REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRASSI Aldo
Dott. TERESI Alfredo
Dott. SQUASSONI Claudia
Dott. AMOROSO Giovanni
Dott. SARNO Giulio

- Presidente
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.S., n. ***;

avverso la sentenza del 21.1.2009 del tribunale di Milano;

Udita la relazione fatta in camera di consiglio dal Consigliere Dr. Giovanni Amoroso;

Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale Dott. Izzo Gioacchino, che ha concluso per l'annullamento con rinvio.

la Corte osserva:

Svolgimento del processo

1. B.S. era imputato di una serie di contravvenzioni previste dalla normativa di prevenzione degli infortuni sul lavoro e segnatamente dei seguenti reati:
a) del reato previsto e punito dal D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, art. 68 e art. 77, comma 1, lett. c), del perché in qualità di legale rappresentante dell'impresa "P.I. di B.S. consentiva nel cantiere edile per la ristrutturazione di un fabbricato la presenza di aperture nella soletta che manteneva prive di parapetto idoneo a prevenire la caduta dei lavoratori sul piano sottostante;
b) del reato previsto e punito dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 35, comma 1, e art. 89, comma 2, perché nella qualità e nel cantiere suddetto utilizzava per il fissaggio delle travi due trabattelli costruiti mediante elementi del ponteggio metallico e mantenuti privi di idoneo parapetto e dei quali uno era munito di ruote prive di freni;
c) del reato previsto e punito dal D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, art. 11 e art. 389, comma 1, lett. b), perché nella qualità e nel cantiere suddetto accatastava delle travi di ferro in modo non corretto e con pericolo di caduta delle medesime sull'area di lavoro e di passaggio dei lavoratori;
d) del reato previsto e punito dal D.P.R. n. 547 del 1955, art. 109, commi 1 e 3, e art. 374, comma 2, e art. 389, comma 1, lett. b), perché consentiva ai suoi dipendenti l'uso di una sega circolare la quale non era mantenuta in buono stato di manutenzione e di efficienza in quanto tale sega circolare aveva la cuffia di protezione inutilizzabile contro il rischio di contatto accidentale delle mani dei lavoratori con la lama ed a fianco della quale apponeva un cartello che indicava che la predetta sega non era utilizzabile.

Con decreto in data 5.10.2007 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano disponeva la citazione diretta a giudizio innanzi allo stesso Tribunale dell'imputato B.S. a seguito di opposizione al decreto penale di condanna, per rispondere dei reati suddetti.

2. All'udienza dibattimentale del 16.4.2008, svoltasi in contumacia dell'imputato, regolarmente citato e non comparso, sulle richieste delle parti il Tribunale ammetteva le prove documentali e testimoniali, e sulle conclusioni del P.M. e della difesa, pronunciava sentenza, dichiarando l'imputato colpevole di tutti i reati ascrittigli e condannandolo al pagamento delle spese processuali.

3. Avverso questa pronuncia l'imputato propone ricorso per Cassazione con due motivi.

Motivi della decisione

1. Con il ricorso, articolato in due motivi, il ricorrente denuncia l'omessa motivazione in ordine alla sua penale responsabilità e la contraddittorietà della motivazione per contrasto con gli atti processuali.

2. Il ricorso è inammissibile.

Ha osservato il tribunale a seguito dell'accertamento da parte dell'organo di vigilanza, che seguiva un infortunio sul lavoro mortale, che venivano accertate all'interno del cantiere di via ***, gestito dalla P.I. s.r.l., alcune violazioni alle norme di sicurezza e sull'igiene nei luoghi di lavoro. Pertanto gli ispettori della Asl di *** impartivano al B.S., in qualità di legale rappresentante dell'impresa "P.I.", apposita prescrizione, atta a far cessare il pericolo per la sicurezza o la salute dei lavoratori durante il lavoro, ai fini dell'estinzione del reato.

Tale prescrizione, diretta a perseguire il duplice obiettivo di assicurare l'eliminazione dei pericoli gravi ed immediati, nonché quello di imporre l'individuazione in positivo delle misure idonee a garantire la regolarizzazione, veniva adempiuta da B.S., come si evinceva da un successivo verbale di ispezione in cui si attestava la rimozione delle violazioni accertate, sicché il contravventore era emesso al pagamento in sede amministrativa della somma di Euro 2.582,28. Il B. però non provvedeva nei termini prescritti al pagamento della sanzione amministrativa e conseguentemente l'organo di vigilanza ne dava comunicazione al Pubblico Ministero ai sensi del D.Lgs. n. 758 del 1994, art. 21.

Pertanto dall'istruttoria dibattimentale era emersa la prova che l'imputato, che non aveva contestato le condotte ascrittegli, aveva sì rimosso la situazione di pericolo per i lavoratori nel cantiere edile, ma non aveva ottemperato al pagamento della sanzione prevista per l'oblazione.

L'impugnata sentenza risulta pertanto sufficientemente e non contraddittoriamente motivata.

Invece le censure del ricorrente, che nella sostanza nega la riferibilità a lui stesso delle infrazioni alla normativa preventiva degli infortuni sul lavoro, impongono, all'evidenza, in tipiche valutazioni di fatto devolute all'apprezzamento del giudice del merito e non censurabili in sede di legittimità se non per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame; evenienza questa non sussistente atteso che - come rilevato - l'impugnata sentenza è assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria.

3. Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile.

Tenuto poi conto della sentenza 13 giugno 2000 n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende.