni scritte e chiede l'accoglimento del ricorso

È presente l'avvocato STORTONI LUIGI del foro di BOLOGNA in difesa di: C.C. D.D. E.E. e con delega depositata in aula anche per l'avv. DONATI GIOVANNI FORO BOLOGNA in difesa di A.A.

Il difensore chiede l'inammissibilità dei ricorsi

 

Fatto


1. Con sentenza in data 21.12.2021 il Gup del Tribunale di Bologna, in esito a rito abbreviato, dichiarava A.A., quale titolare dell'omonima ditta appaltatrice dei lavori di pavimentazione dell'immobile sito in Bologna, via Omissis, nonché datore di lavoro di B.B., C.C. F.F., in qualità di amministratore unico della società Kostruzioni Srl, appaltatrice dei lavori di ampliamento, trasformazione, innovazione e cambio di destinazione d'uso del predetto immobile, D.D., amministratore unico della società Solido Srl, proprietaria dell'immobile e committente dei lavori e E.E., direttore tecnico del cantiere, responsabili del reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (artt. 113, 589 commi 1 e 2 cod. pen.) per avere, in cooperazione tra loro, cagionato la morte di B.B., per colpa consistita in negligenza, imperizia e violazione antinfortunistiche (art. 95, comma 1, lett b) D.Lgs. n. 81 del 2008) per non avere definito vie o zone di spostamento o di circolazione favorendo o comunque tollerando l'utilizzo di vie di spostamento manifestamente pericolose risultanti di più breve percorrenza e 97, comma 1 e 3 lett. a) D.Lgs. n. 81 del 2008 per non avere verificato le condizioni di sicurezza dei lavoratori affidati e non aver coordinato gli interventi che impongono la definizione delle vie o zone di spostamento o di circolazione.

In particolare B.B., operaio impiegato nei lavori di pavimentazione all'interno del cantiere edile sito in Via Omissis, volendosi recare dall'appartamento D12, dove stava lavorando quale parquettista, al prospiciente D9 (diviso da un terrazzo protetto da balaustra), anziché usare le scale e quindi scendere di tre piani per poi risalire di quattro, ipotizzando che la porta finestra dell'appartamento D9 fosse aperta, dopo aver scavalcato la balaustra del terrazzo, utilizzava la via di accesso più breve e precipitava attraverso il vetro di un lucernaio posto su una porzione di tetto sita tra due appartamenti del complesso interessato dai lavori e, dopo una caduta di 20 metri, rovinava- al suolo decedendo immediatamente a causa delle gravissime lesioni traumatiche riportate (fatto avvenuto in Bologna il 13.7.2016).

2. Secondo la ricostruzione dei fatti effettuata nella sentenza di primo grado, va premesso che nell'anno 2015 la ditta Solido Srl, di cui D.D. era il legale rappresentante, proprietaria del complesso immobiliare sito in Bologna, Via Omissis denominato "Collegio Santa Dorotea, Chiesa della Beata Vergine Immacolata" iniziava i lavori di ampliamento, trasformazione e mutamento di destinazione d'uso, trasformando il convitto in abitazioni destinate alla vendita. Le lavorazioni erano state affidate alla Kostruzioni Srl, il cui legale rappresentante era C.C. che, a sua volta, aveva subappaltato le opere di posa del parquet all'interno degli appartamenti all'impresa individuale A.A.; altre società in subappalto erano la Edilmartin di G.G. e la Miwa Srl riferibile D.D. e E.E.. Stante la pluralità delle imprese all'interno del cantiere, D.D. aveva nominato il geometra H.H. come coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la progettazione e l'esecuzione dell'opera il quale aveva redatto il Piano di Sicurezza e Coordinamento del 13.6.2015. Venendo al fatto oggetto del presente procedimento, in data 13.7.2016 B.B., operaio impiegato nei lavori dì pavimentazione con mansioni di capo squadra, lavoratore esperto ed uomo di fiducia del titolare, nel transitare su una porzione di tetto sita tra due appartamenti del complesso interessato dai lavori, precipitava attraverso il vetro di un lucernaio da circa venti metri decedendo immediatamente a causa del grave politraumatismo riportato. Dai primi accertamenti svolti dopo l'incidente emergeva che nessun operaio aveva direttamente assistito alla caduta. Non era stata neanche rinvenuta alcuna passerella sul percorso che andava dalla balaustra del terrazzo dell'appartamento D12 alla porta finestra dell'unità immobiliare D9, né erano state reperite assi da impalcato nelle immediate vicinanze. Sin dalle prime battute era stata ventilata la possibilità che lo stato dei luoghi fosse stato alterato prima dell'intervento dei soccorsi, ma detta ipotesi, sfociata in un'indagine parallela, non aveva trovato adeguato riscontro.

