Cassazione Penale, Sez. 4, 12 luglio 2024, n. 27826 - Processo Montefibre
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. BELLINI Ugo - Presidente
Dott. CALAFIORE Daniela - Relatore
Dott. MICCICHÈ Loredana - Consigliere
Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere
Dott. MARI Attilio - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
A.A. nato a D il (omissis)
B.B. nato a V il (omissis)
C.C. nato a M il (omissis)
avverso la sentenza del 02/05/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA CALAFIORE;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore SILVIA SALVADORI
che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso di C.C. ed il rigetto del ricorso di B.B. e A.A., con le conseguenti statuizioni ai sensi dell'art. 616 c.p.p.
udito il difensore, avvocato MARA LAURA del foro di BUSTO ARSIZIO, in difesa delle parti civili MEDICINA DEMOCRATICA MOV. LOTTA PER LA SALUTE - SOC. COOPERATIVA e ASS. ITAL. ESPOSTI AMIANTO (A.I.E.A.) NAZIONALE che, dopo aver riassunto ampiamente le ragioni chiede il rigetto del ricorso proposto dagli imputati A.A. e B.B. (deceduto) e l'inammissibilità del ricorso di C.C. (deceduto), come da conclusioni e nota spese che deposita.
Udito l'avvocato MARA LAURA, come da nomina a sostituto processuale depositata in udienza, altresì in qualità di sostituto processuale dell'avvocato D'AMICO LAURA del foro di TORINO difensore delle parti civili CAMERA DEL LAV. TERRITORIALE CGIL DEL V, D.D., E.E., F.F., G.G., G.G. quale rappr. del figlio minore H.H., F.F. in qualità di legale rappr. del figlio minore I.I., J.J., K.K., L.L. L.L. in qualità di leg. rappr. della figlia min M.M., N.N., O.O., P.P., Y.Y. in pr. e quale leg. rappr. della figlia min. R.R., S.S. in pr. e quale erede della sig.ra T.T., V.V., W.W., X.X., Y.Y., Z.Z., A.A.A. in pr. e quale erede della sig.ra B.B.B., C.C.C., D.D.D., E.E.E., F.F.F. in pr. e quali eredi di G.G.G., H.H.H., I.I.I., J.J.J. in pr. e quale leg. rappr. del figlio min. K.K.K., L.L.L., M.M.M., N.N.N., O.O.O., P.P.P., Q.Q.Q., R.R.R., S.S.S., T.T.T., U.U.U., V.V.V., W.W.W., D.D., X.X.X., Y.Y.Y., che si riporta alle conclusioni e nota spese depositate in udienza e chiede la conferma della sentenza della Corte di Appello di Torino.
Per C.C., entrambi i difensori di fiducia del foro di Milano avvocato ACCINNI GIOVANNI PAOLO e avvocato BACCAREDDA BOY CARLO depositano note di udienza e chiedono l'estinzione del reato per intervenuta morte del ricorrente prima che la sua condanna diventasse definitiva.
È presente l'avvocato PADOVANI TULLIO del foro di PISA sia in qualità di difensore di fiducia di B.B., Z.Z.Z. entrambi deceduti che in qualità di sostituto processuale dell'avvocato SASSI CARLO e dell'avvocato DE LUCA MARCO entrambi del foro di Milano e difensori di fiducia del ricorrente A.A., come da nomine ex art. 102 c.p.p. depositate in udienza.
L'avvocato PADOVANI, dopo aver esposto ampiamente i motivi di ricorso in particolare riguardo la posizione del A.A., conclude chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
In difesa di B.B. è presente il difensore avvocato ALTANA THOMAS del foro di VERBANIA che, come da nota già inviata mezzo PEC, chiede l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per morte del reo.
Fatto
1. LE IMPUTAZIONI E LE PARTI
1.1 Gli odierni ricorrenti, B.B. e A.A., direttori dello stabilimento di V della Montefibre Spa, il primo dal 28 novembre 1975 al novembre 1976 ed il secondo dal novembre 1976 al luglio 1983, unitamente a C.C. e ad altri imputati componenti del Consiglio di amministrazione o amministratori delegati della medesima società, sono stati tratti a giudizio dinanzi al Tribunale di Verbania, con decreto del 9 marzo 2010, per rispondere dei reati di omicidio colposo e di lesioni personali colpose, aggravati dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.
1.2. Era stato contestato agli imputati, in ragione delle cariche ricoperte in un arco temporale compreso tra l'aprile del 1972 e l'aprile del 1988, di avere cagionato la morte dei lavoratori singolarmente indicati in rubrica, o di avere comunque provocato la malattia professionale di altri lavoratori, a loro volta richiamati nell'imputazione, per colpa consistita nella mancata adozione delle misure che sarebbero state necessarie a tutelare l'integrità fisica dei prestatori di lavoro operanti nello stabilimento "Rhodiatoce - Società Italiana Nailon - Montefibre Spa" di V, nonostante fosse confermata da anni la correlazione tra l'inalazione delle fibre di amianto, cui erano esposti i lavoratori e le patologie dell'asbestosi, del mesotelioma, del tumore polmonare, delle placche e degli ispessimenti pleurici.
Gli imputati, secondo l'imputazione, avrebbero altresì agito in violazione dei precetti contenuti nel D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 377, commi 1 e 2, e 387, nonché nel D.P.R. n. 303 del 1956, artt. 4,19 e 21, omettendo di fornire ai lavoratori mezzi personali di protezione appropriati ai rischi connessi all'esposizione, diretta e indiretta, alle polveri di amianto, minerale largamente impiegato all'interno degli ambienti di lavoro. Sia i datori di lavoro che i dirigenti, inoltre, avrebbero omesso tra l'altro di attuare le misure di igiene previste dal D.P.R. n. 303 del 1956, non rendendo edotti i lavoratori del rischio specifico di inalazione di polveri-fibre di amianto cui erano esposti, non facendo effettuare in luoghi separati, ogni qualvolta ciò fosse possibile, le lavorazioni pericolose o insalubri e non adottando i provvedimenti volti a impedire o a ridurre efficacemente, per quanto possibile, lo sviluppo e la diffusione delle polveri, in relazione all'esecuzione dei lavori che normalmente davano luogo alla formazione e alla dispersione di quella polvere.
1.3. Nel giudizio, si sono costituite parti civili l'Associazione Italiana Esposti Amianto, l'Associazione Medicina Democratica- Movimento per la lotta per la salute, Camera del Lavoro Territoriale CGIL del V e gli eredi delle persone offese decedute in conseguenza delle imputazioni in oggetto, in atti meglio specificate.
2. I precedenti giudiziari rilevanti.
2.1. Il giudizio di cui si discute ha fatto seguito ad altro (ed. "Montefibre 1") a carico dei medesimi imputati, ad eccezione di uno poi deceduto, avente ad oggetto tre ulteriori ipotesi di omicidio colposo di lavoratori, per morte conseguente ad asbestosi, e otto episodi di lesioni derivanti da mesotelioma pleurico ai danni di altrettanti lavoratori del medesimo stabilimento. Nel processo in questione, la sentenza della Corte di appello, che, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva condannato tutti gli imputati, era stata in parte annullata con rinvio da Sez. 4 n. 38991 del 10 giugno 2010, limitatamente ai decessi dei lavoratori morti per aver contratto il mesotelioma pleurico, mentre era stata confermata la statuizione di condanna degli imputati in ordine agli omicidi colposi dei dipendenti affetti da asbestosi, venendo affidato al giudice del rinvio il compito di attenersi al seguente principio di diritto: "nella valutazione della sussistenza del nesso di causalità, quando la ricerca della legge di copertura deve attingere al "sapere scientifico", la funzione strumentale e probatoria di quest'ultimo impone al giudice di valutare dialetticamente le specifiche opinioni degli esperti e di motivare la scelta ricostruttiva ancorata ai concreti elementi scientifici raccolti. Una opzione ricostruttiva fondata sulla mera opinione del giudice attribuirebbe a questi, in modo inaccettabile, la funzione di elaborazione della legge scientifica e non invece, come consentito, della sola utilizzazione".
3. La sentenza di primo grado.
3.1. Con esclusivo riferimento a quanto devoluto al presente giudizio di legittimità, va premesso che, in primo grado, il Tribunale di Verbania, con sentenza del 19 luglio 2011, ha assolto gli imputati dai delitti di lesioni personali colpose consistite in una malattia professionale, asseritamente commessi in danno dei dipendenti A.A.A.A. e J.J., perché il fatto non sussiste, nonché dai delitti loro rispettivamente ascritti di omicidio colposo relativi ai decessi per carcinoma polmonare, perché il fatto non sussiste, e dai delitti di omicidio colposo riguardanti i decessi per mesotelioma e dai reati concernenti le lesioni personali consistite in placche pleuriche/ispessimenti pleurici, per non aver commesso il fatto.
3.2. Secondo il Tribunale, con riferimento alle morti per tumore polmonare, non era stata acquisita certezza processuale circa la derivazione di tale patologia, di origine multifattoriale, dalla esposizione dei lavoratori all'asbesto, stante la condizione di fumatore di quasi tutti i lavoratori, escluso B.B.B.B., rispetto al quale era impossibile comunque escludere l'azione di un fattore alternativo.
3.3 In ordine poi ai decessi causati dai mesoteliomi, pleurici e peritoneali, il Tribunale, pur precisando che doveva ritenersi processualmente provato il ruolo eziologico dell'esposizione dei lavoratori all'amianto presente nello stabilimento, è parimenti pervenuto all'assoluzione degli imputati rispetto a tali eventi, osservando, in particolare, come fossero controverse nel dibattito scientifico la valenza eziologica di tutte le esposizioni, l'esistenza di una relazione che correli l'aumento della incidenza della malattia alla durata dell'esposizione all'agente cancerogeno e l'esistenza altresì del ed. effetto acceleratore, cioè di una proporzionalità inversa tra dose cumulativa e latenza, tale che all'aumentare della dose o della durata dell'esposizione diminuisca la latenza della malattia.
3.4. Infine, rispetto alle lesioni personali, il Tribunale assolveva ugualmente gli imputati, rimarcando come fossero ignote la data o l'epoca di insorgenza delle malattie, non essendovi leggi di copertura sulle autentiche spiegazioni causali.
4. La prima sentenza della Corte di appello.
4.1. Con sentenza del 21 luglio 2015, la Corte di appello di Torino, all'esito di un nuovo esame dei consulenti del P.M. e in accoglimento delle impugnazioni proposte dal P.M. e dalle parti civili, condannava gli imputati alle pene di giustizia con riferimento agli omicidi colposi ascritti loro e alle lesioni personali in danno di J.J., oltre che al risarcimento dei danni, in solido con il responsabile civile Montefibre Spa, in favore delle parti civili costituite, con assegnazione di provvisionali in favore dei prossimi congiunti dei lavoratori deceduti.
4.2. In relazione alle lesioni colpose in danno degli altri lavoratori (C.C.C.C., D.D.D.D., E.E.E.E., F.F.F.F., G.G.G.G. e H.H.H.H.), veniva dichiarata l'estinzione del reato per prescrizione, maturata prima della pronuncia del Tribunale mentre, per il solo reato in danno di I.I.I.I., la Corte territoriale, ritenendo che la prescrizione fosse maturata dopo la sentenza del Tribunale, affermava la responsabilità ai soli effetti civili degli imputati, non sussistendo i presupposti per l'assoluzione.
4.3. La Corte territoriale ha pure dichiarato non doversi procedere nei confronti di J.J.J.J., K.K.K.K. ed L.L.L.L. per essersi estinti, per intervenuta morte degli imputati, i reati di omicidio colposo loro ascritti e quello di lesioni relativo al lavoratore J.J., con conferma dell'assoluzione per le altre imputazioni ai medesimi ascritte.
