Cassazione Penale, Sez. 4, 29 luglio 2024, n. 30813 - Caduta dell'impiegata amministrativa: postazione di lavoro eccessivamente angusta e a rischio inciampo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. DOVERE Salvatore - Presidente
Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere
Dott. RANALDI Alessandro - Relatore
Dott. CENCI Daniele - Consigliere
Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
A.A. nato a S il (Omissis)
B.B.,
avverso la sentenza del 07-10-2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO RANALDI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ANTONIETTA PICARDI che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso per A.A. e l'annullamento con rinvio con riferimento alla posizione dell'Ente B.B.
E' presente l'avvocato ORLANDO FABIO MASSIMO del foro di ROMA in sostituzione dell'avvocato VILLA FULVIO del foro di PARMA, come da nomina che deposita, in difesa di A.A., nonché in sostituzione degli avvocati PIETRA LUCA e POZZI MICHELE del foro di PARMA, come da nomine che deposita, in difesa di B.B.
L'avvocato conclude riportandosi ai motivi dei due ricorsi. E' presente per la pratica forense la Dott.ssa GROSSI Elisa tessera n. (Omissis) del foro di ROMA
Fatto
1. Con sentenza del 7.10.2022 (depositata il 10.1.2024), la Corte d'appello di Firenze ha confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato A.A. - quale datore di lavoro, in quanto Presidente del Consiglio di amministrazione della Spa B.B.. - responsabile del reato di cui all'art. 590 cod. pen. in danno della lavoratrice C.C. e aveva, altresì, dichiarato la menzionata società B.B. responsabile dell'illecito amministrativo ad essa ascritto, in relazione all'infortunio sul lavoro oggetto di causa.
1.1. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, l'infortunio era avvenuto il 4.4.2016 con le seguenti modalità: la persona offesa -dipendente da diversi anni della citata società, con funzioni amministrative - quel giorno si trovava in magazzino (nel negozio di abbigliamento a marchio D.D. sto in F, via (Omissis)), ove aveva la propria postazione di lavoro (scrivania con computer);
era sopraggiunta una commessa, intenta a cercare delle scarpe da far provare ad un cliente; la C.C. si era alzata dalla propria sedia per aiutare la collega nella ricerca, ma era inciampata in un carrello appendiabiti (con ruote alla base) lì presente, cadendo a terra, piegando la gamba e rimanendo incastrata tra il carrello (che le cadeva addosso) e la scaffalatura presente alla parete, riportando le lesioni in atti refertate ("infrazione del polo distale della rotula sinistra", malattia guarita in 91 giorni).
1.2. I giudici territoriali, in estrema sintesi, hanno addebitato al A.A. la colpa consistita nell'aver fatto lavorare la dipendente in un ambiente di lavoro del tutto inadeguato, poiché per significativi periodi dell'anno ingombrato da carrelli contenenti abiti, per i quali non vi era altro posto all'interno del negozio;
alla società, la colpevole scelta gestionale in ordine alle dimensioni inadeguate del punto vendita in questione, finalizzata al vantaggio in termini di risparmio di spesa correlato alla mancata predisposizione di un ambiente di lavoro più ampio o ad una diversa organizzazione del sistema di approvvigionamento-conservazione in magazzino delle merci, oltre al costo correlato alla (omessa) formazione dei dipendenti in materia di sicurezza.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione l'imputato A.A. e la società B.B.
3. Il ricorso del A.A. lamenta quanto segue.
Si eccepisce in primo luogo l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione.
Si deducono (in sintesi, giusta il disposto di cui all'art. 173, comma 1, disp. atto cod. proc. pen.) i seguenti vizi motivazionali:
- omesso esame dei motivi di appello, essendosi la Corte di appello limitata a richiamare per relationem la decisione di primo grado, senza esaminare le specifiche articolazioni di censura proposte in sede di gravame;
- mancanza di motivazione in ordine alla supposta omessa formazione della persona offesa;
- insussistenza del nesso eziologico tra l'omessa formazione della persona offesa e l'evento lesivo;
- erroneità della motivazione in punto di inidoneità del luogo di lavoro, basata soltanto su una foto scattata quasi un mese dopo il sinistro;
- omessa analisi circa le reali dimensioni della società B.B. e la sua complessa organizzazione aziendale, in rapporto al criterio di esigibilità della condotta, trattandosi di una società di profilo internazionale con oltre 1.200 addetti nel mondo e 62 punti vendita sparsi su tutto il territorio nazionale;
- omesso esame del motivo di appello circa il ruolo e la posizione in diritto della signora E.E. quale Store manager preposto del negozio teatro dell'incidente;
- omessa motivazione in punto di esigibilità in concreto della condotta conforme a diritto in capo all'imputato, non potendosi pretendere dal medesimo una vigilanza assoluta e continua sul lavoratore;
- omesso esame della censura in punto di mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti sulle contestate aggravanti;
- omessa motivazione in punto di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen.