Per la compiuta ricostruzione dello stato dei luoghi venivano quindi acquisite le risultanze degli atti di pregressi sopralluoghi ispettivi svolti nel cantiere. Dalle indagini eseguite emergeva con certezza che il vetro del lucernaio si era rotto sotto il peso del lavoratore e che il percorso intrapreso dal B.B. il giorno del fatto per raggiungere l'altra ala del cantiere fosse una scorciatoia nota ai lavoratori e da loro praticata per raggiungere l'appartamento D9 proprio perché consentiva di evitare la discesa di tre piani di scale e la risalita di quattro. Anzi risultava che il passaggio dall'uno all'altro dei due edifici costituiva una vera e propria prassi nel cantiere e che fino all'aprile del 2016 era in uso una passerella che sfruttava il ponteggio del cantiere. Dopo la rimozione del ponteggio e fino al maggio 2016 venivano invece sfruttati alcuni pertugi esistenti nei muri degli appartamenti in lavorazione.

Dibattuta era la presenza nel periodo successivo ed in particolare il giorno dell'incidente di alcune tavole di legno poste sul percorso intrapreso dal B.B., appoggiate sulla balaustra dell'appartamento di provenienza e sul davanzale della porta finestra di quello di destinazione.

A riguardo alcuni testi avevano dichiarato di aver visto la passerella di collegamento tra l'appartamento D12 ed il D9 (testi I.I. e J.J., K.K. e L.L.), e ciò risultava anche da taluni documenti fotografici. Il consulente del P.M. aveva concluso per l'assenza della passerella al momento del fatto poiché, ove fosse stata presente, il lavoratore sarebbe caduto all'esterno della rampa e comunque non in posizione eretta nel vetro centrale come invece avvenuto.

Di avviso contrario, il perito nominato in incidente probatorio aveva invece ritenuto che se B.B. si fosse mosso direttamente sulla copertura del tetto, avrebbe dovuto posizionarsi sulla lamiera concludendo che verosimilmente stava transitando su una passerella e che la caduta era da imputarsi o al posizionamento delle assi in zona laterale o più plausibilmente allo scivolamento della tavola di legno sotto il peso del manovale, ricostruzione questa fortemente contrastata dai consulenti tecnici degli imputati.

2.1. Il giudice di primo grado, all'esito dei dati probatori acquisiti, rilevato che all'atto del sopralluogo non era stata evidenziata la presenza di alcuna tavola da impalcato e che la porta finestra di destinazione era chiusa a chiave, accedeva all'ipotesi ricostruttiva, secondo cui il B.B. aveva attraversato la porzione di tetto nonostante l'assenza della passerella giungendo a destinazione e, nel tentativo di aprire la porta finestra trovata chiusa, era precipitato nello specchio del lucernario.

Affermava quindi la responsabilità degli imputati per non avere definito vie di spostamento e per avere tollerato che i tragitti in quota avvenissero con modalità pericolose (atteso che era emerso che gli operai non utilizzassero le scale) e comunque per non aver informato i lavoratori della rimozione della passerella e della chiusura a chiave della porta finestra oltre a non aver inibito il passaggio con cartelli, segnali, sbarramenti o altri presidi, non informando altresì che le tavole erano state asportate a quel fine.

