Consiglio di Stato, Sez. 5, 19 luglio 2024, n. 6522 - Autorizzazione allo svolgimento, in autoproduzione, delle operazioni di rizzaggio e derizzaggio di veicoli commerciali a bordo delle navi
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2775 del 2022, proposto da G.N.V. s.p.a., rappresentata e difesa dagli avvocati Bruno Castaldo, Alfonso Magliulo, Fiorella Titolo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 00808/2021, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Antonino Masaracchia e uditi, per la parte appellante, gli avvocati Magliuolo e Titolo;
FattoDiritto
1. - Nel presente giudizio è appellata la sentenza del TAR Liguria, meglio individuata in epigrafe, che ha dichiarato in parte irricevibile e in parte inammissibile il ricorso, e i relativi motivi aggiunti, presentato dall'odierna appellante, che svolge servizi di linea di trasporto marittimo di passeggeri e veicoli nel porto di Genova.
In punto di fatto occorre precisare che l'appellante aveva avanzato istanza, nei confronti dell'Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale, per ottenere l'autorizzazione - ex art. 16 della L. n. 84 del 1994 - per lo svolgimento, in autoproduzione, delle operazioni di rizzaggio e derizzaggio di veicoli commerciali sulle proprie navi. A tale richiesta l'Autorità ha risposto, in un primo momento, con nota del 2 maggio 2019, nella quale ha indicato, diffusamente, le ragioni che non consentivano il rilascio dell'autorizzazione. Questa nota è stata intesa, dalla richiedente, come mera enunciazione dei motivi ostativi all'accoglimento della sua richiesta (e non come provvedimento definitivo di diniego); al fine di superare quelle ragioni così articolate, la richiedente ha dunque prodotto all'Autorità quanto ritenuto necessario e, con propria nota del 12 luglio 2019, ha, nella sostanza, avanzato una seconda richiesta, analoga a quella precedente.
L'Autorità ha quindi risposto con una seconda nota, del 10 ottobre 2019, con la quale ha affermato di aver già riscontrato definitivamente la richiesta di autorizzazione con il precedente atto del 2 maggio 2019. Ha inoltre affermato di confermare in toto la motivazione ivi enunciata, in quanto la nuova richiesta non apportava i chiarimenti e le integrazioni necessari, né consentiva una revisione delle considerazioni già esposte.
A questo punto G.N.V. ha impugnato entrambe le note di diniego dinnanzi al TAR Liguria il quale, con la sentenza oggi sub iudice, ha giudicato la seconda nota come provvedimento meramente confermativo del precedente: ne è dunque derivata una statuizione di irricevibilità, quanto all'impugnazione della prima nota, quella del 2 maggio 2019, e una statuizione di inammissibilità, quanto all'impugnazione della seconda nota di diniego, quella del 10 ottobre 2019. Il TAR ha inoltre dichiarato inammissibile anche l'impugnazione, spiegata con motivi aggiunti, di un'ulteriore nota di rigetto, nel frattempo emessa dall'Autorità in data 14 gennaio 2020, che nella sostanza reiterava nuovamente le ragioni ostative già illustrate dall'amministrazione e che, analogamente alla nota del 10 ottobre 2019, il TAR ha parimenti ritenuto essere un provvedimento meramente confermativo di quelli precedenti.
2. - L'atto di appello è affidato a due motivi di impugnazione, mediante i quali viene contestata la statuizione in rito del TAR e vengono riproposti i motivi dell'originario ricorso introduttivo di primo grado, afferenti alle presunte illegittimità delle prime due note di diniego emesse dall'Autorità. Sono anche riproposte le censure spiegate, in primo grado, con l'atto di motivi aggiunti, dirette a contestare la legittimità della terza e sopravvenuta nota di diniego, quella del 14 gennaio 2020. L'appellante ha dunque chiesto la riforma della sentenza di prime cure, con conseguente accoglimento dell'impugnazione spiegata in primo grado e annullamento delle note di diniego.
