Cassazione Penale, Sez. 4, 05 luglio 2024, n. 26552 - Caduta mortale dell'ospite dell'Istituto di riposo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente
Dott. CALAFIORE Daniela - Relatore
Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere
Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere
Dott. LAURO Davide - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A. nato a V. il (Omissis)
avverso la sentenza del 10/10/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA CALAFIORE;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIUSEPPINA CASELLA
Fatto
1. La Corte d'Appello di Torino, con sentenza del 10 ottobre 2023, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale della stessa sede del 27 ottobre 2021, ha ridotto a mesi due e giorni venti di reclusione la pena inflitta a A.A., confermando nel resto la pronuncia di primo grado.
2. Al A.A., in qualità di direttore dell'Istituto di riposo (Omissis) era stato contestato il reato di cui agli artt. 40, secondo comma, e 589 cod. pen., in quanto, in concorso con B.B. e C.C., nelle rispettive qualità di presidente del consiglio di amministrazione e di consigliere delegato della Euro E Promos Social Health Care, società cooperativa sociale appaltatrice dei servizi socio assistenziale sanitari ed alberghieri complementari dell'Istituto di riposo (Omissis), cagionava la morte di D.D., persona anziana non autosufficiente, che soggiornava presso l'Istituto.
La morte, secondo l'imputazione, sopravveniva come conseguenza di insufficienza respiratoria acuta in un quadro di scompenso, in paziente con sindrome di Parkinson e deterioramento cognitivo, quale esito terminale di politrauma fratturativo cranio encefalico del bacino e dell'arto inferiore sinistro da precipitazione da bassa altezza, precisamente da circa m. 1,82.
Agli imputati era stato contestato di aver omesso di predisporre misure idonee ad evitare che la persona offesa potesse accedere autonomamente alle scale antincendio della struttura (segnatamente misure quali un sistema di blocco e/o di allarme sonoro, e/o di sorveglianza attiva sulla porta di accesso alle scale stesse) e quindi di non aver impedito la caduta accidentale del paziente, per colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia nonché in violazione delle norme per la progettazione e gestione di strutture con funzione di RSA; in particolare, si contestava la violazione della legge n. 328 del 2000, del d.P.C.M. 14 Febbraio 2021, della I. Reg. Piemonte n. 45-4248 e del d. Igs n. 81 del 2008 artt. 4,9,2 e del decreto del Ministero dell'Interno del 18 settembre 2002, che prescrivono, in caso di necessità connesse a particolari patologie dei ricoverati, la predisposizione di misure cautelative per evitare un uso improprio delle uscite, sicuri sistemi di controllo ed apertura delle porte.
Tutto ciò, avuto riguardo al fatto che tali sistemi di controllo non erano stati previsti e/o richiesti dal direttore della struttura A.A., né dalla B.B. o dal C.C., ai quali era stata appaltata la gestione dei servizi socioassistenziali sanitari ed alberghieri complementari dell'Istituto di riposo (Omissis).
3. Secondo la ricostruzione del Tribunale, D.D., di anni 83, alle 19:40 circa del 21 gennaio 2018, era stato trovato nel cortile della struttura ove era ospitato dal 10 gennaio 2018, in una pozza di sangue.
L'anziano era uscito dal piano secondo fuori terra, ove era ubicata la sua stanza. Attraverso la porta di sicurezza era sceso lungo la relativa scala, quando, giunto al pianerottolo del primo piano fuori terra, aveva tentato di scavalcare un cancelletto ivi presente, che era scalabile in quanto aveva un'asse saldato a metà altezza. Durante la manovra, aveva perso l'equilibrio ed era caduto nel sottostante cortile da un'altezza di metri 1,82.
Il paziente voleva tornare a casa e non si era trattato di un tentativo di suicidio, in quanto le pantofole erano allineate vicino al cancelletto e le operatrici di turno, sentite in sede di s.i.t. acquisite al dibattimento, avevano dichiarato che nel pomeriggio il signor D.D. era inquieto e diceva di voler tornare a casa.
Notata la sua assenza dalla stanza, le operatrici lo avevano cercato e, notando che la porta della scala antincendio era socchiusa, erano scese lungo la stessa, scorgendo l'uomo nel cortile. Il D.D. era stato soccorso e portato in ospedale, il decesso si era verificato il successivo primo febbraio 2018, a seguito di complicanze. Dalla relazione del medico anatomopatologo, seguita all'autopsia, il Tribunale aveva dedotto la sussistenza, oltre ogni ragionevole dubbio, del nesso causale tra la caduta ed il decesso.
4. Il Tribunale ha accertato quanto segue.
4.1. La caduta di D.D. sarebbe stata evitata dalla adozione di un sistema di blocco e/o allarme sonoro e/o di sorveglianza visiva sulla porta di accesso alle scale stesse. Peraltro, anche la maggiore altezza del parapetto, conformemente alla normativa vigente, avrebbe avuto efficacia salvifica.
4.2. Quanto alla gestione della struttura, di proprietà del Comune di V. P. e concessa in comodato d'uso all'Ente morale Istituto di Riposo (Omissis), era emerso che, tra gli obblighi delle parti oggetto della convenzione accessoria al comodato, figuravano a carico del Comune comodante tutte le spese necessarie all'esecuzione dei lavori di ristrutturazione e riqualificazione dell'immobile al fine di renderlo idoneo alle esigenze dell'attività svolta dal comodatario. Il A.A. era dipendente dell'Istituto, assunto per concorso dal maggio 2015 con inquadramento di direttore, ma dipendente con funzioni di segretario, contabile ed economo sin dal 27 settembre 2001. A seguito della concessione dell'accreditamento come presidio socioassistenziale del 16 febbraio 2011, l'Istituto stipulò, in data 18 dicembre 2013, un contratto con ASL T03 ed il Consorzio intercomunale dei servizi sociali, mediante il quale fu prevista l'erogazione dei servizi di assistenza sociosanitaria integrata in favore di anziani non autosufficienti. Nel maggio 2014, l'accreditamento fu aggiornato a seguito anche di una verifica della struttura effettuata con l'ausilio della Commissione di vigilanza. Nel verbale relativo, il A.A. figurava presente come Direttore della struttura. Nel corso del 2017, l'Istituto, a seguito dell'espletamento di gara ad evidenza pubblica, aveva affidato in appalto i servizi socioassistenziali sanitari ed alberghieri resi alle persone ospitate nella struttura alla cooperativa sociale Euro E Promos Social Heath Care.
Il capitolato speciale di appalto, all'art. 17, prevedeva che la società appaltatrice dovesse consegnare al Direttore della stazione appaltante il Documento di Valutazione dei Rischi, oltre che l'obbligo di adottare tutte le misure di protezione e prevenzione necessarie ad eliminare i rischi, impegnando l'appaltatore ad offrire adeguati DPI e a predisporre disposizioni e procedure di sicurezza capaci di garantire l'incolumità del personale, degli utenti e di eventuali terzi. Fatta salva la possibilità di verifica per l'appaltante del rispetto degli obblighi gravanti sull'appaltatrice in materia di sicurezza.
4.3. Le contestazioni correttamente erano riferite alle norme previste per gli ambienti di lavoro, alla luce dei consolidati orientamenti giurisprudenziali che avevano affermato l'estensione delle protezioni a tutti coloro i quali si trovano esposti ai medesimi fattori di rischio, quali gli utenti della struttura nel caso di specie; il relativo rischio era stato anche contemplato nel DVR adottato dalla struttura, ma non si era predisposta alcuna effettiva cautela per scongiurarne l'avveramento. Ad avviso del Tribunale, non poteva ritenersi misura idonea ad impedire l'evento il blocco della porta di uscita sulle scale, posto che la stessa avrebbe potuto ostacolare una eventuale necessità di fuga improvvisa e che le condizioni del paziente, ricoverato al secondo piano, si caratterizzavano per un livello medio basso di assistenza sociosanitaria necessaria. A.A., quale Direttore dell'Istituto, era stato indicato nell'art. 21 del contratto di appalto, come Responsabile unico del procedimento e l'art. 11 aveva previsto che fosse il medesimo Direttore a seguire l'esecuzione del contratto di appalto. Ai sensi dell'art.101, comma 1, D.Lgs. n. 50 del 2016, al RUP è attribuito il compito anche di controllare i livelli di qualità delle prestazioni, anche avvalendosi dell'opera del direttore e di altre figure individuate dal d. I.gs. n. 81 del 2008. Dunque, seppure non soggetto all'obbligo di verifica giornaliera del rispetto delle misure di protezione e sicurezza, non poteva dubitarsi che lo stesso avrebbe dovuto controllare se il DVR della appaltatrice fosse adeguato al fine di fronteggiare il rischio di cadute e se le misure strutturali fossero state in effetti apprestate.
