Cassazione Penale, Sez. 4, 02 agosto 2024, n. 31664 - Esposizioni prolungate dei lavoratori alle fibre e alle polveri dell'amianto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente
Dott. CAPPELLO Gabriella - Relatore
Dott. D'ANDREA Alessandro - Consigliere
Dott. DAWAN Daniela - Consigliere
Dott. LAURO Davide - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI PALERMO;
dalla parte civile INAIL;
dalla parte civile A.A. nato a V il (Omissis);
dalla parte civile B.B. nato a P il (Omissis);
dalla parte civile C.C. nato a P il (Omissis);
dalla parte civile D.D. nato a P il (Omissis);
dalla parte civile E.E. nato a P il (Omissis);
dalla parte civile F.F. nato a P il (Omissis);
dalla parte civile G.G. nato a P il (Omissis);
dalla parte civile H.H.
dalla parte civile I.I. nato a P il (Omissis);
dalla parte civile J.J. nato a P il (Omissis);
nel procedimento a carico di:
K.K. nato a R il (Omissis);
L.L. nato a T il (Omissis);
M.M. nato a L il (Omissis);
inoltre:
N.N.;
O.O. ;
P.P.;
Q.Q.;
@18.Gi.Fr.;
S.S.;
T.T.;
U.U.;
V.V.;
W.W.;
X.X.;
Y.Y.;
Z.Z.;
A.A.A.;
B.B.B. ;
C.C.C.;
D.D.D.;
E.E.E.;
F.F.F.;
G.G.G.;
H.H.H.;
I.I.I.;
J.J.J.;
K.K.K.;
L.L.L.;
M.M.M.;
Camera Del Lavoro Metropolitana P;
N.N.N.;
O.O.O. ;
P.P.P.;
Q.Q.Q.;
R.R.R.;
S.S.S.;
Fincantieri;
avverso la sentenza del 28/09/2022 della CORTE APPELLO di PALERMO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
svolta la relazione dal Consigliere GABRIELLA CAPPELLO;
udito il Procuratore generale, in persona del Sostituto FERDINANDO LIGNOLA, il quale ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, in relazione ai capi f) e j); l'annullamento senza rinvio agli effetti penali per prescrizione in relazione ai capi 19), 26), 35), a) ed e), nonché per l'inammissibilità del ricorso in relazione ai capi 5) e 41); l'annullamento con rinvio al Giudice civile competente per valore in grado di appello per i capi 31), 1), 5), 8), 20), 23), 29), 19), 26), 35), a), e) ed i);
uditi, inoltre, l'avv. Andrea Rossi del foro di Roma, nell'interesse di INAIL, il quale ha depositato conclusioni scritte e nota spese, illustrando i motivi di ricorso e chiedendone l'accoglimento; l'avv. Gaetano Fabio Lanfranca del foro di Palermo, per le parti civili ricorrenti I.I. e J.J., in proprio e quali eredi della madre T.T.T., nonché delle altre parti civili non ricorrenti P.P., Q.Q. e della FIOM P, il quale ha depositato conclusioni scritte e note spese, chiedendo l'accoglimento del ricorso ed esponendone i motivi; l'avv. Salvatore Petronio del foro di Palermo, per le parti civili A.A., B.B., C.C., D.D. e E.E., il quale ha insistito per l'accoglimento del ricorso, riportandosi alle conclusioni scritte e alla nota spese già depositate; l'avv. Pietro Gambino del foro di Sciacca, per le parti civili ricorrenti F.F., G.G., H.H., U.U.U. e L.L.L., nonché per le parti civili no ricorrenti @18.Gi.Fr., S.S., T.T., U.U. e K.K.K., il quale ha insistito per l'accoglimento del ricorso, rimettendosi alla Corte quanti alla liquidazione delle spese; l'avv. Fausto Maria Amato del foro di Palermo, per la Camera Del Lavoro Metropolitana P, nonché delle parti civili N.N.N., O.O.O., P.P.P., Q.Q.Q., R.R.R. e S.S.S., il quale ha depositato nomina e contestuale procura speciale per la parte civile S.S.S., nonché conclusioni scritte e nota spese relativa a tutte le posizioni rappresentate, associandosi alle richieste del Procuratore generale; infine, l'avv. Alberto Sbacchi, del foro di Palermo, per K.K., anche in sostituzione per delega orale dell'avv. Gioacchino Sbacchi per L.L., il quale ha insistito per la conferma della sentenza impugnata.
Fatto
1. Con sentenza del 28/3/2022, la Corte d'Appello di Palermo ha parzialmente riformato quelle del Tribunale cittadino, rispettivamente in data 30/10/2015 e 9/11/2015, appellate, tra gli altri, dagli imputati M.M., K.K. e L.L., con le quali, dichiarati prescritti i reati di cui all'art. 590, cod. pen., costoro erano stati condannati per più omicidi colposi, aggravati dalla violazione delle norme sugli infortuni sul lavoro, nella qualità di Direttori pro-tempore dello Stabilimento di P della Fincantieri - Cantieri Navali Italiani - Spa (già Cantieri Navali Riuniti del Tirreno e Cantieri Navali Riuniti), limitatamente al periodo dal 1.7.1979 al 15.10.1982, il M.M., dal 15.10.1984 al 30.11.1988, il K.K., dal 1.12.1988 al 31.5.1997, il L.L., dichiarando non doversi procedere nei confronti di M.M. con riferimento a tutti i reati ascritti nei due procedimenti di cui alle sentenze appellate, siccome estinti per morte dell'imputato con revoca delle statuizioni civili e assolvendo L.L. e K.K. da tutti i reati loro ascritti perché i fatti non sussistono, con revoca delle statuizioni civili.
2. Va, intanto, preliminarmente precisato che il presente thema decidendum attiene alle sole posizioni di K.K. - questi sia sul piano civilistico che su quello degli effetti penali, la sentenza assolutoria essendo stata impugnata con ricorso del Procuratore generale presso la Corte d'Appello di Palermo - e L.L., quest'ultimo, tuttavia, limitatamente alle statuizioni civili, non constando nei suoi confronti ricorso della parte pubblica.
Ciò premesso, va pure ricordato - una volta dato atto della declaratoria di estinzione per morte dell'imputato nei confronti del citato M.M. - che K.K., nella indicata qualità, era stato condannato con la prima delle due sentenze del Tribunale di Palermo alla pena di anni otto e mesi sei di reclusione in relazione ai capi 3), 14), 15), 16), 19), 22), 24), 26), 31) e 35) e L.L. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione per i capi 3), 14), 15), 16), 24), 26) e 35); che, con la medesima sentenza, entrambi erano stati invece assolti dai reati di cui ai capi 1), 5), 7), 8), 10), 20), 23), 29), 32, e 41), loro rispettivamente ascritti, il K.K. anche dal capo 18), perché il fatto non sussiste, avendo quel Giudice dichiarato non doversi procedere quanto alle lesioni colpose (capì 2), 4), 6), 9), 11), 13), 17), 21), 25), 27), 33), 34), 36), 37) e 40), 28) e 39)), riqualificati gli ultimi due reati ai sensi dell'art. 590, cod. pen., perché estinti per sopravvenuta prescrizione; che, con la seconda delle due sentenze, entrambi erano stati condannati alla pena di anni sei di reclusione per i capi a), e), f), i) e j) della rubrica, mentre, con riferimento ai restanti capi, vi era stata assoluzione per i reati di cui ai capi g) e h) perché il fatto non sussiste, dichiarata l'estinzione dei reati per prescrizione, quanto ai capi b), c) e d); che, infine, nei loro confronti sono state adottate le statuizioni civili in solido con il responsabile civile Cantieri Navali Italiani Spa.
Giova, inoltre, premettere il tenore delle singole imputazioni e associare le stesse alle diverse persone offese.
Quanto al primo punto, premesso che i processi conclusi con le due sentenze appellate sono stati riuniti in grado di appello, va evidenziato come la vicenda all'esame inerisca a fatti ascritti, tra gli altri, ai citati K.K. e L.L. in termini di responsabilità omissiva nei capi d'imputazione, secondo un modello di contestazione sostanzialmente identico, che può così riassumersi: avere costoro omesso, nella qualità e con riferimento ai periodi nei quali hanno ricoperto la relativa posizione apicale/datoriale, di adottare anche le più elementari misure di prevenzione finalizzate ad evitare l'inalazione di polveri e fibre di amianto durante l'attività lavorativa (non dotando i singoli lavoratori di abito da lavoro, mascherina idonea, berretto o cuffia, non provvedendo ad aspirare la polvere di amianto prodotta durante le lavorazioni con idonei strumenti localizzati, non disponendo che i locali dove l'attività lavorativa veniva svolta venissero costantemente lavati e bagnati, non prevedendo che il lavoratore esposto, al termine del lavoro, si lavasse e cambiasse la tuta indossata, non prevedendo una durata del lavoro limitata nel tempo con periodi di interruzioni di alcuni mesi o anni per consentire ai polmoni di liberarsi delle polveri di amianto inalate), come previsto, tra l'altro, prima dall'art. 21 D.P.R. 303/56 e dagli artt. 140 lett. f) e 157 D.P.R. 1124/65 e poi dal D.Lgs. 277/91 (la differenziazione delle due categorie di addebito essendo stata, pertanto, operata in base alla diversa tipologia di evento, morte o lesioni aggravate, che si assume esser stata conseguenza di una delle patologie professionali "asbesto-correiate").
Quanto al secondo punto, procedendo cronologicamente secondo le due distinte sentenze di primo grado, per i capi per i quali era intervenuta condanna, si tratta di omicidi colposi ricollegati a malattie asbesto-correlate di diverso tipo:
il capo 3) riguarda l'omicidio colposo ai danni di V.V.V., occorso in data (Omissis), contestato a K.K. e L.L. quale conseguenza di contratto carcinoma polmonare nell'ambiente lavorativo dello stabilimento da costoro diretto;
il capo 14) riguarda l'omicidio colposo ai danni di W.W.W., occorso in data (Omissis), contestato ai predetti quale conseguenza di contratto mesotetioma pleurico nell'ambiente lavorativo dello stabilimento da costoro diretto;
il capo 15) riguarda l'omicidio colposo ai danni di X.X.X., occorso in data (Omissis), contestato ai predetti quale conseguenza dì contratto mesotelioma pleurico nell'ambiente lavorativo dello stabilimento da costoro diretto;
il capo 16) riguarda l'omicidio colposo ai danni di Y.Y.Y., occorso in data (Omissis), contestato ai predetti quale conseguenza di contratta asbestosi polmonare nell'ambiente lavorativo dello stabilimento da costoro diretto;
il capo 19) riguarda l'omicidio colposo ai danni di Z.Z.Z., occorso in data (Omissis), contestato al solo K.K. quale conseguenza di contratto mesotelioma pleurico nell'ambiente lavorativo dello stabilimento da costui diretto;
il capo 22) riguarda l'omicidio colposo ai danni di A.A.A.A., occorso in data (Omissis), contestato al solo K.K. quale conseguenza di contratto mesotelioma pleurico nell'ambiente lavorativo dello stabilimento da costui diretto;
il capo 24) riguarda l'omicidio colposo ai danni di B.B.B.B., occorso in data (Omissis), contestato ai predetti K.K. e L.L. quale conseguenza di contratto mesotelioma pleurico nell'ambiente lavorativo dello stabilimento da costoro diretto;
il capo 26) riguarda l'omicidio colposo ai danni di C.C.C.C., occorso in data (Omissis), contestato ai predetti quale conseguenza di contratto mesotelioma pleurico nell'ambiente lavorativo dello stabilimento da costoro diretto;
il capo 31) riguarda l'omicidio colposo ai danni di U.U.U., occorso in data (Omissis), contestato al solo K.K. quale conseguenza di contratta asbestosi nell'ambiente lavorativo dello stabilimento da costui diretto;
il capo 35) riguarda l'omicidio colposo ai danni di D.D.D.D., occorso in data (Omissis), contestato ai predetti K.K. e L.L. quale conseguenza dì contratto mesotelioma pleurico nell'ambiente lavorativo dello stabilimento da costoro diretto;
il capo a) riguarda l'omicidio colposo ai danni di E.E.E.E., occorso in data (Omissis), contestato ai predetti quale conseguenza di contratto mesotelioma pleurico sinistro nell'ambiente lavorativo dello stabilimento da costoro diretto;
il capo e) riguarda l'omicidio colposo ai danni di F.F.F.F., occorso in data (Omissis), contestato ai predetti quale conseguenza di contratto mesotelioma pleurico nell'ambiente lavorativo dello stabilimento da costoro diretto;
il capo f) riguarda l'omicidio colposo ai danni di G.G.G.G., occorso in data (Omissis), contestato ai predetti quale conseguenza di contratta asbestosi pleuro-polmonare ad impronta pseudo tumorale nell'ambiente lavorativo dello stabilimento da costoro diretto;
il capo i) riguarda l'omicidio colposo ai danni di H.H.H.H., occorso in data (Omissis), contestato ai predetti quale conseguenza di contratta asbestosi pleuro-polmonare nell'ambiente lavorativo dello stabilimento da costoro diretto;
il capo j) riguarda l'omicidio colposo ai danni di I.I.I.I., in data (Omissis), contestato ai predetti quale conseguenza di contratta asbestosi nell'ambiente lavorativo dello stabilimento da costoro diretto.
Invece, per i capi per i quali è stato rigettato l'appello del Procuratore generale avverso la sentenza assolutoria di primo grado, oggetto di ricorso, si tratta del capo 5) che riguarda l'omicidio colposo ai danni di J.J.J.J., occorso in data (Omissis), contestato a entrambi quale conseguenza di contratto sarcoma pleuropolmonare nell'ambiente lavorativo dello stabilimento da costoro diretto e del capo 41) che riguarda l'omicidio colposo ai danni di K.K.K.K., occorso in data (Omissis), contestato a entrambi quale conseguenza di contratta neoplasia polmonare destra nell'ambiente lavorativo dello stabilimento da costoro diretto.
Pertanto, ai fini penali, sono ancora sub iudice le assoluzioni (conseguite al ribaltamento delle condanne di primo grado) dai reati di cui ai capi 19), 26) e 35) e quelle confermative del giudizio assolutorio di primo grado di cui ai capi 5) e 41) della sentenza del 30/10/2015; nonché le assoluzioni (conseguite al ribaltamento delle condanne di primo grado) dai reati di cui ai capi a), e), f), i) e j) della sentenza del 9/11/2015.
I fatti di cui al capo f), relativi al decesso G.G.G.G., sono ancora sub iudice anche ai fini civili, mentre, solo a tali fini, per intervenuto giudicato assolutorio, non avendo il Procuratore generale impugnato espressamente la difforme decisione d'appello, sono ancora sub iudice i fatti di cui ai capi 31), inerenti al decesso U.U.U. e 26), inerenti al decesso C.C.C.C., per i quali constano i ricorsi delle costituite parti civili.
Inoltre, l'INAIL ha proposto ricorso awerso la sentenza d'appello, anche con riferimento alle statuizioni sulla domanda civile non accolta dal Giudice di primo grado (sentenza 30/10/2015) quanto ai fatti di cui ai capi 1), decesso per neoplasia polmonare di L.L.L.L.; 5), decesso per sarcoma pleuropolmonare di J.J.J.J.; 8), decesso per neoplasia polmonare di M.M.M.M.; 20), decesso per carcinoma polmonare di N.N.N.N.; 23), decesso per carcinoma polmonare di O.O.O.O.; 29), lesioni personali gravissime per contratte malattie insanabili (carcinoma laringeo e asbestosi) ai danni di P.P.P.P., rispetto ai quali si rileva la conformità delle decisioni di primo (sentenza del 30/10/2015) e di secondo grado; ma anche con riferimento ai capi f), decesso per contratta asbestosi di G.G.G.G.; i), decesso per contratta asbestosi di H.H.H.H.; j), decesso per contratta asbestosi di I.I.I.I.; 19), relativo al decesso per mesotelioma di Z.Z.Z.; 26), relativo al decesso per mesotelioma di C.C.C.C.; e 35), relativo al decesso per contratto mesotelioma di D.D.D.D., rispetto ai quali si rileva la difformità delle decisioni di primo (sentenze del 30/10 e del 9/11/2015) e di secondo grado.
Un'altra premessa è necessaria per un corretto inquadramento del processo: il cantiere teatro dei fatti che hanno dato il via alle formulate imputazioni, recepite nelle sentenze di primo grado, è già stato interessato da precedente procedimento penale, avente a oggetto altre malattie professionali e/o decessi asbesto-correlati, contratti da lavoratori del medesimo stabilimento, esitato nella sentenza di questa Sezione Quarta penale della Corte di Cassazione, n. 11128 del 21/11/2014, dep. il 16/3/2015 che ha riguardato anche gli imputati K.K. e L.L. (oltre al citato M.M.). In quella sede, pronunciata l'estinzione di alcuni reati per prescrizione, la Corte di legittimità aveva rigettato i ricorsi degli imputati M.M., K.K. e L.L., rideterminando la pena e condannandoli alla rifusione delle spese in favore delle parti civili costituite in quel diverso processo.
3. Fatte tali premesse, va richiamato, sìa pure in sìntesi, il contenuto delle decisioni di primo grado, oggetto del ribaltamento assolutorio in appello contestato, a vario titolo e per fini diversi, con i ricorsi all'esame. In entrambi i processi riuniti in appello si è lungamente dibattuto di questioni ricorrenti nei processi per omicidi e lesioni colposi correlati alle esposizioni prolungate dei lavoratori ad agenti patogeni, per quanto di interesse e più specificatamente alle fibre e alle polveri dell'amianto e, in entrambi, si è partiti dalla premessa o, comunque, si è valorizzata la circostanza che, su alcuni di questi temi, esiste una pronuncia definitiva, a seguito della sentenza di questa Sezione Quarta sopra richiamata che ha avuto ad oggetto proprio le condizioni di lavoro all'interno dello stabilimento nel quale si collocano i fatti per cui è processo e che ha visto come protagonisti anche il M.M., il K.K. e il L.L. nelle medesime qualità e con riferimento ai medesimi periodi di copertura della posizione datoriale alla quale sono stati ricondotti gli addebiti.
3.1. Il Tribunale di Palermo (sentenza del 30/10/2015), nello specifico, ha ritenuto che i temi fondanti la decisione inerissero essenzialmente alla prova delle esposizioni all'amianto in pregiudizio dei lavoratori; all'affidabilità delle diagnosi, negata dalle difese degli imputati; ai meccanismi eziologici nelle patologie asbesto-correlate e, in particolare, alla sensibilità di ciascuna di esse alle esposizioni successive a quelle che avrebbero innescato la malattia; alla possibile interazione di fattori di rischio alternativi all'amianto, soprattutto per il fumo di sigaretta con riguardo al carcinoma polmonare; al nesso causale individuale; alla colpa di ciascun accusato, da valutarsi in relazione alla presenza degli altri co-imputati, prima e/o dopo, nella medesima posizione di gestori del rischio correlato a dette esposizioni. Operato un rinvio alla sentenza della Corte di Cassazione n. 11128/2015 citata, il Tribunale ha ritenuto che i giudici di legittimità avessero già convalidato il giudizio della Corte di Appello di Palermo (sentenza n. 4224/2012), rimarcando la valenza probatoria del documento (sentenza irrevocabile), acquisito ai sensi dell'art. 238-bis, cod. proc. pen.
Ha, poi, condotto una disamina del quadro normativo di riferimento, quanto alla materia dell'amianto e della sua nocività per l'uomo, affrontando il tema della diversità delle singole patologie asbesto correlate, descrivendo il ciclo dell'asbesto, le sue caratteristiche e le modalità diagnostiche per ciascuna di esse, affermando come fosse scientificamente accertato che l'asbestosi è malattia cronica da inalazione di fibre di amianto, esclusivamente professionale, nel senso che colpisce soltanto i soggetti che siano stati professionalmente esposti, costituendo praticamente l'unica causa che la determina; per la sua diagnosi, oltre al fondamentale studio radiografico del torace (RX e TAC), ha richiamato anche l'anamnesi lavorativa, essendo necessario un sufficiente periodo di latenza dall'inizio dell'esposizione compreso tra i 15 e i 20 anni, ma anche più lungo sino ai 40 anni, la presenza di rantoli crepitanti inspiratori alle basi in sede di auscultazione polmonare; il quantitativo necessario per innescarla, con riferimento al valore soglia (15 fibre per centimetro cubo/anno).