3. - Nel presente giudizio di appello si è costituita, con atto di mero stile, l'Autorità di sistema portuale del Mar Ligure Occidentale, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato.
Con breve memoria depositata il 9 aprile 2024, l'appellante ha ribadito taluna delle ragioni a sostegno del presente gravame e ha insistito per l'accoglimento dell'appello.
Alla pubblica udienza del 16 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
4. - L'appello non è fondato, nei sensi e nei limiti di seguito precisati.
4.1. - Con il primo motivo di appello si deduce error in iudicando, nella sentenza del TAR, per violazione e falsa applicazione degli artt. 29 e 41 cod. proc. amm., revocandosi in dubbio la natura provvedimentale e definitiva della prima nota emessa dall'Autorità portuale, quella del 2 maggio 2019.
Il motivo è fondato.
La nota in questione, che rispondeva a una prima richiesta di autorizzazione all'autoproduzione delle operazioni portuali avanzata da G.N.V., recava, invero, un contenuto dispositivo piuttosto ambiguo. Essa, pur diffondendosi nelle ragioni di diniego, ritenute ostative al rilascio dell'autorizzazione, non conteneva un chiaro dispositivo di rigetto della domanda di autorizzazione e adoperava formule nel complesso dubitative che potevano, oggettivamente, ingenerare il dubbio circa la definitività di quanto si andava prescrivendo.
Occorre notare che, in effetti, la nota non era corredata di un vero e proprio dispositivo finale di rigetto della domanda avanzata dalla società richiedente e si concludeva, piuttosto, con una frase interlocutoria ("si ritiene necessario interessare il Ministero vigilante, già anticipando allo stesso le presenti considerazioni") che ben poteva essere intesa nel senso di una prosecuzione del procedimento, in chiave istruttoria, con conseguente necessità di informare la richiedente sui successivi sviluppi. Come correttamente nota l'appellante, del resto, la complessiva motivazione di diniego che si rinviene nella nota in questione assumeva oggettivamente il senso di rendere edotta la richiedente delle plurime ragioni ostative, in conformità all'art. 10-bis della L. n. 241 del 1990, stimolando la conseguente partecipazione procedimentale.
Per converso, la successiva nota del 10 ottobre 2019 assumeva le fattezze del provvedimento definitivo di diniego, poggiato proprio sulle medesime ragioni ostative già illustrate dall'amministrazione. Il che trova conferma nella circostanza, ben evidenziata dall'appellante, che l'attività istruttoria dell'Autorità era proseguita dopo la nota del 2 maggio 2019, in quanto erano stati chiesti pareri sull'affare sia alla Capitaneria di Porto di Genova sia alla A. (si veda, in tal senso, la nota del 26 settembre 2019, in atti). Le conseguenti, ulteriori risultanze, derivanti da tale supplemento di istruttoria, hanno dunque evidentemente condotto, in aggiunta alle considerazioni già espresse nella nota del 2 maggio 2019, al definitivo diniego dell'istanza.
Va dunque riformata la sentenza del TAR, sia nella parte in cui ha ritenuto inammissibile il ricorso contro la nota del 10 ottobre 2019, trattandosi dell'atto conclusivo del procedimento, e non di atto meramente confermativo della nota del 2 maggio 2019; sia nella parte in cui ha ritenuto tardiva, e quindi irricevibile, l'impugnazione diretta contro quest'ultima nota, che si atteggiava come mero atto endoprocedimentale, non lesivo e non immediatamente impugnabile.
5. - Tornano, dunque, ad assumere rilievo, ai fini del decidere, i motivi di censura spiegati fin dal primo grado da parte dell'odierna appellante, come riproposti nel secondo motivo di appello.
5.1. - Con il primo e il secondo dei motivi riproposti (che, per l'oggettiva comunanza di argomenti, possono essere trattati congiuntamente), erano stati dedotti il difetto di motivazione e, comunque, l'illegittimità delle ragioni ostative indicate dall'Autorità.
Tali motivi non sono fondati.