Non vi era stata poi, da parte del A.A., l'effettiva verifica dell'attività di vigilanza eventualmente prestata. Peraltro, la disposizione contenuta all'art. 63, comma 1, D.Lgs. n. 81 del 2008, contiene specifiche indicazioni sull'altezza dei parapetti nei luoghi di lavoro, altezza di almeno un metro, e tale fonte di rischio rientrava nella gestione della struttura attribuita al A.A., quale soggetto che aveva sottoscritto il contratto di appalto in nome e per conto del committente, in quanto investito del ruolo di RUP e di Direttore dell'esecuzione del contratto di servizi, con compiti di vigilanza in materia di sicurezza.
Il direttore dell'Istituto, dunque, doveva considerarsi committente sostanziale, senza che assumesse rilievo, se non civilistico, la circostanza che onerato delle spese straordinarie fosse il Comune, proprietario dell'immobile. Il A.A., inoltre, non si era nemmeno preoccupato di richiedere al Comune l'adeguamento del parapetto.
Tale condotta, da ritenere comunque implicita nella contestazione dell'aggravante, anche se non risultava formalmente richiamato l'art. 63 D.Lgs. n. 81 del 2008. La stessa condotta era dunque sufficiente ad integrare il reato contestato, essendo chiara e percepibile, anche da soggetti non esperti dal punto di vista della tecnica di costruzione.
5. La Corte di appello, ripercorsa la motivazione del primo giudice, non ha riconosciuto efficacia causale al mancato adeguamento dell'altezza del parapetto, posto che, se anche lo stesso fosse stato di un metro, l'evento si sarebbe verificato ugualmente. Piuttosto, la misura di gestione del rischio derivante dalla presenza delle scale, previsto anche dal DVR, non potendo essere individuata nella apposizione di una porta bloccata, di ostacolo ad una eventuale fuga, doveva essere individuata nella dotazione di un allarme al sistema di apertura della porta di accesso alle scale. Tale misura peraltro, successivamente all'evento, era stata adottata. Per i rimanenti aspetti, la Corte di appello ha condiviso la pronuncia del Tribunale, salvo che in ordine al trattamento sanzionatorio che ha ridotto in ragione del riconosciuto minor grado della colpa.
6. Avverso tale sentenza, ricorre per cassazione A.A., a mezzo del proprio difensore, sulla base di tre motivi, sintetizzati come segue, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
6.1. Con il primo motivo, sì denuncia carenza e manifesta illogicità della motivazione, travisamento della prova documentale costituita dalla determinazione reg. gen. N. 487 del 2018 dell'Area Tecnica - Lavori pubblici del Comune di V.. In particolare, si deduce che il doppio accertamento conforme delle sentenze di merito, con l'effetto della reciproca integrazione delle motivazioni, non può impedire il ricorso per cassazione, in quanto entrambe le sentenze erano cadute nel medesimo travisamento della prova, acquisita in modo macroscopicamente errato. Inoltre, il giudice di appello si era richiamato, per rispondere al motivo di gravame, a dati probatori non esaminati dal primo giudice e, dunque, anche per tale aspetto il ricorso per cassazione sarebbe ammissibile.
In particolare, il travisamento della prova originerebbe dall'aver ritenuto, quale effettivamente accertata la carenza della misura preventiva alternativa, consistente nella "sorveglianza visiva" da parte dell'appaltatore. In sintesi, si afferma che all'imputato è stato rimproverato di non aver adempiuto all'obbligo di segnalare ai vertici dell'Istituto committente ed al Comune proprietario dell'immobile la mancata adozione di idonee misure da parte dell'appaltatore, sollecitando interventi, ovvero l'attuazione di quanto previsto dal DVR.