Quanto, invece, al mesotelioma, tumore maligno a prognosi certa infausta, ha precisato che vi è concordia in ambito scientifico che non vi sia una soglia di sicurezza, precisando che, a differenza che per le altre malattie asbesto correlate, la patogenesi è più incerta.
Infine, si è occupato più diffusamente del carcinoma polmonare, dando atto della carenza di dati accettati universalmente nella comunità scientifica sulla patogenesi e dei meccanismi di sviluppo, soprattutto in considerazione del fatto che, a differenza del mesotelioma, esso è patologia ad eziologia multifattoriale e, pertanto, complessa. Ha precisato che un dato pressocché accettato da tutti (e richiamato anche dai consulenti degli imputati) sarebbe quello per il quale il carcinoma polmonare è malattia "dose dipendente", con una correlazione lineare tra esposizione ad amianto e rischio, richiamando le conclusioni del perito Q.Q.Q.Q., a mente delle quali maggiore e/o più intensa è l'esposizione, maggiore il rischio di contrarre la malattia e, sebbene costui abbia riconosciuto che il carcinoma polmonare è da considerarsi malattia professionale in relazione alla riconosciuta esposizione professionale ad amianto, ha condiviso l'affermazione proposta dalle difese degli imputati, secondo la quale occorre poi, caso per caso, considerare l'esistenza dell'esposizione ad altri fattori.
In merito alle diagnosi, ha respinto la tesi difensiva del fallimento dell'accertamento causale tra esposizione ad amianto e singole patologie, con particolare riferimento al mesotelioma, per asserita incertezza della diagnosi, ricollegata dalle difese alla mancanza di esami immunoistochimici, anche sul punto rinviando all'arresto giurisprudenziale relativo al primo processo Fincantieri P. Ha, dunque, affrontato quello che ha definito il "nodo gordiano" del processo (e, invero, di quelli dello stesso tipo), cioè quello della legge scientifica e la scelta della "legge di copertura", tema centrale per la spiegazione della patogenesi del mesotelioma, dando conto della contrapposizione dei vari esperti, polarizzata tra le due tesi scientifiche della "dose cumulativa", sposata dall'accusa e dai periti (per la quale rileva ogni esposizione, sino alla irreversibilità della malattia e, quindi, esiste il nesso di causa per ogni condotta che ha determinato un'ulteriore esposizione) e quella sposata dalle difese degli imputati, per la quale solo le primissime contaminazioni avrebbero un'incidenza causale rispetto alla malattia, tesi quest'ultima che non ha però convinto il Tribunale.
Fatta tale precisazione in punto di causalità generale, sulla base della legge di copertura prescelta (quella sostenuta dai periti e dal consulente dell'accusa e che, del resto, aveva giustificato anche il precedente giudicato di condanna), il Tribunale si è dichiarato edotto però della necessità di verificare il collegamento causale tra i singoli eventi (morte o lesioni) e il segmento di condotta omissiva attribuita al singolo imputato, secondo un parametro di "credibilità razionale", sul punto rinviando al parere del perito Q.Q.Q.Q. che ha sottoposto ad attento e critico vaglio.
In un'ottica di maggiore prudenza, peraltro, il Tribunale, rilevando come fosse stato lo stesso perito Q.Q.Q.Q. ad affermare che non poteva stabilirsi se ad indurre la malattia fosse stato l'amianto in tutti i casi nei quali il paziente era stato fortemente esposto anche al principale fattore eziologico per il carcinoma polmonare, cioè il fumo, ha concluso nel senso che, nel mesotelioma polmonare e nell'asbestosi, per i quali l'esposizione all'amianto è pressocché l'unico fattore eziologico, può dirsi certa la diagnosi anche in assenza di indagini più sofisticate; laddove, per il carcinoma polmonare, nei casi in cui i pazienti-lavoratori fossero stati esposti al fattore eziologico principale (il fumo di sigaretta), tale mancanza non consentiva di ritenere provata l'incidenza concausale dell'amianto.
Operato tale distìnguo, ha affrontato il tema dell'elemento soggettivo del reato, evidenziando come, ancor prima dell'insediamento susseguente di M.M., K.K. e L.L. ai vertici della dirigenza di Fincantieri P, fosse già stata acquisita la consapevolezza della nocività dell'amianto e fossero già in vigore le norme poste a tutela delle patologie di carattere professionale indotte dall'inalazione di polveri nocive, fra le quali, ovviamente, l'amianto (ma anche i cristalli di silicio).
Conclusa tale premessa generale, ha poi esaminato le singole imputazioni, per ciascun lavoratore dando conto della patologia, della diagnosi, del periodo di esposizione presso i cantieri navali di P, della diagnostica applicata, della concorrenza o meno di fattori di rischio alternativi, quali il fumo, degli esami effettuati nel tempo, affidandosi alla lettura motivata di detta documentazione operata dagli esperti.
3.2. Con la seconda sentenza, successiva a quella già richiamata solo di qualche giorno (9/11/2015), lo stesso ufficio giudiziario, in persona fisica diversa, ha operato una premessa generale sulle condizioni lavorative presso Fincantieri di P, evidenziando come le patologie richiamate nelle imputazioni avessero come caratteristica comune i lunghi tempi di latenza tra l'esposizione all'agente patogeno e le manifestazioni cliniche, dando atto della impossibilità di effettuare, sui luoghi di lavoro, con appositi strumenti tecnici, misurazioni "attualizzate" al periodo dell'esposizione e della necessità, dunque, di fare ricorso ad una ricostruzione, il più possibile dettagliata ed attendibile, basata sulle testimonianze dei lavoratori, sulla documentazione acquisita presso la società e diversi organi istituzionali, per stabilire lo stato dei luoghi e le condizioni di lavoro nel cantiere nell'arco temporale che va dal 1977 al 1992, durante il quale gli odierni imputati avevano rivestito la qualifica di "datori di lavoro" delle persone offese. A tal fine, ha rinviato, in primo luogo, all'ampia disamina contenuta nella perizia eseguita nel corso di incidente probatorio a firma Q.Q.Q.Q.-R.R.R.R., ma anche alle relazioni di consulenza tecnica eseguite su incarico del P.M. e della difesa degli imputati, rispettivamente dal dr. S.S.S.S. e dal dr. T.T.T.T. e alla relazione di consulenza per l'INAIL a firma della dr.ssa U.U.U.U.. Ha, poi, descritto l'impiego dell'amianto all'interno di quel luogo di lavoro (da ritenersi quello sulle navi e i locali a terra), le modalità della sua dispersione, in generale le condizioni di lavoro, restituite anche attraverso vividi resoconti testimoniali, descrittivi delle dimensioni degli ambienti lavorativi e dell'assenza di presidi di ogni sorta intesi a prevenire quel rischio specifico, anche questo Giudice avendo fatto rinvio all'accertamento irrevocabile di cui al primo processo Fincantieri P (tutte le sentenze ad esso correlate essendo state acquisite anche in questo processo ai sensi dell'art. 238-bis, cod. proc. pen.), sentenza che, anche per tale Giudice, si è saldato con le evidenze probatorie acquisite nel processo che fa parte dell'odierna vicenda giudiziaria.
Ha, poi, affrontato la tematica della capacità patogenetica dell'amianto, prima di occuparsi del tema del nesso di causalità, secondo leggi scientifiche certe, tra l'esposizione dei lavoratori alle polveri provenienti da tale minerale e le malattie contratte, onde verificare se gli imputati avessero violato le regole cautelari scritte, nel caso in specie di fonte normativa (c.d. colpa specifica) richiamate in imputazione, e/o norme comportamentali di prudenza, diligenza e perizia, precisando come, in tale ultimo caso (c.d. colpa generica), fosse necessario verificare altresì se era stato possibile per gli imputati, in concreto e nel momento in cui assunsero il ruolo direttivo, prevedere l'evento.
Sempre agli stessi fini, si è soffermato sulla diversità e peculiarità del carcinoma polmonare, ricollegate alla multifattorialità della patogenesi, sottolineando le conseguenti, maggiori difficoltà di accertamento, specie ove non diagnosticato insieme all'asbestosi.
Una parte della esposizione, poi, ha riguardato, anche in questo caso, la spiegazione causale del fenomeno. Infatti, nell'affrontare il problema più strettamente correlato alla prova della causalità individuale, avuto riguardo al succedersi dei vari gestori del rischio specifico del quale si discute, il Tribunale ha fatto propria la spiegazione scientifica che i periti hanno offerto, ritenendola tale da offrire quel grado di alta probabilità logica richiesto dal diritto vivente. In via conclusiva, per quel Giudice, il principio della dose-dipendenza delle patologie fonderebbe l'affermazione, sia da un punto di vista logico-giuridico che probabilistico, che l'eliminazione o la riduzione delle polveri d'amianto avrebbe per un verso evitato, ritardato o alleviato malattie non letali; per altro verso, evitato o ritardato quelle mortali, oppure allungato la relativa durata, spostandone in avanti l'infausto esito.
All'esito di tale premessa generale, alla stregua della quale ha ritenuto dimostrato il nesso di causalità generale tra le condotte contestate e gli eventi, il Tribunale ha poi operato (da pag. 101 in avanti) la verifica della validazione di tale risultato nel singolo caso concreto e in relazione al periodo datoriale da ciascuno ricoperto, anche questo Giudice avendo fatto ricorso a un sistema compilativo di quelle che possono considerarsi vere e proprie schede riassuntive per ogni singolo lavoratore, realizzate attraverso l'esposizione analitica dei dati rilevanti ai fini del relativo controllo (periodo lavorativo in Fincantieri P; diagnosi e modalità diagnostica con indicazione delle informazioni sanitarie; denuncia INAIL; periodo di latenza calcolato tra l'inizio della esposizione e la prima diagnosi; eventuali fattori e loro possibile interferenza, soprattutto per il carcinoma polmonare).
4. Il Giudice del gravame, richiamate le doglianze veicolate con gli appelli (degli imputati, di alcune parti civili e del Procuratore della Repubblica del Tribunale di Palermo, quanto alla prima delle due sentenze), ha precisato che, con gli appelli delle difese, le due sentenze erano state sottoposte a serrate critiche, con riferimento all'assunto dell'uso massiccio dell'amianto nello stabilimento, alla legge di copertura scientifica sulla cancerogenesi derivante dall'esposizione alle fibre di amianto e alla disamina caso per caso, dando atto dell'intervenuta rinnovazione della istruzione dibattimentale, passata attraverso la nuova audizione dei periti Q.Q.Q.Q. e R.R.R.R. e dei vari tecnici di parte.
In primo luogo, ha esaminato la posizione del M.M., per il quale ha semplicemente preso atto del sopravvenuto decesso che ha imposto le declaratorie conseguenziali.
Ha, poi, esaminato la posizione del L.L., muovendo dalla sintesi delle doglianze, per concludere nel senso della condivisibilità delle valutazioni del Procuratore Generale, non prima di aver dato conto delle censure difensive incentratesi soprattutto sulla questione dell'impiego dell'amianto e sulla sostituzione del ciclo produttivo in epoca anteriore al suo insediamento in posizione apìcale.
Ha, dunque, enunciato in premessa la necessità che il Giudice d'appello, per il caso di ribaltamento di un verdetto di condanna, fornisca una motivazione rinforzata (attraverso i corollari dello svolgimento di un'analisi stringente del provvedimento impugnato; della esposizione delle ragioni del dissenso e delle ragioni fondanti - a livello logico e probatorio - la nuova decisione assunta), affrontando preliminarmente i temi della legge di copertura scientifica della patogenesi e dell'accertamento della causalità individuale.
Da pag. 52 a pag. 66, infine, la Corte territoriale si è occupata della posizione dell'imputato K.K., illustrando le ragioni del suo contrario avviso, rispetto alle conclusioni del Procuratore Generale e concludendo nel senso che le affermazioni del perito Q.Q.Q.Q., per il quale, secondo il Giudice d'appello, ai fini della condanna sarebbe stato sufficiente aver ricoperto una posizione di garanzia nel periodo dell'esposizione, erano contrastanti con un moderno diritto penale e con il principio scolpito dall'art. 27 Cost., procedendo, quindi, alla disamina delle singole imputazioni ascritte al K.K.
Infine, nelle conclusioni, la Corte territoriale ha ribadito che la significativa incertezza scientifica e di ordine giurisprudenziale sulla idoneità di quello che ha denominato "principio dell'effetto acceleratore" a fungere da legge di copertura scientifica causalmente significativa, ridondasse a favore della tesi secondo cui non vi è, né può esservi, alcuna certezza (di ordine penalistico), cioè oltre ogni ragionevole dubbio, sul fatto che le patologie asbesto-correlate diagnosticate a carico delle vittime dei reati ascritti al K.K., siano state accelerate, diminuendo l'aspettativa ed il tempo di vita, lungo il quadriennio (1984-1988) di gestione dirigenziale del prevenuto, ricordando come, in ogni caso, fosse rimasta incerta nel processo l'individuazione del 1986 come anno a partire dal quale nei cantieri navali di P non vi sarebbe più stato rischio di amianto.
5. La sentenza della Corte d'Appello di Palermo è stata impugnata con ricorso dal Procuratore generale avverso la Corte d'Appello di Palermo, il quale ha contestato la pronuncia assolutoria con riferimento alle morti per asbestosi dei lavoratori G.G.G.G., H.H.H.H., I.I.I.I. (capi f), 0 e j)); a quelle per mesotelioma, dei lavoratori Z.Z.Z., C.C.C.C., D.D.D.D., E.E.E.E. e F.F.F.F. (capi 19), 26), 35), a) ed e)); e alla conferma della pronuncia assolutoria di primo grado quanto alle morti per tumore polmonare dei lavoratori J.J.J.J. e K.K.K.K. (capi 5) e 41).
Il deducente, in particolare, ha formulato quattro distinti motivi, con i quali ha dedotto il difetto della motivazione in ordine a vari aspetti.
Con il primo, ha censurato il condotto esame del tema del nesso di causa tra asbestosi e mesotelioma pleurico, patologie trattate unitariamente dal Giudice del gravame, in relazione alla legge di copertura scientifica (teoria multistadio): i giudici d'appello non avrebbero considerato che l'imputato aveva ricoperto la posizione di garanzia nella fase della induzione, escludendo il periodo di latenza clinica e neppure avrebbero distinto le diverse patologie, riconducendo sia l'asbestosi che il mesotelioma alla teoria multistadio. In tal modo, avrebbero omesso di considerare che l'asbestosi non è patologia tumorale, che essa è firmata dall'amianto ed è dose-dipendente, cosicché rispetto ad essa non sì pongono problemi dì nesso di causalità, essendo scientificamente incontestato che tutte le esposizioni hanno effetto concausale.
Sotto altro profilo, i giudici d'appello avrebbero stravolto principi scientifici senza esplicitare il fondamento del dissenso, operando confusi richiami a definizioni tecniche senza alcun fermo riferimento sull'esatto significato di essi. Ha richiamato, quindi, un arresto giurisprudenziale di questa Sezione Quarta relativo ad altro stabilimento Fincantieri (quello di M), per evidenziare l'uso improprio di termini da parte del Giudice del gravame che avrebbe, in particolare, confuso la latenza clinica con quella convenzionale.
Con il secondo motivo, ha dedotto vizio della motivazione anche con riferimento alla spiegazione scientifica prescelta, in dissonanza con le sentenze appellate. La Corte territoriale, dopo aver dato atto dell'accreditamento della teoria multistadio presso la comunità scientifica, ha negato valore a quella dell'effetto acceleratore, facendo rinvio alla sentenza Cozzini del 2010, la quale non aveva negato l'esistenza di tale legge di copertura, bensì ammonito i giudici sul corretto utilizzo del sapere scientifico, omettendo di considerare che dopo quell'arresto giurisprudenziale vi erano state ben due Consensus Conferences e che la seconda era stata anche oggetto dell'approfondimento istruttorio dibattimentale, tenuto anche conto della pubblicazione del testo aggiornato dei Quaderni del Ministero della salute del 2013, avendo invece i giudici del gravame preferito dare spazio a illazioni e voci in ordine alla validità scientifica di quella pubblicazione ad oggi non confutata.
La sentenza impugnata merita censura, a parere del deducente, per avere i giudici territoriali negato fondatezza scientifica alla teoria dell'effetto acceleratore, pur avendo condiviso quella multistadio e per non aver considerato che, nel caso del K.K., egli aveva ricoperto la posizione datoriale anche a voler considerare una latenza cinica di 10/15 anni.
Con il terzo motivo, poi, ha rilevato che la Corte d'Appello avrebbe ignorato la produzione documentale in atti, ritenendo non provato l'impiego di amianto nei cantieri in questione quantomeno fino al 1986, limitandosi a richiamare un passaggio della seconda relazione CONTARP del 1996, ma senza esaminarla nella sua interezza e, soprattutto, ignorando la copiosa mole di informazioni provenienti anche dalla difesa degli imputati, di opposto significato, lo stesso consulente a difesa T.T.T.T. avendo indicato la presenza di commesse nei mesi di gennaio e aprile 1982 e luglio 1985; laddove, nella seconda relazione CONTARP si era dato conto di operazioni di riparazione e trasformazione in aree interne alle navi certamente contenenti amianto fino al 1986 e dell'inquinamento ambientale nel quale i lavoratori Fincantieri erano costretti a operare. La Corte territoriale avrebbe, dunque, travisato la prova documentale, non avendo considerato la nota integrativa CONTARP (successiva di un mese rispetto alla prima), nella quale si era dato atto di operazioni implicanti lavorazioni in ambiente con presenza di amianto nel periodo compreso tra il 1984 e il 1987, durante il quale il K.K. aveva ricoperto la posizione datoriale (il deducente richiamando anche i dati rilevati dagli atti difensivi, cioè la relazione dott. V.V.V.V., dai quali emergerebbe l'esistenza di lavorazioni addirittura sino al 1990).
Con il quarto motivo, infine, il deducente ha dedotto un vizio motivazionale quanto all'esame delle singole fattispecie, rilevando, con riferimento ai decessi per asbestosi, che la Corte d'Appello avrebbe omesso di considerare la natura della patologia e l'accertata rilevanza di ogni esposizione, avendo condensato il vaglio dei tre capi d'imputazione in una pagina e mezzo, senza considerare la diagnosi di asbestosi affidata a una perizia medico-legale e accogliendo, in maniera acritica, la tesi difensiva, per la quale il decesso sarebbe avvenuto per broncopatia ostruttiva e/o bronchite cronica e non per asbestosi, senza spiegare le ragioni scientifiche alle quali ha collegato il proprio convincimento e richiamando invece un elenco redatto da INAIL che riguardava un campione di lavoratori anonimi, applicando quel criterio generale a detti lavoratori.
Quanto, poi, ai decessi da mesotelioma pleurico, il deducente ha stigmatizzato il fatto che la disamina di cinque capi d'imputazione era stata consegnata a due pagine di motivazione, nelle quali la Corte aveva pure del tutto omesso di trattare la posizione relativa al decesso F.F.F.F. Il deducente ha affrontato quell'esame, evidenziandone i punti di frizione con le risultanze acquisite agli atti e richiamate nel ricorso.
Infine, con specifico riferimento al tumore polmonare, ha contestato la conferma assolutoria, quanto ai decessi J.J.J.J. e K.K.K.K., rilevando che la motivazione sarebbe del tutto deficitaria a confronto della verifica compiuta nel caso concreto, rispetto alla quale la Corte ha liquidato la questione del nesso eziologico con estrema semplicità e, soprattutto, senza chiarire a quali diversi e ulteriori fattori cancerogeni sarebbe stato esposto il singolo lavoratore per escludere che la patologia tumorale fosse riconducibile alla natura cancerogena dell'amianto, evidenziando come non risponda al vero l'affermazione secondo la quale per il K.K.K.K. non vi fosse stato vaglio in sede di accertamento peritale, avendo la Corte disatteso conclusioni scientifiche senza chiarire le ragioni del dissenso e, in ogni caso, ignorando la diagnosi di asbestosi polmonare effettuata già nel 1995 al K.K.K.K., sottraendosi così all'obbligo di motivare specificamente in ordine all'interazione degli ulteriori fattori cancerogeni.