La nota di diniego del 10 ottobre 2019 rinviava alle ragioni ostative diffusamente trattate nella nota del 2 maggio 2019, che rendeva disponibile mediante allegazione, e precisava che le integrazioni prodotte dalla richiedente non consentivano di addivenire ad un diverso esito (in quanto "in massima parte non pertinenti e quasi esclusivamente di natura certificatoria e tecnico/marittima"). Non si rinviene, pertanto, il denunziato difetto di motivazione.
Occorre, adesso, passare in rassegna le ragioni ostative, quali delineate nella nota del 2 maggio 2019, e le relative censure spiegate dalla ricorrente; ciò, non senza premettere che tale nota, come recepita nel successivo provvedimento definitivo di diniego, acquista le fattezze del provvedimento plurimotivato, corredato, cioè, da diverse ragioni ostative all'accoglimento dell'istanza, ciascuna idonea, da sola, a sorreggere la reiezione della domanda di autorizzazione.
5.1.2. - La nota in questione, dopo aver premesso, con enunciazione generale, le due "considerazioni fondamentali" alla base del diniego - ossia, sotto un primo aspetto, il "carattere strutturale" della richiesta di autorizzazione, riguardante l'intera flotta delle navi scalanti il porto di Genova, per una durata sine die; e, sotto un secondo aspetto, la sostanziale "prospettiva di avvalimento" che la caratterizzava, in quanto la richiesta di autorizzazione all'autoproduzione prescindeva da una conseguente organizzazione del lavoro di bordo e, piuttosto, presupponeva un "concorso con maestranze portuali" - ha quindi enucleato le singole ragioni ritenute ostative, enumerandole da I a VII.
Sotto i numeri I e II, dunque, l'Autorità ha, anzitutto, rilevato la necessità che il personale (nonché il primo ufficiale di coperta) da adibirsi alle attività di rizzaggio e di derizzaggio dei veicoli, da parte dell'impresa richiedente, fosse "ulteriore" rispetto a quello adibito a mansioni diverse; ciò, nel quadro più generale di una "autosufficienza della 'organizzazione del lavoro'", ovvero di una "strutturazione operativa specifica", coincidente con l'equipaggio nave, nel senso cioè di evitare la "frammentarietà" e l'"occasionalità" dell'attività svolta, nonché la "commistione con maestranze portuali".
Sul punto, la censura sviluppata dalla ricorrente - che deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 16 della L. n. 84 del 1994 e dell'art. 8 del D.M. n. 585 del 1995, nonché l'eccesso di potere per difetto dei presupposti, difetto di motivazione, contraddittorietà, perplessità, irragionevolezza, sviamento - ribatte (punto 2.1 dell'appello) che il proprio personale marittimo di coperta, addetto alle operazioni di rizzaggio e derizzaggio, è abilitato al cargo handling, è munito della relativa certificazione e garantirebbe "la copertura di tutte le mansioni funzionali allo sbarco ed all'imbarco dei passeggeri e degli automezzi". La pretesa "esclusività" del personale, aggiunge la ricorrente, sarebbe un requisito non prescritto dalle fonti richiamate nella rubrica del motivo in esame.
La censura non è fondata.
Ai fini del rilascio dell'autorizzazione in questione, l'art. 8 del D.M. n. 585 del 1995 richiede che il vettore marittimo o l'impresa di navigazione sia dotata "di personale alle dirette dipendenze …, adeguato alle operazioni da svolgere ed inserito nella tabella di armamento ovvero nell'organico della loro struttura operativa in ambito portuale" (comma 1); è bensì consentita la "collaborazione dei propri ausiliari dotati di adeguata struttura operativa", a condizione, tuttavia, che "l'attività loro affidata consista solamente nel concorso all'organizzazione delle predette operazioni e non nell'autonomo esercizio delle stesse" (comma 2). L'indicazione normativa della "esclusività" del personale addetto alle operazioni oggetto di autorizzazione, che è possibile trarre dalle norme ministeriali riportate, ha poi di recente trovato conferma nelle nuove previsioni legislative in tema di autoproduzione delle operazioni portuali, di cui all'art. 16, comma 4-bis, lettera b), della L. n. 84 del 1994, come introdotto dall'art. 199-bis del D.L. n. 34 del 2020, convertito in L. n. 77 del 2020, secondo cui deve trattarsi di personale "aggiuntivo rispetto all'organico della tabella di sicurezza e di esercizio della nave e dedicato esclusivamente allo svolgimento di tali operazioni".