5. La prima sentenza dì annullamento della Corte di cassazione
5.1. Con la sentenza n. 12175 del 3 novembre 2016, dep. 2017, la Quarta Sezione della Corte di cassazione ha annullato senza rinvio, quanto ai reati ascritti a M.M.M.M., la sentenza impugnata per intervenuta morte dell'imputato ed ha altresì annullato la sentenza della Corte territoriale nei confronti di N.N.N.N., O.O.O.O., P.P.P.P., A.A., C.C., Z.Z.Z., B.B. e del responsabile civile Montefibre Spa, con riferimento all'affermazione della loro responsabilità relativamente ai reati di omicidio colposo, con rinvio alla Corte di appello di Torino, mentre venivano rigettati i ricorsi degli imputati, limitatamente al punto concernente la prescrizione dei reati di lesioni personali colpose dichiarata nei precedenti gradi di giudizio; la sentenza della Corte di appello veniva altresì annullata: con rinvio, limitatamente alle statuizioni civili relative al reato di lesioni personali colpose in danno di I.I.I.I.; senza rinvio, quanto alle statuizioni penali, limitatamente al reato ex art. 590 cod. pen. commesso in danno di J.J., perché estinto per prescrizione, e con rinvio, quanto alle statuizioni civili concernenti il predetto reato.
6. La seconda sentenza della Corte di appello.
6.1. A seguito del giudizio di rinvio, con sentenza del 31 gennaio 2019, la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha assolto tutti gli imputati dal reato contestato in danno di Q.Q.Q.Q., perché il fatto non sussiste; ha rigettato le domande risarcitone avanzate dalle parti civili in relazione alle lesioni patite da I.I.I.I. e J.J., confermando nel resto la sentenza assolutoria di primo grado pronunciata dal Tribunale di Verbania.
6.2 Nel corso del giudizio di rinvio, la Corte di appello ha conferito incarico peritale ai Dottori R.R.R.R. e S.S.S.S. allo scopo di valutare, alla luce della migliore legge scientifica e degli studi che la sorreggono, l'eventuale sussistenza del nesso di causalità avuto riguardo ai decessi e alle lesioni oggetto di imputazione; all'udienza del 12 settembre 2018, è stato acquisito l'elaborato peritale, mentre il 4 ottobre 2018, completato l'esame dei periti, aveva altresì luogo l'audizione dei consulenti del P.M. T.T.T.T. e U.U.U.U., oltre che dei consulenti della difesa, prof. V.V.V.V. e prof. W.W.W.W.
6.3. Ciò posto, il giudice del rinvio, dopo aver richiamato i precedenti esiti processuali, a proposito dei decessi da tumore polmonare (lavoratori X.X.X.X., Y.Y.Y.Y., Z.Z.Z.Z., A.A.A.A.A., R.R.R., L.L.L. e B.B.B.B.), richiamati gli indici sintomatici della riconducibilità della patologia tumorale al polmone all'amianto elaborati dal Consensus report di Helsinki, ha osservato che gli stessi non apparivano sussistenti in nessuno dei casi, anche ove si fosse in presenza di placche pleuriche, perché l'attribuzione del tumore del polmone all'amianto doveva essere sostanziata da una storia lavorativa di consistente esposizione o da misure del carico polmonare di fibre, dovendosi a ciò aggiungere che, nel caso di specie, era mancato un accertamento in concreto sulle condizioni di lavoro dei dipendenti, non potendosi ritenere sufficienti né il dato, proveniente dal processo "Montefibre 1", dell'inquinamento ambientale dello stabilimento di V, né le ulteriori produzioni documentali effettuate dal P.M. relative alle operazioni di bonifica in corso. In ogni caso, i decessi in esame avevano riguardato soggetti con esposizione solo passiva all'amianto, con eccezione di Z.Z.Z.Z., e certamente esposti per anni al significativo fattore di rischio costituito dall'abitudine al fumo.
6.4. Le conclusioni, secondo il giudice del rinvio, erano uguali anche rispetto alla posizione di B.B.B.B., unico soggetto non fumatore, esposto passivamente all'amianto tra gli anni 1953 e 1983, in quanto il rischio di contrarre il tumore al polmone anche nei soggetti non esposti non era pari a zero, né comunque la patologia poteva essere ricondotta con certezza alla condotta degli imputati.
6.5. Il nesso di causalità è stato escluso dalla Corte territoriale anche rispetto ai decessi causati da mesotelioma pleurico (lavoratori Y.Y., A.A.A.A.A., Y.Y., P.P., F.F., D.D., D.D.D., B.B.B.B.B., I.I.I.I. e Q.Q.Q.Q.).
6.6. In particolare, i giudici del rinvio, dopo aver richiamato le conclusioni dei periti, manifestavano adesione alla tesi da loro sostenuta della ed. dose risposta, ovvero della rilevanza causale di tutte le esposizioni anche successive alla prima fino al completamento della fase di induzione, per cui, essendo impossibile stabilire il momento di innesco della malattia, a partire dal quale l'eventuale esposizione del soggetto passivo all'amianto non avrebbe più assunto incidenza causale, diventava importante stabilire, con alto livello di credibilità razionale, se le esposizioni ad amianto riconducibili alla posizione di garanzia degli odierni imputati avessero svolto un ruolo causale tale da potersi sostenere o escludere, con appagante certezza, che l'evento si sarebbe verificato ugualmente anche in assenza della condotta incriminata. La relazione esposizione-risposta, a parità di altre condizioni (tipo di amianto, intensità e durata dell'esposizione) era influenzata anche dal periodo in cui si era verificata l'esposizione e il tempo trascorso dalle esposizioni più remote assegnava ad esse un peso maggiore rispetto a quelle più recenti; la sentenza ha osservato che l'aumento del rischio di contrazione del tumore, riferibile ai singoli imputati, percentualmente individuate dal consulente del P.M., che aveva adottato il modello di Price e Ware, non consentiva di poter affermare che, eliminata la condotta attribuita agli imputati, l'evento storicamente individuato non si sarebbe realizzato o si sarebbe realizzato in epoca successiva, trattandosi di aumenti percentuali di rischio inferiori al 20%, ad eccezione dei lavoratori Y.Y. (40,9%) e P.P. (21,7%). Quanto a Y.Y., la Corte territoriale osservava che la prima posizione di garanzia, ovvero quella assunta da C.C. nel 1972, era intervenuta dopo che il lavoratore era stato esposto sia presso la Montefibre che presso altre società per 16 anni, mentre, quanto a P.P., è stato osservato che la maggior parte degli imputati aveva assunto posizioni di garanzia dopo che lo stesso era stato esposto già da almeno 10 anni, mentre, rispetto ai due imputati in carica in epoca precedente, ovvero C.C., componente del CdA dal 1972 al 1973 e B.B., direttore dello stabilimento dal novembre 1975 al novembre 1976, le percentuali di rischio erano pari, rispettivamente, all'11% e al 5,1%, e dunque erano troppo basse ai fini dell'affermazione della sussistenza della causalità commissiva.
6.7. In definitiva, ritenere che, in assenza delle esposizioni riconducibili agli imputati, la probabilità di contrarre un mesotelioma sarebbe stata ridotta, non varrebbe a dimostrare con alta probabilità logica la qualità di antecedente causale della condotta attribuita agli imputati rispetto all'evento, non potendosi sostenere con certezza che, eliminata la condotta, l'evento non si sarebbe ugualmente realizzato.
6.8. In ordine, infine, alla situazione del lavoratore Q.Q.Q.Q., i giudici del rinvio hanno rilevato che i periti, non essendovi conferma istologica della diagnosi di mesotelioma maligno, non si erano espressi con certezza sulla causa della morte, non propendendo per la diagnosi di neoplasia maligna di probabile origine respiratoria (mesotelioma o tumore polmonare), per cui in tal caso la Corte territoriale è pervenuta alla pronuncia assolutoria degli imputati "perché il fatto non sussiste".
7. La seconda sentenza di annullamento della Corte di cassazione
7.1. Avverso la seconda sentenza della Corte di appello piemontese, hanno proposto ricorso per cassazione sia il Sostituto Procuratore generale presso la Corte di appello di Torino che, tramite il loro comune difensore, le parti civili "Medicina democratica movimento di lotta per la salute" e "l'Associazione italiana esposti amianto nazionale".
7.2. La Sezione terza, con sentenza n. 10209 del 2021, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata, ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen., nei confronti di C.C.C.C.C., per essere i reati estinti per morte dell'imputato, essendosi esaurito il sottostante rapporto processuale ed essendo preclusa ogni possibile pronuncia nel merito. Inoltre, ha considerato dato pacifico la reiterata esposizione alle fibre di amianto dei lavoratori dello stabilimento "Montefibre" di V, risultando ampiamente dimostrato, con documenti e rilievi fotografici, l'impiego e la manipolazione del già menzionato minerale. Parimenti comprovato è stato ritenuto il fatto che numerosi lavoratori dello stabilimento si fossero ammalati nel corso degli anni successivi alla esposizione; alcuni di tumore polmonare, altri di ispessimenti pleurici, altri ancora di mesotelioma pleurico, molti dei quali hanno perso la vita a causa di tali patologie. Altra circostanza non controversa è stata ritenuta quella relativa alle cariche apicali che gli imputati hanno ricoperto, in tempi diversi, nell'ambito dello stabilimento in esame.
7.3. La Sezione terza ha pure dato atto che nei vari giudizi era stato dibattuto il tema della riconducibilità delle patologie sofferte dai lavoratori all'esposizione all'amianto nello stabilimento, nei periodi in cui gli imputati avevano ricoperto cariche gestionali. Tale questione era stata lungamente affrontata nella sentenza rescindente sulla falsariga di una elaborazione giurisprudenziale ormai consolidatasi, soprattutto a partire dalla sentenza "Cozzini" (Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Rv. 248943).