Concludeva che la condotta, ancorché colposa del lavoratore, non aveva escluso il nesso eziologico in quanto non esorbitante dalla sfera di rischio governata dagli imputati ma fosse invece riconducibile all'insufficienza delle cautele adottate. Ritenuta quindi la responsabilità di tutti gli imputati, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, li condannava alla pena di mesi nove di reclusione ciascuno nonché al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile B.B. (moglie del deceduto) da liquidarsi in separato giudizio, stabilendo altresì in favore della medesima una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 100.000 nonché dei danni subiti da ANML Onlus (Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi sul lavoro) liquidato in Euro 5000,00 disponendone la provvisoria esecutività. Concedeva a tutti gli imputati il beneficio della sospensione condizionale della pena subordinatamente al pagamento della provvisionale a favore della parte civile B.B.

3. Interposto appello avverso la sentenza di primo grado, la Corte d'Appello di Bologna con sentenza in data 14.7.2023, ritenendo fondata la preliminare censura di nullità ex art. 522 cod. proc. pen. della sentenza per violazione del principio di correlazione tra l'imputazione e la decisione di cui all'art. 521 cod. proc. pen., ha dichiarato la nullità della sentenza emessa dal Gup in data 21.12.2021. A fondamento di tale statuizione, ha ritenuto che il fatto storico cristallizzato nell'imputazione (ovvero il transito su una passerella precaria) e rispetto al quale gli imputati si sono difesi è diverso da quello ritenuto in sentenza (ovvero l'attraversamento calpestando direttamente il tetto). Nella specie, pertanto, ha argomentato la Corte, non si verte in un'ipotesi di immutazione del fatto, al quale è stato sostituito o aggiunto un ulteriore profilo di colpa per violazione delle norme cautelari, bensì in un'ipotesi di trasformazione del fatto nel suo contenuto essenziale, quale il camminamento o meno del lavoratore sulla passerella abusiva che, secondo l'addebito colposo, era in diretto nesso causale con l'evento mortale verificatosi.

Ne era conseguita la compressione del diritto di difesa, essendo intervenuta una condanna per un fatto diverso nei suoi elementi essenziali rispetto a quello addebitato.

4. Avverso detta sentenza d'appello hanno proposto ricorso per cassazione la Procura generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Bologna e la parte civile B.B., a mezzo del proprio difensore.

4.1. Ricorso per la Procura generale presso la Corte d'Appello di Bologna: si articola in un unico motivo di ricorso con cui si deduce l'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. c) cod. proc. pen.) ed in particolare delle norme di cui agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. per avere erroneamente ritenuto violato dal giudice di primo grado il principio di correlazione tra accusa e sentenza.

Si censura la sentenza impugnata laddove ha ritenuto che il fatto debba ritenersi diverso da quello oggetto dell'imputazione e che rispetto ad esso le difese non siano state poste in grado di difendersi.

Si ritiene erronea la ritenuta diversità dal fatto storico rispetto a quello contestato poiché lo stesso è rimasto invariato nei suoi elementi essenziali, ovvero la caduta del B.B. come conseguenza del fatto che i responsabili non si erano occupati di garantire il passaggio tra i due edifici in condizioni di sicurezza tollerando invece che venissero utilizzati passaggi caratterizzati da manifesta pericolosità.

Inoltre con riguardo alla lesione del diritto di difesa, si rileva che non è necessario formulare alcun nuovo addebito colposo, posto che i profili di colpa delineati nell'imputazione sono perfettamente attinenti ed aderenti al fatto anche così come emerso dalla ricostruzione fattuale, vale a dire per non aver reso sicura e praticabile senza rischi di caduta una consuetudinaria via di passaggio. Peraltro, essendosi l'istruttoria concentrata sin dall'inizio sulla presenza o assenza della passerella, la difesa è stata comunque posta a conoscenza che il fatto storico potesse essere diversamente ricostruito sul punto. 4.2. Ricorso per B.B.: si articola in un unico motivo di ricorso con cui deduce l'inosservanza di norma processuale stabilita a pena di nullità (art. 180 cod. proc. pen. in rapporto agli artt. 521, 522 e 604 cod. proc. pen.). Si assume che nessun elemento di novità, estraneo al nucleo fondamentale dell'imputazione, è stato aggiunto, né è stato contestato un evento capace di eliminare il nesso eziologico causale tra le condotte omissive dei datori di lavoro e l'evento, trattandosi del medesimo fatto storico e che la difesa degli imputati ha potuto prendere cognizione dello stesso (citando sul punto pronunce del giudice di legittimità).

