Cassazione Penale, Sez. 3, 22 luglio 2024, n. 29746 - Lavoratore caricato e ucciso da un toro. Assenza di vie di fuga e mancata formazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta da
Dott. SARNO Giulio - Presidente
Dott. VERGINE Cinzia - Giudice
Dott. CORBO Antonio - Giudice
Dott. MENGONI Enrico - Relatore
Dott. ANDRONIO Alessandro M. - Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
A.A., nato a L. (...)
avverso la sentenza del 20/10/2023 della Corte di appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pietro Molino, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso
Fatto
1. Con sentenza del 20/10/2023, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia emessa il 16/9/2021 dal Tribunale di Lodi, riduceva ad otto mesi di reclusione la pena inflitta a A.A. per il delitto di omicidio colposo.
2. Propone ricorso per cassazione l'imputato, deducendo i seguenti motivi:
- con la prima doglianza si contesta il vizio di motivazione, in quanto i Giudici, per un verso, avrebbero censurato la mancata formazione del lavoratore poi deceduto, e, per altro verso, avrebbero attestato che questi aveva superato il periodo di prova, a conferma del fatto che si trattava di un lavoratore esperto, con preparazione decennale e di livello superiore a quella che un corso basico avrebbe potuto garantire. Contrariamente a quanto si legge in sentenza, peraltro, il mungitore non sarebbe addetto a questa sola attività, ma, in generale, alla gestione e al governo degli animali, ciò che il lavoratore deceduto di certo sapeva fare (tanto da avere un timore reverenziale per il toro). L'istruttoria, peraltro, non avrebbe dimostrato che una diversa e migliore recinzione avrebbe impedito l'evento, anche considerando che quella in cui il fatto era avvenuto era un'area destinata alle bovine, animali certamente più mansueti del toro. Analogamente, imputare al ricorrente l'assenza di vie di fuga o la presenza di letame sul pavimento si tradurrebbe nell'imputare una responsabilità oggettiva, priva di ogni nesso causale con la morte del lavoratore. Quest'ultimo, peraltro, sarebbe entrato nel paddock contro le direttive impartite dal ricorrente (oltre che senza strumenti ed in presenza di un toro irrequieto), dunque disobbedendo a questi, ed in tal modo avrebbe interrotto un eventuale nesso causale;
- ancora, il ricorso lamenta il mancato riconoscimento dell'attenuante del risarcimento del danno, che spetterebbe a fronte della somma erogata alla vedova dalla compagnia assicuratrice;
- infine, si contesta che la pena sarebbe stata individuata senza tener conto del concorso di colpa della persona offesa.
Diritto
3. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
4. Con riguardo al primo motivo, in punto di responsabilità, il Collegio ne evidenzia il carattere fattuale, non consentito in questa sede, con il quale si chiede di rivalutare gli stessi elementi di merito già esaminati dai Giudici della cognizione, con particolare riferimento alle mansioni svolte dalla persona offesa, a quelle legate alla sua qualifica ed al suo grado di esperienza, così come in ordine alla adeguatezza della recinzione ad evitare l'evento. Ancora in termini di puro fatto, poi, il ricorso si muove laddove sostiene che il lavoratore deceduto avrebbe agito di propria ed esclusiva iniziativa, contro le prescrizioni impartite dal ricorrente, seguendolo nel paddock, peraltro senza alcuno strumento.
5. Queste considerazioni - si ribadisce, inammissibili nel giudizio di legittimità - sono state peraltro adeguatamente superate nelle sentenze di merito, ed in particolare nella prima, richiamata per esteso in quella qui impugnata, che ha riconosciuto la colpevolezza dell'imputato con un apparato argomentativo più che solido, fondato su oggettive risultanze istruttorie e privo di qualsiasi illogicità o contraddizione. Come tale, dunque, non censurabile.
6. I giudici della cognizione, infatti, hanno innanzitutto evidenziato plurime omissioni alla disciplina antinfortunistica, così riscontrando il capo di imputazione. In primo luogo, è stato accertato che la stalla nella quale si trovava il toro era priva delle necessarie vie di fuga, tali da garantire l'uscita dai box o una separazione dall'animale in caso di pericolo: le poche misure previste nel documento di valutazione rischi (DVR), infatti, erano del tutto generiche in punto di rischio da schiacciamento e, peraltro, non erano state attuate. Ancora, l'istruttoria non aveva provato che il lavoratore fosse stato munito di dispositivi di protezione individuale (DPI); agli atti vi era una dichiarazione scritta dal ricorrente, priva, tuttavia, di sottoscrizione del dipendente che avrebbe ricevuto i dispositivi. Infine, ulteriore circostanza emersa pacificamente è che il lavoratore non aveva ricevuto alcun corso di formazione per la sicurezza; al riguardo, entrambe le sentenze (ed in particolare quella di appello) hanno opportunamente sottolineato che la formazione riveste un carattere di particolare importanza per il lavoratore, in quanto si sostanzia nel fornire a questi gli strumenti necessari a comprendere -prima ancora che ad affrontare - le varie situazioni che possono verificarsi nello svolgimento dell'attività, con particolare riguardo a quelle rischiose.