Tale documento conteneva la previsione del rischio collegato all'uso delle scale fisse, quale scenario di riferimento per il pericolo di caduta da parte degli ospiti della struttura, e ciò qualora le scale non fossero adeguatamente protette o accessibili. Dalla mancata realizzazione di almeno una delle due misure di prevenzione previste (predisposizione di idonee barriere di impedimento all'accesso delle scale - non adottabili per garantire la fuga in caso di necessità-e sorveglianza visiva, da garantire con un numero di addetti adeguati alla presenza ed alle caratteristiche degli ospiti) i giudici avevano fatto discendere l'accertamento di responsabilità del A.A. Il medesimo avrebbe dovuto accorgersi della affermata insufficienza del numero di addetti alla sorveglianza visiva, in relazione al rischio rappresentato dall'uso improprio, da parte dell'anziano, della scala esterna, alla quale si poteva accedere mediante la porta di sicurezza. Tuttavia, nessuna delle sentenze di merito aveva accertato la concreta assenza del previsto sistema di sorveglianza visiva, con ciò minando alla radice la motivazione addotta.
6.2. Con un secondo profilo, si deduce ancora la carenza e la manifesta illogicità della motivazione in relazione all'ulteriore travisamento della prova documentale costituita dalla Determinazione n. rg.48 del 22 dicembre 2018 dell'Area tecnica lavori pubblici del Comune di Villafranca Piemonte. Si rileva che il ricorrente sarebbe stato ritenuto responsabile per la sua trascuratezza, nel non aver segnalato le carenze sulla prevenzione del rischio agli organi comunali, con ciò riconoscendosi che il A.A. non avrebbe potuto provvedere autonomamente. Ma era stato trascurato il dato dirimente costituito dalla citata delibera, che, pur essendo successiva al fatto, nella premessa, rivelava che l'iter amministrativo che avrebbe dovuto condurre all'adeguamento complessivo della struttura, proprio in relazione ai profili della prevenzione incendi e quindi uscite di emergenza, era già in atto all'epoca dei fatti, in quanto avviato sin dal 2015 dall'Ente proprietario e nulla avrebbe potuto fare il A.A. per accelerare l'iter amministrativo. Del resto, l'installazione di un sistema sonoro di allarme, in caso di apertura delle porte antincendio, avrebbe costituito atto di manutenzione straordinaria, spettante all'Ente proprietario. Né l'appaltatore aveva segnalato criticità tali da motivare l'attivarsi del ricorrente presso l'Ente comunale e lo stesso stato di salute della vittima non giustificava una attività di verifica continua.
6.3. Altro vizio della motivazione, da intendersi quale travisamento della prova, colpirebbe la sentenza impugnata in ordine alla prova documentale di cui alla comunicazione del 2 maggio 2018, proveniente dall'Istituto Conti Rebuffo e diretta alla Commissione di vigilanza ASL T03. Tale documento sottoscritto dal ricorrente, contrariamento a quanto inteso dai giudici, non conteneva di certo alcuna ammissione sulla esistenza di obblighi derivanti dal ricoprire una effettiva posizione di garanzia, ma si limitava a comunicare che era stata realizzata l'attività prescritta dall'Autorità di vigilanza. Il ricorrente, assumendo che il documento era stato acquisito in appello ex artt. 523 comma 6 e 598 cod. proc. pen., con la conseguenza che lo stesso non era stato valutato anche dal Tribunale, ha chiesto l'acquisizione del relativo verbale.
Tutto ciò premesso, il ricorrente ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata.
Diritto
1. Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.
In via preliminare, come rileva anche il ricorrente, deve darsi atto che le sentenze di merito convergono pienamente sulla ricostruzione degli accadimenti e sull'accertamento del nesso causale tra la morte del D.D. e la sua caduta, nonché sui profili dell'accertamento relativi all'assunzione di una posizione di garanzia in capo al A.A., nonché sui profili che hanno condotto al giudizio di responsabilità legato alla mancanza di un sistema di allarme all'uscita di sicurezza. L'unica divergenza riguarda l'efficacia causale, rispetto alla caduta, attribuita dal Tribunale anche alla mancata rilevazione dell'altezza del parapetto inferiore al metro, negata dalla Corte di appello. Trattasi però di elemento della complessiva fattispecie contestata non decisivo, essendo plurime le condotte omissive connesse causalmente all'evento contestate all'imputato. Da ciò consegue la sostanziale conformità tra le due decisioni di merito.