7.4. La Sezione terza ha riscontrato nella sentenza impugnata, le seguenti criticità:
- in primo luogo risulta posta a revisione critica la valutazione degli esperti; era mancata una adeguata valutazione non solo del livello di attendibilità delle tesi scientifiche acquisite, ma anche e soprattutto del grado di indipendenza degli esperti che le avevano sostenute, dovendosi rimarcare che la presenza di tesi antagoniste non è di per sé motivo sufficiente per escludere l'esistenza di una spiegazione causale uniforme, essendo necessario verificare la portata e l'autorevolezza delle opinioni discordanti;
- nel corso del giudizio di rinvio, inoltre, era stato conferito un incarico peritale a due esperti, le cui conclusioni, spesso sovrapponibili a quelle dei consulenti del P.M., erano poi state in larga parte disattese, senza adeguata spiegazione delle ragioni che avevano spinto i giudici di secondo grado a ritenere preferibili le contrarie deduzioni dei consulenti della difesa, dovendosi sul punto precisare che la verifica di autorevolezza e indipendenza non riguarda, ovviamente, solo i periti e i consulenti del P.M., ma coinvolge nella stessa misura anche gli esperti indicati dalla difesa. In particolare, l'incarico peritale conferito ai dottori R.R.R.R., medico chirurgo, specialista in medicina del lavoro e dottore di ricerca in medicina del lavoro e igiene industriale, e S.S.S.S., biologa, specialista in igiene e sanità pubblica, dottore di ricerca in sanità pubblica, entrambi in servizio presso la Clinica del lavoro, aveva compreso anche il quesito finalizzato ad accertare, "alla luce delle diagnosi dei lavoratori deceduti per tumore polmonare nonché di quella effettuata con riferimento alle lesioni, delle modalità e dei tempi di insorgenza della malattia che poi li conduceva alla morte, se le lesioni e le morti dei lavoratori di cui alle imputazioni possano ricondursi, con elevato grado di credibilità razionale, all'effetto sinergico o concausale dell'esposizione ad amianto con altri eventuali fattori di rischio, e ciò anche alla luce delle modalità di svolgimento dell'attività e all'intensità e durata dell'esposizione";
- il discostamento dalle conclusioni dei periti e la condivisione delle tesi dei consulenti della difesa, secondo cui i rischi correlati a esposizioni cumulative modeste siano molto bassi, non risultavano adeguatamente argomentate, mancando sia un riferimento alla maggiore o minore attendibilità degli studi che sorreggono le tesi antagoniste, sia un richiamo al grado di indipendenza e di autorevolezza degli esperti;
- la Corte territoriale, inoltre, nel richiamare il Consensus di Helsinki del 1997, non aveva spiegato se il mancato accertamento degli indici di attribuibilità delle patologie tumorali alle posizioni di garanzia che si erano succedute nella gestione dello stabilimento, era dipeso da una verifica concreta in tal senso o piuttosto da un'omessa indagine, fermo restando che l'elencazione degli indici non aveva affatto carattere tassativo;
- i giudici del rinvio non avevano adeguatamente chiarito le ragioni per cui lo studio "Synergy", sulla portata degli effetti sinergici tra fumo e amianto più volte richiamato dai periti, non fosse stato ritenuto meritevole di considerazione, sebbene scaturito da una ricerca più recente, promossa su scala internazionale;
quanto poi alle condizioni di lavoro dello stabilimento, non erano state chiarite le ragioni per cui non fossero state ritenute sufficienti le prove documentali prodotte dal P.M., e soprattutto i dati provenienti dal procedimento "Montefibre 1", con riferimento all'inquinamento ambientale dell'opificio;
- non era stata posta adeguata attenzione al fatto che due dei lavoratori deceduti avevano subito un'esposizione diretta alle fibre di amianto, con evidenti ripercussioni sul maggior rischio di contrazione del tumore;
- quanto all'origine multifattoriale del tumore al polmone, era tuttavia innegabile che la multifattorialità della malattia non era di per sé motivo sufficiente per eludere la ricerca del nesso causale, solo in base all'astratta possibilità di rinvenire una spiegazione eziologica alternativa, perché, così ragionando, si finirebbe con il rendere inutile ogni indagine su un evento che in astratto può avere più cause. Del resto, la mancanza di un sapere scientifico che sia in grado di formulare una legge di copertura con il carattere della universalità, non può valere di per sé a fermare l'accertamento sul nesso causale, avendo la nota sentenza "Franzese" (Sez. U. 30328 del 10/07/2002, Rv. 222138), ma anche la successiva elaborazione giurisprudenziale (cfr. ex plurimis, Sez. 4, n. 17523 del 26/03/2008, Rv. 239542, Sez. 4, n. 33311 del 24/05/2012, Rv. 255585, Sez. 3, n. 5460 del 04/12/2013, dep. 2014, Rv. 258847 e Sez. 4, n. 9695 del 12/02/2014, Rv. 260159), affermato il condiviso principio secondo cui il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa, ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo, ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o anche con minore intensità lesiva. Dunque, nulla escludeva che anche coefficienti medio - bassi di probabilità c.d. frequentista per tipi di evento, rivelati dalla legge statistica, se corroborati dal positivo riscontro probatorio, condotto secondo le cadenze tipiche della più aggiornata criteriologia medico - legale, accompagnati da una verifica in ordine alla non incidenza di ulteriori fattori interagenti in via alternativa, possano essere utilizzati per il riconoscimento giudiziale del necessario nesso di causalità tra condotta ed evento. Pertanto, escluso che si elevino a schemi di spiegazione del condizionamento necessario solo leggi scientifiche universali e quelle statistiche che esprimano un coefficiente probabilistico "prossimo a 1", cioè alla "certezza", occorre riferirsi al ragionamento inferenziale dettato in tema di prova indiziaria dall'art. 192 cod. proc. pen., comma 2, e alla regola generale in tema di valutazione della prova di cui al comma 1 della medesima disposizione e alla ponderazione, ma non all'acritico accoglimento, delle ipotesi antagoniste, in modo che, "esclusa l'interferenza di decorsi alternativi, la condotta omissiva dell'imputato, risulti condizione "necessaria" dell'evento, attribuibile perciò all'agente come fatto proprio.
- Di qui la necessità di annullare la sentenza impugnata sul punto concernente la valutazione del nesso causale rispetto ai decessi da tumore polmonare, con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Torino.
- Limitatamente ai decessi di Y.Y.Y.Y., A.A.A.A.A. e Z.Z.Z.Z., tuttavia, l'annullamento ai fini penali è stato disposto senza rinvio, perché nelle more i reati si erano estinti per prescrizione (il 2 dicembre 2017, rispetto alla posizione di Y.Y.Y.Y., l'8 ottobre 2016, in ordine alla posizione di A.A.A.A.A. e il 24 agosto 2015, rispetto alla posizione di Z.Z.Z.Z.), per cui, con riferimento a tali posizioni, il rinvio, agli effetti civili, è stato operato dinanzi al giudice civile competente per valore in grado di appello.
- Quanto ai casi di mesotelioma pleurico, riguardanti dieci lavoratori dello stabilimento, la Sezione Terza ha rilevato che la Corte di appello si era discostata dalle conclusioni dei periti circa la riconducibilità agli imputati delle esposizioni ad amianto rilevanti. Il giudice del rinvio, pur riconoscendo il principio della rilevanza causale di tutte le esposizioni avvenute durante la fase dell'induzione e prima della latenza clinica (individuata in un arco temporale di 10 anni prima della diagnosi), ne aveva tuttavia ridimensionato l'impatto pratico, richiamando un modello di computo, quello di Price e Ware, che era stato introdotto dai consulenti della Procura sebbene lo stesso fosse diretto ad una ripartizione della percentuale di rischio tra gli autori dell'illecito nell'ottica della liquidazione dell'indennizzo in sede civile.
Nella sentenza impugnata non erano state inoltre rappresentate, con adeguata trama motivazionale, le ragioni per cui le esposizioni alle fibre di amianto dei lavoratori, in relazione ai singoli periodi di responsabilità, erano state eziologicamente riconosciute irrilevanti nella progressione delle malattie, imponendosi quindi l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Torino per nuovo esame.
Il giudizio del rinvio avrebbe dovuto quindi nuovamente esaminare, sia rispetto ai tumori polmonari che ai casi di mesotelioma pleurico, il tema del nesso di causalità tra le esposizioni alle fibre di amianto e le malattie professionali riscontrate, tenendo conto delle differenti problematiche che pongono i casi affrontati. Nell'accertamento del legame eziologico tra le condotte degli imputati e l'insorgere delle patologie, il giudice del rinvio avrebbe dovuto confrontarsi adeguatamente con tutte le evidenze scientifiche disponibili, previa verifica non solo dell'attendibilità e della condivisione degli studi che le sorreggevano, ma anche del grado di indipendenza e professionalità degli esperti che avevano veicolato il sapere tecnico nel processo.
8. La terza sentenza della Corte d'Appello.
8.1 Con la sentenza qui impugnata, del 2 maggio 2023, la Corte di appello di Torino in sede di rinvio, dopo aver rilevato che nel corso del giudizio erano deceduti gli imputati Ce. e Va., per cui i reati a loro imputati risultavano estinti per intervenuta morte degli imputati medesimi, ha dato atto che il C.C. era deceduto dopo due giorni dalla data della decisione, successivamente alla lettura del dispositivo, per cui non era possibile pronunciare l'estinzione del reato per morte del reo.
8.2. Inoltre, la Corte territoriale ha svolto le seguenti osservazioni:
-le acquisizioni probatorie potevano trarsi dalla sentenza Montefibre 1, già vagliata nei precedenti gradi di giudizio, in applicazione del dettato dell'art. 238 bis cod. proc. pen., oltre che dagli ulteriori elementi probatori acquisiti nell'indagine dei periti, svolta in relazione ai periodi di esposizione all'amianto dei singoli lavoratori occupati nello stabilimento, che completano il quadro probatorio sulla presenza del cancerogeno nello stabilimento RHODIATOCE-MONTEFIBRA di V nel periodo di esposizione dei lavoratori rispetto al quale gli imputati hanno ricoperto i ruoli e le cariche di cui alle imputazioni;
- avendo i singoli imputati assunto la qualifica loro ascritta, dalla quale deriva la posizione di garanzia, per un periodo ristretto rispetto all'arco temporale nel quale i singoli lavoratori erano stati esposti all'amianto, la verifica dell'efficienza causale della condotta andava esaminata in ragione della successione delle diverse posizioni di garanzia, sulla base dell'art. 41 cod. pen. dovendosi verificare, in applicazione del principio dell'equivalenza delle concause, l'eventuale intervento di fattori causali autonomi interruttivi del rapporto di causalità;
- andava quindi svolto l'accertamento, rimesso al giudice del rinvio, utilizzando i risultati della perizia conferita ai dottori R.R.R.R. e S.S.S.S., nel contraddittorio delle parti, chiarendo e puntualizzando le conclusioni assunte attraverso il richiamo articolato e la illustrazione critica delle posizioni scientifiche assunte e condivise dalla comunità scientifica internazionale;
- quanto alla presenza dell'amianto, ai sensi dell'art. 238 bis cod. proc. pen., come già affermato dalla Sez. 4 n. 12175 del 2017, prima sentenza di annullamento, doveva ritenersi provato mediante rinvio a Sez. 4, n. 38991 del 2010 (Montefibre 1) il fatto storico della presenza massiva del cancerogeno dell'amianto nello stabilimento in oggetto. L'indagine peritale in ordine al decesso dei lavoratori occupati nello stabilimento nel periodo in esame, avvenuto per tumore polmonare e mesotelioma, di cui erano state ricostruite le storie cliniche e quelle lavorative, aveva confermato attraverso fonti dichiarative e documentali tale presenza. L'amianto era stato ampiamente utilizzato quale coibentante delle tubazioni e condotte correnti nell'area di produzione, oggetto di sistematici interventi di manutenzione eseguiti senza la fermata degli impianti ed alla presenza dei lavoratori impegnati nelle proprie attività. Ciò era stato confermato anche dai dati relativi alla bonifica effettuata in epoca successiva, che aveva confermato la massiccia presenza del cancerogeno, le cui fibre erano diffuse per aerodispersione;
- quanto al nesso eziologico tra esposizione all'amianto ed insorgenza delle patologie neoplastiche, la Corte territoriale ha osservato che la condotta complessivamente contestata agli imputati involgeva, sul piano generale, la tematica della causalità nei reati commissivi ed omissivi colposi e, nello specifico, l'impiego delle leggi scientifiche e statistiche non improntate a criteri di certezza nonché di quelle a base epidemiologica;
- quindi, riprodotte le regole codificate nell'art. 40, comma primo e secondo, cod. pen., nonché nell'art. 41 cod. pen., evidenziata la necessità della ricerca della copertura della legge scientifica universale o statistica per collegare la condotta all'evento, nonché l'incidenza del tema a seconda che si tratti di reati omissivi propri od impropri, la Corte ha illustrato da un punto di vista generale il tema delle fonti della posizione di garanzia, al fine di individuare l'origine dell'obbligo di impedire l'evento. Ha quindi trattato il tema della delega di funzioni e dell'inquadramento della causalità commissiva e della causalità omissiva nel panorama giurisprudenziale, soffermandosi sulla equivalenza delle concause e dei fattori interruttivi della causalità, con particolare riguardo ai reati di omicidio colposo.