Non è dunque sufficiente, da parte della richiedente, assicurare la presenza di personale adeguatamente formato che sia, tuttavia, adibito ad altre contemporanee mansioni. La pretesa di "esclusività" del personale, pertanto, appare conforme alle previsioni normative richiamate e costituisce adeguata ragione per selezionare le imprese che possono essere autorizzate all'autoproduzione delle operazioni portuali, dovendosi poi ricordare che, nella specie, era pacifico, come da sua richiesta, che la richiedente non avrebbe messo a disposizione personale dedicato esclusivamente allo svolgimento delle operazioni in questione.
5.1.3. - Un'ulteriore ragione di diniego, sollevata dall'Autorità al punto III della nota del 2 maggio 2019, riguardava la mancanza della documentazione di sicurezza di cui al D.Lgs. n. 272 del 1999, riguardante la sicurezza delle operazioni portuali (in particolare, quelle di cui agli artt. 4 e 34-37, che si riferiscono alle specifiche attività di stivaggio dei veicoli).
La censura della ricorrente, qui (punto 2.2 dell'appello), argomenta che le operazioni portuali in questione verrebbero svolte "interamente a bordo della nave", sicché sarebbero sufficienti i soli documenti afferenti alla sicurezza dei lavoratori marittimi a bordo della nave, di cui al (diverso) D.Lgs. n. 271 del 1999 (documenti, peraltro, allegati in sede di richiesta di autorizzazione).
Ciò non può tuttavia considerarsi sufficiente, con conseguente infondatezza della censura.
Il D.Lgs. n. 271 del 1999, invocato dalla ricorrente, disciplina le condizioni di sicurezza e la garanzia della salute dei "lavoratori marittimi imbarcati a bordo di tutte le navi o unità mercantili, nuove ed esistenti, adibite a navigazione marittima ed alla pesca nonché alle navi o unità mercantili in regime di sospensione temporanea di bandiera, alle unità veloci e alle piattaforme mobili" (art. 2). Il doveroso rispetto di tali prescrizioni non toglie che, per quanto riguarda il compimento in ambito portuale di specifiche e tipizzate operazioni, ancorché da svolgersi parzialmente a bordo delle navi in porto, debba altresì essere garantito il rispetto della normativa speciale inerente alla sicurezza e alla salute dei lavoratori adibiti a tali operazioni, che si rinviene nel coevo D.Lgs. n. 272 del 1999, recante, per l'appunto, "Adeguamento della normativa sulla sicurezza e salute dei lavoratori nell'espletamento di operazioni e servizi portuali, nonché di operazioni di manutenzione, riparazione e trasformazione delle navi in ambito portuale, a norma della L. 31 dicembre 1998, n. 485". Tale ultima legge delegata, per quanto in questa sede maggiormente rileva, si riferisce ex professo anche alle operazioni di rizzaggio e di derizzaggio dei veicoli a bordo delle navi (artt. 34 ss.), per le quali è richiesta specifica documentazione di sicurezza. L'art. 1 della legge-delega n. 485 del 1998, del resto, ha avuto cura di distinguere le esigenze, relative alla sicurezza ed alla salute dei lavoratori, a seconda che l'attività di lavoro sia espletata a bordo delle navi ovvero si riferisca ai "servizi svolti nei porti, comprese le operazioni di manutenzione, riparazione e trasformazione delle navi in ambito portuale". Le operazioni di cui si discute nella presente causa riguardano, per l'appunto, lo svolgimento di tipiche operazioni portuali che richiedono di essere svolte, bensì, anche sulla nave, ma pur sempre "in ambito portuale", onde è necessario aver riferimento alle prescrizioni dettate dalla legge delegata (per l'appunto, il D.Lgs. n. 272 del 1999) che si è occupata di questo specifico profilo.
