Cassazione Civile, Sez. 2, 06 agosto 2024, n. 22193 - Computo della rendita per inabilità permanente nella determinazione del reddito rilevante per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato 



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE


composta dai magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Presidente

Dott. PAPA Patrizia - Consigliere

Dott. CAVALLINO Linalisa - Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara - Consigliere

Dott. VARRONE Luca - Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA



sul ricorso 16244 - 2020 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in S, presso lo studio dell'avv. Ivan Di Febo dal quale è rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione dell'indirizzo pec;

- ricorrente -

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore centrale pro tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato ope legis;

- controricorrente -

avverso l'ordinanza del 27/01/2020 pronunciata dal TRIBUNALE DI TERAMO in data 27/01/2020, depositata in pari data, resa nel procedimento civile n. RG 52/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9/2/2024 dal consigliere PATRIZIA PAPA; letta la memoria del ricorrente.

 

Fatto


1. Con ordinanza del 27/1/2020, il Presidente del Tribunale di Teramo ha rigettato l'opposizione proposta da A.A., ex art. 170 D.P.R. 115/2002, avverso il decreto del Giudice di pace di Atri del 19/12/2018, con cui gli è stata revocata l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato per superamento del limite di reddito; A.A. aveva dichiarato nell'istanza di ammissione al gratuito patrocinio un reddito complessivo di Euro 11.486,00, come risultante dalla dichiarazione dei redditi relativa all'annualità 2016, senza riportare l'importo di Euro 21.494,16 percepito dall'INAIL a titolo di rendita per malattia professionale, accertato con sentenza dal Tribunale di Teramo n. 603/2015 del 17/06/2015.

Il Tribunale ha sostenuto che nella nozione di reddito debbano intendersi ricomprese le risorse di qualsiasi natura di cui il richiedente disponga, comunque idonee a sopperire alle sue esigenze di vita e tali da rendere sostenibile il costo del processo, che la rendita per inabilità permanente deve essere considerata nel calcolo del reddito in quanto svolge la funzione di surrogare il reddito da lavoro cessato e che tale funzione resta propria anche della rendita corrisposta a titolo di danno biologico, dopo la nuova formulazione dell'art. 13 del D.Lgs. 38/2000.

2. Avverso questa ordinanza A.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, a cui l'Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

In data 17/9/2023, il Consigliere delegato di questa sezione ha formulato proposta di definizione accelerata, ex art. 380 bis cod. proc. civ., rilevando la palese infondatezza del ricorso.

Con istanza del 17/10/2023, A.A. ha chiesto la decisione del ricorso e, quindi, ha depositato memoria illustrativa.
 

Diritto


Preliminarmente deve rilevarsi che l'opposizione al decreto di revoca ex art. 136, comma 2, del D.P.R. n. 115 del 2002 non avrebbe dovuto essere notificata alla Agenzia delle entrate ma al Ministero della Giustizia, soggetto passivo del rapporto debitorio scaturente dall'ammissione al beneficio; tuttavia, l'evocazione in giudizio della Agenzia delle entrate non comporta l'inammissibilità della opposizione, dovendo ordinarsi la chiamata in causa dell'effettivo legittimato ai sensi dell'art. 4 della L. n. 260 del 1958, trattandosi di rimedio apprestato per evitare che la complessità della macchina organizzativa dello Stato e la difficoltà per la parte di individuare il giusto legittimato possano tradursi in un ostacolo nell'accesso alla giustizia (Cass. Sez. 6 - 2, n. 15219 del 12/05/2022).

Nella specie, tuttavia, non è necessario disporre l'integrazione perché il ricorso, per le ragioni di seguito esposte, non può essere accolto, in applicazione del principio per cui, nel giudizio di cassazione, il rispetto della necessità di ragionevole durata del processo impone, in presenza di un'evidente ragione d'inammissibilità o di infondatezza del ricorso, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio, trattandosi di un'attività processuale del tutto ininfluente sull'esito del giudizio e non essendovi, in concreto, esigenze di tutela del contraddittorio, delle garanzie di difesa e del diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (Cass. Sez. 2, n. 11287 del 10/05/2018).

1. Con l'unico motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell'art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha lamentato la violazione o falsa applicazione dell'art. 76 del D.P.R. 115/2002 e dell'art. 13 del D.Lgs. 38/2000, per avere il Tribunale computato nella determinazione del reddito rilevante per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato la rendita per inabilità permanente, seppure avente natura anche risarcitoria del danno non patrimoniale causato dalla malattia professionale.
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1. Il motivo è infondato.