- la Corte territoriale, rilevata la necessità di avvalersi dell'opera dei periti, considerando che la condotta contestata aveva natura sia commissiva (acquisto ed impiego del cancerogeno), che omissiva (violazione di regole cautelari generiche e specifiche), che mista (programmazione ed esecuzione di manutenzione in presenza di tutti i lavoratori), ha rilevato che tutti i lavoratori, indipendentemente dalle mansioni, erano stati soggetti alla medesima forma di inalazione, giorno dopo giorno, nonostante il succedersi delle persone titolari di posizioni di garanzia;
- da ciò, la considerazione della rilevanza nella produzione dell'evento malattia del disposto dell'art. 41 cod. pen. e della equivalenza delle cause, in mancanza di prova del carattere esclusivo di una sulla altre, in relazione alla successione della titolarità delle posizioni di garanzia. Nella ricostruzione del nesso eziologico tra condotta contestata ed evento, in applicazione della pronuncia a S.U. 20 febbraio 2002 n. 30328, si imponeva la verifica della causalità generale, secondo una legge scientifica affidabile, e della causalità individuale, ossia l'esclusione di altre possibili spiegazioni dell'evento, per giungere alla conclusione che, con ragionevole certezza, la condotta ascritta all'imputato abbia in effetti cagionato l'evento. Secondo la sentenza Cozzini, inoltre, l'enunciato probabilistico andava inteso nel senso che la relazione causale ricorre non in tutti i casi, ma in una definita percentuale di essi. La probabilità logica, che identifica l'evento in concreto, non va confusa con quella statistica, che descrive il tipo di evento, e la prima va depurata da derive apodittiche;
- in particolare, quanto alla relazione tra esposizione alla sostanza e l'insorgenza del mesotelioma, la consulenza disposta aveva evidenziato il carattere mono-fattoriale dell'origine del mesotelioma e ciò costituiva, secondo i periti, convincimento diffuso e definitivo della comunità scientifica internazionale. Quanto poi alla disamina della incidenza causale del periodo di esposizione, la sentenza ha fatto riferimento alla necessità di individuare, nel periodo di esposizione: I) la fase della esposizione iniziale al cancerogeno; II) la fase della induzione; III) quella della latenza vera o fase preclinica; IV) la fase della latenza clinica o della sopravvivenza. Ciò era stato rilevato dalla letteratura scientifica consolidata (erano stati citati gli studi di C ed altri del 2008, R ed altri del 2008 e del 2012). Il punto critico era stato individuato dalla letteratura nella fine della induzione, quando la malattia viene definitivamente innescata, nel senso che il cancro inizia la sua crescita irreversibile, dando luogo alla fase della latenza. Secondo gli studi citati, condivisi dalla maggior parte della comunità scientifica e consolidati a livello internazionale, doveva ritenersi eziologicamente rilevante tutto il periodo di esposizione al cancerogeno, compreso tra l'inizio dell'esposizione e il momento dell'induzione. Si è dato atto che non era altrettanto condivisa l'opinione secondo cui il ruolo causale potesse riconoscersi anche all'esposizione nella fase preclinica;
- quanto agli apporti epidemiologico-statistici all'analisi dei tempi di induzione, la sentenza ha richiamato le diverse modalità di approccio per individuare i tempi della fase di latenza, intesa come periodo trascorso dalla prima esposizione alla comparsa dei sintomi; ha rilevato che tutte le date ed i periodi considerati sono variabili da individuo a individuo, e che la latenza era riferibile a decenni (30 o 40 anni). Nel caso della latenza del mesotelioma, la letteratura scientifica più consolidata, menzionata dai periti e discussa in dibattimento (T 1997 W ed altri, 2014) già individuata in dieci anni. Inoltre, l'inizio dell'induzione non coincide con l'inizio irreversibile della malattia, ma solo con l'inizio di una serie di eventi potenzialmente reversibili, al cui termine inizia l'innesco irreversibile del processo patologico. Allo stato attuale delle conoscenze, il momento iniziale della induzione non è determinabile, ma in epidemiologia viene fatto coincidere con l'inizio dell'esposizione. Quanto alla fine delia fase di induzione, in ragione del l'insorgenza della malattia, le attuali conoscenze non sono in grado di identificarne il momento iniziale. In epidemiologia, si utilizza il sistema del lag o finestre di esposizione, cercando di stabilire in via statistica il tempo di induzione più probabile. Se il momento di inizio dell'induzione coincidesse con quello dell'esposizione, il momento di fine dell'induzione risulterebbe dalla differenza tra il tempo dalla prima esposizione e la durata della fase preclinica, se fosse nota. Nella letteratura viene riportato per il mesotelioma un dato di latenza vera di 22,6 anni, basato su un dato di raddoppiamento cellulare e sul numero di raddoppiamenti necessari per raggiungere un diametro di 10 mm. cubi;
- altra questione rilevante era quella del ed. effetto acceleratore, cioè della accelerazione alla evoluzione della malattia ed all'avvicinamento della morte attribuibile a ciascuna frazione di esposizione. La sentenza, dopo aver citato gli studi sottesi alla teoria del ed. rischio relativo, ha riferito che esistono studi decennali che hanno dimostrato incontrovertibilmente che l'esposizione all'amianto aumenta il rischio di mesotelioma e di tumore polmonare (W.W.W.W. e S, 1996, IARC 2012, M ed alt. 2015). Ne consegue che l'esposizione al cancerogeno dell'amianto determina l'accelerazione del momento di insorgenza della malattia e o del decesso (in tal senso le conclusioni del III Consensus Conference sul mesotelioma della pleura (M ed altri 2015). La quantificazione dell'anticipazione è stata calcolata con ricorso a formule ottenute confrontando le curve in verticale, relative a gruppi di soggetti esposti e non esposti. Alle pagine da 103 e 104, la sentenza descrive i diversi metodi riferiti dai consulenti in quanto emersi in letteratura. Viene quindi descritta la teoria della trigger dose, per criticarla, con il riferimento alla tesi consolidata di T e U.U.U.U. del 2016, posto che per tutti i tipi di tumore sono eziologicamente rilevanti tutte le esposizioni avvenute nel periodo di induzione e fino alla sua fine, come insegnato dalla teoria multistadio e delle esposizioni cumulative, oramai definitivamente accolta. Il carattere bio-persistente dello specifico canceroso dell'amianto prolunga l'effetto nocivo oltre la fine dell'esposizione lavorativa, estendendo il periodo di induzione, per questo, i casi di mesotelioma si sono ritenuti correlati anche a basse esposizioni (T 1997, W et al. 2014) e non vi sono dubbi circa la relazione tra esposizione e risposta. Alle pagine da 106 a 109, la sentenza richiama la letteratura citata in proposito della discussione scientifica in ordine all'analisi separata della intensità e della durata che dimostrano la netta prevalenza della tesi della esposizione cumulativa, corroborata dagli studi epidemiologici;
- viene quindi esaminata la posizione di ciascun lavoratore, sia per la sua storia clinica che lavorativa e rilevata la presenza di un periodo di esposizione che determina, in applicazione della teoria multistadio, la prova del nesso causale tra esposizione ed evento. In particolare, al paragrafo 4.1.2. la Corte elabora le conclusioni peritali in ordine ai decessi per mesotelioma, sostanzialmente dando atto che, secondo i consulenti ed in adesione alla teoria multistadio e dell'effetto cumulativo, sulla base della storia clinica e della storia lavorativa dei singoli lavoratori deceduti, si doveva evidenziare come nelle indagini epidemiologiche considerate negli studi di riferimento, la stragrande maggioranza dei casi non si sarebbe mai verificata in assenza di amianto e, pertanto, assodata la relazione tra esposizione ad amianto ed anticipazione del tempo di insorgenza del mesotelioma, concludevano che tutte le esposizioni ad amianto subite da individui nei vari periodi lavorativi hanno rilievo causale. Ciò in base a leggi scientifiche di carattere generale sopra richiamate e discusse nell'elaborato peritale ed in sede di esame dibattimentale, nonché fondate su imprescindibili studi epidemiologici. In particolare, ciò doveva ritenersi per i lavoratori indicati nel capo di imputazione ad eccezione di Q.Q.Q.Q., per il quale la revisione dei vetrini non aveva confermato la diagnosi di mesotelioma, ma piuttosto quella di neoplasia maligna di probabile origine respiratoria. Quanto al lavoratore I.I.I.I., poteva confermarsi la diagnosi di placche pleuriche da esposizione ad amianto. Ad avallo di tali conclusioni, quanto al fondamento scientifico della legge generale, i periti avevano fatto riferimento alle conclusioni cui erano giunti i massimi esperti riunitisi nella II e nella III Conferenza di Congresso italiana sul mesotelioma maligno, nonché di quanto riportato sul Quaderno del Ministero della Salute n.15, prodotti agli atti del processo e che annovera le opinioni dei massimi esperti (U.U.U.U., S.S.S.S. più altri omessi). La III conferenza di consenso del 2015 aveva avallato la teoria multistadio e della dose cumulativa ed il consenso espresso dalla conferenza italiana sul mesotelioma non era isolato nel panorama multidisciplinare.
- Quanto alla relazione causale tra esposizione all'amianto e tumore polmonare, la sentenza dà atto che, dalla natura multifattoriale del tumore e rilevata la discussione sul punto svolta dalle difese, con particolare riguardo alla causa derivante dal fumo di sigaretta, i periti avevano fatto riferimento agli studi R 2012, che avevano concluso per l'affermazione di una sinergia ed interazione tra le due cause.