Nel caso di specie, è pacifico che la documentazione prodotta dalla richiedente, riguardante il profilo della sicurezza e della salute dei lavoratori impiegati a bordo delle navi, non si estendeva anche al profilo delle operazioni da condurre in ambito portuale, con conseguente sua insufficienza, rilevata correttamente dall'Autorità.
5.1.4. - Con la ragione ostativa indicata al punto IV della nota del 2 maggio 2019, poi, l'Autorità aveva rimarcato che l'autorizzazione all'autoproduzione può riferirsi "ad una fattispecie specifica per singole navi in occasione di singoli accosti o di alcuni accosti programmati", laddove, invece, la richiesta avanzata mirava ad ottenere un titolo valido in generale e sine die, e non per specifiche fattispecie.
A ciò, con un'ulteriore censura (riproposta al punto 2.3 dell'atto di appello), la ricorrente ha replicato che la sua istanza era volta ad ottenere non un'autorizzazione "strutturale", ma il permesso "per specifici accosti", pur riconoscendo che questi ultimi non sarebbero stati "singoli e immediati", bensì solo "programmati", con produzione di apposito elenco allegato all'istanza del 12 luglio 2019.
Anche questa censura non ha pregio.
Essa, infatti, elude la questione che era stata posta dall'Autorità, in quanto tenta di celare la natura palesemente strutturale del titolo oggetto di domanda. L'elenco degli approdi, invero, si riferisce chiaramente all'intera attività navale della richiedente, prevista in un arco temporale consistente, e non ha dunque le caratteristiche oggettive della "singolarità" o dell'"occasionalità" richieste dall'Autorità (né ha la caratteristica di riferirsi, al massimo, solo ad "alcuni" accosti programmati, come richiesto, riguardando, piuttosto, una generalità di accosti).
5.1.5. - L'Autorità, poi, con la ragione ostativa indicata al punto V della nota del 2 maggio 2019, aveva rimarcato che, a norma degli artt. 20, primo comma, e 23, primo comma, del CCNL lavoro marittimo, le operazioni di rizzaggio e derizzaggio dei veicoli devono essere svolte da personale di terra specializzato e non da personale marittimo (come, invece, farebbe l'odierna appellante).
Con la censura riproposta al punto 1 del motivo n. 3, di cui all'atto di appello, si deduce in contrario che il personale di G.N.V., nello svolgere le operazioni di rizzaggio e di derizzaggio dei veicoli, non presterebbe servizi diversi da quelli per i quali è stato imbarcato, in quanto abilitato a svolgere operazioni di cargo handling a bordo delle navi ormeggiate. Inoltre, l'art. 23, primo comma, del CCNL di categoria prevede che operazioni di rizzaggio e derizzaggio siano svolte "normalmente" dal personale di terra, senza dunque escludere - osserva la ricorrente - che possano essere svolte anche dal personale marittimo, in mancanza del quale ben potrebbe subentrare il personale di terra.
Il motivo non è fondato.
È sufficiente porre l'accento sulla peculiarità delle operazioni qui in discussione, che presentano tratti oggettivi di specificità rispetto al genus delle operazioni di cargo handling e che, come tali, richiedono una preparazione e una competenza mirate. Inoltre, l'art. 23 del CCNL qui invocato (in atti), ai primi due commi, stabilisce una riserva in favore del personale di terra, nel senso che, se quest'ultimo è disponibile, le operazioni ivi indicate non possono essere svolte dal personale marittimo: si veda, in particolare, il comma 1, secondo cui "L'imbarco, lo sbarco e lo stivaggio delle merci, il maneggio del fardaggio durante le operazioni commerciali ed il rizzaggio dei colli pesanti e degli automezzi, saranno normalmente fatti dai lavoratori di terra specializzati", e il comma 2, a norma del quale "In mancanza di detti lavoratori le operazioni suddette dovranno essere eseguite dal personale di bordo". Del tutto correttamente, in tal senso, si è dunque pronunciata l'Autorità nel frapporre la ragione di diniego qui in esame.