4. Il ricorso della società lamenta quanto segue.
- Omesso vaglio delle specifiche doglianze avanzate in ordine alla posizione di responsabilità dell'ente;
- erronea applicazione dell'art. 5 D.Lgs. n. 231-2001 e vizi motivazionali, per non avere la Corte d'appello chiarito in base a quale criterio d'imputazione oggettiva sia stata confermata la sentenza di primo grado. In particolare, mentre la contestazione faceva riferimento alla "possibilità di gestire un volume di affari eccessivo rispetto alle esigenze di sicurezza dei lavoratori", per la Corte di merito il vantaggio della società andrebbe individuato nel risparmio (per l'acquisto e-o locazione) connessi alle dimensioni e alla struttura del punto vendita, tema mai affrontato nel corso del processo. Quanto all'utilizzo dei carrelli e al loro ingombro, è emerso che quella specifica situazione fosse esplicitamente proibita proprio dalle disposizioni in materia di sicurezza dettate dalla società e non fosse affatto determinata da una precisa scelta aziendale.
- Omessa motivazione in punto di contestata incongruità della sanzione irrogata con applicazione dell'art. 12 D.Lgs. 231-2001, sanzione immotivata ed eccessiva rispetto a quanto processualmente emerso, essendo l'infortunio derivato da un evento sfortunato.
Diritto
1. Con riferimento al ricorso del A.A." si osserva che il reato oggetto di imputazione è estinto per intervenuta prescrizione.
Il fatto-reato risale, infatti, al 4.4.2016, ed il termine massimo di prescrizione di sette anni e sei mesi, anche tenuto conto dei periodi di sospensione medio tempore intervenuti, risulta decorso il 13.1.2024, in data successiva a quella di emissione della sentenza impugnata.
Da ciò discende, trattandosi di ricorso i cui motivi di censura non sono integralmente inammissibili, che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, nei confronti di A.A., perché il reato è estinto per prescrizione, non emergendo dagli atti elementi evidenti e palmari di irresponsabilità dell'imputato per una pronuncia nel merito più favorevole, ai sensi dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen.
2. Il ricorso proposto dalla società B.B. va rigettato.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa ricorrente, i giudici territoriali hanno fornito adeguata risposta alle doglianze avanzate in sede di appello in ordine alla posizione di responsabilità della B.B., offrendo una motivazione immune da vizi logici o da errori in diritto rinvenibili in questa sede.
3. La Corte di appello, conformemente al primo giudice, appurata l'insussistenza di un interesse esclusivo del soggetto apicale che aveva agito per suo conto, al fine di affermare la responsabilità dell'ente ha fatto specifico riferimento al vantaggio per la società, conseguente al risparmio di spesa correlato alla mancata predisposizione di un ambiente di lavoro a norma (più ampio) o, in alternativa, all'organizzazione di un diverso sistema di approvvigionamento-conservazione in magazzino delle merci. Ciò proprio in considerazione del fatto che l'infortunio della dipendente era essenzialmente derivato da una postazione di lavoro eccessivamente angusta e del tutto inadeguata, visto che - secondo quanto insindacabilmente accertato in sede di merito - per significativi periodi il locale era ingombrato da carrelli contenenti abiti, su uno dei quali la persona offesa era inciampata, procurandosi lesioni.
Sotto questo profilo, la decisione appare in linea con la contestazione mossa nei confronti della società, laddove il riferimento al risparmio di spesa derivante dalla "possibilità di gestire un volume di affari eccessivo rispetto alle esigenze di sicurezza dei lavoratori" appare correlato allo specifico addebito di aver disposto "che la dipendente effettuasse la propria attività lavorativa in un ambiente angusto e con rischio di inciampo", in violazione dell'art. 64, comma 1, in riferimento all'all. IV, punto 1.4.10 del D.Lgs. n. 81-2008 (disposizione che, in relazione ai requisiti degli ambienti di lavoro, prescrive espressamente che "pavimenti ed i passaggi non devono essere ingombrati da materiali che ostacolano la normale circolazione").
4. Quanto alla doglianza con cui si conte.sta l'eccessiva entità della sanzione irrogata ex art. 12 D.Lgs. n. 231-2001, sostenendosi che l'infortunio sarebbe derivato da un evento "sfortunato", è appena il caso di rilevare che la valutazione sul punto dei giudici territoriali ha motivatamente tenuto conto della gravità del fatto, in rapporto alle riscontrate violazioni della normativa antinfortunistica. Trattandosi, pertanto, di una ponderata e non arbitraria valutazione di merito, essa è insindacabile nella presente sede di legittimità.
5. Al rigetto del ricorso proposto dalla società consegue per legge la condanna della stessa al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, nei confronti di A.A., perché il reato è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso di B.B. Spa che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 29 maggio 2024
Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2024