6. L'avv. Gaetano Fabio Lanfranca ha proposto ricorsi con unico atto per le parti civili, figli del lavoratore G.G.G.G. (capo f) dell'imputazione di cui alla seconda sentenza del Tribunale), I.I. e J.J., in proprio e anche quali eredi della moglie del lavoratore defunto T.T.T., formulando tre motivi.
Con il primo, ha dedotto violazione di norme processuali e carenza di motivazione, oltre a violazione dell'obbligo di motivazione rafforzata quanto al tema della cessazione della esposizione ad amianto dei lavoratori di Fincantieri P e alla conseguente assoluzione di L.L.
La difesa, richiamata la mole del materiale probatorio confluito nei processi di primo grado, riuniti in appello (costituita da testimonianze dei lavoratori, di personale tecnico INAIL (U.U.U.U. e W.W.W.W.), dalle ricostruzioni effettuate dai periti Q.Q.Q.Q. e R.R.R.R. e dal consulente tecnico del PM (S.S.S.S.), ma anche dagli apporti di segno contrario (consulente della difesa T.T.T.T.), oltre all'esito del nuovo esame dei periti e dei consulenti in appello), ha osservato come la Corte territoriale, senza procedere alla valutazione delle fonti di prova di segno contrario versate nelle motivazioni delle sentenze appellate, abbia ritenuto di dover attribuire una sorta di autorità privilegiata alle conclusioni del Procuratore Generale, formulando scarne valutazioni sull'epoca della cessazione dell'esposizione ad amianto nei cantieri d'interesse, senza un'attenta confutazione della pletora di elementi sui quali si erano fondati i giudizi di condanna attestanti il diffuso ricorso all'amianto almeno sino agli inizi degli anni novanta, riportando per interi stralci, tra l'altro, l'apporto dei consulenti U.U.U.U., S.S.S.S. e W.W.W.W.. A fronte di tali copiosi elementi, la Corte territoriale avrebbe recepito apoditticamente le conclusioni della parte pubblica, venendo meno all'obbligo della motivazione rafforzata, come delineato dal diritto vivente.
Sotto un diverso profilo, poi, la difesa ha osservato che i periti del Tribunale anche in appello si erano espressi nel senso della perdurante esposizione all'agente patogeno, convergendo in tal senso anche l'aggiornamento della mappatura operata dal CONTARP, in base alla quale la fine dell'esposizione era stata spostata al 1990.
Con il secondo motivo, la difesa ha dedotto vizio della motivazione e violazione dell'obbligo di motivazione rafforzata quanto alla individuazione della legge scientifica di copertura: la Corte territoriale, dopo aver dato atto delle teorie scientifiche sulla patogenesi oggetto dell'indagine processuale, ha ritenuto di rigettare il paradigma dell'effetto acceleratore in ragione del decisum contenuto in un precedente di legittimità del 2010 (il riferimento è a sez. 4, Cozzini), affermando la impossibilità di individuare il c.d. failure time (il momento cioè nel quale si verifica l'irreversibilità della malattia e la conseguente irrilevanza di ogni successiva esposizione all'agente patogeno). Tuttavia, in tal modo, avrebbe ignorato gli apporti scientifici veicolati in questo specifico processo, senza indicare la fonte di quello al quale avrebbe attinto per fondare le proprie conclusioni e senza confronto con i pareri degli esperti, il cui contributo processuale aveva impegnato entrambi i gradi del giudizio. Da ciò sarebbe derivato il difetto di ogni valutazione sulla prova tecnica assunta nell'istruttoria (richiamata per stralci in ricorso) e un silenzio motivazionale rispetto alla circostanza veicolata dal perito Q.Q.Q.Q..
Con il terzo motivo, ha dedotto analoghi vizi con riferimento all'esclusione del nesso di causa tra la condotta ascritta agli imputati e il decesso del lavoratore G.G.G.G., oltre al travisamento del parere CONTARP INAIL del 1996 e la conseguente contraddittorietà della motivazione quanto all'accertamento dell'epoca di cessazione dell'esposizione all'amianto nei cantieri d'interesse: a fronte dì circostanziate valutazioni tecniche (riportate testualmente in ricorso), sulla scorta delle quali i giudici di primo grado erano addivenuti alla certa individuazione dell'epoca in cui essa era cessata, i giudici del gravame hanno riformato la sentenza di condanna, limitandosi ad affermare in poche righe che, data la lunga latenza con la quale si sviluppa l'asbestosi, il periodo di esposizione era da ricondursi a intervalli anteriori ai primi anni ottanta, omettendo di considerare, in primo luogo, che i pareri CONTARP non avevano ad oggetto malattie asbesto-correlate; in secondo luogo, avrebbero valutato il documento solo parzialmente, travisandone il contenuto, avendo tratto la conclusione sopra richiamata da un riferimento a quattro denunce di malattie, dalle quali era stato inferito che l'esposizione doveva risalire a un periodo anteriore agli anni ottanta, senza considerare tuttavia che, in quello stesso documento, l'ente si era limitato a ribadire che l'esposizione nei campioni considerati era avvenuta in epoca antecedente alla comparsa della malattìa che coincideva con la denuncia di malattia professionale, laddove la Corte ha ritenuto di poter trasferire il ragionamento al lavoratore G.G.G.G., la cui malattia era stata diagnosticata nel 2007, senza considerare che era stato lo stesso CONTARP ad affermare che l'esposizione all'amianto era durata sino al 1986.
Sotto altro profilo, poi, il deducente ha rilevato che i giudici del gravame avrebbero omesso di ricostruire, sulla base della prova tecnica acquisita al processo, i meccanismi dell'eziopatogenesi dell'asbestosi, ai quali erano state dedicate numerose pagine nelle consulenze e perizie e sulle quali si era a lungo dibattuto nel giudizio di primo grado.
In conclusione, la parte ricorrente ha chiesto l'annullamento della sentenza con condanna degli imputati alla rifusione degli onorari e delle spese di questo grado e di quello d'appello, chiedendone la distrazione in favore del procuratore che si è dichiarato antistatario ai sensi dell'art. 93 cod. proc. civ.
7. L'avv. Andrea Rossi, per la parte civile INAIL, in persona del Presidente pro tempore Franco Bettoni, ha proposto ricorso, formulando cinque motivi.
Con il primo, ha dedotto vizio della motivazione per non avere la Corte del gravame argomentato sull'appello proposto dall'istituto ricorrente avverso la sentenza di primo grado del 30/10/2015 impugnata in relazione alle assoluzioni per i capi 1), 5), 8), 20), 23) e 29) della imputazione. Le censure afferivano alle statuizioni civili e ai presupposti in forza dei quali il Tribunale non aveva accolto le domande di risarcimento con riferimento alle morti per tumore polmonare, non avendo il primo Giudice dato conto della necessità, in caso di patologia multifattoriale, di verificare se l'esposizione all'amianto fosse stata condizione necessaria per l'insorgenza della malattia o anche solo per la sua significativa accelerazione, richiamando e trascrivendo i riferimenti fatti alle doglianze difensive e rilevando come non fosse stato affrontato il tema espressamente posto con il gravame (verifica della riconducibilità dell'evento all'azione congiunta dei due fattori tumorali), anche alla stregua del principio della equivalenza delle concause.
In sede di gravame, in particolare, l'Ente aveva sottolineato l'erroneità della pronuncia assolutoria e su tale problematica la Corte, ignorando i principi di matrice giurisprudenziale in materia, nulla ha motivato, nonostante la questione fosse stata oggetto di sviluppo probatorio in appello, attraverso il rinnovato esame del perito Q.Q.Q.Q..
Con il secondo motivo, ha dedotto analogo vizio, anche per travisamento probatorio, con riferimento alle assoluzioni per i decessi contestati come conseguenza di contratta asbestosi, sia nei confronti del K.K. che del L.L. (si tratta dei lavoratori G.G.G.G., H.H.H.H., I.I.I.I., capi d'imputazione f), i) e j) della sentenza del 9/11/2015): il deducente rileva come, nella parte generale della sentenza censurata, non sia dato rinvenire alcun cenno e men che meno un approfondimento di tale particolare patologia, non avendo la Corte, neppure nelle due pagine dedicate a questi tre decessi, affrontato le questioni afferenti alla natura dell'asbestosi e ai relativi criteri diagnostici.
Sotto altro profilo, rilevata anche da parte di questa difesa, l'erronea lettura del parere CONTARP del 1996, sì è osservato che la Corte territoriale si sarebbe limitata ad un'acritica adesione alla tesi dei consulenti della difesa senza considerare, quanto al H.H.H.H., che lo stesso Prof. X.X.X.X. aveva ammesso che il grado di invalidità era alla fine cresciuto con riferimento alla sola patologia respiratoria sino all'exitus mortale nel (Omissis); e, quanto al I.I.I.I., che nella perizia suppletiva, il perito Q.Q.Q.Q. aveva concluso nel senso che l'asbestosi era stata la principale causa dell'evento morte.
Con il terzo motivo, ha dedotto analogo vizio con riferimento alle statuizioni, con le quali i giudici dell'appello hanno ritenuto cessata l'esposizione all'amianto, sulla base dell'erronea lettura del citato parere CONTARP del 1996, nel quale, contrariamente a quanto asserito dai giudici del secondo grado, si era dato atto che la cessazione era avvenuta nell'anno 1986, contestando la stigmatizzazione dell'esercizio dell'azione civile da parte INAIL, che la Corte territoriale ha ritenuto di dover operare in chiave di contraddizione tra i pareri dei "super esperti" dell'Ente e la sua scelta di costituirsi parte civile in questo processo. Sul punto, anche questa difesa ha richiamato la testimonianza U.U.U.U. e sottolineato la mancata valutazione sia del documento successivo CONTARP del 1997, che dell'accertamento cristallizzatosi nel giudicato di cui alla prima sentenza Fincantieri P, giudicata corretta dalla Suprema Corte di cassazione, alla quale il Tribunale aveva fatto ampio rinvio, riportandone interi stralci, del tutto ignorati dalla Corte territoriale nella sentenza in questa sede censurata: in quella diversa sede, infatti, i medesimi esperti avevano spostato addirittura sino al 1999 il rischio da esposizione ad amianto in quei luoghi lavorativi, ricollegandolo a lavorazioni di trasformazione e riparazione di manufatti per la cui realizzazione erano state ampiamente impiegate fibre di amianto; inoltre, le testimonianze degli ex lavoratori dello stabilimento che la Corte sarebbero state liquidato con un semplice richiamo non sottoposto ad alcuna valutazione critica.
Con il quarto motivo, ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione, con riferimento al tema della ritenuta assenza di normazione antinfortunistica sulla pericolosità e cancerogenicità dell'amianto, avuto riguardo al profilo più strettamente soggettivo degli addebiti, non avendo la Corte tenuto in alcun conto la circostanza, ampiamente esposta nelle sentenze appellate, inerente al livello di conoscenza pure in ambito internazionale, con pubblicazioni anche in Italia, della efficienza causale dell'aspirazione delle fibre di amianto in alcune forme di cancerogenesi, limitandosi a richiamare solo la normativa che aveva bandito negli anni novanta l'impiego di quel minerale e liquidando apoditticamente come vaghi gli anteriori riferimenti normativi.
Con il quinto motivo, infine, la difesa dell'Ente ha dedotto vizio della motivazione con riferimento alle assoluzioni inerenti ai decessi dei lavoratori Z.Z.Z., C.C.C.C., D.D.D.D., E.E.E.E. e F.F.F.F., correlati a mesotelioma pleurico (i primi tre giudicati dal Tribunale con la prima sentenza, gli ultimi due con la sentenza del 9/11/2015).
Si è evidenziata, in particolare, da un punto di vista metodologico, una intrinseca contraddizione per avere la Corte territoriale ritenuto supportata la teoria multistadio della cancerogenesi applicata al mesotelioma pleurico, escludendo al contempo valenza a quella dell'effetto acceleratore, assumendo che la non generale accettazione di quest'ultima impedirebbe di poterla ritenere idonea legge di copertura, in tal modo avendo travisato la prova scientifica, tra cui anche il riferimento operato alla Terza Consensus Conference di Bari del 2015, confermativa della precedente di Torino del 2011. Quanto ai singoli decessi, inoltre, la difesa osserva che, nel caso dell'Z.Z.Z., la Corte si sarebbe limitata ad affermare che costui aveva lavorato a contatto con l'amianto ventisei anni prima dell'insediamento del K.K., omettendo di considerare che il lavoratore aveva lavorato sino al 1985; quanto al C.C.C.C., al D.D.D.D., al E.E.E.E. e al F.F.F.F., che costoro avevano lavorato rispettivamente sino al 1992, al 1997, al 1990 e al 1997, venendo in rilievo anche il periodo successivo, nel quale era stato il L.L. a ricoprire la posizione dirigenziale.
8. L'avv. Pietro Gambino per le parti civili, eredi del lavoratore U.U.U. (persona offesa del reato di cui al capo 31) della prima sentenza del Tribunale di Palermo, decesso ricollegato ad asbestosi)), F.F., G.G., anche n. q. di eredi di K.K.K., e H.H., quest'ultima anche n. q. di genitore del minore L.L.L., anche quali eredi di K.K.K. e L.L.L., ha proposto ricorso avverso la medesima sentenza, agli effetti civili, formulando tre motivi.
Con il primo, ha dedotto difetto assoluto di motivazione con riferimento alla asbestosi polmonare ai fini dell'esclusione della responsabilità di K.K.: la Corte d'Appello avrebbe erroneamente tenuto conto della teoria muti-stadio che non può essere invocata per spiegare la patogenesi correlata a tale malattia che si sostanzia in una fibrosi interstiziale e non in un tumore, è causata solo dall'inalazione di fibre di asbesto ed è dose-dipendente, non sussistendo, in relazione ad essa, i problemi di spiegazione del nesso causale propri di altre patologie asbesto-correlate, omettendo del tutto di considerare che ogni esposizione ha rilievo sullo sviluppo della patologia e sull'evento morte.
Anche con il secondo motivo, ha dedotto vizio di motivazione per travisamento della prova scientifica, sempre con riferimento all'errata applicazione della teoria multi stadio ad ipotesi di asbestosi, osservando che la Corte territoriale non avrebbe neppure esposto il ragionamento logico seguito per ritenere tale teoria scientifica rilevante anche per spiegare la patogenesi dell'asbesto, avendo attinto ad alcune informazioni scientifiche in maniera generalizzata, svolgendo osservazioni che attengono semmai alle problematiche sussistenti per la patogenesi del carcinoma polmonare e del mesotelioma.
Con il terzo motivo, infine, ha dedotto violazione di legge con specifico riferimento all'accertamento dell'avvenuta violazione, da parte del K.K., della normativa richiamata nell'imputazione, violazione dalla quale sarebbe derivata la morte del lavoratore e i conseguenti danni civili: secondo il deducente, nonostante l'assoluzione dell'imputato, detta violazione da parte del K.K. sarebbe rimasta accertata nel processo, ancora una volta ribadendo l'insussistenza di problematiche particolari in ordine alla verifica del nesso eziologico tra la violazione e l'evento.
9. L'avv. Salvatore Petronio, per le parti civili A.A., B.B., C.C., D.D. e E.E., ha proposto ricorsi, con unico atto avverso la medesima sentenza, nella parte in cui sono state revocate le statuizioni civili in relazione all'imputato K.K. e al L.L., per il reato dì cui al capo 26) ai medesimi contestato nell'imputazione di cui alla sentenza 30/10/2015 del Tribunale di Palermo (decesso del lavoratore C.C.C.C., avvenuto per mesotelioma pleurico il 6/1/2006), formulando sei motivi.
Con il primo, ha dedotto violazione di legge, in relazione alla revoca delle statuizioni civili, rilevando che la Corte territoriale nulla avrebbe argomentato in ordine alla domanda civile azionata nel processo penale, essendo emerso che la causa del decesso del lavoratore era stata la malattia professionale (mesotelioma) contratta a cagione dell'esposizione prolungata e reiterata, durante l'arco del suo servizio (dal 1956 al 1992) senza dispositivi di prevenzione e protezione presso lo stabilimento Fincantieri di P, avendo già il responsabile civile provveduto al pagamento della provvisionale e non avendo questi impugnato le statuizioni, essendosi formato un giudicato sul punto, invocando l'immediata applicazione del disposto di cui all'art. 573 comma 1-bis, cod. proc. pen. e il rinvio per la prosecuzione davanti al Giudice civile competente, stante l'ammissibilità del ricorso ai fini civili, ritenuta dal deducente sedes materìae più idonea per controversie di rilievo esclusivamente civilistico.
Con il secondo motivo, ha dedotto la illegittimità della revoca delle statuizioni civili conseguenti alla declaratoria di estinzione del reato per morte dell'imputato M.M., posto che la pronuncia non esimerebbe il Giudice penale dalla decisione sulla domanda civile, autonoma rispetto alle statuizioni penali, sul punto richiamando la sentenza n. 182 del 2021 della Corte costituzionale.
Con il terzo motivo, ha dedotto violazione di legge quanto alla statuizione di condanna alle spese processuali per difetto assoluto di ogni motivazione sul punto, non avendo la Corte del merito indicato, anche in modo sommario, i criteri di determinazione adottati per la liquidazione, in difetto di declaratoria di inammissibilità dell'appello delle parti civili, le cui pretese sarebbero state definitivamente accolte nei confronti del responsabile civile.
Con il quarto motivo, ha dedotto vizio della motivazione, per illogicità e travisamento, con riferimento alla assoluzione degli imputati, sia pur ai soli effetti civili: la responsabilità di costoro era stata ritenuta sulla scorta di un materiale probatorio costituito anche dalla perizia R.R.R.R.-Q.Q.Q.Q., espletata in sede di incidente probatorio e integrata in appello e da produzioni documentali delle parti, materiale dal quale era emersa con chiarezza la responsabilità dei soggetti accusati: nella specie, pur avendo il C.C.C.C. svolto varie mansioni all'interno di quel luogo di lavoro, tutte rientravano nel ciclo produttivo nel quale era impiegato l'amianto, con conseguente esposizione all'agente patogeno per un periodo pari a 36 anni, dal 1956 al 1992; la diagnosi di malattia era stata valutata dagli esperti e il periodo di latenza, calcolato in 47 anni, si era rivelato del tutto compatibile con l'individuato rapporto causa-effetto, rinviando anche alle conclusioni rese dal consulente tecnico Y.Y.Y.Y., confermate in sede di esame dibattimentale, con conferma dunque, sia in primo che in secondo grado, del fatto produttivo del danno, la condotta omissiva di ciascuno, nei rispettivi periodi di dirigenza, costituendo illecito civile che fonda le pretese delle parti civili.
Anche questa difesa, peraltro, ha affrontato i temi inerenti alla posizione di gestore del rischio dei soggetti accusati, in relazione al reato omissivo improprio contestato, in uno con le correlate problematiche della verifica causale, con riferimento alle leggi di copertura scientifica, per affrontare specificamente la storia del lavoratore C.C.C.C. e l'effettuata diagnosi di malattia. Il deducente ha denunciato il percorso motivazionale rinvenibile nella sentenza impugnata, rilevando come esso sarebbe connotato, da un lato, da una illogica e non motivata abiura delle conclusioni dei periti del Giudice (richiamate nel corpo del ricorso), essendo stati costoro sentiti nuovamente in sede di rinnovazione istruttoria in appello; dall'altro, come lo stesso si fondi sul travisamento dell'apporto conoscitivo della teste U.U.U.U., la quale aveva affermato, contrariamente all'assunto rinvenibile nella sentenza impugnata, che l'esposizione all'agente patogeno era durata sino al 1990. Ancora, ha censurato l'utilizzo del sapere scientifico, in riferimento alla spiegazione causale che rinvia alla teoria multi-stadio e all'impossibilità di attestare con certezza il c.d. failure time, osservando come la Corte abbia liquidato detta spiegazione in maniera apodittica e senza motivare sulla circostanza che l'esposizione all'amianto era perdurata sino al 1990, il presumibile momento della irreversibilità venendosi a collocare al di qua dell'arco temporale nel quale si inseriscono i periodi in cui i tre accusati avevano ricoperto la carica dirigenziale.