5.1.6. - Ancora, l'Autorità portuale, con la ragione ostativa enunciata al punto VI della nota del 2 maggio 2019, ha fatto riferimento ai profili organizzativi del porto di Genova, come previsti dal Piano organico del porto (avente "valore di documento strategico rispetto al tema del lavoro e, come tale, costituente un istituto di riferimento che integra le specifiche disposizioni sul lavoro portuale"), che prediligono l'apporto del personale ex art. 17 della L. n. 84 del 1994, quello cioè proveniente dalla fornitura alle imprese di lavoro portuale temporaneo per l'esecuzione delle operazioni portuali e dei servizi portuali autorizzati e, in particolare, proprio per le operazioni di rizzaggio e di derizzaggio dei veicoli sulle navi in porto. In considerazione di tale situazione, l'Autorità ha concluso che "non sussistono al momento le condizioni organizzative per poter ammettere l'autoproduzione dell'attività di rizzaggio e derizzaggio e per poter derogare al principio sancito nel contratto di lavoro del personale marittimo secondo cui detti servizi sono normalmente svolti dai lavoratori di terra specializzati".
Con la censura di cui al punto 2 del motivo n. 3, di cui all'atto di appello, l'esponente sottolinea che quanto argomentato dall'Autorità non sarebbe in linea con le nuove previsioni normative che, sulla scorta dei principi UE, consentono l'autoproduzione delle operazioni portuali, anche a prescindere dal fabbisogno lavorativo nel porto.
Le deduzioni della ricorrente, tuttavia, non possono trovare accoglimento, in quanto omettono di considerare proprio le previsioni del Piano del porto, come richiamate dall'Autorità che ne ha evidenziato le ricadute organizzative sul lavoro, in base alle quali le operazioni portuali sono svolte, in linea generale e preferenziale, dal personale di cui all'art. 17 della L. n. 84 del 1994. Di conseguenza, vi sono già i lavoratori di terra specializzati che, a norma dell'art. 23 del CCNL di categoria, sono chiamati "normalmente" a svolgere le operazioni di cui si tratta.
Né può giovare alla prospettiva dell'appellante l'invocazione dei principi UE sulla concorrenza, e in specie quelli enunciati nella sentenza della Corte di giustizia CEE del 10 dicembre 1991, in causa C-179/90, S.G., con la quale è stata accertata l'incompatibilità comunitaria della normativa italiana che, all'epoca (art. 110 cod. nav.), riservava, in favore delle compagnie portuali, diritti esclusivi per lo svolgimento delle operazioni portuali. Ciò di cui si discute nella presente sede, infatti, non è la possibilità, o meno, per le imprese navali di svolgere operazioni portuali in autoproduzione (possibilità che, invero, non viene expressis verbis messa in discussione dall'Autorità con gli atti in questa sede in esame), ma sono solo le relative modalità organizzative, specie con riguardo ai lavoratori utilizzabili in ragione della loro provenienza, competenza e specializzazione.
Del resto, anche a voler ritenere che, mediante la ragione ostativa qui in esame, l'Autorità portuale abbia inteso imporre alla richiedente una gestione delle operazioni portuali mediante l'esclusivo impiego del personale di terra fornito dalla stessa Autorità (nelle forme della fornitura di lavoro temporaneo, quale prevista dall'art. 17 della L. n. 84 del 1994), con ciò frapponendo un significativo e perciò solo illegittimo ostacolo al diritto dell'impresa di autoprodurre le operazioni di rizzaggio e di derizzaggio dei veicoli, il diniego in questa sede impugnato non potrebbe, comunque, essere annullato, in virtù della già rimarcata sua natura di provvedimento plurimotivato. Rimarrebbero valide, infatti, tutte le ulteriori ragioni di diniego, oggetto della precedente disamina, che non sono scalfite dalle censure sollevate dalla ricorrente e che consentono di sorreggere, pur se autonomamente prese, la decisione dell'Autorità.