2. Tale precisazione comporta che la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo; ciò infatti avviene quando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (sez. 3, n. 44418 del 16/7/2013, Argentieri, Rv, 257595; sez. 1, n. 1309 del 22/11/1993, 1994, Rv. 197250), a maggior ragione allorché i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata (sez. 3, n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615). Di qui, l'ulteriore principio per il quale sono estranei al vaglio di legittimità gli aspetti del giudizio che si sostanziano nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi probatori che attengono interamente al merito e non possono essere apprezzati dalla Corte di cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguente inammissibilità di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio. Il principio costituisce il diretto precipitato di quello, altrettanto consolidato, per il quale sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099).
3. Il primo motivo allude in modo improprio ad un travisamento della prova. In realtà prospetta la mancanza di accertamento del fatto, logicamente necessario, che l'organizzazione di lavoro non avrebbe consentito -per il numero insufficiente dei dipendenti- la sorveglianza attiva sulla porta di sicurezza; sostanzialmente lamenta un asserito "silenzio" motivazionale in ordine a specifiche osservazioni difensive.
3.1. Il motivo è manifestamente infondato. Il tema dell'assenza di una organizzazione del servizio tale da convincere il A.A. che fosse operante un sistema di sorveglianza visiva, in grado di rilevare l'eventuale accesso degli ospiti alla scala esterna, con apertura della porta di sicurezza al piano, è stato affrontato dal Tribunale sia alla pagina 14 (ove si è ricordata la tesi difensiva, secondo la quale il sistema di sorveglianza visiva era stato previsto dalla società appaltatrice), che alla pagina 17 (ove si è affrontato il tema del contenuto specifico della posizione di garanzia attribuita al ricorrente anche quale RUP e del correlato necessario controllo- da non esercitarsi diuturnamente- sul rispetto degli obblighi di sorveglianza visiva, nonché alla pagina 18 (ove si è affermato che il A.A. non avrebbe potuto confidare sulla esistenza della sorveglianza visiva, come dedotto dalla difesa, in quanto non solo la misura più efficace era sicuramente quella strutturale, ma anche perché non era emerso che il A.A. avesse esercitato il proprio obbligo di vigilanza sulla effettiva adozione di prassi di sorveglianza attiva in prossimità delle scale. In altri termini, la regola cautelare la cui violazione è stata contestata al A.A. è proprio quella di non aver vigilato sulla efficienza del controllo visivo, cosa diversa dall'apprestamento del servizio. E i fatti relativi a tale omissione sono stati diffusamente accertati da entrambe le sentenze di merito.
La sentenza di appello, alla pagina 5, elenca i temi relativi al primo ed al secondo motivo di appello; in particolare, si indica anche il profilo, rilevato al fine di evidenziare la carenza di colpa, dell'affidamento sulla sorveglianza attiva e visiva delle scale, la cui mancanza sarebbe stata solo una supposizione.
Tali temi sono stati sviluppati esplicitamente alla pagina 9 dalla sentenza impugnata che, dopo aver condiviso la decisione di primo grado relativamente all'obbligo del A.A. di vigilare sull'esecuzione dell'appalto, occupando un ufficio all'interno della struttura, ha rilevato: "A.A., peraltro, non poteva fare affidamento sulla sorveglianza visiva perché mancava una telecamera collegata ad un sistema di videosorveglianza che consentisse il controllo dell'uscita di sicurezza, A.A. era anche a conoscenza del numero di addetti impiegati e non vi era personale addetto al controllo della porta di sicurezza rispetto ad un uso improprio, la porta era agevolmente apribile e la scala era accessibile".
Si tratta di valutazione strettamente legata alla ricostruzione del fatto, perfettamente congrua e non rappresentativa di alcun travisamento. Lo stesso ricorrente, con ciò manifestando altro motivo di inammissibilità per genericità, neanche afferma che in realtà era presente ed operante un sistema di sorveglianza visiva sulla porta.