Sotto altro profilo, anche questa difesa ha denunciato la violazione dell'obbligo di motivazione rafforzata, ritenendo anzi una debolezza del ragionamento giustificativo dei giudici d'appello, per essere stata del tutto pretermessa la correlazione tra il periodo di gestione ricoperto dal K.K. e il c.d. failure time. Inoltre, la difesa ha rilevato come il Giudice d'appello non abbia messo in discussione la spiegazione scientifica accreditata dai periti rinviando ad altra, contraria teoria maggiormente accreditata, ma si sarebbe limitato a dare atto dell'assenza di una legge universale di spiegazione causale, senza nemmeno considerare l'arresto della Suprema Corte di Cassazione del 2015, che ha definito il primo troncone del processo Fincantieri P, promosso anche nei confronti degli odierni accusati.
Con il quinto motivo, ha censurato la sentenza nella parte in cui i giudici hanno escluso il danno conseguente alle condotte che si assumono comprovate (danno non patrimoniale iure successions e danno patrimoniale e non patrimoniale iure proprio).
Infine, con il sesto motivo, ha dedotto violazione dell'art. 538, comma 2, cod. proc. pen., in punto omessa liquidazione del danno biologico e morale e del danno da perdita del rapporto parentale, evidenziando la carenza assoluta di motivazione, richiamando il contenuto della relativa comparsa conclusionale, per avere il primo Giudice omesso di provvedere a liquidazione in via equitativa, lasciando prive di tutela immediata voci di danno che troverebbero fondamento nella violazione di diritti costituzionalmente garantiti e posti a tutela della vita della famiglia, della salute, della personalità, della vita di relazione, in tutte le forme in cui si sviluppa la personalità umana, diritti tutti pregiudicati dalla condotta illecita degli imputati.
10. L'avv. Corrado Pagano ha depositato memoria con allegati, nell'interesse dell'imputato K.K. e di L.L., con la quale ha replicato ai motivi dei ricorsi, rilevando la inammissibilità di quello proposto dal Procuratore Generale e di quelli proposti nell'interesse delle parti civili, quanto al protrarsi della esposizione alle fibre di amianto oltre il 1981 e alla individuazione del nesso di causa tra detta esposizione e l'insorgenza delle diverse patologie (mesotelioma pleurico, carcinoma polmonare e asbestosi).
11. Con comunicazione datata 26 gennaio 2024, l'avv. Gioacchino Sbacchi del foro di Palermo, difensore di fiducia di L.L., ha dichiarato, con riferimento alla fissata udienza del 9 febbraio 2024 davanti a questa Corte di Cassazione, di aderire alla astensione dalle udienze proclamata dalla Giunta dell'Unione delle Camere penali. La Corte ha disposto rinvio all'udienza del 11 giugno 2024.
Motivi della decisione
1. I ricorsi sono in parte fondati, per le ragioni che si vanno ad esporre.
2. In via preliminare, deve rilevarsi come, nella specie, ci si trovi di fronte ad un ribaltamento, nel giudizio di appello, limitatamente ad alcuni capi d'imputazione, come sopra già specificati, del verdetto di condanna adottato da entrambi i giudici di primo grado, laddove, solo con riferimento ai capi 5) e 41), le decisioni dei due gradi di merito possono dirsi conformi. Tale precisazione assume precipuo rilievo ai fini della verifica dell'assolvimento dell'obbligo motivazionale da parte del Giudice del gravame, nella prima ipotesi esso risultando agganciato a parametri più rigorosi. Il tema è stato introdotto, in maniera diversamente argomentata, da tutti i ricorrenti e il caso all'esame ci pone sin da subito di fronte alla tematica della difformità delle sentenze di merito, nello specifico in senso favorevole all'imputato, rendendo doveroso il richiamo preliminare ai principi che questa Corte ha già da tempo elaborato sul punto, onde procedere al controllo di legittimità della pronuncia impugnata, tenuto conto della diversità delle situazioni prospettabili.
In linea generale, quando le decisioni dei giudici di primo e di secondo grado sono concordanti, la motivazione della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo; mentre nel caso in cui, per diversità di apprezzamenti, per l'apporto critico delle parti e/o per le nuove eventuali acquisizioni probatorie, il Giudice di Appello ritenga di pervenire a conclusioni diverse da quelle accolte dal Giudice di primo grado, non può risolvere il problema della motivazione della sua decisione inserendo nella struttura argomentativa di quella di primo grado - genericamente richiamata - delle notazioni critiche di dissenso, in una sorta di ideale montaggio di valutazioni ed argomentazioni fra loro dissonanti, essendo invece necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal Giudice di primo grado, consideri quello eventualmente sfuggito alla sua delibazione e quello ulteriormente acquisito, per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229).
Tali principi sono stati anche successivamente approfonditi.
Si è così affermato che, in caso di totale riforma della decisione di primo grado, il Giudice dell'appello ha l'obbligo di delìneare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, Rv. 231679), mettendo alla luce carenze e aporie di quella decisione sulla base di uno sviluppo argomentativo che si confronti con le ragioni addotte a sostegno del decisum impugnato (sez. 2 n. 50643 del 18/11/2014, Fu, Rv. 261327) e dando alla decisione, pertanto, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (sez. 6 n. 1253 del 28/11/2013, dep. 2014, Ricotta, Rv. 258005; n. 46742 del 8/10/2013, Rv. 257332; sez. 4 n. 35922 del 11/7/2012, Rv. 254617).
Il controllo di legittimità nel caso in cui il ribaltamento del primo verdetto sia favorevole all'imputato, dunque, va condotto non già alla stregua del canone del "ragionevole dubbio", evidentemente estraneo alla fattispecie, bensì dei principi sopra richiamati che hanno trovato implementazione anche in successive pronunce di legittimità.
In maniera condivisibile, si è così affermato che il Giudice d'appello, in caso di riforma, in senso assolutorio, della sentenza di condanna di primo grado, sulla base di una diversa valutazione del medesimo compendio probatorio, non è obbligato alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale, ma è tenuto a strutturare la motivazione della propria decisione in maniera rafforzata, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte (sez. 4, n. 4222 del 20/12/2016, dep. 2017, Mangano, Rv. 268948, in fattispecie in cui la S.C., accogliendo il ricorso proposto dalle sole parti civili, ha annullato agli effetti civili la sentenza di assoluzione di secondo grado che, nel ribaltare la precedente decisione di condanna, aveva genericamente affermato l'esistenza di un ragionevole dubbio in merito agli addebiti di colpa degli imputati, senza approfondire adeguatamente la plausibilità tecnica della ricostruzione alternativa dei fatti, prospettata dalla difesa; sez. 3 n. 6880 del 26/10/2016, dep. 2017, DL, Rv. 269523, in cui si è precisato che il dovere di motivazione rafforzata consiste nell'obbligo di offrire un autonomo ragionamento che non sì limiti a una valutazione soltanto numerica degli elementi di prova contrapposti, ma ne consideri anche il peso, inteso come capacità dimostrativa di essi).
Da ultimo, sul tema, è intervenuto il Supremo organo della nomofilachia, definitivamente precisando che il Giudice d'appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado non ha l'obbligo di rinnovare l'istruzione dibattimentale mediante l'esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, ma deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 27243).
3. Altra premessa riguarda il tema dell'utilizzo del sapere scientifico nel processo penale. Tutti i giudici si sono detti perfettamente edotti dei principi cristallizzati nel precedente di questa Quarta Sezione penale (sez. 4, Cozzini del 2010). Ma, a differente titolo e con diverse sfumature argomentative, rinvenibili anche nei ricorsi, va rilevato un errato approccio interpretativo, laddove sembra prospettarsi che, in quella sentenza, come in altre successive, la Corte di Cassazione abbia avallato la correttezza dell'una o dell'altra spiegazione della patogenesi (problema che rileva in particolare per il mesotelioma, malattia per la quale, infatti, si pone il problema della individuazione del momento a partire dal quale l'esposizione all'agente patogeno diviene irrilevante), avuto riguardo alla situazione, sovente ricorrente in processi aventi ad oggetto patologie correlate all'esposizione all'amianto, dell'avvicendarsi dei soggetti gestori del relativo rischio.
Pertanto, è necessario ribadire alcuni principi già affermati da questa Sezione Quarta, proprio in processi del tipo di quello che ci occupa, nei quali cioè ci troviamo di fronte a leggi scientifiche che affermano relazioni causali a contenuto probabilistico, che non si manifestano cioè immancabilmente, spiegando solo l'incremento della probabilità degli effetti. Come già chiarito, "l'epidemiologia è nata proprio per condurre con metodo scientifico la verifica critica in ordine alla fondatezza dell'ipotesi eziologica basata sul dato statistico costituito dall'incremento di probabilità". Il che, da un punto di vista epistemologico, ha sicuramente rilevanza, seppure a determinate condizioni. È corretto affermare, sul piano della causalità generale, che un evento è causa di un altro se, all'apparire del primo, segue con un'alta probabilità l'apparire del secondo e non vi è un terzo elemento che annulli il significato causale della relazione probabilistica; tuttavia "anche in presenza di un dato statisticamente significativo, oltre alla correttezza metodologica dell'indagine epidemiologica, assumono grande importanza sia la presenza di informazioni d'ordine biologico che spieghino "dall'interno" i meccanismi della relazione causale che l'epidemiologia stessa ha desunto dalla relazione probabilistica, sia il positivo riscontro dell'utilità delle misure preventive adottate dopo la scoperta della relazione causale". In altri termini, l'enunciato scientifico generale sulle proprietà oncogene di una sostanza non è ancora sufficiente nel ragionamento probatorio, dovendo il Giudice vagliare la pertinenza di tale informazione nel caso concreto sottoposto al suo vaglio, momento che segna il passaggio dalla causalità generale a quella individuale (in motivazione, sez. 4 n. 43786 del 17/9/2010, Cozzini, cit., Rv. 248943).
Peraltro, come ben evidenziato nella pronuncia richiamata, l'utilizzabilità di generalizzazioni probabilistiche era già stata riconosciuta dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U. n. 30328 del 10 luglio 2002, Franzese) che avevano considerato utopistico un modello di indagine affidato esclusivamente alla forza esplicativa di leggi universali o quasi.
Il che impone, nel campo dell'accertamento dei fatti penalmente rilevanti e della responsabilità penale, un particolare rigore nell'indagine causale e un approccio critico da parte dell'interprete, poiché "la teoria del caso concreto deve confrontarsi con i fatti, non solo per rinvenirvi i segni che vi si conformano ma anche e forse soprattutto per cercare elementi di critica, di crisi" (in motivazione sez. 4, Cozzini cit.) e la valutazione deve concludersi con un giudizio di elevata probabilità logica, di credibilità razionale dell'ipotesi esplicativa (sul punto, Sez. U. del 2002, Franzese, Rv. 222138).
Anche in questa sede, pertanto, è opportuno sottolineare che la valutazione che si conclude con il giudizio di elevata probabilità logica, di credibilità razionale dell'ipotesi esplicativa, ha un ineliminabile contenuto valutativo, nel senso che essa sfugge a ogni rigida determinazione quantitativa, attraverso di essa manifestandosi il prudente apprezzamento e il libero, seppure non arbitrario, convincimento del Giudice (in motivazione, sez. 4 n. 12478 del 19-20/11/2015, Barberi). E, proprio tenuto conto dell'inevitabile contenuto valutativo di un'indagine di tipo causale, si deve essere ben consci della necessità che il suo epilogo sia quello di un prudente, seppur libero, apprezzamento, per scongiurare il pericolo di derive basate su arbitrari convincimenti e sulla confusione che il concetto di "probabilità logica" può ingenerare (rispetto a quello di "probabilità statistica"), tanto da essersene opportunamente proposta la sostituzione con quello di "corroborazione dell'ipotesi", "resoconto che sintetizza l'esito della discussione critica sulle prove, alimentata dai segni di conferma o di confutazione delle ipotesi esplicative" (in motivazione, sez. 4, Cozzini, cit.).
Si tratta di un aspetto della questione sul quale il Giudice di legittimità aveva già posto l'accento, all'indomani dell'intervento chiarificatore delle Sez. U. Franzese, precisando che la certezza processuale non poteva farsi dipendere dal dato quantitativo statistico, bensì dagli elementi che corroborano l'ipotesi sull'esistenza del rapporto di causalità (cfr., in motivazione, sez. 4, n. 988 del 2002, Macola, in cui la Corte, richiamati i principi formulati dalle Sezioni Unite Franzese (intervenute per comporre il contrasto sorto all'interno di questa sezione tra i sostenitori della teoria c.d. "probabilistica" e coloro che vi opponevano la necessità che la legge di copertura desse una probabilità di connessione tra gli eventi in percentuale vicina a 100), ha ribadito che anche gradi medio bassi di probabilità possono essere utilizzati per il riconoscimento del rapporto di causalità, ove essi siano corroborati da un riscontro probatorio circa la sicura non incidenza di fattori alternativi; laddove livelli elevati di probabilità statistica o addirittura schemi interpretativi dedotti da leggi universali richiedono sempre la verifica concreta che induca a ritenere irrilevanti spiegazioni diverse).
3.1. Tale premessa consente di ribadire la rilevanza ed utilizzabilità nel processo penale di informazioni scientifiche di tipo probabilistico, a base epidemiologica, necessitanti di verifica ed è su questo tema che s'inserisce quello, presupposto, del ruolo del Giudice rispetto al sapere scientifico e del controllo di legittimità sul modo in cui esso è esplicato. Si è, infatti, opportunamente chiarito, onde fugare i dubbi che espressioni tralatizie sintetizzabili nel brocardo iudex peritus peritorum possano ingenerare, che il passaggio da un oscuro enunciato fattuale alla sua corroborazione richiede al Giudice del merito di risolvere problemi che riguardano innanzitutto l'affidabilità e l'imparzialità delle informazioni scientifiche veicolate nel processo attraverso l'indagine peritale e a quello di legittimità di verificare la razionalità del ragionamento svolto, attraverso il controllo sulla motivazione della sentenza, momento di "obiettiva emersione" della ponderazione compiuta dal Giudice.
Sotto tale profilo, la sentenza già più volte citata (Sez. 4 n. 43786 del 2010, Cozzini) continua ad offrire all'interprete un sicuro punto di partenza, frutto di un apprezzabile sforzo di sintesi e chiarezza che si fonda sull'assunto che il sapere scientifico all'interno del processo penale costituisce uno strumento al "servizio dell'accertamento del fatto": occorre, in primo luogo, dar conto del controllo esercitato sull'affidabilità delle basi scientifiche del giudizio (valutando l'autorità scientifica dell'esperto che trasferisce nel processo la sua conoscenza della scienza); e comprendere, soprattutto nei casi più problematici, se gli enunciati proposti trovano comune accettazione nella comunità scientifica (operazione in cui si sostanzia il ruolo di garanzia del Giudice che diventa in tal modo effettivamente un peritus peritorum).
Tali enunciati non costituiscono una cornice astratta e prescindibile che fa da sfondo al tema d'interesse, ma si rivelano esiziali per comprendere ed esattamente delimitare l'ambito del giudizio demandato a questa Corte, soprattutto alla luce del contenuto dei ricorsi e delle questioni con essi riproposte in sede di legittimità. La Corte dì Cassazione, infatti, non può essere considerata detentrice di proprie convinzioni o certezze in ordine all'affidabilità della scienza. Ciò elimina in radice ogni dubbio sulla necessità di un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite di questa Corte o sull'esistenza di contrasti interni a questa stessa sezione (cfr., sul punto specifico, oltre alla sentenza Cozzini già richiamata, anche sez. 4 n. 42128 del 30/9/2008, Rizza, Sez. 4 n. 5273 del 21/9/2016, dep. 2017, Ferrentino - Montefibre 1; n. 12175 del 3/11/2016, dep. 2017, Bordogna - Montefibre 2 (nelle ultime due, la Corte ha precisato che, nelle decisioni su tale materia, non si rinviene una preliminare presa di posizione avversa ai principi posti dalla sentenza Cozzini in tema di utilizzo del sapere scientifico nel ragionamento probatorio giudiziale, in esse rinvenendosi, al contrario, un espresso richiamo proprio a quei principi).
In ogni caso, la valutazione di cui si discute attiene al fatto ed è rimessa al Giudice del merito che dispone, attraverso i pareri tecnici, degli strumenti per accedere all'informazione scientifica, laddove questa Corte è chiamata a svolgere un ben diverso controllo che attiene alla razionalità delle valutazioni espresse al riguardo dal Giudice di merito e alla verifica della correttezza metodologica del suo approccio al sapere scientifico (Sez. 4, Cozzini citata; Sez. 4 n. 55005 del 10/11/2017, Pesenti, in motivazione; sez. 4, n. 22022 del 22/2/2018, Tupini - Fincantieri M 1, Rv. 273586-01, in cui si è precisato - per l'appunto - che, in tema di affermazione del rapporto di causalità tra le violazioni delle norme antinfortunistiche e l'evento-morte dovuto a malattia professionale, il dato scientifico sulle proprietà oncogene di una sostanza non è sufficiente, dovendo il Giudice di merito vagliare nel caso concreto la pertinenza di tale informazione nel passaggio dalla causalità generale a quella individuale, e dovendo esercitare un controllo critico sull'affidabilità delle basi scientifiche e sul grado di convergenza delle opinioni nella comunità scientifica, proprio in fattispecie in tema di morte da esposizione ad amianto in cui si è affermato che, ai fini dell'affermazione di responsabilità, il Giudice è tenuto ad accertare se presso la comunità scientifica sia sufficientemente radicata, su solide e obiettive basi, una legge scientifica in ordine all'effetto acceleratore della protrazione dell'esposizione dopo l'iniziazione del processo carcino-genetico; in caso affermativo, se si sia in presenza di una legge universale o solo probabilistica in senso statistico; nel caso in cui la generalizzazione esplicativa sia solo probabilistica, se l'effetto acceleratore si sia determinato nel caso concreto, alla luce di definite e significative acquisizioni fattuali).
Il profilo specifico si apprezza in tutta la sua rilevanza nelle condivisibili spiegazioni, rinvenibili in altra decisione di questa sezione, nella quale si è precisato - proprio sul tema del grado di accreditamento scientifico della teoria del c.d. effetto acceleratore e della sua rilevanza nei processi eziologici - che solo apparentemente può parlarsi di contrasti di decisioni, poiché tale apparenza, difficilmente accettabile nel suo complesso, è tuttavia giustificata "all'interno di ciascun processo e delle informazioni e valutazioni scientifiche che vi penetrano", spettando a questa Corte di esprimere "solo un giudizio di razionalità, di logicità dell'argomentazione esplicativa. È dunque errato affermare che essa abbia ritenuto o escluso l'esistenza di tale fenomeno" (in motivazione, Sez. 4 n. 18933 del 27/2/2014, Negroni).
Peraltro, la correttezza della valutazione del dato scientifico penetrato nel processo può essere certamente condizionata dal grado di convergenza delle opinioni scientifiche o, se si vuole, dall'esistenza di un dibattito in seno alla comunità scientifica, ma senza che da ciò possa discendere sic et simpliciter l'impossibilità di verifica del nesso causale, poiché tale conseguenza costituisce proprio l'oggetto di quella verifica e attiene al giudizio di elevata probabilità logica o credibilità razionale dell'ipotesi esplicativa accettata, sul quale si è già detto alla luce dei principi delle Sezioni Unite del 2002, Franzese.
Ciò, del resto, si pone in linea di continuità con quanto affermato in altre decisioni di questa stessa Sezione, allorché si è ritenuta non censurabile, in sede di legittimità, la decisione con cui il Giudice di merito, nel contrasto tra opposte tesi scientifiche, privilegi, all'esito di un accurato e completo esame delle diverse posizioni, l'una delle due, individuando la legge scientifica di copertura avente il consenso di numerosi ed autorevoli esperti, taluni dei quali partecipi al dibattito processuale, motivando adeguatamente in sintonia con gli elementi probatori acquisiti in ordine alla posizione di garanzia dell'imputato, ai profili di colpa individuati a carico dello stesso, al nesso causale tra la condotta colposa e l'evento determinatosi (Sez. 4 n. 46428 del 19/04/2012, Stringa, Rv. 254073 (in fattispecie relativa al decesso di dipendenti di una società in conseguenza dell'inalazione di polveri di amianto); n. 15493 del 10/3/2016, Rv. 266787 (in ipotesi di colpa da esercizio di professioni sanitarie); in motivazione, anche sez, 4, n. 22022/2018, lupini 1, cit.).