La storia clinica e lavorativa dei lavoratori indicati nel capo di imputazione, elaborata attraverso l'opera del consulente ausiliario Mu. anatomopatologo di chiara fama, aveva avuto ad oggetto la storia anche dei lavoratori indicati per i reati non più oggetto di giudizio, ma utili ai fini di studio ed aveva consentito di formulare, al paragrafo 4.2.2, conclusioni nel senso della conferma della diagnosi di tumore polmonare che aveva condotto al decesso, nonché dell'effetto sinergico tra l'esposizione all'amianto, importante e prolungata per periodi dai 10 ai 34 anni, di tipo indiretto e diretto, ed il fumo di sigaretta, con incremento più che moltiplicativo del rischio di insorgenza del tumore al polmone, con la conseguenza che tutti i periodi di esposizione avevano assunto rilievo causale nella determinazione dell'evento morte;
-ai paragrafi 4.3 a 4.4, la sentenza evidenzia le ragioni della propria adesione alle conclusioni dell'elaborato peritale, indicando il metodo seguito dai due esperti e la qualità di competenza ed indipendenza dimostrata dai medesimi e specificando i singoli passaggi a supporto della detta adesione. Al paragrafo 4.5, la Corte territoriale ha descritto e riconosciuto il legame eziologico tra le condotte degli imputati ed il decesso dei lavoratori per mesotelioma e tumore polmonare sulla base del principio della equivalenza delle cause, con specifica attenzione alla posizione in concreto assunta dagli imputati ed alla vicenda di ciascun lavoratore;
- in ragione di tale positivo accertamento, la Corte di appello ha poi verificato la sussistenza dei profili di colpa in capo agli imputati descrivendo i contenuti delle rispettive posizioni di garanzia all'interno della struttura societaria complessa, con particolare riferimento alla posizione di C.C., di B.B. e di A.A., ed ha tratteggiato gli specifici profili di colpa, anche specifica, oggetto di imputazione al paragrafo 5.3. Sulla base della evoluzione delle fonti scientifiche, le fonti legislative si erano adeguate, imponendo il rispetto di regole cautelari in presenza di attività esponenti al pericolo di esposizione. In relazione a ciascun imputato (paragrafo 5.4), anche considerando gli approdi della sentenza Montefibre 1, era rimasto accertato il ruolo rispettivamente ricoperto, nonché il tipo di lavorazione (nailon) che aveva comportato, per l'alta temperatura, l'uso dell'amianto per la coibentazione degli impianti, con la necessità di frequenti interventi manutentivi e consequenziale aerodispersione delle polveri di amianto nei locali produttivi, senza l'adozione di misure di contenimento e protezione in favore dei lavoratori e senza interrompere il ciclo produttivo nei reparti interessati, con grave e continua violazione dell'art. 21 D.P.R. n. 303 del 1956, dell'art. 4 D.P.R. n. 303 del 1956 prima della entrata in vigore del D.Lgs., n. 81 del 2008. Sono pure stati esaminati i profili degli obblighi derivati agli imputati e segnatamente ai direttori di stabilimento in ordine all'attività di stimolo rispetto all'organo amministrativo di vertice per l'adozione delle misure di sicurezza necessarie, senza che ciò determinasse esonero da responsabilità per il medesimo, in ragione per effetto derivante dall'adozione del sistema delle deleghe. Gli ordini di servizio n. 320 dell'11 maggio 1977 e n. 309 del 10 luglio 1981 non contenevano infatti alcun riferimento a competenze in materia di igiene e sicurezza del lavoro. L'ordine di servizio n. 433 del 1 gennaio 1984, relativo all'imputato Pece, era privo di contenuti e non precisava i necessari poteri di spesa e gestionali, come anche il n. 233 del 16.12.1974. I direttori di stabilimento, B.B. e A.A., erano presenti nello stabilimento e quindi erano nella condizione, quali dirigenti, di informare i dipendenti sui rischi derivanti dalle mansioni ad essi assegnate e fornirli dei necessari dispositivi di protezione, con posizione di garanzia normativa e funzionale;
- la Corte territoriale, al paragrafo 6, ha esaminato il tema della prescrizione dei reati, ritenendo prescritti i reati relativi ai lavoratori Br., R.R.R., B.B.B.B., Tr., Y.Y., A.A.A.A.A. e D.D.D. Inoltre, sempre facendo applicazione del principio espresso da S.U. n. 40986 del 2018, in materia di successione di leggi penali in reati ove l'evento si verifichi a notevole distanza dalla cessazione della condotta, ha ritenuto non prescritti i reati relativi ai lavoratori Y.Y., P.P., F.F., D.D. e B.B.B.B.B., per cui andava in definitiva affermata la responsabilità penale a carico di C.C., A.A. e B.B.
Seguivano le statuizioni civili e sulle spese consequenziali.
9. L'odierno ricorso per cassazione
9.1. Avverso tale sentenza, con l'esplicita esclusione dei punti relativi alla declaratoria di prescrizione, hanno proposto ricorso B.B. e A.A., a mezzo dei loro difensori, sulla base dei seguenti motivi, sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.:
- Con il primo motivo, si deduce la nullità della sentenza impugnata per contraddittorietà della motivazione, in relazione alla ricostruzione delle condotte degli imputati. Si sostiene anche l'erronea applicazione della legge penale sub specie della qualificazione della condotta rispetto al paradigma di cui all'art. 41 cod. pen., commi 1 e 2. In particolare, si critica l'appiattimento, privo della necessaria individualizzazione, della posizione di ciascun imputato all'interno dell'effettivo contesto storico ed ambientale che, nei precedenti giudiziari relativi al medesimo stabilimento, aveva comportato ben altri specifici accertamenti, con esiti del tutto diversi. Anche l'erronea commistione tra condotta attiva ed omissione, già censurata dalla prima sentenza rescindente, era stata reiterata in questa sede. Così si era proceduto a parificare illegittimamente le posizioni degli imputati, nonché quelle delle persone offese, sempre attraverso il richiamo a Montefibre 1, ma senza procedere ad una analitica operazione di raffronto con le singole posizioni lavorative. Da ciò era derivato un totale fraintendimento dell'istituto del concorso di cause e la configurazione di una sorta di responsabilità penale collettiva della persona giuridica, con evidente confusione del piano della causalità oggettiva con quello della causalità della colpa nei reati omissivi.
- Con il secondo motivo, si deduce la contraddittorietà della motivazione, anche sub specie del travisamento della prova risultante dal testo della sentenza impugnata e dagli altri atti del processo specificamente indicati, in ordine all'accertamento del nesso causale tra esposizione all'amianto e morte per mesotelioma pleurico; in particolare, il motivo evidenzia che entrambe le sentenze rescindenti hanno applicato il principio, imprescindibile nella ricerca della causalità del mesotelioma, che impone la individuazione di una legge scientifica di copertura esplicativa delle coordinate temporali del processo cancerogenetico della malattia, richiesto dalla sentenza Cozzini. Si evidenzia che la sentenza impugnata, pur condividendo l'assunto delle sentenze rescindenti circa la necessità di definire il periodo di induzione, al fine di scandire il rilievo dei singoli periodi di esposizione nei casi di avvicendamento di diversi garanti, ha riconosciuto che, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, non è possibile determinare né il momento iniziale del processo cancerogenetico, né il termine finale dell'induzione. Per colmare la lacuna, la Corte territoriale aveva calcolato a ritroso i periodi di esposizione, antecedenti il decennio dalla data della diagnosi. Ma ciò aveva fatto senza indicare la fonte di una siffatta operazione che, se fosse sorretta da qualche ipotesi scientifica, provocherebbe la smentita della Consensus Conference di Helsinki del 1997, che ha riconosciuto come non esista esperienza di mesotelioma intervenuta prima di dieci anni dall'inizio della esposizione. Ma ciò indica che il termine decennale della latenza minima serve semplicemente a stabilire quali esposizioni, in quanto successive, risultino irrilevanti e non a stabilire quali di quelle precedenti lo siano. Il motivo confuta anche i profili della motivazione con i quali si è inteso avvalersi della teoria dell'effetto acceleratore e della ed. teoria multistadio per spiegare il processo della malattia, richiamando la giurisprudenza di legittimità in proposito. Nonché l'inadeguatezza di ricorrere alla formula di Berry, fondata su criteri puramente epidemiologici per fornire spiegazioni utilizzabili a livello individuale. Anche i contenuti dello studio riferito al Quaderno del Ministero della Salute erano stati letti in modo parziario e fuorviante, come emerso in altra vicenda esaminata nella giurisprudenza della Corte di cassazione. Uguale contraddizione interna riguarderebbe la questione della clearance.
- Con il terzo motivo, si deduce la violazione dell'art. 627, comma 3, cod. proc. pen. per il mancato adeguamento della sentenza impugnata ai principi di diritto emessi dalle sentenze rescindenti in tema di accertamento del nesso di causalità; violazione dell'art. 40 cod. pen., erronea applicazione della legge penale, così come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità, nella ricostruzione del nesso causale fra condotta degli imputati ed evento morte in conseguenza del mesotelioma; illogicità e contraddittorietà della motivazione nella ricostruzione del nesso causale secondo il corretto metodo scientifico, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità e segnatamente da Sez. 4, n. 43786 del 17 settembre 2010, Cozzini;
- Con il quarto motivo, si deduce la nullità della sentenza per violazione ed inosservanza degli artt. 27 Cost., 42 e 43 cod. pen. artt. 21 D.P.R. n. 303/1956 e 2087 cod. civ., in relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo colposo nei reati contestati; nullità per carenza o comunque manifesta illogicità della motivazione in relazione all'affermazione della responsabilità per colpa di cui al precedente profilo;
- Con il quinto motivo, si deduce la nullità della sentenza per erronea applicazione di legge o comunque carenza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta posizione di garanzia in capo a A.A. e B.B. Si sostiene che la sentenza impugnata sarebbe viziata da illogica motivazione, in ragione del fatto che non avrebbe ritenuto rilevante, ai fini della ricostruzione delle posizioni di garanzia di A.A. e B.B., l'ordine di servizio n. 233 del 16 dicembre 1974, che aveva confermato l'ordine di servizio n. 216 dei 7 ottobre 1974. Tali documenti organizzativi, avevano modificato radicalmente il quadro delle responsabilità all'interno dello stabilimento, con la conseguenza che alla figura del Direttore di stabilimento non era più demandata la funzione di Igiene- Medicina- Sicurezza del Lavoro.
10. Il Procuratore Generale, nella persona del Sostituto Procuratore Silvia Salvadori, ha depositato requisitoria scritta, con la quale ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
Gli avvocati Accinni e Baccaredda Boy hanno depositato nota, quali difensori nel giudizio di appello di C.C., evidenziando l'avvenuto decesso dell'imputato il 4 maggio 2023, in epoca successiva alla pronuncia della sentenza, ma precedente al deposito della motivazione e, pur nella impossibilità di costituire il rapporto processuale dinanzi al giudice di legittimità, venuta meno la procura in conseguenza della morte del proprio rappresentato, hanno sollecitato l'adozione della relativa pronuncia di non doversi procedere per estinzione del reato a seguito dell'intervenuto decesso dell'imputato con caducazione delle statuizioni civili.
I difensori di B.B. hanno depositato certificato di morte dell'imputato nelle more del giudizio di legittimità.
Diritto
1. La posizione di B.B.
1.2. In via preliminare, va rilevato che, come documentato mediante produzione del relativo certificato di morte, il ricorrente B.B. è deceduto in data 15 dicembre 2023 e pertanto in data successiva alla proposizione del ricorso e prima della definizione del giudizio in sede di legittimità. Tanto determina l'estinzione dei reati ad esso ascritti per morte dell'imputato; consegue l'annullamento senza rinvio, con pedissequa formula, della sentenza impugnata.
2. La posizione di C.C.
2.1. Sempre in via preliminare, va pure osservato che non può qualificarsi come ricorso, ma come mera segnalazione, l'atto depositato dagli avvocati Giovanni Paolo Accinni e Carlo Baccaredda Boy, già difensori di C.C., deceduto il 4 maggio 2023, due giorni dopo la lettura del dispositivo della sentenza impugnata, con il quale si chiede di assumere le consequenziali statuizioni, essendo venuta meno la immanenza della rappresentanza processuale del difensore nominato e del conseguente potere di promuovere l'impugnazione, eventualmente con essa conferito, in conseguenza del decesso dell'imputato che aveva rilasciato la procura (Sez.4, n.44643 del 12/10/2023, Mangano, Rv.285291; sez.3, n.23935 del 35/03/2021, E., Rv.281865). Del decesso ha dato atto la stessa sentenza impugnata.
2.2. Ritiene il Collegio che vada fatta applicazione del principio secondo cui (Sez. 6, n. 1382 del 20/05/1983, Davoli, Rv. 159593 - 01), in materia di impugnazioni penali, nell'ipotesi di imputato deceduto prima della notificazione della sentenza, la sentenza diviene irrevocabile nel momento in cui l'imputato muore, poiché con il decesso si estingue il diritto ad impugnarla: il giudice che l'ha emessa può, se del caso, in sede di esecuzione, dichiarare la estinzione del reato ai sensi dell'art. 676 cod. proc. pen. La sentenza, infatti, non è suscettibile di annullamento da parte del giudice di cognizione del grado superiore perché diviene irrevocabile nel momento stesso del decesso dell'imputato, estinguendosi con la morte di quest'ultimo, insieme al rapporto processuale, anche il diritto a lui spettante di impugnare la sentenza (Sez. U, Sentenza n. 1 del 23/01/1982, Dozzo, Rv. 153022 - 01; in tal senso, riguardo al venir meno del rapporto processuale, anche Sez. 6, 4 giugno 2008, n. 22392).