Secondo l'art. 13 D.Lgs. 38/2000, in caso di danno biologico, i danni conseguenti ad infortuni sul lavoro verificatisi e a malattie professionali denunciate successivamente al decreto ministeriale attuativo della nuova disciplina, l'INAIL esegue in favore della vittima quattro prestazioni principali e, cioè, eroga una somma di denaro a titolo di ristoro del danno biologico permanente (liquidato in forma di capitale per le invalidità comprese tra il 6 e il 16%, ed in forma di rendita per le invalidità superiori), nonché una somma di denaro a titolo di ristoro del danno (patrimoniale) da perdita della capacità di lavoro (tale danno è presunto juris et de jure nel caso di invalidità eccedenti il 16% e viene indennizzato attraverso una maggiorazione della rendita dovuta per il danno biologico permanente, calcolata proprio moltiplicando la retribuzione del danneggiato per un coefficiente stabilito dall'allegato 6 al D.M. 12 luglio 2000); eroga poi una indennità giornaliera per il periodo di assenza dal lavoro, commisurata alla retribuzione e decorrente dal quarto giorno di assenza e, infine - ma qui non rileva- si accolla le spese di cura, di riabilitazione e per gli apparecchi protesici.

É vero perciò che, secondo l'art. 13, la rendita costituita dall'INAIL in favore del danneggiato, seppure comprenda in sé una quota destinata al ristoro del danno biologico, comprende anche quella destinata al ristoro del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa temporanea e permanente, sicché per tale parte, si risolve in una fonte di sostentamento e di introito per chi la percepisce, con la conseguenza che di essa deve tenersi conto ai fini del calcolo del reddito richiesto per accedere al patrocinio a spese dello Stato. (Cfr., quanto al principio, Sez. 1, Sentenza n. 1934 del 06/03/1999 con richiamo a Corte costituzionale nn. 144/92 e 382/95).

A ciò si aggiunga che, diversamente da quanto argomentato dal ricorrente, nell'ambito del reddito da valutare per godere del beneficio devono computarsi, ai sensi dell'art. 76, comma 1, del D.P.R. n. 115 del 2002, tutte le entrate risultanti dall'ultima dichiarazione antecedente l'istanza di ammissione, compresi i redditi non rientranti nella base imponibile e le variazioni avvenute dopo la presentazione della dichiarazione medesima, per tutta la durata del procedimento e sino alla sua definizione, restando del tutto irrilevante - in assenza di deroga espressa - l'eventuale natura previdenziale del rapporto da cui tali redditi conseguono (cfr. Cass Sez. 2, n. 40970 del 21/12/2021).

La motivazione della pronuncia impugnata è, perciò, conforme ai principi suesposti e, in tal senso, non è stata resa in violazione di alcuna delle leggi indicate nella censura.

Ciò precisato, deve ancora considerarsi, quanto alla valutazione in merito del superamento della soglia rilevante per l'accesso al beneficio, che chi chiede l'accesso al beneficio del patrocinio ha l'onere di allegare i limiti del suo reddito: questa Corte, pertanto, avrebbe potuto sindacare la correttezza in fatto del provvedimento di revoca se con il ricorso fosse stato prospettato analiticamente, nel rispetto degli oneri di specificità, che in opposizione era stato allegato compiutamente che l'importo della rendita erogata dall'INAIL a titolo di indennizzo da perdita della capacità lavorativa non implicasse comunque il superamento dei limiti di reddito, per sua misura e quale parte dovesse invece essere esclusa dal computo per sua diversa natura.

Questa allegazione, tuttavia, non è stata offerta in ricorso né risulta sia stata neppure compiutamente portata all'attenzione del Tribunale, in sede di opposizione. In tal senso, allora, il giudizio in fatto resta qui incensurato.

3. Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna del ricorrente A.A. al rimborso delle spese processuali in favore dell'Agenzia, in applicazione del principio di causalità, liquidate in dispositivo in relazione al valore.

Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ex art. 380 bis cod. proc. civ., in applicazione, secondo la previsione del comma terzo dello stesso art. 380 bis cod. proc. civ., del terzo e del quarto comma dell'art. 96 cod. proc. civ., il ricorrente deve essere condannato al pagamento a favore della Agenzia di una somma equitativamente determinata nella misura di cui in dispositivo, nonché al pagamento di un'ulteriore somma, pure equitativamente determinata, a favore della Cassa delle ammende.

Come evidenziato da Cass. Sez. U 27-9-2023 n. 27433 e Cass. Sez. U 13-10-2023 n. 28540, l'art. 380 bis comma III cod. proc. civ., richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l'art. 96 comma III e IV cod. proc. civ., codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore, un'ipotesi di abuso del processo, giacché non attenersi alla delibazione del proponente che trovi conferma nella decisione finale lascia presumere una responsabilità aggravata.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso; condanna A.A. al rimborso, in favore dell'Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.150,00 oltre spese prenotate a debito; condanna A.A., ex art. 96 comma III cod. proc. civ., al pagamento di Euro 500,00 in favore dell'Agenzia delle entrate e, ex art. 96 comma IV cod. proc. civ., di ulteriori Euro 500,00 in favore della Cassa delle ammende.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell'art. 13, comma 1-bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di Cassazione del 9 febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2024.