3.2. Altra premessa riguarda la necessità di chiarezza terminologica dei dati scientifici penetrati nel processo, chiarezza che - a tratti - sembra mancare nelle argomentazioni rinvenibili nella sentenza impugnata, come correttamente evidenziato da alcuni ricorrenti. Sul punto, ancora una volta è utile il rinvio alla giurisprudenza di questa sezione (in motivazione sez. 4, n. 5273 del 21/9/2016, dep. 2017, Montefibre 1, cit.): in quel processo, come nel presente, e come sovente accade in quelli aventi a oggetto le conseguenze dell'esposizione all'amianto sulla salute dell'uomo, ricorrono terminologie quali teoria multistadio, effetto acceleratore, malattia dose-correlata, dose-dipendenza.
Orbene, va intanto chiarito, anche alla luce delle informazioni rinvenibili nelle sentenze di merito, che la teoria della trigger dose e quella, antagonista, della dose-correlata attengono al tema della quantità di fibre di asbesto necessaria a produrre l'insorgenza della patologia (la prima attribuendo l'insorgenza della malattia ad una dose killer, risultando irrilevanti sul piano eziologico le ulteriori fibre eventualmente inalate); la seconda ravvisando una relazione di proporzionalità tra dose cumulativa (durata-intensità dell'esposizione) e occorrenza del mesotelioma). Altra cosa è la teoria dell'effetto acceleratore, la quale presuppone sì quella della dose-correlata, ma non concerne il tema della quantità, bensì quello dei meccanismi di azione delle fibre inalate, proseguendo l'esposizione all'agente patogeno (assumendosi, in base ad essa, che ogni fibra inalata determina l'accelerazione del processo verso il momento della irreversibilità della malattia e, di conseguenza, l'abbreviazione della vita).
La teoria multistadio, dal canto suo, descrive l'evoluzione biologica della malattia, come un processo al cui interno si distinguono dei sub-eventi (molto chiaramente precisati nelle sentenze appellate e sopra sinteticamente riportati).
Questa Corte non intende tradire le premesse e, quindi, prendere posizione rispetto alle diverse spiegazioni scientifiche oggetto dell'esame da parte dei giudici del merito, ma piuttosto evidenziare il perimetro dei temi introdotti dai ricorrenti, ai quali la Corte territoriale non ha dato risposta coerente: anche in questa sede (come, del resto in altre vicende giudiziarie analoghe), l'attenzione sembra infatti focalizzata sul difetto di un sufficiente consenso nella comunità scientifica che accrediti la teoria del c.d. effetto acceleratore e sulle ricadute di essa rispetto alle scansioni temporali del processo patogenetico, questioni che in questo, come in altri casi, vengono poste sul piano della causalità generale, ferme restando le censure in ordine all'assolvimento del compito motivazionale dei giudici sul diverso piano della causalità individuale. Ciò va chiarito in premessa, poiché la Corte territoriale sembra averlo obliterato, omettendo di delimitare la rilevanza, nel caso all'esame come in altri analoghi, della teoria del c.d. effetto acceleratore. Infatti, una volta ritenuta dalla stessa Corte d'Appello come scientificamente dimostrata la relazione di proporzionalità tra dose cumulativa (durata-intensità dell'esposizione) e occorrenza della malattia e affermata la non attendibilità della teoria della c.d. trigger dose, l'individuazione del c.d. failure time (punto d'irreversibilità del processo carcino-genetico che rende irrilevanti le ulteriori esposizioni e, quindi, non produttive di responsabilità le condotte riconducibili alle posizioni di garanzia coincidenti esclusivamente con tale periodo), soccorrerebbe per spiegare la sussistenza del nesso causale nei casi in cui il mancato controllo delle polveri velenose abbia riguardato un arco temporale non significativo e vi siano stati, in quel periodo, avvicendamenti nelle posizioni di garanzia. In tal caso, ai fini della verifica sul piano della causalità individuale, sarebbe necessario stabilire con rigore in che modo l'esposizione all'amianto abbia agito (determinando l'insorgenza della malattia o abbreviandone i tempi di latenza) e se la posizione ricoperta ricada o meno al di qua del periodo di latenza clinica. In altri termini, è a questo punto che il Giudice è tenuto ad individuare i segni fattuali che permettono di affermare che in ciascuno dei differenti periodi - definiti dall'avvicendarsi degli imputati nel ruolo di garante - si è prodotto l'effetto in via teorica possibile (in motivazione, Sez. 4 n. 12175 del 2017, Montefibre 2, cit.).
3.3. Ciò, a ben vedere, introduce l'ulteriore tema di questo processo: il dedotto travisamento delle prove inerenti alla individuazione del momento nel quale l'esposizione all'amianto (e, si badi bene, non la costruzione di manufatti con impiego di amianto) in Fincantieri P sia cessata. Tale punto, apertamente affrontato dai giudici di primo grado, è stato oggetto di una rilettura probatoria da parte di quello di secondo grado, avendo la Corte rinnovato l'istruttoria solo per procedere all'audizione dei periti nominati nel primo grado, senza rinnovare la perizia.
Precisazione non ultronea quest'ultima, dal momento che si tratta di periti che, in sostanza, possono considerarsi ausiliari anche del Giudice del gravame, con evidenti ricadute quanto al corretto utilizzo del sapere scientifico che costoro hanno apportato nella specifica vicenda processuale, implementatosi grazie alle ulteriori acquisizioni scientifiche medio tempore acquisite (il riferimento è alla Terza Consensus di Bari del 2015).
Peraltro, mentre la deducibilità del vizio motivazionale del travisamento probatorio, anche per omissione, trova sbarramenti consistenti in caso di conformità di giudizi di merito, essendo in tale ipotesi rimessa alla cognizione del Giudice di legittimità solo la verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del Giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l'eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova (Sez. 5, n. 26455 del 9/6/2022, Dos Santos, Rv. 283370-01), nella specie, trovandoci di fronte a una difforme lettura dei medesimi dati fattuali da parte dei giudici dei due gradi di merito, sia quanto all'ultimo parere CONTARP, pretermesso dalla Corte d'Appello, che avuto riguardo al giudicato di cui al primo troncone giudiziario "Fincantieri P", le conclusioni sulla deducibilità del vizio sono, come vedremo, del tutto diverse.
3.4. L'elemento da ultimo richiamato introduce poi il diverso tema del valore probatorio delle sentenze acquisite ai sensi dell'art. 238-bis, cod. proc. pen. In linea generale, va ribadito che la sentenza definitiva resa in altro procedimento penale, acquisita ai sensi dell'art. 238-bis cod. proc. pen. può essere utilizzata non soltanto in relazione al fatto storico dell'intervenuta condanna o assoluzione ma anche ai fini della prova dei fatti in essa accertati, ferma restando l'autonomia del Giudice di valutarne i contenuti unitamente agli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio, in rapporto all'imputazione sulla quale è chiamato a pronunciarsi (sez. 2, n. 52589 del 6/7/2018, Bruno, Rv. 275517-01). Inoltre, perché detto documento abbia attitudine probatoria del fatto oggetto del suo accertamento, necessita di conferma esterna, non richiesta allorquando sia utilizzato a riscontro di prove già acquisite (sez. 3, n. 33972 del 16/6/2023, D., Rv. 285063-02), fermi restando l'assenza di pregiudizialità penale e l'obbligo motivazionale, poiché la differenza tra le acquisizioni processuali di un procedimento già definito e di altro in corso può condurre il Giudice di merito a epiloghi diversi, in ciò consistendo il richiamo operato dall'art. 238-bis cod. proc. pen. alle regole interpretative fissate dagli artt. 187 e 192, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 38184 del 6/7/2022, Cospito, Rv. 283904-05; sez. 1, n. 24383 del 27/2/2015, Di Silvio, Rv. 263955-01; n. 4704 del 8/1/2014, Adamo, Rv. 259414-01, in cui si è chiarito che le risultanze di un precedente giudicato penale acquisite ai sensi dell'art. 238-bis cod. proc. pen. devono essere valutate alla stregua della regola probatoria di cui all'art. 192, comma terzo, cod. proc. pen., ovvero come elemento di prova la cui valenza, per legge non autosufficiente, deve essere corroborata da altri elementi di prova che lo confermino).
Nella specie, sostanzialmente tutti i ricorrenti hanno sottolineato la mancata considerazione del dato probatorio, pur incompleto, costituito dal giudicato che ha definito il processo relativo al c.d. primo troncone Fincantieri P, a fronte del rilievo assegnatovi dai giudici di primo grado che, proprio da tale arresto, hanno preso le mosse per ritenere provate circostanze, ritenute corroborate dalla piattaforma probatoria autonomamente formatasi nel presente processo.
4. Sempre in via preliminare, poi, deve chiarirsi la cornice in diritto nella quale iscrivere il controllo giurisdizionale devoluto a questa Corte dì legittimità limitatamente alle parti della decisione censurata conformi rispetto a quella appellata (trattasi, in particolare, dei reati di cui ai capi 5) e 41) della prima sentenza del Tribunale di Palermo).
In maniera speculare rispetto ai principi sopra richiamati quanto all'ipotesi di difformità dei giudizi del doppio grado di merito, ne caso opposto di doppia sentenza conforme, se i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo Giudice, operando anche frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione, allora, come già sopra precisato, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, formando un unico complessivo corpo argomentativo (sez. 3 n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv, 257595; sez. 2, n. 37295 del 12/6/2019, E., Rv. 277218-01), Ciò a maggior ragione allorché i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata (sez. 3 n. 13926 dell'01/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615). Sotto altro profilo, va peraltro ribadita l'estraneità, al vaglio di legittimità, degli aspetti del giudizio che si sostanziano nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi probatori che attengono interamente al merito e non possono essere apprezzati dalla Corte di cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguente inammissibilità di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio. Principio che, a bene vedere, costituisce il diretto precipitato di quello, altrettanto consolidato, per il quale sono precluse al Giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal Giudice del merito (sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482).
Questa stessa Sezione ha peraltro precisato, proprio con riferimento al caso di tesi scientifiche contrapposte, determinanti per la valutazione dei dati raccolti e l'esercizio dell'opzione finale da parte del Giudice, che "non ogni sfaccettatura delle circostanze portate a conoscenza del Giudice può essere presa in considerazione per contestare, sotto il profilo del travisamento probatorio, il percorso logico seguito dal medesimo ovvero l'adesione a questa o a quella teoria, ma solo il nucleo basilare delle sue argomentazioni che, una volta che abbiano trovato il radicato supporto della comunità scientifica, devono ritenersi correttamente adottate ed insuscettibili di censure" (in motivazione, proprio Sez. 4 n. 11128 del 21/11/2014, dep. 2015, relativa al primo troncone della vicenda che ha riguardato il cantiere d'interesse).
Del resto, sembra utile ribadire anche a tale fine che, in ambito scientifico, difficilmente sì registra un'unitarietà di vedute e il compito precìpuo del Giudice è quello di ancorare il proprio giudizio ad "una preventiva dialettica tra le varie opinioni", poiché egli "non crea la legge, ma la rileva", l'attendibilità delle generalizzazioni scientifiche e del metodo della loro applicazione attenendo alla sfera del fatto, laddove il giudizio demandato a questa Corte riguarda non l'affidabilità della legge scientifica, ma "la razionalità, la logicità dell'itinerario compiuto dal Giudice di merito nell'apprezzare la validità del sapere scientifico e nell'utilizzarlo nell'inferenza fattuale" (in motivazione, Sez. 4 n. 38991 del 10/6/2010, Quaglieri).
4.1. Ciò posto, il ricorso del Procuratore generale, avverso la conferma dell'assoluzione del K.K. per i reati di cui ai capi 5) e 41) della prima sentenza appellata (decessi J.J.J.J. e K.K.K.K.), è inammissibile, tuttavia, per un diverso ordine di ragioni: l'impugnazione di tale parte, infatti, è consentita solo nei limiti di cui all'art. 608, comma 1-bis, cod. proc. pen., vale a dire solo per i vizi di cui alle lett. a), b) e c) dell'art. 606, comma 1, stesso codice, trattandosi di pronuncia confermativa di quella assolutoria di primo grado. Né soccorre il rinvio alla violazione dei parametri valutativi di cui all'art. 192, cod., proc. pen. : essa, infatti, si tradurrebbe comunque, secondo il diritto vivente, in un vizio della motivazione (sul punto, Sez. U, n. 29541 del 16/7/2020, FHardo, Rv. 280027-04, in cui si è precisato che, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell'art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l'omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all'ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità). Trattasi, peraltro, di un limite alle facoltà della parte pubblica che trova ragionevole giustificazione, nell'ambito delle scelte discrezionali riservate al legislatore: nell'esigenza di deflazione del giudizio di legittimità; nell'ontologica differenza di posizione delle parti processuali, giustificativa, nei lìmiti della ragionevolezza e della proporzionalità, di un'asimmetrica distribuzione delle facoltà processuali e di una diversa modulazione dei rispettivi poteri d'impugnazione; nella presunzione di non colpevolezza dell'imputato, stabilizzata dall'esito assolutorio di due gradi di giudizio; nella pienezza del riesame del merito consentito dal giudizio di appello; nell'esigenza di non dilatare i tempi di definizione del processo per l'imputato, assicurandone la ragionevole durata e la stabilizzazione del giudizio di non colpevolezza (sez. 6, n. 5621 del 11/12/2020, dep. 2021, Mannino, Rv. 280631-01, in cui la Corte ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 608, comma 1-bis, cod. proc. pen., introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, in relazione agli artt. 111 e 112 Cost.; Sez. 4, n. 53349 del 15/11/2018, Schuster, Rv. 274573-01).
4.2. Sono, invece, manifestamente infondate, alla stregua dei principi sopra richiamati quanto alla conformità dell'esito decisorio di merito, le censure articolate con specifico riguardo ai medesimi fatti ritenuti produttivi di danno, dal ricorrente INAIL, esse traducendosi nel mero dissenso rispetto ad una valutazione in fatto, operata dalla Corte d'Appello in maniera coerente rispetto al giudizio del primo Giudice, ampiamente giustificata alla luce del connotato di multifattorialità delle patologie che avevano determinato i decessi dei due lavoratori J.J.J.J. e K.K.K.K. (tumori polmonari) e sulle specificità dei casi esaminati. Rispetto ad essi, invero, il Tribunale aveva già posto in evidenza le conclusioni del perito Q.Q.Q.Q. quanto alla difficoltà di stabilire se, a indurre la malattia, fosse stato l'amianto nei casi di pazienti fortemente esposti anche al principale fattore eziologico per il carcinoma polmonare, cioè il fumo. La Corte d'Appello, dal canto suo, ha affermato che i referti medici non lasciavano dubbi quanto alle condizioni di salute dei due lavoratori (il primo avendo sofferto di grave cirrosi epatica, il secondo essendo stato soggetto obeso con una storia di tabagismo sin dall'età di quindici anni). Del resto, stante la conformità dei giudizi, parte ricorrente avrebbe dovuto tener conto delle più ampie motivazioni rinvenibili nella sentenza appellata, senza limitarsi a contestare la lettura degli elementi probatori, operata secondo criteri analoghi dai giudici del doppio grado, cosi sollecitando a questa Corte ciò che non le è consentito, ossia la sovrapposizione di una diversa valutazione delle evidenze che costituisce prerogativa del Giudice del merito, come già precisato nella premessa di cui sopra.
5. Infine, sempre in via preliminare, va chiarito quale sia lo statuto della prescrizione del reato (ante o post legge n. 251 del 2005, c.d. ex Cirielli) applicabile al caso di specie, avuto riguardo all'epoca della condotta contestata (sino al 1988 per il K.K.) e a quella in cui l'evento si è verificato (l'ultimo essendo avvenuto nel 2011), tra di loro molto distanti a ragione della peculiarità delle patologie di cui si discute.
In tema di successione di leggi penali, nel caso in cui l'evento del reato intervenga nella vigenza di una legge penale più sfavorevole rispetto a quella in vigore al momento in cui è stata posta in essere la condotta, deve trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta (Sez. U, n. 40986 del 19/7/2018, P., Rv. 273934-01, in cui la Corte ha annullato la sentenza di patteggiamento con cui era stata applicata la pena più severa introdotta dalla norma incriminatrice dell'omicidio stradale di cui all'art. 589-bis cod. pen., entrata in vigore medio tempore, prima della verificazione dell'evento lesivo).
Il principio è stato esteso all'ambito qui d'interesse anche da questa Sezione, essendosi affermato che, in tema dì prescrizione, nel caso di condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza della legge più sfavorevole, trova applicazione la disciplina vigente al momento della cessazione della condotta (Sez. 4, n. 13582 del 23/1/2019, Grandi, Rv. 275800-01, in fattispecie di omicidio colposo plurimo con inosservanza della normativa antinfortunistica in materia di amianto, in cui, essendo intervenuto il decesso delle persone offese nella vigenza della meno favorevole disciplina sulla prescrizione introdotta dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, la Corte ha ritenuto applicabile la normativa di cui al previgente art. 157 cod. pen.).
Una volta ribadito tale principio, deve ricordarsi che, in materia di successione di leggi penali, individuata la disposizione complessivamente più favorevole con riferimento al caso concreto, il Giudice deve applicarla nella sua interezza, essendo fatto divieto, in ossequio al principio di legalità, dì combinare frammenti normativi dell'una e dell'altra, così da delineare una terza disciplina (sez. 4, n. 13207 del 27/1/2022, Premoli, Rv. 282936-01, in fattispecie in tema di omicidio stradale in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione impugnata che, in ragione del bilanciamento con le circostanze attenuanti di cui agli artt. 62 n. 6 e 62-bis cod. pen., aveva valutato più favorevole la previgente disciplina prevista per il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale, rispetto a quella introdotta con la legge 23 marzo 2016, n. 41, anche ove riconosciuta l'attenuante ad effetto speciale di cui all'art. 589-bis, comma 7, cod. pen.).
Nella specie, quanto al termine prescrizionale, non si apprezza invero alcuna differenza rispetto ai due sistemi di calcolo (restando invariato quello di anni quindici, nell'un caso, per effetto del raddoppio del termine di anni sei, previsto dal novellato art. 157, comma 2, cod. pen., calcolato il termine lungo di Va di cui all'art. 161, comma 2, cod. pen.; nell'altro, dovendosi operare l'aumento della metà del termine di anni dieci, ai sensi dell'art. 160, secondo capoverso, cod. pen., vigente prima della modifica introdotta dall'art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, a mente del quale "in nessun caso i termini stabiliti nell'articolo 157 possono essere prolungati oltre la metà"); ma, cionostante, deve rilevarsi che la disciplina previgente è nel complesso più favorevole, avuto riguardo al regime delle sospensioni di cui all'art. 159, cod. pen. che, nel testo previgente, non contemplava quelle per i differimenti delle udienze per impedimento delle parti o dei difensori e su richiesta.
Ne discende l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, nei confronti di K.K., limitatamente ai reati di cui ai capi 3), 14), 15), 16), 19), 22), 24), 26) e 31) della sentenza emessa dal Tribunale dì Palermo in data 30 ottobre 2015 e dì cui ai capi a), e) ed i) della sentenza del Tribunale di Palermo in data 9 novembre 2015, per essere gli stessi estinti per prescrizione, avuto riguardo alla data degli eventi e calcolato il termine lungo di prescrizione, pari ad anni quindici.