5.2. - Nella prospettiva di censura da ultimo esaminata, non è fondata neanche la doglianza riproposta al motivo n. 4 dell'atto di appello, concernente una presunta contraddittorietà degli atti impugnati.
Non appare esatto, infatti, affermare che l'Autorità portuale appellata, pur dopo aver chiesto all'odierna appellante un'integrazione documentale finalizzata al possibile rilascio dell'autorizzazione (nota del 21 gennaio 2019), avrebbe "cambiato del tutto il quadro di valutazione, mettendo addirittura in dubbio la possibilità stessa di una autoproduzione delle operazioni portuali". Come già si accennava, non è invero ravvisabile, nella motivazione della nota del 2 maggio 2019, l'intento esplicito di escludere in radice l'attività in autoproduzione, ma solo la doverosa segnalazione della carenza, in capo alla richiedente, dei requisiti all'uopo necessari.
5.3. - Nell'ultima parte dell'atto di appello sono riproposti i motivi aggiunti, sollevati in primo grado contro l'ulteriore atto di diniego dell'Autorità portuale, datato 14 gennaio 2020. Quest'ultimo, a fronte di una nuova richiesta della società esponente, ha ribadito, nella sostanza, le ragioni di diniego già argomentate nella precedente nota del 2 maggio 2019, precisando che tali ragioni non potevano ritenersi superate dalle nuove allegazioni e integrazioni della richiedente.
5.3.1. - Le censure così riproposte non aggiungono nuovi e decisivi argomenti a quanto già si è osservato in precedenza sicché, nel complesso, anche esse devono essere rigettate.
In particolare, l'appellante nuovamente deduce che il proprio personale, da adibirsi alle operazioni di rizzaggio e di derizzaggio dei veicoli, ivi compreso il Primo ufficiale avente funzioni di responsabile e di coordinamento generale, avrebbe le necessarie competenze e consentirebbe di far fronte, in modo adeguato, a quanto necessario. Tuttavia, continua a mancare la dimostrazione, richiesta dall'Autorità, della "esclusività" di tale personale, che non deve risultare addetto ad altre mansioni. Le deduzioni svolte non si riferiscono a tale necessario requisito, neppure laddove richiamano le risultanze della "perizia tecnica" depositata in primo grado (e qui menzionata a pagg. 30 e seguenti dell'atto di appello).
5.3.2. - Parimenti è a dirsi per le successive censure che, nel confrontarsi con le altre ragioni di diniego, corrispondenti a quelle già indicate dalla nota del 2 maggio 2019, si riferiscono alla presunta natura "non strutturale" dell'autorizzazione richiesta (in quanto riferita a "singoli accosti"), ai documenti sulla sicurezza e sulla tutela della salute dei lavoratori ai sensi del D.Lgs. n. 271 del 1999, alle norme del CCNL di categoria e alla complessiva organizzazione del lavoro nel porto, in riferimento alle previsioni del Piano del porto. Si può pertanto rinviare, per la non fondatezza di queste censure, a quanto poc'anzi osservato, con riferimento a ciascuno di tali profili, dovendosi solo precisare che le affermazioni già compiute non sono revocabili in dubbio nemmeno con le risultanze della già menzionata "perizia tecnica", che non giunge a riguardarle.
6. - In definitiva, la sentenza di primo grado deve essere confermata con diversa motivazione, pervenendosi al rigetto, nel merito, del ricorso di primo grado e dei relativi motivi aggiunti.
Le spese del presente giudizio possono, comunque, essere compensate tra le parti, avuto riguardo alla peculiarità della vicenda.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quinta, definitivamente pronunciando,
Respinge l'appello, nei sensi di cui in motivazione.
Spese del presente grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Caringella, Presidente
Stefano Fantini, Consigliere
Alberto Urso, Consigliere
Marina Perrelli, Consigliere
Antonino Masaracchia, Consigliere, Estensore