6.1. Sul punto, peraltro, già il Tribunale aveva evidenziato che la responsabilità del ricorrente non poteva essere esclusa dal fatto che il lavoratore avesse già maturato esperienza nel settore, presso altre aziende; la formazione, infatti, riveste carattere obbligatorio proprio per assicurare a tutti i lavoratori, anche a quelli verosimilmente più preparati, un adeguato apporto conoscitivo -iniziale e consecutivo - per assicurare un corretto svolgimento dell'attività. Questa Corte, del resto, ha già più volte affermato che il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell'espletamento delle proprie mansioni, pone in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi, e l'adempimento di tali obblighi non è escluso né è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente sì realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro (tra le molte, Sez. 4, n. 8163 del 13/2/2020, Lena, Rv. 278603; Sez. 4, n. 49593 del 14/6/2018, T., Rv. 274042).
7. Le sentenze di merito, di seguito, hanno adeguatamente risposto anche alla censura in punto di nesso di causalità, peraltro riproposta in questa sede con affermazione generica e priva di confronto con la motivazione resa dalla Corte di appello.
7.1. In particolare, la tesi secondo cui l'attacco dell'animale non sarebbe stato prevedibile e che, in ogni caso, il lavoratore avrebbe potuto allontanarsi scavalcando la recinzione o attraversando le sbarre, non poteva essere condivisa: l'istruttoria, nei termini già richiamati, aveva infatti provato l'assenza di vie di fuga (pur formalmente previste nel DVR), non surrogabili da un mero varco nella recensione il cui accesso, peraltro, era risultato di difficile praticabilità a causa delle condizioni del pavimento.
7.2. Quanto, poi, alla prevedibilità dell'attacco, la circostanza aveva trovato pacifica conferma istruttoria, in sede sia testimoniale che di esame dell'imputato: il toro, infatti, era risultato molto irrequieto, tanto che il veterinario lì presente aveva invitato il ricorrente (e, per lui, i suoi dipendenti) a non entrare nel box in cui l'animale stesso si trovava.
7.3. Il A.A., per contro, aveva deciso di fare ingresso nel recinto, così lui violando le indicazioni ricevute, non il lavoratore: come infatti ben indicato nella sentenza di primo grado e confermato in appello, il ricorrente era entrato nel box per provare a muovere le bovine, intimando alla persona offesa di rimanere all'esterno, nel paddock. Ebbene, questi aveva rispettato la prescrizione, senza dunque tenere alcun comportamento abnorme, come invece affermato nel ricorso; tuttavia, proprio questo comportamento corretto ne aveva cagionato la morte, in quanto il ricorrente aveva fatto uscire dal box il toro, che così era entrato nello stesso ambiente in cui si trovava il lavoratore, colpito e caricato senza scampo a causa dell'assenza di vie di fuga. L'istruttoria, peraltro, aveva dimostrato (ciò che il ricorso non contesta) che una simile operazione era stata compiuta già più volte, e che il ricorrente, per sua stessa ammissione, ben sapeva che gli animali si sarebbero spostati verso l'esterno a seguito del suo ingresso nel box.
8. La responsabilità del A.A., pertanto, è stata motivata con argomenti del tutto solidi e non censurabili, e con i quali il ricorso di fatto non si confronta, così da dover essere dichiarato inammissibile sul punto.
9. Alle stesse conclusioni, poi, il Collegio giunge quanto alla seconda censura, che lamenta il mancato riconoscimento della circostanza attenuante dell'avvenuto risarcimento. Pronunciandosi al riguardo, la Corte di appello ha evidenziato l'assenza di una qualunque prova documentale; la revoca della costituzione di parte civile, avvenuta all'udienza del 26/6/2021, peraltro, non poteva esser univocamente letta nel senso richiesto dal ricorrente, proprio perché l'assenza di ogni documento impediva di verificare la congruità della somma eventualmente versata agli eredi. Il ricorso, peraltro, sul punto si limita a riferire circostanze di fatto (versamento di una somma da parte di una compagnia assicuratrice), senza tuttavia affermare che queste avrebbero costituito oggetto di un'adeguata dimostrazione in sede dibattimentale.
10. Analoghe considerazioni, infine, valgono per l'ultima censura, in punto di trattamento sanzionatolo. Il ricorso lamenta che la pena non avrebbe tenuto conto del concorso di colpa della persona offesa, che, tuttavia, le sentenze non hanno riscontrato. La Corte di appello, peraltro, ha ridotto il trattamento inflitto, così mitigandone la portata.
11. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, l'11 giugno 2024.
Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2024.