Quanto ai motivi posti a base dei ricorsi, limitatamente ai suindicati reati, si rileva che - nonostante la non manifesta infondatezza degli stessi (che ha consentito, quindi, la valida instaurazione del rapporto d'impugnazione) - in presenza di una declaratoria di improcedibilità per intervenuta prescrizione del reato, è precluso alla Corte di Cassazione uno scrutinio finalizzato all'eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti alla sua motivazione, poiché in tale giudizio "... l'obbligo di dichiarare una più favorevole causa di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., ove risulti l'esistenza della causa estintiva della prescrizione, opera nei limiti del controllo del provvedimento impugnato, in conformità ai limiti di deducibilità del vizio di motivazione" (Sez. 1 n. 35627 del 18/04/2012, Rv. 253458), dovendo essa risultare dal testo del provvedimento impugnato (conforme Sez. 6 n. 48461 del 28/1172013, Rv. 258169). Evenienza che, tuttavia, nel caso in esame non ricorre, alla luce delle considerazioni che si andranno a esporre, quanto ai rilevati vizi nell'incedere argomentativo della Corte d'Appello sulla responsabilità del K.K. e del L.L. in ordine ai fatti produttivi dei danni relativi ai decessi in questione.
6. Ancora in via preliminare, deve rilevarsi la manifesta infondatezza del secondo motivo di ricorso formulato nell'interesse delle parti civili, eredi del lavoratore C.C.C.C., riguardante la posizione dell'imputato M.M., rispetto al quale correttamente la Corte territoriale ha dichiarato l'estinzione del reato siccome deceduto nelle more del giudizio di appello, con conseguente revoca delle statuizioni civili. Sul punto, invero, pare sufficiente ribadire che la morte dell'imputato, intervenuta prima del passaggio in giudicato della sentenza, comporta la cessazione del rapporto processuale penale e di quello civile nel processo penale, sicché le eventuali statuizioni civilistiche di condanna restano caducate ex lege, senza neppure necessità di apposita dichiarazione da parte del Giudice penale (sez. 3, n. 18021 del 18/1/2024, Santoro, Rv. 286271-01; n. 47894 del 23/3/2017, Modica, Rv. 271160-01, in cui, in applicazione del principio, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso della parte civile contro la sentenza di assoluzione dell'imputato; n. 5870 del 2/12/2011, dep. 2012, F., Rv. 251981-01).
7. L'esame dei rimanenti motivi dei ricorsi (con l'ovvia esclusione di quelli logicamente assorbiti dalla pronuncia di annullamento), con i quali si è sostanzialmente attaccato (anche ai fini penali, da parte del Procuratore Generale, ai soli effetti civili da parte degli altri ricorrenti) il percorso giustificativo della sentenza impugnata, introduce direttamente i temi affrontati in premessa, quelli cioè del canone di giudizio da applicarsi in caso di riforma di pronuncia di condanna, dell'utilizzo del sapere scientifico nel processo penale e del travisamento probatorio, rilevandosi, sin da subito, che la Corte palermitana non ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi, come emerge dal semplice raffronto delle decisioni (il cui impianto motivazionale la Corte d'Appello ha ritenuto fallace e sostituito con le proprie conclusioni difformi) che vanno, dunque, preliminarmente e sinteticamente richiamate.
7.1. Orbene, nella prima sentenza appellata, il Tribunale aveva valorizzato quella che aveva definito il primo troncone "Fincantieri P", precisando che i giudici di legittimità, in quella sede, avevano già convalidato il giudizio della Corte di Appello di Palermo (di cui alla sentenza n. 4224/2012), laddove era stato affermato che tutte le esposizioni alle sostanze nocive, cui pacificamente erano stati sottoposti i lavoratori deceduti, e coloro per i quali era stata accertata una patologia amianto correlata, avevano svolto un ruolo concausale, quantomeno nell'anticipare la data di insorgenza della malattia e/o della morte, essendosi ritenuta corretta la motivazione dei giudici del merito i quali avevano, sulla scorta del sapere scientifico veicolato in quel distinto procedimento, aderito alla teoria che riconosce la natura "dose-dipendente" delle patologie che ci occupano, nonché positivamente accertato il nesso eziologico tra gii eventi - oggetto di contestazione - e le esposizioni ad amianto addebitate a quegli imputati, con conseguente irrilevanza, dunque, della parziale copertura della posizione datoriale da parte dei singoli soggetti incolpati, nell'arco temporale dell'intera esposizione sofferta dalle singole persone offese (concludendo, quindi, nel senso che il rischio aumenta all'aumentare della dose e che indubbia rilevanza causale posseggono gli effetti cumulativi delle esposizioni successive rispetto a quella iniziale).
Quanto al quadro normativo di riferimento, alla materia dell'amianto in generale e alla sua nocività per l'uomo, quel Giudice rinviava all'evoluzione della materia in campo scientifico, richiamando il contributo dei consulenti del PM e della parte civile INAIL, l'apporto conoscitivo dei periti Q.Q.Q.Q. e R.R.R.R., i contributi della dott.ssa U.U.U.U. del CONTARP-INAIL, la quale aveva redatto una "mappatura", rappresentativa delle condizioni di lavoro all'interno dei cantieri navali di P, con riferimento alle singole mansioni svolte ed alla conseguente esposizione ad amianto dei lavoratori, ma anche dell'ispettore INAIL W.W.W.W., il quale aveva lavorato per 30 anni all'interno di quei cantieri, ritenendo così dimostrate, anche in questo processo, attraverso la prova testimoniale e le deposizioni delle stesse vittime (richiamate per stralci nel documento), la presenza dell'amianto in cantiere, l'indiscriminata esposizione dei lavoratori a tale agente patogeno e la mancata adozione, da parte dei responsabili dello stabilimento, di misure di prevenzione atte ad eliminare o a ridurre il rischio di contaminazione.
Nel precedente ambito processuale, peraltro, in sede di legittimità si era ritenuto corretto l'incedere argomentativo dei giudici della condanna anche sotto il profilo soggettivo, avendo le risultanze processuali consentito di affermare la piena consapevolezza da parte degli imputati della specifica pericolosità dell'assunzione per via aerea di microfibre di amianto e della loro correlazione a processi cancerogenetici, noti fin dal 1964, essendo stata smentita la tesi difensiva della imprevedibilità dell'evento. Gli imputati, in quanto dirigenti, erano gravati da una posizione di garanzia, siccome titolari di poteri di vigilanza e attuazione delle misure di sicurezza e igiene, nonché di poteri impeditivi, posizione normativa e funzionale derivante dal disposto del D.P.R. n. 547 del 1956, art. 4 (in materia di infortuni sul lavoro) e del D.P.R. n. 303 del 1956, art. 4 (in materia di igiene sul lavoro), nei quali è previsto che i dirigenti devono attuare le misure di sicurezza e di igiene e fornire ai lavoratori i mezzi necessari di protezione e renderli edotti dei rischi specifici cui sono esposti. In quella sede, poi, era stata ritenuta corretta la metodologia applicata alle diagnosi, necessariamente affidate, stante la natura delle patologie (connotate cioè da latenze di decenni), a misurazioni ex post con ricostruzione anche deduttiva della portata dell'esposizione all'amianto. La valenza probatoria del documento, peraltro, era stata rimarcata anche valorizzando la coincidenza di alcune premesse fattuali, ribadendosi tuttavia che il Giudice chiamato a decidere successivamente non avrebbe potuto fondare la prova dei fatti diversi solo in ragione della sentenza acquisita al fascicolo, sia pur irrevocabile, dovendo invece individuare una conferma esterna della ricostruzione prospettata. E, nella specie, il Tribunale aveva ritenuto raggiunta tale conferma all'interno del processo che ci occupa, dopo aver rimarcato la necessità di un minor rigore in punto di corroborazione degli accertamenti compiuti in altra sede, stanti l'identità dell'oggetto dei diversi processi (in entrambi l'accertamento di fatti analoghi ai danni di diversi lavoratori), degli imputati (con poche eccezioni) e dei difensori. Quel Giudice, pur affermando come l'accusa mossa alla dirigenza della società, in questo processo, fosse identica a quella già valutata dalla Corte di cassazione nel precedente richiamato, per difetto di significativi, nuovi elementi, idonei a screditare le conclusioni cui erano pervenuti i giudici del "primo troncone" giudiziario, soprattutto con riferimento all'accertamento delle condizioni lavorative nel medesimo cantiere, aveva ciononostante precisato che la decisione non era dì tipo "adesivo", avendo seguito un percorso logico-argomentativo parzialmente difforme, su alcune cruciali problematiche, rispetto a quello già convalidato in sede di legittimità.
Anche quanto alla individuazione della legge di copertura scientifica, poi, il Tribunale aveva richiamato, ancora una volta, la sentenza che aveva definito il processo del primo troncone Fincantieri P: in quella sede, si era ritenuta la copertura scientifica alla conclusione per la quale, come per il mesotelioma, anche per il carcinoma polmonare, la "regola" che disciplina la relazione "dose-esposizione" è quella della dose correlazione, ragion per cui le esposizioni all'asbesto, pur in presenza di altro fattore eziologico quale il fumo di sigaretta, sarebbero sempre e comunque (anche quelle successive alle prime) rilevanti, poiché le stesse accorcerebbero la latenza anticipando l'evento, precisando come, nella ricerca dell'eziologia nel singolo caso rilevino la storia lavorativa del soggetto, i dati anamnestici di esposizione certa ad altri cancerogeni noti per il polmone, il grado di esposizione lavorativa all'amianto (mansione) del lavoratore, la dimostrazione di una significativa esposizione ad asbesto in assenza di asbestosi (esame del bronco-lavaggio per quantificare i corpuscoli di asbesto; biopsia polmonare con ricerca quantitativa di fibre di asbesto; biopsia della neoplasia polmonare con ricerca della presenza di fibre di asbesto), i tempi di latenza tra supposta esposizione e comparsa della neoplasia (con la consapevolezza che tale parametro da solo potrebbe rivelarsi fallace, stante la imprevedibile diversità della risposta biologica e immunitaria individuale che si oppone al tumore), come anche rimarcato dalle difese degli imputati.
In merito alle diagnosi, aveva respinto la tesi difensiva del fallimento dell'accertamento causale tra esposizione ad amianto e singole patologie, con particolare riferimento al mesotelioma per mancanza degli esami immunoistochimici e della necessità di un riscontro del rinvenimento di fibre d'amianto in sede bioptica, istologica e/o autoptica (conforto mancante, nella specie, per via dell'omessa effettuazione dei corrispondenti esami): secondo il ragionamento del primo Giudice, infatti, l'indagine diagnostica non può che essere effettuata tenendo conto degli strumenti a disposizione in quel momento storico e/o in osservanza dei protocolli dell'epoca, ritenute del tutto affidabili le diagnosi formulate dai consulenti del PM, pur precisandosi - quanto al carcinoma polmonare - che, se nelle patologie asbesto-correlate nelle quali l'amianto è praticamente l'unico fattore eziologico (quelle, cioè, di tipo mono-fattoriale, quali il mesotelioma o l'asbestosi polmonare) la diagnosi di patologia asbesto-correlata può ritenersi certa pur in assenza di indagini strumentali di tipo istochimico o bioptico, non altrettanto può dirsi con riguardo a quelle patologie rispetto alle quali l'asbesto non è l'unico e neppure il principale fattore eziologico, come nel caso dei carcinomi polmonari, per i quali l'accertamento positivo della presenza e della quantificazione delle fibre nel tessuto colpito dal tumore finirebbe per giocare un ruolo non trascurabile, come sostenuto anche dalle difese.
Quanto all'utilizzo del sapere scientifico nel processo penale, poi, aveva in primo luogo rinviato ai principi ormai noti, rinvenibili nella sentenza n. 43786 del 2010, Cozzini, contenente un vero e proprio manuale d'uso in materia e le linee guida per il vaglio del relativo ragionamento esplicativo in sede di legittimità, ma anche ad altre pronunce di legittimità che si sono occupate dì processi in materia di morti/lesioni da esposizione ad amianto, prima fra tutte la sentenza più volte richiamata resa dalla Quarta Sezione penale di questa Corte nel primo troncone del processo Fincantieri P e, all'esito, dato atto della polarizzazione delle due tesi contrapposte (in questo, come in genere nei processi del medesimo tipo). In particolare, quel Giudice riteneva definitivamente superata la teoria della trigger dose (per la quale all'innesco della cancerogenesi, dovuto all'effetto detonatore della "dose grilletto", seguirebbe "l'indifferente mutismo" delle altre cellule dell'organo e/o dei tessuti coinvolti, cioè polmone e pleura), difettando rispetto ad essa ogni evidenza processuale. Richiamate anche le conclusioni sulle quali si era basata la sentenza di condanna nel primo troncone processuale, concludeva nel senso che tutte le esposizioni sono rilevanti e dunque anche quelle "successive", non solo perché "aumentano il rischio" per il soggetto esposto di contrarre la malattia (il che di certo non basterebbe per superare il vaglio della verifica della ricorrenza del nesso causale) quanto, piuttosto, perché tutte sono tra di loro "equivalenti" rispetto al possibile verificarsi della trasformazione; tutte cioè possono fungere da "detonatori", soprattutto tenendo conto che il mesotelioma può essere indotto anche da piccole dosi di amianto.
Inoltre, rinviando all'apporto conoscitivo del perito Q.Q.Q.Q., riteneva di poter affermare che tutte e tre le patologie sono "dose-correlate", nel senso che all'aumentare delle esposizioni aumenterebbe il rischio di contrarre la malattia. Per l'asbestosi, occorrerebbe poi una dose significativa di esposizione perché si manifesti la malattia e, di conseguenza, le successive esposizioni non potrebbero che peggiorare il quadro clinico (tesi recepita nel processo conclusosi con il verdetto definitivo di condanna nel primo troncone giudiziario). Tuttavia, operava anche un distinguo: per il mesotelioma, la verifica del nesso causale individuale è agevole poiché l'amianto, oltre ad essere praticamente l'unico fattore eziologico per tale tumore polmonare, è in grado dì innescare la malattia anche a dosi assai basse di esposizione (esposizioni "minimali"); così anche per l'asbestosi, malattia certamente causata dall'esposizione all'asbesto e peggiorata dalle esposizioni successive, come comprovato dal fatto che essa necessita di una significativa esposizione per manifestarsi. Per il carcinoma polmonare, invece, la possibilità di attribuzione di una diretta eziologia dell'amianto rispetto al tumore polmonare è ancora oggetto di vivace dibattito in ambito scientifico, trattandosi di una "patologia multifattoriale" che può essere causata da molteplici agenti inquinanti, presenti anche in ambienti extra lavo rati vi e, tra questi, primo fra tutti il fumo di tabacco al quale, nei casi d'interesse (con qualche eccezione che il Tribunale affrontava) sono stati fortemente esposti tutti i lavoratori coinvolti. Pertanto, in tali casi, per ritenere certo il nesso causale tra ciascun segmento di esposizione e la patologia occorrerebbe poter affermare che l'asbesto è cancerogenetico al pari del fumo di sigaretta e che i due fattori sono, pertanto, tra loro "fungibili", nel senso che entrambi e ciascuno, in egual modo, possono causare la patologia tumorale, il che non è condiviso in ambito scientifico, essendosi affermato che l'esposizione aumenterebbe solo il rischio, ma non dimostrerebbe che l'assorbimento dell'amianto abbia determinato da solo il carcinoma polmonare.
Quanto, poi, all'elemento soggettivo del reato, aveva ritenuto la prevedibilità dell'evento, posto che le cognizioni mediche del periodo erano sufficienti perché l'agente fosse edotto del fatto che l'esposizione all'amianto poteva essere causa dì malattìe gravemente lesive della salute dei lavoratori, evidenziando come la prova testimoniale avesse consentito di accertare che la dirigenza della società aveva sempre negato la presenza dell'amianto presso i cantieri navali di P, omettendo di effettuare controlli mirati alla prevenzione di quel rischio in termini sia di vigilanza all'interno degli ambienti e accertamenti sui singoli lavoratori esposti, che di informazioni da dare alla dirigenza tecnica (il che era stato accertato anche nel processo avente ad oggetto il ed. "primo troncone").
Anche nella seconda sentenza appellata si era valorizzato il precedente giudicato di condanna che aveva definito il primo troncone giudiziario anche nei confronti di K.K., L.L. e M.M., avendo ritenuto il Tribunale il superamento definitivo di quelle che aveva definito "controinformazioni" introdotte dalla difesa già nel primo troncone giudiziario e ribadite nel successivo (in particolare, ritenendo smentito l'uso di materiali diversi dall'amianto; la previsione di turni di riposo nelle lavorazioni; la presenza di aspiratori idonei). Il Tribunale concludeva testualmente nel senso che l'impegno del consulente della difesa T.T.T.T. era stato sostanzialmente improntato a "una inaccettabile minimizzazione dei rischi professionali che gravavano sulle maestranze Fincantieri, basandosi sull'ipotizzata esistenza di condizioni di lavoro idilliache o comunque molto distanti da quelle, a dir poco critiche, che invece realmente esistevano nel cantiere navale di P, e che ancora una volta sono state messe tristemente in evidenza dalle testimonianze di chi quotidianamente era costretto a confrontarsi con i disagi, le insidie ed i rischi ai quali si è ampiamente accennato" (cfr. foglio 40). I periti, di contro, avevano sottolineato che presso lo stabilimento in questione non risultavano adottate misure di prevenzione specifiche volte a ridurre la dispersione nell'aria di fibre di amianto, non solo fino al 1991, ma anche dopo, almeno fino alla data della relazione INAIL del dicembre 1996.
In via preliminare, anche questo Giudice si era soffermato sulle caratteristiche dell'amianto e sulle ragioni della sua alta pericolosità per l'uomo, avendo approfondito i problemi legati alla patogenesi e, segnatamente, alla dimensione sostanziale del decorso causale reale, concernente la stessa individuazione delle leggi scientifiche esplicative, tematica che, secondo quel Giudice, aveva finito per polarizzarsi, nei processi del tipo di quello che ci occupa, proprio tra le opposti tesi che propongono la spiegazione scientifica del mesotelioma, dando luogo a un dibattito che riteneva interessare più le sedi giudiziarie che l'ambito scientifico (il riferimento è, ovviamente, all'esistenza o meno di un effetto acceleratore della patologia da parte delle c.d. "esposizioni successive", una volta che si acceda alla teoria dose-correlata). A tal fine, aveva richiamato studi, convegni e esiti di essi quale la Conferenza di Helsinki, i Quaderni del Ministero della Salute e la Consensus di Torino del 2011; spiegato le differenze tra le tre diverse patologie d'interesse, non senza dare atto dei pareri scientifici acquisiti al processo, primo fra tutti quello del consulente della difesa T.T.T.T., ma anche degli elementi ricavati dalle informazioni del Registro Nazionale dei Mesoteliomi, istituito c/o l' Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro ISPESL, in base alle quali era stato affermato che il comparto navale costituisce uno dei settori produttivi più colpiti dalla patologia neoplastica patognomonica della esposizione ad amianto, cioè il mesotelioma maligno della pleura. Infine, esponeva le conclusioni del perito Q.Q.Q.Q., anche in ordine al valore scientifico dei lavori delle Consensus Conferences, l'ausiliario essendo stato uno degli autori, esponendo la tesi della patogenesi c.d. dose correlata: una volta superata la teoria della c.d. trigger-dose o dose-grilletto, anche se a questa si sostituisse quella della dose cumulativa idonea a innescare la progressione automatica della malattia, la teoria non riuscirebbe a spiegare la causalità generale, in difetto di un parametro al quale agganciare la misurazione di tale dose cumulativa. A tal fine, si era ritenuto che soccorresse, tuttavia, la spiegazione scientifica della rilevanza delle dosi successive in termini di accorciamento del periodo di latenza e di anticipazione della irreversibilità che rende irrilevanti le dosi successive, descrivendosi le varie fasi della patogenesi (teoria multistadio) e richiamandosi il protocollo diagnostico utilizzato (c.d. "tripletta diagnostica": immagine radiologica o diagnosi clinica; esame istologico e esame immunoistochimico che dà il grado di maggiore affidabilità, senza che il suo difetto faccia retrocedere l'accertamento al campo del meramente probabile, potendo il Giudice di merito calibrare il giudizio di affidabilità delle diagnosi di mesotelioma tenendo conto delle tecniche strumentali adoperate all'epoca della insorgenza delle malattie, non potendo pretendersi che la diagnosi di tale patologia sia condizionata al rinvenimento di riscontri obiettivi come quello costituito dall'esame immunoistochimico, e ciò in conformità dei principi espressi anche nella sentenza della Suprema Corte, conclusiva del c.d. primo troncone).