Si pone in rilievo che il tema oggetto della contestazione è la tolleranza rispetto ad un attraversamento aereo oggettivamente pericoloso sia che lo stesso venisse effettuato servendosi di una passerella insicura sia che avvenisse calpestando direttamente il coperto ove insisteva il lucernario non protetto, ipotesi che la Corte riconosce.

5. Il difensore della parte civile deposita memoria e motivi aggiunti.

6. La difesa degli imputati D.D., E.E. e C.C. ha depositato memoria con cui si deduce la non impugnabilità delle sentenze emesse ex art. 522 cod. proc. pen. e l'inammissibilità dei proposti ricorsi sia della Procura generale presso la Corte di appello che della parte civile.

 

Diritto


1. Vanno in via preliminare affrontate le questioni sollevate nella memoria depositata dalla difesa degli imputati.

1.1. In punto di impugnabilità della sentenza emessa ex art. 522 cod. proc. pen., sentenza che non giunge ad una decisione di merito né sul fatto come contestato, né sul fatto come accertato, punto di riferimento fondamentale è Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009, P.G. in proc. De Marino, Rv. 244108, la quale, sciogliendo un contrasto giurisprudenziale già insorto e risolto in eguale direzione nel vigore del codice Rocco, ha stabilito la ricorribilità delle sentenze d'appello meramente processuali, tra le quali chiaramente rientrano quelle di nullità per difetto di contestazione ex art. 604, comma 1, cod. proc. pen.. Tale soluzione, in contrapposizione ad un opposto orientamento che valorizzava il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, si fonda invece sul disposto letterale degli articoli 111, comma 7, Cost. e 568, comma 2, cod. proc. pen.., secondo i quali tutte le sentenze, quando non siano altrimenti impugnabili e salvo che sia previsto diversamente, sono sempre soggette a ricorso per cassazione, ad opera di tutte le parti processuali, senza distinzione tra sentenze di merito o sentenze meramente processuali.

Con detta pronuncia quindi le Sezioni Unite hanno statuito l'ammissibilità del ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza con la quale il giudice d'appello abbia dichiarato la nullità di quella di primo grado e rinviato gli atti al Tribunale per il nuovo giudizio. Infatti, la natura meramente processuale di tale pronuncia non osta alla sua impugnabilità in sede di legittimità, ferma restando la necessità che ricorra un interesse concreto all'eliminazione del provvedimento, interesse che va verificato e misurato in relazione alla situazione determinatasi a seguito della pronuncia annullata.

Nell'occasione il S.C. ha affermato che l'interesse concreto ed attuale alla eliminazione del provvedimento mediante impugnazione non va colto alla luce della possibilità o meno della parte di esercitare nella sua completezza le facoltà difensionali ma tenendo presente "il diritto a non veder vanificati ingiustamente ed irrimediabilmente i risultati (in ipotesi favorevoli) scaturiti dalla sentenza di primo grado". La sentenza di appello, infatti, produce la eliminazione della prima decisione, che era suscettibile di passaggio in giudicato, così realizzando un effetto novativo che azzera i risultati già raggiunti nel processo, ai quali vanno commisurati i contrapposti interessi delle parti al relativo mantenimento o caducazione.

Pur dopo tale intervento, in tema di impugnabilità del provvedimento con il quale il giudice di secondo grado annulla la sentenza di condanna gravata (in particolare, ritenendo violato il principio di correlazione) si sono registrati due divergenti orientamenti riguardanti per lo più la posizione dell'imputato. Circa la possibilità per le parti diverse dall'imputato di proporre ricorso avverso le sentenze processuali, dalla sentenza delle Sez. U cit. si evince che è ritenuto ammissibile il ricorso avverso tali sentenze anche sul rilievo che l'art. 568, comma 2, cod. proc. pen. "cristallizza" in capo a tutte le parti processuali la legittimazione e l'interesse (astratto) a ricorrere per cassazione contro tutte le sentenze ad eccezione delle ipotesi espressamente indicate, senza introdurre limitazione alcuna quanto ai relativi "casi" disciplinati.