2.3. Tali principi si coniugano con quelli costituzionali. La Corte costituzionale, pronunciando la manifesta infondatezza di una questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 150 cod. pen. ha affermato che, nel caso di morte dell'imputato, la cessazione del rapporto processuale deriva dalla natura stessa dell'evento, che implica il venir meno, sul piano fisico, di uno dei soggetti di quel rapporto. Pertanto, l'estinzione del reato per morte del reo costituisce diretto riflesso del principio, di carattere sostanziale, di personalità della responsabilità penale (art. 27, 1 co., Cost.), il quale impedisce che la potestà punitiva dello Stato si eserciti su soggetti diversi dall'autore del fatto criminoso (C. Cost., 9/11/2011, n. 298). Si ritiene peraltro necessario segnalare all'ufficio della Procura funzionalmente competente la necessità di procedere in sede esecutiva ai fini della declaratoria di estinzione del reato nei confronti del C.C.
3. L'oggetto devoluto al presente giudizio di legittimità.
3. Deve chiarirsi che il giudizio è ormai limitato, quanto agli imputati, all'unico ricorrente, A.A.e che, intervenute le declaratorie di non doversi procedere per taluni reati (in relazione a eventi consistiti in lesioni personali e decessi) di cui è stata dichiarata la estinzione per il compimento del termine prescrizionale, che hanno formato oggetto di espressa rinuncia alla impugnazione nella premessa del ricorso per cassazione della difesa dell'imputato, il tema del giudizio è limitato agli omicidi colposi per mesotelioma ai danni dei lavoratori Y.Y. (deceduto il 2 febbraio 2010), P.P. (deceduto il 17 ottobre 2008); F.F. (deceduto il 1.4.2009) e B.B.B.B.B. (deceduto il 3 marzo 2010).
4. L'assetto motivazionale in tema di ambiente di lavoro e di condotta contestata agli imputati.
4.1. Il primo motivo del ricorso proposto dalla difesa di A.A. è infondato.
Lo stesso, nell'intitolazione, deduce la nullità della sentenza impugnata per vizio della motivazione, sub specie della sua contraddittorietà in punto di ricostruzione della condotta degli imputati. Sotto ulteriore profilo, si deduce la erronea applicazione della legge penale, quanto alla qualificazione della condotta rispetto al paradigma di cui all'art. 41, commi 1 e 2, cod. pen.
In sostanza, si critica la sentenza in quanto la stessa ha ritenuto accertato, in conseguenza di quanto emerso con la sentenza Montefibre 1, che l'opificio di V era fonte di esposizione continuativa per tutti i lavoratori; inoltre, le condotte di tutti gli imputati sarebbero state omogenee e, in applicazione del principio di spiegazione causale del ed. effetto acceleratore (basato sulla teoria ed. multistadio), tutti i periodi di esposizione, escluso l'ultimo decennio precedente la diagnosi, sarebbero parificabili dal punto di vista causale, con la conseguente irrilevanza della definizione del momento di inizio e di fine della induzione. Anche il profilo soggettivo della colpa sarebbe integrato in virtù dell'esistenza di normativa attestante la pericolosità dell'amianto. Tale schema decisorio, lamenta il ricorrente, appiattirebbe su uno standard unitario condotte invece riferibili a soggetti diversi e realizzate in periodi diversi. Resterebbe così gravemente elusa la necessità di interpretare in chiave quanto più personalizzata e soggettiva la responsabilità per colpa, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità. Non era stata colta la sostanziale portata commissiva della condotta, invece messa in evidenza dalla prima sentenza della Corte di cassazione n. 12175 del 2017.
A ciò seguirebbe il fraintendimento del valore e del significato dell'art. 41 cod. pen., posto che si era fatto un utilizzo erroneo dell'istituto del concorso di causa, al fine di aggirare il problema del nesso causale, rendendo concausa ciò che non era causa.
4.2. Non si ravvisa la contraddittorietà della motivazione della sentenza, derivante dall'asserita parificazione delle condotte ascritte agli imputati, come pure non sussiste l'erronea applicazione dell'art. 41 cod. pen.
La sentenza impugnata, contrariamente alla lettura che ne ha dato il ricorrente, non è fondata su una apodittica parificazione delle posizioni degli imputati e dei lavoratori, tale da tradursi in vizio di motivazione o erronea applicazione dell'art. 41 cod. pen. Al contrario, la motivazione poggia su un accertamento in fatto, non sindacabile in sede di legittimità e comunque nemmeno in concreto fatto oggetto di censura, secondo il quale (pag. 74 della sentenza impugnata) nello stabilimento Rhodiatoce-Montefibre di V la presenza di amianto era massiccia ed ubiquitaria, come lo era la conseguente esposizione al cancerogeno dell'amianto dei lavoratori occupati nello stabilimento nei cicli di lavorazioni nei quali erano impegnati, in modo diretto o indiretto.
4.3. La Corte territoriale ha motivato il giudizio in fatto attraverso la valorizzazione in tal senso della sentenza della Corte di cassazione n. 38991 del 2010 (Montefibre 1), che, essendo irrevocabile, ha ritenuto acquisibile ai fini di prova ai sensi dell'art. 238 bis cod. proc. pen. Alla pagina 75, coerentemente, la sentenza impugnata ha ricostruito, attraverso la corroborazione dei dati derivati da Montefibre 1 con quelli acquisiti dall'indagine peritale, con fonti dichiarative e documentali, le condizioni dell'intero sito produttivo, caratterizzate dalla massiva presenza dell'amianto, ampiamente utilizzato quale coibentante delle tubazioni e condotte correnti nell'area di produzione, oggetto di sistematici interventi eseguiti senza la fermata degli impianti ed alla presenza dei lavoratori occupati nei rispettivi cicli di produzione, i quali erano continuativamente esposti alle fibre di amianto aerodisperse e stratificate in loco in conseguenza dei predetti interventi sui coibentanti.
4.4. In altri termini, la scelta motivazionale seguita in ordine alla questione del nesso causale, di cui si occupano il secondo ed il terzo motivo del ricorso, non è necessariamente correlata ad una pianificata elusione del necessario vaglio scientifico, essendo stata prima correttamente operata la ricostruzione in fatto delle concrete condizioni lavorative. Anche il punto del motivo con il quale si afferma che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente qualificato la condotta contestata quale omissione, anziché quale condotta commissiva, con consequenziale distorsione dell'intero quadro motivazionale, oltre che con la sostanziale illegittima ricostruzione della disciplina del concorso di cause di cui all'art. 41 cod. pen., non coglie nel segno. Alla pagina 90 della sentenza la Corte territoriale evidenzia che è condotta attiva l'impiego di amianto all'interno degli ambienti di lavoro dello stabilimento di V e l'articolarsi di frequenti interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, specialmente di tipo distruttivo, sui rivestimenti e sulle coibentazioni di amianto presenti sulle tubazioni e sulle altre parti dell'impianto, nonché l'impiego e la manipolazione, più in generale, di materiali in amianto per coibentare e ricoibentare le diverse strutture degli impianti di produzione. In particolare, la Corte ricorda che, secondo la contestazione, tutti gli imputati (sia nella qualità di amministratori che in quella di direttori di stabilimento), nella programmazione dell' in sé della quotidiana attività produttiva avevano positivamente voluto e consentito una serie " positiva" di azioni, quali l'acquisto e l'impiego del cancerogeno dell'amianto nei vari reparti dell'opificio ed il farne oggetto di continui interventi manutentivi di natura distruttiva, sostitutiva e ripristinatoria. Le rimanenti condotte, poi, sono qualificate dalla Corte di appello quali omissioni, attenendo alla violazione di norme cautelari generali e specifiche, dettate in tema di sicurezza sul lavoro e da normativa specifica di settore. Accanto a tali condotte, la sentenza ha pure individuato le condotte miste, tali cioè da abbracciare sia elementi commissivi che omissivi (come l'aver consentito che le lavorazioni di coibentazione e ricoibentazione venissero svolte alla presenza degli altri lavoratori, senza alcuna precauzione).
4.5. Dunque, il carattere omogeneo delle condotte è un dato meramente descrittivo dell'accertamento, concreto e reale, dell'ambiente di lavoro e delle singole posizioni degli imputati, come anche dei lavoratori esposti, dal quale la sentenza prende le mosse per procedere all'applicazione delle regole di diritto e non il contrario. Il richiamo all'art. 41 cod. pen. (come si evince a pag. 77 della sentenza impugnata), viene in rilievo, nella logica della motivazione, non per costruire mediante lo stesso la giustificazione positiva dell'esistenza del nesso causale tra esposizione all'amianto di ciascun lavoratore e la malattia contratta, ma per anticipare che, nella successione temporale nelle cariche rivestite, i diversi imputati si sono avvicendati nel medesimo contesto ambientale e lavorativo, senza differenziazione; ciò in quanto era rimasta accertata la continuità nel tempo delle caratteristiche ambientali e di quelle operative dello stabilimento di V.
4.6. È anche opportuno ricordare che Sez. 4 n. 12175 del 2017, al punto 14.2, dopo aver esposto le ragioni per le quali talune statuizioni della sentenza capostipite del filone Montefibre (Sez.3, n. 38991 del 2010), sebbene non coperte da giudicato ma da preclusione processuale, rilevano ai fini dell'art. 238-bis cod. proc. pen., ha espressamente osservato la legittima acquisizione da parte della sentenza impugnata, dei dati relativi: alla titolarità in capo a ciascuno degli imputati della posizione di garanzia; alla sussistenza di inquinamento ambientale nello stabilimento di V; alla derivazione delle asbestosi dalla esposizione all'amianto subita dei lavoratori all'interno dello stabilimento; alla condotta obbiettivamente colposa degli imputati; alla loro rimproverabilità per essere gli eventi prevedibili ed evitabili. Fermo restando che tali dati, una volta stabilizzati, avrebbero dovuto essere corroborati, come richiesto dall'art. 238-bis cod. proc. pen., con la specifica verifica della sussistenza di tale situazione di fatto, globalmente riferita all'intero ambiente di lavoro, anche alle specifiche posizioni lavorative oggetto di processo.
4.7. Da ciò deriva anche l'infondatezza del quinto motivo, con il quale si intende criticare l'attribuzione della posizione di garanzia in capo al ricorrente. Si tratta infatti di un dato ormai non più suscettibile di divisamento in quanto idoneamente corroborato dalla sentenza impugnata. La sentenza Montefibre 1, richiamata dalla sentenza impugnata ex art. 238 bis cod. proc. pen., al paragrafo 5.1.1., ha avuto modo di affermare, quanto alla posizione dei direttori di stabilimento, che costoro, in quanto dirigenti, erano gravati da una posizione di garanzia derivante dal disposto del D.P.R. n. 547 del 1956, art. 4 (in materia di infortuni sul lavoro) e dal D.P.R. n. 303 del 1956, art. 4 (in materia di igiene sul lavoro), ove è previsto che i dirigenti devono attuare le misure di sicurezza e di igiene e fornire ai lavoratori i mezzi necessari di protezione, oltre che renderli edotti dei rischi specifici a cui sono esposti. Inoltre, in quanto presenti in stabilimento, erano coloro che avevano maggiore prossimità con i beni giuridici da tutelare e garantire (cfr. Sez. 4, n. 12758 del 2 /12/ 1980 n. 12758, Lorenzini Rv. 146916; Sez. 4, n. 7404 del 23/07/ 1981, Sestieri Rv. 149916; Sez. U. n., 6168 del 21/04/e 1989 n. 6168, lori Rv. 181121 e Sez.4, n. 5835 del 30/05/1991, Invernicci Rv. 187280). Ne consegue che, in quanto titolari di poteri di vigilanza ed attuazione delle misure di sicurezza ed igiene, nonché impeditivi anche a costo di interrompere l'attività produttiva (cfr. Sez. 4, n. 38009 del 10/07/2008, Pennacchietti Rv 242118 - 01), i direttori di stabilimento avevano una posizione normativa e funzionale di garanzia dell'incolumità dei lavoratori operanti nell'azienda. A fronte di tali acquisizioni, appare velleitario e riduttivo il tentativo del ricorrente di individuare una illogicità evidente della motivazione sul punto, invocando i contenuti di due ordini di servizio relativi alla attribuzione di compiti di promozione della sicurezza, che al più aggiungono ai garanti della sicurezza sul luogo di lavoro ulteriori posizioni di garanzia.