La spiegazione causale, peraltro, era stata preceduta dalla descrizione della patogenesi, del tutto peculiare per il mesotelioma pleurico, quanto alla fase dell'induzione e a quella della progressione (si rinvia a tal fine alle pagg. 85 e ss. della sentenza 9/11/2015 del Tribunale di Palermo, nelle quali il fenomeno della patogenesi è dettagliatamente riportato.
7.2. Nella sentenza d'appello, il Giudice del gravame, muovendo dalla piattaforma contestativa delle fattispecie, ha ritenuto necessarie alcune considerazioni preliminari, a cominciare dalla storia dello stabilimento Fincantieri P e dell'amianto in Italia, per osservare come, fino alla legge n. 257 del 1992 che aveva bandito la produzione, commercializzazione e installazione di materiali in amianto, al di là di quelli che ha definito "vaghi anteriori e generici accenni normativi", difettasse uno strumento giuridico prescrittivo e/o repressivo in materia e, di conseguenza, anche una "cultura anti-infortunistica lavoristica con riferimento alla accurata gestione delle fibre del materiale asbestoso". Ha, poi, richiamato il connotato delle patologie asbesto-correlate, per ricordare che esse hanno come caratteristica comune i lunghissimi tempi di latenza tra l'esposizione all'agente patogeno e le manifestazioni cliniche, non essendo stato ovviamente possibile effettuare, sui luoghi di lavoro, con appositi strumenti tecnici, misurazioni finalizzate alla reale individuazione, fase lavorativa per fase lavorativa, della reale durata delle esposizioni. Ha, poi, precisato che le sentenze appellate si erano fondate su elementi, anche di natura scientifica, e su un "carico di raccolta documentale: cartelle cliniche, referti medici", oltre che sulle testimonianze dei lavoratori esaminati.
Quanto, invece, ai periti Q.Q.Q.Q. e R.R.R.R., ha precisato trattarsi di due medici del lavoro che ha definito "protagonisti tecnici", soprattutto quali consulenti delle Procure italiane, di processi su analoghi fatti di reato.
Con riferimento al L.L., ha letto la documentazione CONTARP e la testimonianza U.U.U.U., ingegnerà industriale e tecnica INAIL CONTARP, onde verificare il momento nel quale il rischio amianto era cessato nei cantieri oggetto di verifica, ritenendo che l'inchiesta degli organi tecnici INAIL fosse stata approfondita e certamente non influenzabile e affermando che le relative valutazioni costituivano dati oggettivi che non avevano avuto la dovuta ricaduta sulle decisioni censurate, in particolare sulla prima delle due. In conclusione, secondo la Corte territoriale, il rischio amianto era cessato nel 1981 e, nonostante le affermazioni della U.U.U.U. (la quale aveva spiegato che il minerale era stato utilizzato anche dopo), ha precisato che costei aveva ammesso non esservi prova del superamento del limite di 100 fibre/litro, soglia al dì sotto della quale il Giudice d'appello ha ritenuto doversi escludere la potenzialità morbigena delle lavorazioni in ambiente di amianto. Sotto altro profilo, poi, ha ritenuto non dimostrata la collocazione del c.d. failure time (momento a partire dal quale comincia la irreversibilità della malattia e diventano irrilevanti le successive esposizioni), sul punto specifico ritenendo esaustivi alcuni precedenti di questa Sezione. Nessun cenno, invece, ha operato rispetto al precedente di questa stessa Sezione che aveva definito il primo troncone giudiziario riguardante il medesimo contesto lavorativo e, tra gli altri, anche i tre soggetti chiamati a rispondere nel presente giudizio.
Quanto al K.K., poi, ha esposto le ragioni del contrario avviso rispetto alle conclusioni del Procuratore generale, ritenendo indispensabile l'esame di quella che ha definito la "consistenza argomentativa di questo processo", per mettere in evidenza quelle che ha ritenuto "le pecche decisionali del primo grado", muovendo dalle problematiche generali relative al giudizio (tecnopatie e, più specificamente, le patologie asbesto-correlate; il modello di sussunzione sotto leggi scientifiche; la legge di copertura e le teorie esplicative della patogenesi; la sotto-teoria dell'effetto acceleratore), a chiusura della disamina richiamando i principi della citata sentenza Cozzini del 2010 e successivi arresti giurisprudenziali.
In ordine alle tecnopatie, intanto, ha esposto l'esistenza delle problematiche generali connesse al tema specifico, richiamando il modello esplicativo disegnato dalle Sezioni unite Franzese del 2002, per affermate che la sussistenza della "causalità individuale" richiede un "alto o elevato grado di credibilità razionale", anche e soprattutto al fine di conseguire la certezza - in questo processo medico-legale e di ordine penalistico tradizionale - che l'evento, nel caso concreto, non risulti riconducibile a decorsi causali alternativi (ed. causalità individuale). Ha, quindi, qualificato come commissiva la condotta ascritta al datore di lavoro, traendo conferma dell'assunto, con riferimento a questo processo e alle specifiche imputazioni ivi formulate, dai principi affermati nella citata sentenza Cozzini del 2010; ha richiamato la teoria elaborata dai professori Z.Z.Z.Z. e A.A.A.A.A., indicati quali sostenitori della teoria della c.d. trigger dose, per la quale le esposizioni successive alla prima sarebbero tutte irrilevanti e alla stregua di essa ha affermato non sussistere una correlazione tra dose, risposta immunitaria e ulteriori esposizioni, né esser dimostrato che, ove le fibre persistono indefinitamente nei tessuti, ulteriori "dosi" oltre alla prima necessaria e sufficiente ad avviare il meccanismo patogeno (iniziazione) ed a condizionarne le successive tappe fino alla manifestazione clinica (promozione) siano necessarie. Ha, dunque, affrontato il tema della teoria multistadio o dose-dipendenza, con riferimento al mesotelioma e al carcinoma polmonare, fatta propria dal perito Q.Q.Q.Q., dando atto che essa è considerata oggi nella comunità scientifica internazionale dei medici del lavoro e degli epidemiologi la più accreditata teoria relativa alla patogenesi, quanto meno del mesotelioma pleurico e dell'asbestosi, rilevando che gli ausiliari nominati dalle difese, B.B.B.B.B., X.X.X.X. e C.C.C.C.C., le cui competenze ha ritenuto riconosciute anche a livello internazionale, l'avevano contestata, ritenendola scientificamente controversa. E, sul punto, ha ritenuto utile il riferimento a una vicenda che avrebbe avuto a oggetto la stesura del Quaderno n. 15 del Ministero della Salute. Secondo quella che la stessa Corte territoriale indica come "una voce" circolata nella primavera del 2017 nella comunità scientifica, tale pubblicazione sarebbe stata corretta poco prima della diffusione con procedure che ha definito poco trasparenti, riportando in riquadro il foglio 41 che si assume come impropriamente corretto (in base a tale rumor, infatti, solo nella seconda versione, quella cioè data alle stampe, si sarebbe indicato come certo che l'aumento dei tempi di esposizione all'amianto incide sulla patogenesi del mesotelioma pleurico). Di qui, quel Giudice ha tratto la propria convinzione che la teoria in esame non possa essere invocata a spiegazione del decorso causale dell'azione dell'amianto, non mancando di porre in risalto, tuttavia, la circostanza che essa è stata prescelta e accreditata in seno alla Terza Consensus Conference (anche questo Giudice procedendo alla esposizione sintetica dei passaggi di tale patogenesi), ricordando che il tempo di latenza (intercorrente tra esposizione e comparsa della malattia) si misura in decenni, talvolta anche in mezzo secolo.
Ha, pure, richiamato la teoria dell'effetto acceleratore (ritenuta complementare a quella dose-correlata), per la quale il protrarsi dell'esposizione dopo l'innesco provocherebbe immancabilmente un'accelerazione del decorso della malattia e un'anticipazione del decesso, affermando che, a differenza della teoria multìstadio, accreditata saldamente nella comunità giuridica e nella produzione giurisprudenziale italiana, la teoria dell'effetto acceleratore non potrebbe considerarsi negli stessi ambiti parimenti indiscussa, procedendo quindi a una lunga digressione su alcuni arresti in materia, a partire dalla più volte citata sentenza Cozzini del 2014, riportata per ampi stralci nel corpo della decisione impugnata.
La prima osservazione ha riguardato la circostanza che le due sentenze appellate si erano basate, pressoché integralmente, sugli esiti delle perizie Q.Q.Q.Q.-R.R.R.R., espletate nei rispettivi primi gradi, con rinnovazione della loro audizione in appello. La Corte ha precisato che l'approccio scientifico peritale del primo e della sua "collaboratrice" sarebbe stato caratterizzato dalla piena, palesata e incondizionata adesione alla teoria dell'effetto acceleratore, non prima di aver affermato che il predetto Q.Q.Q.Q. sarebbe "uno dei medici specialisti maggiormente impegnati - se non il più impegnato - tra i consulenti tecnici usualmente officiati dagli Uffici di Procura di tutta Italia nella gestione procedimentale dei casi di decessi o di lesioni derivanti dalla lavorazione in ambienti industriali con presenza di amianto". Rispetto all'apporto scientifico di tali periti (tradottosi innanzitutto nel deposito di elaborati peritali e, quindi, nell'esame, rinnovato in appello), la Corte ha riportato alcuni stralci, ritenendoli emblematici di uno scorretto approccio valutativo, per avere l'esperto Q.Q.Q.Q. dichiarato la sua convinta adesione alla spiegazione rinvenibile nella teoria dell'effetto acceleratore, che la Corte ha giudicato non univocamente accreditata nella comunità scientifica o giuridico-penalistica (pag. 54 della sentenza impugnata), valutando come fuorviante e inutile il dibattito ancora acceso sulla interpretazione dei documenti di consenso di cui alle conferenze di Torino e Bari, rispettivamente del 2011 e del 2015.
Il Giudice territoriale, poi, ha esaminato le singole imputazioni ascritte al K.K., per affermare quanto segue (rinviandosi a quanto già chiarito a proposito dei decessi dei lavoratori J.J.J.J. e K.K.K.K., di cui ai reati contestati ai capi 5) e 41) della rubrica della sentenza del Tribunale del 30/10/2015):
con riferimento alle tre morti per asbestosi (G.G.G.G., H.H.H.H. e I.I.I.I.; rispettivamente capi f), i) e j) della sentenza del 9/11/2015), ha ricollegato il verdetto assolutorio alla circostanza che, dati i lunghi tempi di latenza della malattia (circa vent'anni), l'esposizione all'amianto dovesse risalire a intervalli anteriori agli anni ottanta, il K.K. avendo occupato il proprio ruolo dirigenziale dal 1984 al 1988; in particolare, poi, quanto al H.H.H.H. e al I.I.I.I., ha ritenuto dubbia anche la diagnosi, non condividendo la lettura dei periti recepita dal Giudice di primo grado, con riferimento alla diagnosticata bronchite cronica;
quanto al mesotelioma, ha ritenuto di non poter dare corso alle richieste condannatorie formulate dall'organo requirente, divisando piuttosto - come già per L.L. in base alle stesse postulazioni del Procuratore Generale - di dover mandare assolto (anche) il K.K. da queste, come da tutte le altre accuse ancora gravanti su tale imputato;
con specifico riferimento, in particolare, alle imputazioni aventi ad oggetto i decessi per mesotelioma dei lavoratori Z.Z.Z., C.C.C.C., D.D.D.D., E.E.E.E. e F.F.F.F. (capi 19), 26), 25), sentenza 30/10/2015; capi a) ed e) della sentenza del 9/11/2015), ha precisato che l'attività del K.K. era stata preceduta nella medesima posizione apicale da quella di molti altri dirigenti, rimasti estranei all'indagine e che, anche a voler aderire alla teoria della patogenesi multifattoriale per il mesotelioma pleurico, come fa la comunità scientifica e soprattutto la giurisprudenza di legittimità, escludendosi tuttavia un sicuro ruolo efficientistico causale alla sotto-dottrina dell'effetto acceleratore, risulterebbe un ambito di assoluta incertezza quanto al fatto che detti lavoratori si siano ammalati di mesotelioma pleurico sotto la gestione dell'imputato, l'Z.Z.Z. avendo lavorato per poco tempo da quando l'imputato aveva assunto il proprio ruolo direttivo, il C.C.C.C. avendo frequentato pochissimo i reparti o le lavorazioni asbesto-inquinate, il D.D.D.D. essendo stato a contatto con l'amianto dal 1961 al 1984, data di insediamento del K.K., per il E.E.E.E. non essendovi diagnosi certa.
Nulla ha, invece, argomentato con riferimento alla vicenda inerente al decesso del lavoratore F.F.F.F., pur richiamata in premessa.
8. Dal semplice raffronto tra le decisioni appellate e quella impugnata emerge ictu oculi l'errore metodologico della Corte d'Appello, quanto all'obbligo di motivazionale più puntuale con riferimento al ribaltamento delle condanne e all'utilizzo del sapere scientifico nel processo, ma anche l'evidente assenza di motivazione, quanto al decesso del lavoratore F.F.F.F. e al fondamentale distinguo della patogenesi (e, dunque, anche della verifica del nesso causale) tra asbestosi e mesotelioma. E trova anche conferma il dedotto travisamento probatorio per omissione con specifico riferimento al tema della durata del fenomeno della dispersione delle fibre di amianto nel cantiere d'interesse e, quindi, della esposizione dei lavoratori a tale agente patogeno, nonché all'elemento rappresentato dai documenti acquisiti ai sensi dell'art. 238-bis, cod. proc. pen.
8.1. Quanto al primo punto, la Corte palermitana, pur dichiarandosi perfettamente edotta della necessità di un obbligo motivazionale particolarmente stringente alla luce della difformità del proprio giudizio rispetto a quelli rassegnati nelle sentenze appellate sui temi devoluti con i gravami, ha del tutto disatteso le proprie premesse metodologiche, omettendo di procedere all'esame critico del percorso argomentativo seguito dai giudici di primo grado, rispetto alle tesi contrapposte, all'esito formulando addirittura una sorta di meta-teoria, attingendo cioè, in parte, alle conclusioni dei consulenti della difesa, in parte a quelle dei periti, in parte a un proprio sapere personale.
Più specificamente, ha ritenuto di poter svolgere il ragionamento scientifico a sostegno delle proprie difformi conclusioni senza distinguere tra le patologie asbesto-correlate: il che costituisce già di per sé un macroscopico errore metodologico, atteso che i giudici di prime cure avevano assegnato ampio spazio al tema della diversità del processo patogenetico e, quindi, dei problemi di accertamento probatorio ad esso collegati, con riferimento alle diverse patologie asbesto-correlate. La Corte d'Appello, invece, ha elaborato una terza spiegazione per sostenere, in termini generali, la impossibilità di risalire ad un'appagante dimostrazione scientifica della patogenesi, dell'individuazione del c.d. failure time e della rilevanza delle esposizioni all'agente patogeno successive alla prima.
E valga il vero.
Quel Giudice sembra aver ritenuto recessiva la teoria della c.d. trigger dose, che collega cioè la patogenesi (del mesotelioma) alla sola dose innescante, con irrilevanza di ogni altra dose inalata o assorbita. Così ragionando, sembra aver aderito, sìa pur non in maniera netta e chiara, a quella c.d. dose-correlata che ha, del resto, definito come la più accreditata presso la comunità scientifica. In tal modo, dunque, avrebbe fatto propria la spiegazione del perito, ma ne ha al contempo modificato le conclusioni, depurandole della parte nella quale quell'esperto aveva rinviato, per la spiegazione scientifica del fenomeno osservato, anche alla teoria dell'effetto acceleratore, che la Corte ha ritenuto "sotto-teoria" non sufficientemente accreditata presso la stessa comunità scientifica e, quindi, facendo propri, sotto tale specifico aspetto, gli argomenti del consulente tecnico della difesa.
È di tutta evidenzia la fallacia di un simile argomentare.
È vero che la lettura degli elementi probatori è appannaggio della valutazione discrezionale del Giudice di merito, ma di essa il Giudice deve fornire una spiegazione razionale che dia conto del percorso seguito, specie in ipotesi di difformità dei due giudizi di merito, come nel caso all'esame. Ed è altrettanto vero che la scelta operata dal Giudice, tra le diverse tesi prospettate dal perito e dai consulenti delle parti, di quella che ritiene maggiormente condivisibile, costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, purché la sentenza dia conto, con motivazione accurata e approfondita, delle ragioni di tale scelta, del contenuto dell'opinione disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti (sez. 5, n. 43845 del 14/10/2022, Figliano, Rv. 283807-01).
Peraltro, il Giudice d'appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado sulla base del medesimo compendio probatorio, pur non essendo obbligato alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, è tenuto a indicare in maniera approfondita e diffusa gli argomenti, specie se di carattere tecnico-scientifico, idonei a confutare le valutazioni del Giudice di primo grado (Sez. 4, n. 2474 del 15/10/2021, dep. 2022, Masturzo, Rv. 282612, in fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di appello, che, nell'assolvere dal reato di omicidio colposo il ginecologo, condannato in primo grado per non aver tempestivamente effettuato, a seguito del ricovero di una donna in stato di gravidanza avanzata, il parto cesareo, così da provocare il decesso per anossia del feto, senza disporre perizia, ha sovrapposto il proprio soggettivo, personale convincimento a quello del Giudice di primo grado, omettendo di illustrare le ragioni della ritenuta insostenibilità logica della difforme valutazione di quest'ultimo, fondata sulla ricostruzione dei consulenti tecnici del Pubblico Ministero).
Ciò non equivale, si badi bene, ad affermare un obbligo automatico di rinnovazione istruttoria nel caso di ribaltamento assolutorio di una pronuncia di condanna (che, nella specie, peraltro, è intervenuta): piuttosto, deve ritenersi esistente un più marcato onere motivazionale del Giudice che intenda superare gli argomenti a sostegno della condanna, qualora essi siano corroborati dal sapere scientifico veicolato nel processo. Ciò che, infatti, è precluso al Giudice, è la formulazione di una propria personale spiegazione dei fatti che richieda specifiche conoscenze extragiuridiche, che non fanno parte del suo bagaglio di formazione (sul punto, ex multis, sez. 4 n. 43786 del 17/9/2010, Cozzini, cit.). Resta, sempre fermo, ovviamente, il potere di individuare, nel contrasto tra opposte tesi scientifiche, all'esito di un accurato e completo esame delle diverse posizioni, quella che si ritiene più idonea, dando congrua ragione della scelta e dimostrando di essersi soffermato sulle tesi disattese (Sez. 4, n. 15493 del 10/3/2016, fi., Rv. 266787; Sez. 5 n. 43845 del 14/10/2022, Figliano, Rv. 283807). In tema di prova scientifica, infatti, la perizia rappresenta un indispensabile strumento euristico nei casi in cui l'accertamento dei termini di fatto della vicenda oggetto del giudizio imponga l'utilizzo di saperi extragiuridici e, in particolare, qualora si registrino difformi opinioni, espresse dai diversi consulenti tecnici di parte intervenuti nel processo, di talché al Giudice è chiesto di effettuare una valutazione ponderata che involge la stessa validità dei diversi metodi scientifici in campo, della quale è chiamato a dar conto in motivazione, fornendo una razionale giustificazione dell'apprezzamento compiuto e delle ragioni per le quali ha opinato per la maggiore affidabilità di uno rispetto a un altro (sez. 4, n. 49884 del 16/10/2018, P., Rv. 274045).
Nel caso all'esame, l'errore metodologico è ancor più palese: il confronto ha riguardato, infatti, i pareri rassegnati dai consulenti di parte e dai periti del Giudice, nominati proprio a causa della contrapposizione - che sovente si registra in processi del tipo di quello che ci occupa - tra opposte spiegazioni scientifiche. Orbene, è principio già affermato che il perito assume una posizione processuale diversa rispetto a quella del consulente di parte, chiamato a prestare la sua opera nel solo interesse dì colui che lo ha nominato, senza assumere l'impegno di cui all'art. 226 cod. proc. pen., con la conseguenza che il Giudice che ritenga di aderire alle conclusioni del perito, in difformità da quelle del consulente di parte, non è tenuto a fornire autonoma dimostrazione dell'esattezza scientifica delle prime e dell'erroneità delle seconde, essendo sufficiente, al contrario, che dimostri di avere comunque valutato le conclusioni del perito, senza ignorare le argomentazioni del consulente (sez. 3, n 17368 del 31/1/2019, Giampaolo, Rv. 275945-01, in cui in motivazione, la Corte ha precisato che può ravvisarsi vizio di motivazione, denunciabile con il ricorso per Cassazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., solo qualora risulti che le conclusioni del consulente siano tali da dimostrare la fallacia di quelle peritali recepite dal Giudice).