Quando a ricorrere contro tali sentenze sia il Procuratore generale, è ravvisabile detto interesse ogniqualvolta lo stesso ravvisi una violazione di legge e possa ottenere tramite la sua impugnazione una decisione che produca effetti diversi. Con riguardo alla parte civile detto interesse ad impugnare deve considerarsi "assolutamente concreto alla luce dei favorevoli contenuti della sentenza di primo grado (che aveva pronunciato condanna generica al risarcimento del danno e stabilito una provvisionale)"

Altre pronunce adottando, invece, un approccio più restrittivo, escludono che il mero contenuto favorevole della sentenza annullata possa rendere ammissibile il ricorso della parte civile. In particolare, e che l'indagine sulla esistenza dell'interesse al ricorso debba essere condotta verificando gli obiettivi concreti della impugnazione, in relazione non soltanto alla formula adottata nella sentenza di proscioglimento ma anche al significato del dispositivo, identificato attraverso la motivazione(Sez. 4 n. 6964 del 14/11/2012, dep. 2013, Rv. 254477).

Deve perciò essere ribadito il principio secondo cui è inammissibile, se carente di elementi indicativi del concreto interesse vantato, il ricorso per cassazione della parte civile avverso la sentenza della Corte d'Appello di nullità della sentenza di primo grado per diversità del fatto (Sez. 4, n. 11228 del 04/03/2015 - dep. 2015, Rv. 262716; Sez. 3, n. 23219 del 11/04/2012, Rv. 252901).

1.2. Ebbene nel caso di specie, mentre l'interesse del Procuratore generale presso la Corte d'Appello va ravvisato nella corretta applicazione delle norme di legge, l'interesse della parte civile impugnante si coglie laddove la sentenza impugnata ha eliso le statuizioni civili di condanna al risarcimento del danno ed al pagamento di una provvisionale pronunciate dal giudice di primo grado.

2. Venendo al merito del ricorso, attesa la sostanziale coincidenza dei motivi dei ricorsi proposti, ragioni di economia motivazionale ne impongono una trattazione unitaria. Gli stessi sono fondati.

2.1. La censura involge il tema della correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza, disciplinato dall'art. 521 cod. proc. pen., per cui se il fatto descritto nell'imputazione, originaria o riformulata, che costituisce l'ipotesi del Pubblico Ministero, ed il fatto che il giudice ritiene accertato non coincidono quest'ultimo non deve pronunciarsi sul merito e trasmettere gli atti al pubblico ministero. Situazione diversa da quella in cui, invece, il fatto ipotetico e quello accertato coincidono ma diverge la qualificazione giuridica, di talché il giudice può direttamente pronunciare la sentenza conforme al suo convincimento senza dover imporre una riformulazione dell'accusa.

Nel distinguere i caratteri del fatto emerso nel corso del processo rispetto a quelli del fatto enunciato nell'imputazione, il giudizio di "identità" o "diversità" fra i due fatti, secondo il formante giurisprudenziale, è stato declinato con caratteri che, sommariamente, vengono distinti tra elementi essenziali ed elementi accidentali del fatto; distinzione in base alla quale solo i primi, e non i secondi, determinerebbero il mutamento del fatto in termini tali da trasformarlo in un fatto "diverso" rispetto a quello contestato, così da incidere sull'esercizio del diritto di difesa (vedi Sez. 4, n. 9480 del dell'8.2.2023, n.m.). Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza è quindi configurabile solo in presenza di una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad una incertezza sull'oggetto della contestazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa.