4.8. La stessa prima sentenza rescindente, peraltro, ha esplicitamente escluso la tesi degli imputati ricorrenti, che mirava a mettere in discussione la sentenza Montefibre 1 nei punti sopra indicati, in relazione al fatto che non tutti i reparti erano esattamente uguali e che in quel giudizio l'attenzione si era concentrata sui reparti filatura nylon, acetati e centrale termica.
5. Il nesso causale tra esposizione e mesotelioma.
5.1. Il secondo ed il terzo motivo, connessi dalla comune censura alla ricostruzione del nesso di causalità tra esposizione e malattia, vanno trattati congiuntamente e sono fondati nei termini che si vanno a specificare.
5.2. Il secondo motivo, in particolare, denuncia, in tema di prova del nesso causale tra esposizione ad amianto e contrazione di mesotelioma pleurico, il travisamento della prova, che sarebbe costituito dalla fuorviante interpretazione della acquisizione scientifica (Consensus di Helsinki del 1997) relativa alla individuazione del termine decennale (lag) minimo di latenza necessario per sviluppare un mesotelioma, che la sentenza impugnata, attribuendogli una valenza del tutto impropria, avrebbe utilizzato per fissare il diverso termine iniziale del periodo di induzione e cioè l'inizio della ed. latenza clinica. Tale fraintendimento, avrebbe consentito alla sentenza impugnata, apparentemente, di corrispondere alle indicazioni della prima sentenza rescindente (Sez. 4 n. 12175 del 2017), che aveva fissato "le due Colonne d'Ercole" della necessaria individuazione dei termini di inizio e di fine dell'induzione, definendone l'arco temporale. Il successivo terzo motivo critica l'intero discorso giustificativo della sussistenza del nesso causale, ritenendolo elusivo delle indicazioni demandate al giudice del rinvio da entrambe le sentenze rescindenti.
5.3. In primo luogo, va rilevato che la sentenza rescindente della Sezione terza ha demandato al giudizio di rinvio l'accertamento del nesso causale, da condurre mediante confronto adeguato con tutte le evidenze scientifiche disponibili, previa verifica non solo dell'attendibilità e della condivisione degli studi che le sorreggono, ma anche del grado di indipendenza e professionalità degli esperti che hanno veicolato il sapere tecnico nel processo. Quanto poi alla prima sentenza rescindente, deve rilevarsi che, laddove si esprime sul ruolo del giudice dinanzi al sapere scientifico (punto 16.2), ribadisce l'insegnamento della sentenza Cozzini, nel senso che il giudice riceve la legge scientifica che la comunità scientifica consegna come legge esplicativa dell'evento, senza che ciò consenta al giudice di attribuire patenti di fondatezza a questa piuttosto che a quella categoria.
Il giudice di legittimità, dunque, attraverso la valutazione della correttezza logica e giuridica del ragionamento probatorio, ripercorre il vaglio operato dal giudice di merito non per sostituirlo con altro, ma per verificare che questi abbia utilizzato i richiamati criteri di razionalità, rendendo adeguata motivazione. In sede di esplicitazione dell'ambito del rinvio, la stessa sentenza n. 12175 del 2017 ha affidato al giudice designato, per quanto qui in rilievo, il compito di rendere una motivazione conforme ai dettami della giurisprudenza di legittimità - per i casi di mesotelioma - facendo riferimento al riconoscimento da parte della comunità scientifica di una legge scientifica accreditata e sostenuta da adeguato consenso, esplicativa in merito alle coordinate temporali dell'evoluzione di tale malattia.
5.4. Dunque, non è condivisibile la tesi della difesa, secondo la quale da entrambe le sentenze rescindenti, e soprattutto dalle "Colonne d'Ercole" tracciate dalla prima, dovrebbe trarsi l'obbligo per il giudice del rinvio di accertare l'inizio della fase di induzione. Un siffatto accertamento costituisce infatti un elemento fondante del postulato conseguente al recepimento di una certa legge scientifica esplicativa, e non un canone astratto per valutare il corretto esercizio del potere giudiziale in sede di recepimento della legge scientifica esplicativa. Dunque, a pena di sconfessare in modo paradossale l'incontestato insegnamento derivato dalla sentenza Cozzini, secondo cui il giudice non produce leggi scientifiche, ma ne è consumatore, non può certo affermarsi che la motivazione sia viziata solo perché non ha accertato con esattezza la data di inizio del periodo di induzione. La seconda sentenza rescindente, peraltro, ha accolto le doglianze rivolte alla motivazione impugnata, perché non risultavano esplicitate le ragioni dell'adesione alle tesi prescelta (punto 17 di Sez.3 n. 10209 del 2021). In definitiva, non può dirsi presente alcuna elusione dell'obbligo di conformarsi ai principi espressi dalle sentenze rescindenti.
5.5. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, nella sostanza, sul presupposto della necessità di risolvere scientificamente il nodo della esatta ricostruzione della cronologia del processo di cancerogenesi da mesotelioma, contestano (sul piano del travisamento: dei risultati della Consensus Conference di Helsinki del 1997 sulla latenza minima, delle conclusioni dei periti R.R.R.R. e S.S.S.S. sulla impossibilità di fissare la durata del periodo di induzione, della tesi di S sulla dose scatenante, della teoria multistadio, trasformata occultamente in trigger dose e della errata interpretazione tesi dell'effetto acceleratore), la validità della legge scientifica esplicativa richiamata dalla sentenza impugnata, così alle pagine da 20 a 76 del ricorso e, per riflesso, l'applicazione che ne è stata fatta al fine di ritenere provato il nesso causale. Le censure trovano fondamento nei termini che seguono.
5.6. Come rilevato in ricorso, la tematica della ricostruzione del nesso causale, oggetto del presente giudizio, presenta evidenti analogie con quella che ha formato oggetto di una recente pronuncia di questa Sezione, Sez. 4 n. 44349 del 06/07/2023, Rv. 285317 - 01, che ha affermato il principio secondo il quale l'accertamento del nesso di causalità tra esposizione ad amianto e morte del lavoratore può essere condotto, in assenza di una legge scientifica universale di copertura, sulla base di una legge statistica, a condizione che sia verificato l'inveramento dell'effetto dell'insorgenza della malattia in una certa percentuale di casi esaminati, secondo un procedimento logico fondato su dati indiziari processualmente emersi e unitariamente considerati nei singoli casi, idonei a condurre a una valutazione di elevata credibilità razionale.
5.7. In altri termini, affermato il carattere probabilistico della legge epidemiologica individuata come legge di copertura generale, vi è la necessità, derivante dai principi affermati nella sentenza Cozzini (Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Rv. 248943), di accertare se la legge statistica dell'abbreviazione della latenza si è verificata nei singoli casi in esame; quindi, di accertare se per ciascun periodo di esposizione presso lo stabilimento Montefibre in oggetto dei lavoratori sopra indicati vi fossero le tracce di un'abbreviazione della latenza.
5.8. In assenza di una legge scientifica di copertura universale, la legge di copertura statistica in base alla quale taluni eventi possono essere ricondotti, con elevata probabilità, a determinati antecedenti causali, si configura quale grave indizio a sostegno del nesso eziologico. La rilevanza di tale indizio risulta proporzionata alla significatività dei dati e alla persuasività degli studi su cui si fonda, mentre la effettiva ricorrenza nel caso di specie va verificata dal giudice nel caso concreto. Il procedimento logico che il giudice deve compiere, per accertare la causalità in concreto, va svolto mediante l'esclusione, con alta probabilità logica, dell'esistenza di fattori causali alternativi.
5.9. Nel presente giudizio, la Corte territoriale, come si è descritto al punto 8.2. del rilevato in fatto, ha accolto le conclusioni dei periti, che avevano individuato, quanto ai decessi per mesotelioma, la ed. teoria multistadio quale legge scientifica esplicativa (punti 4.1. e 4.3.1.3 della sentenza impugnata) del nesso causale al fine di individuare il momento di insorgenza della patologia oncologica. Per tale via, si è ritenuto consolidato il consenso scientifico formatosi sulla tesi multistadio, che i periti R.R.R.R. e S.S.S.S. avevano confermato e che aveva formato oggetto di ampia discussione tra le parti.
5.10. La Corte ha pure esaminato il profilo del ed. effetto accelerazione, che consente di valutare tutti i casi di malattia correlati ad una certa esposizione: in particolare di considerare anche i casi in cui la malattia sarebbe stata anticipata in conseguenza della esposizione all'amianto. Mediante la teoria del rischio relativo, largamente utilizzata in epidemiologia, il ricorso alla teoria della anticipazione del rischio consentirebbe di modulare, con un crescente grado di incidenza epidemiologica, l'impatto della esposizione alle fibre di amianto. L'aumento del rischio implicherebbe una accelerazione, e quindi una anticipazione, della malattia e pertanto del decesso, rendendo efficienti le condotte omissive comprese all'interno del perimetro di un determinato periodo di esposizione.
5.11. La sentenza impugnata è giunta ad affermare che studi decennali hanno portato ad affermare incontrovertibilmente che "la durata e la intensità" della esposizione ad amianto aumenta il rischio di mesotelioma e del tumore polmonare.
In proposito, sono state richiamate alcune citazioni svolte dai periti, con particolare riguardo agli studi che hanno mostrato come l'esposizione all'amianto aumenti il rischio di mesotelioma e di tumore ai polmoni (W.W.W.W. e S, 1996; IARC 2012, M et al, 2013 e 2015, B et al 2020) ed a quelli che hanno rimarcato il ruolo della dose cumulativa nella genesi del mesotelioma (in particolare, lo studio di Larson del 2010, in cui si osserva una crescita lineare nei rischi relativi per patologie asbesto-correlate e stima dell'esposizione cumulativa; nonché quello di Reid del 2013, in cui si è osservato che sia nel genere maschile che femminile, il tasso di mesotelioma aumenta in maniera progressiva e crescente sia in relazione alla durata della permanenza a W - cittadina australiana dove vi era una miniera di crosolite - sia per l'esposizione cumulativa stimata"; quello di O del 2014, che documenta un incremento costante di mesotelioma per ogni successiva durata di esposizione in anni e per probabilità cumulativa per intensità). Ancora, viene riportato che un aumento su base statistica probabilistica (W.W.W.W. e S, 1996; IARC, 2012; M ed alt. 2015). Ne consegue che l'esposizione al cancerogeno dell'amianto determina l'accelerazione del momento di insorgenza della malattia, e dunque del mesotelioma o del tumore polmonare, e/o del decesso. In tal senso, afferma la sentenza, sono le conclusioni del III Consensus Conference sul mesotelioma della pleura (M et al. 2015). I periti avevano dato atto dell'esistenza di diverse tecniche complesse di calcolo di anticipo della malattia rispetto alla durata dell'esposizione (come ad es. la formula di Barry), relativa ai tumori polmonari, poi adattata anche ai mesoteliomi. In ogni caso, la quota dei casi di eccesso rispetto all'atteso, nel caso di mesotelioma, era risultata talmente preponderante da rendere problematico I' uso di tale meccanismo. In concreto, i periti avevano evidenziato che la difficoltà di calcolo dell'anticipazione non elideva il concetto generale di stretta relazione tra rischio relativo ed anticipazione.