4. È stato quindi pienamente rispettato il principio secondo il quale, qualora la prospettazione difensiva sia estrinsecamente riscontrata da alcuni dati oggettivi, il giudice deve farsi carico di confutarla specificamente, dimostrandone in modo rigoroso l'inattendibilità, attraverso un adeguato apparato argomentativo; il giudice è quindi tenuto ad interrogarsi in merito alla plausibilità di spiegazioni alternative alla prospettazione accusatoria, qualora esse vengano additate dall'oggettività delle acquisizioni probatorie, in ossequio alla regola di giudizio compendiata nella formula deH"'al di là di ogni ragionevole dubbio" (Sez. 6, n. 49029 del 22/10/2014, Leone, Rv. 261220).
Inoltre, quanto alla rilevanza della pendenza presso l'Ente comunale, sin dal 2015, di un procedimento finalizzato alla realizzazione di opere strutturali destinate alla prevenzione degli incendi, deve darsi atto che entrambe le sentenze impugnate hanno messo in evidenza che la posizione di garanzia in concreto generatrice degli obblighi disattesi, è stata assunta dal A.A. nel momento in cui lo stesso, in qualità di direttore responsabile e URP, è stato ex lege e per contratto incaricato di vigilare sull'esecuzione corretta dell'appalto e quindi anche sulla gestione del rischio scala. Non si vede in che modo, a fronte di tale presupposto fattuale concretizzatosi con la stipula del contratto di appalto in data 14 dicembre 2017, possa ritenersi dato decisivo, al fine di escludere la responsabilità penale, il fatto che l'Area Tecnica dei lavori pubblici del Comune avesse iniziato un iter amministrativo finalizzato alla realizzazione di opere di prevenzione degli incendi, rischio diverso da quello relativo alla caduta dalle scale.
5. Anche il secondo profilo del motivo proposto, secondo il quale si sarebbe erroneamente attribuito il valore di conferma dell'inosservanza dell'obbligo di vigilanza sull'esecuzione dell'appalto alla comunicazione che l'imputato ha diretto alla Commissione di vigilanza ASL T03, non supera il vaglio di ammissibilità. Va rilevato che l'intera impalcatura difensiva si fonda sul presupposto che i giudici abbiano travisato il contenuto del proprio obbligo, quale soggetto certamente titolare di una posizione di garanzia, intesa come posizione di chi ha il compito di gestire un determinato rischio.
Sul punto, la sentenza impugnata è pienamente rispettosa dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità. Deve ribadirsi (in termini si veda Sez. 4, del 17 novembre 2022 n. 42032) che è necessario, prima di valutare gli obblighi incombenti sull'imputato e la situazione di rischio che egli era tenuto a gestire, procedere alla valutazione della natura del rapporto esistente tra lo stesso e la vittima e della situazione fattuale sottostante (accertamento la cui necessità è stata richiamata anche in sez. 4, n. 27305 del 4/4/2017, Massetti, Rv. 270105), posto che la posizione di garanzia - che può essere generata da investitura formale o dall'esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante - deve essere individuata accertando in concreto la effettiva titolarità del potere-dovere di gestione della fonte di pericolo, alla luce delle specifiche circostanze in cui si è verificato il sinistro (sez. 4, n. 57937 del 9/10/2018, Ferrari, RV. 274774; n. 38624 del 19/6/2019, B., Rv. 277190; n. 37224 del 5/6/2019, Piccioni, Rv. 277629; n. 19558 del 14/1/2021, Mussano, Rv. 281171).
6. Il ricorrente, continuando la linea seguita in appello, non si confronta con il ruolo che sin dalla sentenza di primo grado gli è stato riconosciuto di soggetto titolare, quale RUP del procedimento relativo al conferimento del servizio in appalto, dell'obbligo di vigilare attentamente sulla corretta esecuzione del contratto medesimo sotto il peculiare profilo della gestione del rischio relativo all'accesso alla scala. È evidente che la fattispecie penale contestata si connota per una sua specifica autonomia, derivata dalle esplicite previsioni di legge in materia di appalti di pubblici servizi e dalla concreta assunzione del rischio in parola, rispetto a quella contestata alla società appaltatrice del servizio medesimo, per cui l'obbligo di protezione gravante sul ricorrente non viene escluso rinviando semplicemente alla concorrente responsabilità degli organi della detta società.
7. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
All'inammissibilità segue, a norma dell'art. 616, c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2024