Pertanto, la violazione non sussiste quando nel capo di imputazione siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l'imputato in condizioni di difendersi dal fatto successivamente ritenuto in sentenza, da intendersi come accadimento storico oggetto di qualificazione giuridica da parte della legge penale, che spetta al giudice individuare nei suoi esatti contorni. Tali principi sono coerenti con quelli costituzionali di cui all'articolo 111 Cost. ma anche con l'articolo 6 della Cedu, come interpretato a partire dalla pronuncia Drassich c. Italia (11 dicembre 2007), e, più di recente, con la pronuncia Drassich c. Italia (22 febbraio 2018), con la quale la Corte di Strasburgo ha escluso la violazione dell'articolo 6 citato nel caso in cui l'interessato abbia avuto la possibilità di preparare adeguatamente la propria difesa e di discutere in contraddittorio sull'accusa alla fine formulata nei suoi confronti. Si è a tal fine posto in luce che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. un., 15 luglio 2010, n. 36551). Il giudice di merito, cui è riconosciuto dal diritto interno il potere di riqualificare i fatti per i quali l'imputato è chiamato a giudizio, pertanto, deve curare che il medesimo abbia avuto la possibilità di esercitare i diritti di difesa su questo specifico punto in maniera concreta ed effettiva, verificando: a) se in concreto fosse sufficientemente prevedibile per il ricorrente che l'accusa inizialmente formulata nei suoi confronti fosse riqualificata; b) la fondatezza dei mezzi di difesa che il ricorrente avrebbe potuto invocare se avesse avuto la possibilità di discutere della nuova accusa formulata nei suoi confronti; c) quali siano state le ripercussioni della nuova accusa sulla determinazione della pena del ricorrente. Recependo tali principi, la giurisprudenza di legittimità è da tempo consolidata nel senso che, qualora una diversa qualificazione giuridica del fatto venga effettuata in appello, senza che l'imputato abbia preventivamente avuto modo di interloquire sul punto, la garanzia del contraddittorio resta comunque assicurata dalla possibilità di contestare la diversa qualificazione mediante il ricorso per cassazione, specie quando la stessa non avvenga "a sorpresa", bensì risulti come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile, sì che l'imputato abbia avuto la possibilità di interloquire in ordine al contenuto dell'imputazione, in assenza di una lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novità che da quel mutamento scaturiscono (Sez. un., 26 giugno 2015, n. 31617). Le decisioni successive delle Sezioni semplici della S.C. hanno valorizzato, in sostanza, l'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi in concreto. Si richiamano tra le tante Sez. 2, n. 17565 del 15/03/2017, Beretti, Rv. 269569; Sez. 4, n. 41663 del 25/10/2005, Cannizzo ed altro, Rv. 232423, secondo cui "In tema di correlazione tra accusa e sentenza, le norme che disciplinano le nuove contestazioni, la modifica dell'imputazione e la correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza (articoli 516-522 cod. proc. pen.), avendo lo scopo di assicurare il contraddittorio sul contenuto dell'accusa e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell'imputato, vanno interpretate con riferimento alle finalità alle quali sono dirette, cosicché non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell'imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell'imputato.

In altri termini, poiché la nozione strutturale di "fatto", contenuta nelle disposizioni in questione, va coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi. Si è quindi consolidata (vedi la più recente Sez. 4, n. 27583 del 13 aprile 2022, dep.2022) una interpretazione teleologica del principio di correlazione tra accusa e sentenza per la quale questo non impone una conformità formale tra i termini in comparazione ma implica la necessità che il diritto di difesa dell'imputato abbia avuto modo di dispiegarsi effettivamente, risultando quindi preclusi dal divieto di immutazione quegli interventi sull'addebito che gli attribuiscano contenuti in ordine ai quali le parti, ed in particolare l'imputato, non abbiano avuto modo di dare vita al contraddittorio, anche solo dialettico. 2.2. Il principio, come fin qui esposto, assume connotati specifici nella materia dei reati colposi ove la concreta applicazione delle indicazioni giurisprudenziali incorre in alcune peculiari difficoltà, derivanti dal fatto che la condotta colposa può essere identificata solo attraverso la integrazione del dato fattuale e di quello normativo, con un continuo trascorrere dal primo al secondo e viceversa. In altri termini mentre nei reati dolosi, in specie commissivi, la condotta tipica risulta identificabile per la sua corrispondenza alla descrizione fattane dalla fattispecie incriminatrice (reati di pura condotta) o per la sua valenza eziologica (reati di evento), nei reati omissivi impropri colposi la condotta tipica può essere individuata solo a patto di identificare la norma dalla quale scaturisce l'obbligo di facere e la regola cautelare che avrebbe dovuto essere osservata. Quest'ultima, in particolare, può rinvenirsi in leggi, ordini e discipline (colpa specifica), oppure in regole sociali generalmente osservate o prodotte da giudizi di prevedibilità ed evitabilità (colpa generica).