5.12. Dunque, descritte altre metodiche ed esclusa la validità della trigger dose, come da conforme letteratura scientifica internazionale, i consulenti avevano concluso nel senso che la comunità scientifica aveva accolto la teoria multistadio e delle esposizioni cumulative. Si afferma che la formula riconosce esplicitamente il ruolo eziologico di tutte le esposizioni occorse nelle diverse industrie e mansioni svolte dal lavoratore considerato, o anche extralavorative (M et al., 2012; P e W, 2005). Tutte le esposizioni comprese nel periodo di induzione, dunque, sono rilevanti e fino alla conclusione del ciclo induttivo, che si ha con l'insorgenza irreversibile del processo cancerogenetico.
5.13. Conclusivamente, nel ragionamento dei giudici del merito emerge con evidenza che la Corte territoriale, in modo non censurabile per quanto si è detto in ordine al sindacato di legittimità in punto di accertamento della legge scientifica generale, ha riscontrato che la comunità scientifica riconosce l'effetto acceleratore anche per il mesotelioma e riconosce che l'effetto acceleratore non si riferisce solo all'accelerazione verso il momento in cui la malattia ha una incidenza "x" su una coorte, ma anche all'accelerazione del decorso della malattia verso la morte.
5.14. La disamina critica alla legge scientifica generale accolta nel rispetto dei parametri indicati dalla Corte di cassazione, legge fortemente avversata dal ricorrente sul piano scientifico, come spesso ricordato dalla Corte di cassazione (vd. Sez.4 n. 22022, del 22 febbraio 2018), deve rimanere del tutto estranea al presente giudizio di legittimità, giacché si è ritenuta non censurabile, in questa sede, la decisione con cui il giudice di merito, nel contrasto tra opposte tesi scientifiche, privilegi, all'esito di un accurato e completo esame delle diverse posizioni, l'una delle due, individuando la legge scientifica di copertura avente il consenso di numerosi ed autorevoli esperti, taluni dei quali partecipi al dibattito processuale, motivando adeguatamente in sintonia con gli elementi probatori acquisiti in ordine alla posizione di garanzia dell'imputato, ai profili di colpa individuati a carico dello stesso, al nesso causale tra la condotta colposa e l'evento determinatosi (in fattispecie relativa al decesso di dipendenti di una società in conseguenza dell'inalazione di polveri di amianto) (cfr. sez. 4 n. 46428 del 19/04/2012, Stringa, Rv. 254073; n. 15493 del 10/03/2016, Rv. 266787 (in ipotesi di colpa da esercizio di professioni sanitarie).
5.15. Tuttavia, la sentenza impugnata, descritta la storia clinica e lavorativa di ciascun lavoratore deceduto che i consulenti avevano analizzato, si è limitata a richiamare le conclusioni peritali, secondo cui la legge generale di tipo epidemiologico, l'unica in grado di studiare e documentare la relazione tra esposizioni e cancro, può essere pienamente applicata anche a livello individuale, pur personalizzata, cioè tenendo conto delle peculiarità del caso concreto, come del resto pienamente praticato dalla medicina personalizzata, ormai affermatasi.
La sentenza non ha ulteriormente sviluppato, sul piano individuale, il tema dell'accertamento del nesso di causalità tra esposizione ad amianto e morte del lavoratore. Esso ben può essere condotto sulla base della legge statistica accolta dalla Corte di appello (descritta al superiore punto 5.12), ma ciò sempre che sia accertato l'inveramento dell'effetto dell'insorgenza della malattia in una certa percentuale di casi esaminati, secondo un procedimento logico fondato su dati indiziari processualmente emersi e unitariamente considerati nei singoli casi, idonei a condurre a una valutazione di elevata credibilità razionale con riferimento a ciascun lavoratore esposto e non sulla base di standard probabilistici di natura frequentista globalmente applicati a tutti i lavoratori che hanno prestato servizio in un determinato stabilimento, senza considerare la complessiva storia lavorativa di ciascuno di essi al fine di escludere causalità alternative di insorgenza ovvero di progressione della patologia oncologica.
Occorre verificare, in concreto, l'effettiva inferenza causale, per ciascuna delle vittime, della durata e delle modalità dell'esposizione nociva in relazione alla insorgenza o alla progressione del mesotelioma pleurico.
5.16. In sostanza, una volta emersa, dal contraddittorio tra le parti, la legge probabilistica su cui si è formato il consenso della comunità scientifica internazionale, il giudizio sull'accertamento del nesso causale non può prescindere dalla prova del suo inveramento nel caso concreto, sulla base di valutazioni di alta probabilità logica. La verifica richiesta al giudice sul tema della causalità non può,
quindi, prescindere dall'adozione del c.d. modello bifasico di cui al fondamentale insegnamento della sentenza a S.U. Franzese, costantemente seguito (ed anche precisato e sviluppato da ulteriori arresti, tra i quali, oltre alla citata sentenza Cozzini, merita di essere segnalata la sentenza Espenhahn: Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014) da tutta la giurisprudenza di legittimità che si è successivamente occupata del tema in questione.
Se l'accertamento non può risolversi nella mera affermazione della legge generale, lo stesso non può neanche, come preteso dal ricorrente, essere necessariamente fondato sulla esatta individuazione del momento di inizio e di fine dell'induzione della patologia. Si tratta di dati, come affermato sia dai consulenti nominati dai giudici, che dal ricorrente, non passibili di cognizione all'attuale livello di conoscenza scientifica.
5.17. Il criterio epidemiologico, nella sua dimensione di analisi, infatti, è intrinsecamente correlato allo studio di coorti e cioè di vasti gruppi e condizioni comuni e si caratterizza proprio per la verifica della reiterazione di certi effetti in presenza di specifiche e ripetute condizioni. Indaga, cioè, sulle relazioni di causa ed effetto tra fattori di rischio e malattie.
5.18. È dunque conforme ai principi accolti dalla Corte di cassazione il procedimento logico mediante il quale la Corte di appello impugnata ha accolto la tesi scientifica che riconosce efficacia causale generale alla relazione di proporzionalità tra dose cumulativa (durata-intensità dell'esposizione) e occorrenza della malattia, nonché alla individuazione del c.d. failure time (quale punto d'irreversibilità del processo cancro-genetico che rende irrilevanti le ulteriori esposizioni e, quindi, non produttive di responsabilità le condotte riconducibili alle posizioni di garanzia coincidenti esclusivamente con tale periodo). Tale premessa generale, tuttavia, non può ritenersi sufficiente a provare il nesso causale in concreto nella prospettiva individuale. Ai fini della verifica sul piano della causalità individuale, è necessario stabilire con rigore in che modo l'esposizione all'amianto abbia agito (determinando l'insorgenza della malattia o abbreviandone i tempi di latenza) e se la posizione ricoperta ricada o meno al di qua del periodo di latenza clinica. La Corte di legittimità ha chiarito che il giudice è tenuto ad individuare i segni fattuali che permettono di affermare che in ciascuno dei differenti periodi -definiti dall'avvicendarsi degli imputati nel ruolo di garante - si è prodotto l'effetto in via teorica possibile (cfr. in motivazione sez. 4 n. 12175 del 03/11/2016 Ud. (dep. 14/03/2017), Montefibre 2, cit.).
5.19. Ciò non significa, sulla base della legge a copertura generale adottata dalla Corte di appello, che, non essendo scientificamente possibile accertare l'inizio della c.d. latenza clinica, sia impossibile radicare un giudizio sicuro di responsabilità penale. Gli studi a base epidemiologica, i cui esiti sono stati veicolati nel processo dai consulenti, secondo quanto sopra esposto, hanno infatti dimostrato che la durata media della latenza biologica non cambia a basse o alte esposizioni e che essa ha una durata di dieci anni (con possibilità di aumento di uno/due). Inoltre, va ricordato il principio secondo cui la spiegazione causale non deve riguardare tutti gli anelli del processo eziologico, ma solo accertare che la condotta umana considerata sia condizionante, cioè ineliminabile, ai fini della spiegazione dell'evento, in tutti gli ipotizzati e possibili processi causali (cfr. Sez. 4 n. 988 del 2003, Macola, cit.; n. 22147 dell'I 1/02/2016, Rv. 266858; n. 22165 dell'11/04/2008, Rv. 240517; n. 40924 del 02/10/2008, Rv. 241335; n. 38991 del 10/06/2010, B.B. (stabilimento Montefibre di V), Rv. 248851; n. 24997 del 22/03/2012, Pittarello, Rv. 253303; n. 33311 del 24/05/2012, Rv. 255585).
5.20. La sentenza impugnata non offre alcuna valutazione dei dati probatori (caratterizzanti i singoli casi di decesso per mesotelioma) per dare riscontro e fornire una motivata conclusione logica, caratterizzata da un alto grado di credibilità razionale, circa l'inveramento effettivo di una "accelerazione" della patologia nell'organismo di ciascuna delle singole persone offese, tale da determinare l'anticipazione dell'evento morte. Ciò al fine di rendere causalmente rilevante qualsiasi periodo di esposizione ad amianto dei lavoratori, quantomeno per tutta la fase della c.d. induzione e fino a quella di insorgenza (irreversibile) della malattia, fase che sarebbe stata accelerata, secondo l'ipotesi ricostruttiva adottata dalla Corte di appello ma illogicamente argomentata in sentenza.
5.21. La sentenza d'appello è dunque affetta dal vizio di motivazione denunciato sotto tale profilo specifico.
Non ci si può limitare ad indicare i più o meno prolungati periodi di esposizione lavorativa ad amianto delle persone offese e verificare la corrispondenza di tali periodi (o sub-periodi) con la durata cronologica degli incarichi fondanti la posizione di responsabilità dei diversi garanti succedutisi nel tempo, ritenendoli tutti causalmente rilevanti. Occorre stabilire se l'ipotizzata tesi dell'effetto acceleratore, statisticamente validata sul piano della causalità generale, sia riscontrabile a livello di causalità individuale, secondo i canoni tipici della "certezza processuale", vale a dire sulla scorta di una valutazione complessiva dei dati indiziari esplicativi del caso concreto, idonea a condurre ad una conclusione caratterizzata da elevato grado di credibilità razionale.
5.22. In questi termini, dunque, la sentenza va annullata con rinvio alla Corte di appello di Torino per nuovo giudizio sul punto, restando assorbito il quarto motivo, in quanto relativo al profilo soggettivo della colpa che può essere esaminato solo successivamente alle verifiche sopra indicate.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, quanto al ricorso di B.B., per essere il reato estinto per morte dell'imputato e revoca le statuizioni civili disposte nei suoi confronti. Annulla la sentenza impugnata, quanto al ricorso di A.A., limitatamente ai decessi di Y.Y., P.P., F.F. e B.B.B.B.B. e rinvia alla Corte di appello di Torino per nuovo giudizio, cui demanda altresì la regolamentazione delle spese tra le parti del presente giudizio di legittimità. Manda la cancelleria per la trasmissione al Procuratore generale presso la Corte di appello di Torino del certificato di morte di C.C. per quanto di competenza in sede esecutiva.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19 aprile 2024.
Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2024.