Da tale principio, dunque, può dedursi a contrario che, nel caso inverso, nel quale il Giudice non abbia condiviso le conclusioni del proprio perito, senza sostituirlo, come nella specie, la motivazione debba essere particolarmente puntuale. Soprattutto, ove si consideri che i primi giudici avevano fondato il proprio convincimento, non in base a proprie convinzioni, bensì sulla scorta di un ampio materiale probatorio, arricchito da una pletora di pareri scientifici, compreso quello dei propri ausiliari. Una piattaforma probatoria che, pur non avendone l'obbligo, la stessa Corte territoriale ha inteso implementare attraverso la riapertura dell'istruttoria, procedendo, tuttavia, solo al nuovo esame dei periti e non al rinnovo della perizia stessa. Tale esito, peraltro, sarebbe stato conseguenziale e logico, considerate le premesse formulate dallo stesso Giudice d'appello per screditare l'attendibilità di quegli stessi esperti, attraverso argomenti del tutto estranei al giudizio finalizzato a verificarne la qualificazione professionale.
Sul punto, questa stessa Sezione ha già chiarito che la legge che funge da criterio inferenziale non è certamente acritica e che, anzi, è proprio in questo segmento dell'attività giudiziale che si condensa l'essenza di questa. Ora, posto che la valenza intrinseca del sapere introdotto dall'esperto non è suscettibile di una valutazione autonoma da parte del Giudice, sprovvisto delle necessarie conoscenze scientifiche, l'attenzione si sposta inevitabilmente sugli indici di attendibilità della teoria fatta propria dall'esperto (sui quali si rinvia alla giurisprudenza di questa Sezione Quarta), ma anche - e altrettanto inevitabilmente - sulla effettiva portata dei parametri che la giurisprudenza ha elencato ai fini del giudizio sulla professionalità dell'esperto (si rinvia, sul punto specifico al par. 4.1.). E, nella specie, la Corte d'Appello ha ritenuto di poter sindacare quella dei periti, rinviando alla circostanza che costoro, proprio in quanto esperti della materia, avrebbero collaborato con uffici requirenti in indagini del tipo di quella che ha costituito oggetto del presente procedimento, fatto dal quale sembra aver inferito automaticamente una sorta di "patente" di inaffidabilità degli stessi, quanto al parametro della terzietà.
Tuttavia, come è stato già chiarito, l'accertamento della indipendenza dell'esperto, intesa come condizione di imparzialità del medesimo, è di particolare difficoltà: il Giudice, infatti, "dovrebbe avvalersi di indici 'estrinseci' di sicura efficacia dimostrativa, e in mancanza non può che affidarsi alla completezza delle fonti sulle quali l'esperto poggia il proprio contributo al giudizio; quanto più non risulteranno omissioni, tanto più potrà ritenersi ragionevole un giudizio dì indipendenza. Seguirà poi la verifica della competenza. L'uno e l'altra possono trarre giovamento da una valutazione comparativa; la quale però non deve avvilire il giudizio in una dimensione relativistica, come se si trattasse esclusivamente di rinvenire l'esperto più indipendente o competente tra quelli coinvolti nel singolo giudizio" (in motivazione, Sez. 4, n. 12175 del 3/11/2016, dep. 2017, Bordogna (Montefibre 2).
Pertanto, anche sotto tale profilo, la Corte ha omesso, come segnalato dai ricorrenti, di valutare correttamente il sapere scientifico utilizzato, quanto alla professionalità e attendibilità dei periti, sulle cui conclusioni i giudici di primo grado avevano fondato la spiegazione causale degli eventi osservati.
In ogni caso, lo sviluppo probatorio non ha neppure introdotto temi dissonanti rispetto alle conclusioni rassegnate dai medesimi esperti nel primo grado di giudizio, la spiegazione scientifica di costoro avendo ricevuto addirittura una corroborazione dagli studi della terza Consensus Conference (Bari, 2015). La Corte d'Appello, però, ha ritenuto di poter "ritagliare" una terza spiegazione dei fenomeni esaminati, attingendo ora all'una, ora all'altra spiegazione scientifica, con un risultato che denuncia l'evidente carenza di una effettiva base giustificativa, ancor più necessaria in un caso di difformi conclusioni dei giudici di primo grado che, al contrario, avevano fatto proprie le conclusioni dei periti, non prima però di aver esaminato, sottoposto a critica e motivatamente superato quelle rassegnate dagli esperti della difesa.
8.2. Vi è poi la questione della rilettura del dato probatorio inerente al periodo dell'esposizione all'agente patogeno negli stabilimenti d'interesse. Il Tribunale, nella prima delle due sentenze appellate, ha ritenuto che non potesse essere messo in dubbio un uso assolutamente indiscriminato dell'amianto nel periodo interessato dai capi d'imputazione, presso il Cantiere Navale di P della Fincantieri Spa, con il quale la quasi totalità delle maestranze entrava direttamente o indirettamente in contatto, a causa della promiscuità delle lavorazioni. Condizione che aveva trovato conferma anche nella deposizione della dottoressa U.U.U.U., alla quale era stata ricondotta una vera e propria "mappatura", rappresentativa delle condizioni di lavoro all'interno di quei cantieri, comprensiva anche di quelle mansioni lavorative che non avevano comportato un contatto diretto con l'amianto. Costei, invero, aveva affermato che l'amianto era stato utilizzato ancora nelle costruzioni nel 1985, mentre nella trasformazione sino al 1990. Il perito Q.Q.Q.Q., dal canto suo, aveva accertato che, se da un lato, sì erano registrati elementi oggettivi di riduzione nella fase di costruzione dei materiali contenenti amianto, tuttavia, l'esposizione era continuata se non aumentata in conseguenza delle attività di trasformazione, manutenzione e riparazione navale, circostanza confermata anche dal teste W.W.W.W., ispettore INAIL.
Anche nella seconda delle due sentenze appellate, il Tribunale aveva dato atto di come fosse emerso, dall'istruttoria dibattimentale, con assoluta certezza che per la realizzazione, riparazione e, più in generale, per i lavori sulle navi, vi era stato un vasto e, per lungo tempo, esclusivo ricorso all'amianto, almeno fino all'inizio degli anni '90. Anche questo Giudice aveva richiamato le dichiarazioni della dottoressa U.U.U.U. e, per ampi stralci, anche quelle dei lavoratori, nonché le risultanze del primo processo Fincantieri P e la documentazione acquisita nel presente, per affermare l'acquisita certezza che, nonostante la progressiva diminuzione dell'impiego dell'amianto nelle costruzioni, sino al 1986 nel cantiere navale di P era stato presente un reparto "calderai", nel quale si eseguiva la riparazione di parti di caldaie, compreso il ripristino dei rivestimenti isolanti e in tempi più remoti anche l'intera fabbricazione del generatore di vapore; fino al 1987 nel "magazzino" del cantiere v'erano depositi di amianto in fiocchi (ultra friabile), che veniva consegnato ai lavoratori per necessità varie; fino al 1991 v'erano, ancora, depositi di amianto in rotoli, che i magazzinieri provvedevano a tagliare e consegnare alle altre maestranze per necessità varie; nonché depositi di capi d'abbigliamento in amianto, quali tute, grembiuli, guanti. I lavori di coibentazione, erano stati effettuati, con certezza, fino al 1988, con amianto a spruzzo che, secondo l'unanime ricostruzione dei tecnici S.S.S.S., U.U.U.U., Q.Q.Q.Q. e R.R.R.R., ma anche di quelli della difesa, era la forma più pericolosa di lavorazione per l'elevato grado di dispersione di fibre di amianto perduranti anche dopo la fine della lavorazione. Oltre a ciò, la dottoressa U.U.U.U. aveva confermato che le lavorazioni all'interno del cantiere avvenivano in assoluta promiscuità, essendo anche emerso che, nel cantiere ancora nel 1996, allorquando l'amianto era già stato bandito da quattro anni, era stato rinvenuto e analizzato un grembiule in tessuto di crisotilo (amianto bianco). I periti, dal canto loro, avevano sottolineato che presso lo stabilimento Fincantieri di P non risultavano adottate misure di prevenzione specifiche volte a ridurre la dispersione nell'aria di fibre di amianto, e ciò non solo fino al 1991, ma anche successivamente, almeno fino alla data della relazione INAIL del dicembre 1996. Le indicazioni ricavate dalla ampia documentazione agli atti e dalle dichiarazioni testimoniali rese dai lavoratori sopravvissuti aveva portato il Tribunale a concludere che nessuna misura di prevenzione specifica per il rischio amianto era mai stata posta in essere dai datori di lavoro succedutisi nella gestione dello stabilimento dagli anni '50 fino agli anni '90.
A fronte di tale ampia ricostruzione delle condizioni della esposizione dei lavoratori alle fibre dell'amianto e, nonostante l'esistenza di più pareri CONTARP, acquisiti al processo, nonché di dichiarazioni della teste U.U.U.U. di segno opposto rispetto alle precedenti, in ordine alla prolungata presenza dell'amianto nei cantieri d'interesse ben oltre il 1981, La Corte d'Appello ha ritenuto di poter limitare la disamina a una parte di tale complesso materiale probatorio, così travisandolo per omissione. Infatti, non ha tenuto conto di quanto esposto nelle sentenze appellate con riguardo alla testimonianza U.U.U.U., ma anche ai documenti CONTARP, attestanti la dispersione di fibre di amianto almeno sino al 1988, i giudici di primo grado avendo operato anche un rinvio agli accertamenti cristallizzati nel giudicato di cui al primo troncone Fincantieri P che, come si andrà oltre a precisare, è stato peraltro del tutto ignorato dal Giudice d'appello. Questi, poi, ha dedicato un solo accenno alle successive precisazioni della U.U.U.U., solo per affermare, in modo ritenuto risolutivo, che le eventuali, continuate esposizioni sarebbero state comunque irrilevanti, siccome al di sotto di una certa soglia.
Trattasi, ancora una volta, di un evidente errore di metodo: la Corte d'Appello ha sostanzialmente sostenuto l'irrilevanza delle esposizioni in caso di bassa concentrazione delle polveri, concetto che presuppone un serio aggancio giustificativo, di natura scientifica, che non può certamente rinvenirsi nel richiamo operato dalla stessa teste U.U.U.U. al mancato superamento del limite delle 100 fibre per litro. La Corte territoriale ha ritenuto detto limite come soglia al di là della quale soltanto potrebbe valutarsi l'effettiva potenzialità morbigena delle lavorazioni in ambiente caratterizzato dalla presenza dell'amianto. A tal fine, ha operato un rinvio alla sentenza n. 5/2000 della Corte costituzionale, ma anche tale rinvio è inconferente: in tale arresto, infatti, il Giudice delle leggi, chiamato a scrutinare le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto), come modificato dall'art. 1, comma 1, del decreto-legge 5 giugno 1993, n. 169 (Disposizioni urgenti per i lavoratori del settore dell'amianto), convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 1993, n. 271, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 81, quarto comma, della Costituzione, dal Tribunale di Ravenna, e, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Vicenza, con le ordinanze indicate in epigrafe, le ha dichiarate non fondate, precisando che lo scopo della disposizione censurata andava rinvenuto nella finalità di offrire, ai lavoratori esposti all'amianto per un apprezzabile periodo di tempo (almeno 10 anni), un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialità morbigene e che il criterio dell'esposizione decennale costituiva dato di riferimento tutt'altro che indeterminato, considerato il suo collegamento, contemplato dallo stesso art. 13, comma 8, al sistema generale di assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'amianto, gestita dall'INAIL. Secondo la Corte costituzionale, nell'ambito di tale correlazione, il concetto di esposizione ultradecennale, coniugando l'elemento temporale con quello di attività lavorativa soggetta al richiamato sistema di tutela previdenziale (artt. 1 e 3 del D.P.R. n. 1124 del 1965), implica, necessariamente, quello di rischio e, più precisamente, di rischio morbigeno rispetto alle patologie, quali esse siano, che l'amianto è capace di generare per la sua presenza nell'ambiente di lavoro; evenienza, questa, tanto pregiudizievole da indurre il legislatore, sia pure a fini di prevenzione, a fissare il valore massimo di concentrazione di amianto nell'ambiente lavorativo, che segna la soglia limite del rischio dì esposizione (decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277 e successive modifiche).
Da tali precisazioni, inerenti alla normativa destinata a disciplinare la dismissione dell'agente patogeno, la Corte del gravame ha ritenuto di poter inferire una vera e propria spiegazione scientifica della patogenesi nelle malattie asbesto-correlate, tralasciando di indicare qualsivoglia appiglio scientifico a sostegno del proprio assunto (in base al quale, sembra di capire dal ragionamento dei giudici d'appello, solo al di là di quella concentrazione potrebbe parlarsi di esposizione morbigena alle fibre dell'amianto). Tale conclusione, tuttavia, oltre a non aver ricevuto la dovuta copertura scientifica nella specie, pare smentita da una semplice ricognizione delle vicende giudiziarie inerenti al fenomeno, considerata l'ampia casistica di decessi correlati ad esposizioni non dirette all'agente patogeno (tipico il caso del soggetto che provvede al lavaggio delle tute del familiare lavoratore, direttamente esposto).
8.3. Infine, come già anticipato, la Corte d'Appello ha del tutto omesso un confronto con i documenti acquisiti in entrambi i processi di primo grado ai sensi dell'art. 238-bis, cod. proc. pen. Si tratta, come già precisato, delle sentenze riguardanti il primo troncone della medesima vicenda giudiziaria, ivi compresa la pronuncia di questa Quarta Sezione che l'ha definita, sulla quale la sentenza impugnata semplicemente ha taciuto. Silenzio ancor più assordante, ove si considerino gli ampi richiami operati alla giurisprudenza di questa stessa Corte di legittimità, relativa tuttavia a diverse vicende, analoghe quanto ai temi trattati: trattasi di un'omissione, puntualmente colta nei ricorsi, che si traduce, da un lato, nell'aperta violazione dei principi sopra richiamati in ordine alla rilevanza probatoria riconosciuta a tali documenti; e che, dall'altro, concorre a delineare il già rilevato difetto di puntualità e adeguatezza della sentenza d'appello e la sua intrinseca inidoneità a giustificare razionalmente la difforme conclusione adottata.
9. In conclusione, la sentenza deve essere annullata nei confronti dell'imputato K.K. - agli effetti penali - senza rinvio, quanto ai reati estinti per prescrizione (trattati al par. 6.) e con rinvio, quanto ai reati commessi in danno delle persone offese G.G.G.G. e I.I.I.I. (capi f) e j) della sentenza del Tribunale di Palermo del 9 novembre 2015) e, nei confronti del K.K. e del L.L., anche limitatamente alle questioni civili, con declaratoria di inammissibilità del ricorso del Procuratore generale limitatamente ai reati ai danni delle persone offese J.J.J.J. e K.K.K.K. (capi 5) e 41) della sentenza del Tribunale di Palermo del 30/10/2015) e rigetto dei ricorsi delle parti civili quanto alla posizione processuale di M.M.
Al Giudice del rinvio va rimessa anche la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
Il rinvio, peraltro, va disposto al Giudice penale, individuato in altra Sezione della Corte d'Appello di Palermo.
Rilevato, quanto alla istanza formulata dalla difesa delle parti civili, eredi del lavoratore C.C.C.C., ai sensi dell'art. 573, comma 1-bis, cod. proc. pen., che la norma richiamata è applicabile alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore della citata disposizione (Sez. Unite, n. 38481 del 25/5/2023, D., Rv. 285036), deve in ogni caso osservarsi che, nella specie, l'annullamento della sentenza impugnata segue, non solo agli effetti civili, ma anche ai fini penali, pur limitatamente al K.K. Orbene, in tale ipotesi, il rinvio deve essere disposto unitariamente davanti al Giudice penale, posto che quello al Giudice civile, di cui alla seconda parte dell'art. 622 cod. proc. pen., è limitato alla sola ipotesi di accoglimento del ricorso della parte civile proposto ai soli effetti civili e di contestuale mancata presentazione o rigetto di ricorsi rilevanti agli effetti penali (sez. 5, n. 10097 del 15/1/2015, Cassaniti, Rv. 262733-01, in fattispecie in cui la Corte di cassazione ha annullato la sentenza impugnata in relazione alla conferma sia dell'affermazione di penale responsabilità di un imputato, sia della esclusione della responsabilità civile di altro imputato, avverso la cui assoluzione non era stato proposto ricorso ai fini penali; sez. 4, n. 2242 del 22/10/2019, dep. 2020, D., Rv. 278029-01, in fattispecie in cui la Corte, dichiarando non doversi procedere nei confronti di un imputato per intervenuta prescrizione e accogliendo agli effetti civili il suo ricorso avverso la sentenza di condanna, ha annullato con rinvio al Giudice penale stante l'accoglimento, anche agli effetti penali, del ricorso del coimputato rinunziante alla prescrizione; Sez. 6, n. 13844 del 2/12/2016, dep. 2017, Aracu, Rv. 270371-01, in cui la Corte, in un caso di annullamento della sentenza di condanna per reato associativo disposto per intervenuta prescrizione nei confronti di alcuni coimputati e per vizio di motivazione nei confronti di altri, ha affermato che le statuizioni civili connesse al reato devono essere esaminate per tutti gli imputati nell'ambito dell'unitario giudizio penale di rinvio avente ad oggetto l'esistenza del sodalizio criminoso, precisando, in motivazione, che il giudizio deve inscindibilmente proseguire dinanzi al Giudice penale, non potendosi applicare il disposto dell'art. 622 cod. proc. pen. in assenza della preventiva definizione dell'accertamento in ordine alla sussistenza del reato associativo; sez. 3, n. 20559 del 24/3/2022, Balestri, Rv. 283234-04, in ipotesi di responsabilità da reato degli enti, in cui si è affermato che, in caso di annullamento da parte della Corte di cassazione della sentenza impugnata, ove la caducazione della sentenza di proscioglimento agli effetti diversi da quelli civili riguardi la sola responsabilità da reato degli enti, il rinvio deve essere comunque operato, pur in presenza di annullamento anche agli effetti civili, al Giudice penale, trovando applicazione il disposto della seconda parte dell'art. 622 cod. proc. pen. nel solo caso in cui la sentenza sia caducata esclusivamente in accoglimento del ricorso della parte civile ed essendo necessario concentrare il processo dinanzi al medesimo Giudice onde ridurre il rischio di giudicati potenzialmente contrastanti).
P.Q.M.
confronti di K.K. limitatamente ai reati di cui ai capi 3, 14, 15, 16, 19, 22, 24, 26, 31, 35, inerenti alla sentenza emessa dal Tribunale di Palermo il 30 ottobre 2015 nonché ai reati di cui ai capi a, e, i, inerenti alla sentenza emessa dal Tribunale di Palermo il 9 novembre 2015 perché i predetti reati sono estinti per prescrizione. Annulla la sentenza impugnata agli effetti penali nei confronti di K.K. limitatamente ai reati commessi in danno di Antonino e di I.I.I.I. (capi f, j, inerenti alla sentenza emessa dal Tribunale di Palermo il 9 novembre 2015). Annulla la medesima sentenza agli effetti civili nei confronti di K.K. e di L.L. . Rinvia, per nuovo giudizio agli effetti penali e civili, ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo, cui demanda altresì la regolamentazione delle spese tra le parti relativamente al presente giudizio di legittimità. Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore Generale limitatamente ai reati commessi ai danni di J.J.J.J. e di K.K.K.K. (capi 5, 41, inerenti alla sentenza emessa dal Tribunale di Palermo il 30 ottobre 2015). Rigetta i ricorsi delle parti civili limitatamente alle doglianze concernenti la posizione di M.M.
Deciso l'11 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2024