Nell'elaborazione di tale questione si è affermato che: "ai fini della verifica del rispetto da parte del giudice del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza, è decisivo che la ricostruzione fatta propria dal giudice sia annoverabile tra le molteplici narrazioni emerse sul proscenio processuale (ferma restando l'estraneità al tema in esame della qualificazione giuridica del fatto). La principale implicazione di tale assunto è che, dando conto del proprio giudizio con la motivazione, il giudice è chiamato ad esplicare i dati processuali che manifestano la presenza della "narrazione" prescelta tra quelle con le quali si sono confrontate le parti, direttamente o indirettamente, esplicitamente o implicitamente".

Si è quindi ritenuta insussistente "la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (Fattispecie in cui è stata riconosciuta la responsabilità degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori)" (Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, Denaro e altro, Rv. 260161; Sez. 4, Sentenza n. 19028 del 01/12/2016, dep. 20/04/2017 Rv. 269601).

3. Fatte queste premesse, dalla lettura degli atti e segnatamente della sentenza impugnata, risulta evidente che nella specie, all'esito del giudizio di primo grado, non è stata posta in discussione la contestazione degli elementi essenziali del delitto di cui all'art. 589 cod. pen. mossa agli odierni imputati nei rispettivi ruoli, ed in particolare la violazione della normativa antinfortunistica di cui all'art. 95 comma 1, lett. b) del D.Lgs. n. 81 del 2008, per non aver definito vie o zone di spostamento o di circolazione favorendo o comunque tollerando l'utilizzo di vie di spostamento manifestamente pericolose risultanti di più breve percorrenza, e di cui all'art. 97 commi 1 e 3 lett. a), per non aver verificato le condizioni di sicurezza dei lavoratori affidati e non avere coordinato gli interventi che impongono la definizione delle vie o zone di spostamento o di circolazione, e quindi i profili di colpa contestati ma, invece, è risultato mutato un elemento del fatto storico riguardante le modalità di attraversamento del tetto da parte del B.B. non già sulle tavole (come ipotizzato nella contestazione) ma direttamente sul tetto. Elemento questo che, pur modificando il fatto storico, non incide in alcun modo né sui profili di colpa ascritti agli imputati, inscrivendosi comunque nella contestazione di aver tollerato vie di spostamento sul tetto manifestamente pericolose, né sul nesso eziologico tra le omissioni loro contestate e l'evento.

Si tratta, peraltro, di un elemento acquisito al processo sin dalla sua origine, dato che, posto il dato incontroverso che il personale presente in cantiere non utilizzava le scale, l'istruttoria espletata in primo grado si era particolarmente concentrata proprio sul tema della presenza o assenza di tavole o di assi sul tetto (con ciò logicamente prospettandosi la opposta possibilità che in realtà non vi fosse nulla) e senza che tale indubbia attenzione posta all'argomento possa essere stata idonea ad alterare le dinamiche processuali. Ne consegue, pertanto, che gli imputati, a fronte della imputazione ed alla luce dell'istruttoria espletata, hanno avuto la concreta possibilità di prendere posizione e di difendersi rispetto ad un fatto storico che è risultato diverso limitatamente ad un elemento non essenziale del medesimo, con ciò quindi non integrando un fatto diverso.

3.1. Manca, dunque, qualsivoglia difetto di correlazione fra accusa e sentenza, nel senso appena precisato.

In conclusione la sentenza va annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'Appello di Bologna. Alla stessa demanda la regolamentazione tra le parti delle spese relative al giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.


annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'Appello di Bologna, cui demanda anche la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso il 28 marzo 2024.

Depositata in Cancelleria il 3 luglio 2024.