Cassazione Penale, Sez. 3, 07 agosto 2024, n. 32123 - Posizioni di garanzia
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta da
Dott. GALTERIO Donatella - Presidente
Dott. CORBO Antonio - Consigliere
Dott. GALANTI Alberto - Relatore
Dott. ANDRONIO Alessandro - Consigliere
Dott. BOVE Valeria - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sui ricorsi presentati da:
1. A.A., nato in C. il (Omissis);
2. B.B., nato in C. il (Omissis),
avverso la sentenza del Tribunale di Prato del 03/05/2023.
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Alberto Galanti;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Aldo Esposito, che ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi.
Fatto
1. Con sentenza del 03/05/2023, il Tribunale di Prato condannava gli imputati in ordine alla violazione degli articoli 29, 37 e 64 D.P.R. 81/2008, alla pena di Euro 4.800,00 ciascuno.
2. Avverso tale sentenza propongono comune ricorso gli imputati.
2.1. Con il primo motivo di ricorso lamentano violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'affermazione della responsabilità degli imputati in forza della disposizione prevista dall'art. 299 D.Lgs. n. 81 del 2008.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso lamentano violazione degli articoli 81 e 133 cod. pen., in relazione all'entità dell'aumento di pena per i reati satellite.
Diritto
1. Il ricorso di A.A. è infondato, mentre quello di B.B. è fondato nei limiti che seguono.
2. Quanto al primo motivo di ricorso avanzato da entrambi i ricorrenti, il Collegio osserva quanto segue.
2.1. L'articolo 2, lettera b), del D.Lgs. 81/2008, definisce come "datore di lavoro" il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività., ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. Le successive lettere d) ed e) definiscono il "dirigente" (persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l'attività lavorativa e vigilando su di essa) e il "preposto" (persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa).
Il datore di lavoro, in particolare, è titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, da cui discende l'obbligo di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici, cui deve ottemperare sia vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza, sia esigendo dagli stessi lavoratori l'osservanza delle regole di cautela (Sez. 4, n. 8883 del 10/02/2016, Santini, Rv. 266073; Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014, dep. 2015, Bonelli, Rv. 261946; Sez. 4, n. 37986 del 27/06/2012, Battafarano, Rv. 254365).
Egli ha quindi l'obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro (Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014, dep. 2015, Ottino, Rv. 263200).
L'articolo 299, inoltre, ha codificato il principio della c.d. "clausola di equivalenza" (peraltro affermato già dalle Sezioni Unite della Corte con sent. n. 9874 del 01/07/1992, Giuliani, Rv. 191185 - 01 e dalla giurisprudenza successiva, ben prima della introduzione della norma in esame), prevedendo che "le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti".
Tale estensione riposa sul "principio di effettività" (Sez. 4, n. 22079 del 20/02/2019, Cavallari, Rv. 276265 - 01; Sez. 4, n. 22606 del 04/04/2017, Minguzzi, Rv. 269973 - 01; Sez. 4, n. 22246 del 28/02/2014, Consol, Rv. 259224 - 01), a mente del quale assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, indipendentemente dalla sua funzione nell'organigramma dell'azienda (Sez. 4, n. 31863 del 10/04/2019, Agazzi, Rv. 276586 - 01), di talché l'individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale (Sez. 4, n. 18090 del 12/01/2017, Amadessi, Rv. 269803 - 01), e ciò, si aggiunge, indipendentemente dalla sussistenza di una "delega di funzioni" conferita ai sensi dell'articolo 16 del decreto stesso.
La posizione di garanzia, quindi, può essere generata sia da una "investitura formale" che dall'"esercizio di fatto" delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante, secondo un criterio di ordine sostanziale e funzionalistico (Sez. 4, n. 10704 del 07/02/2012, Corsi, Rv. 252676 -01).
La presenza di un gestore di fatto dell'azienda non esclude la responsabilità del datore di lavoro formale.
In proposito, questa Corte ha stabilito che "in tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità dell'amministratore della società, a cui formalmente fanno capo il rapporto di lavoro con il dipendente e la posizione di garanzia nei confronti dello stesso, non viene meno per il fatto che il menzionato ruolo sia meramente apparente, essendo invero configurabile, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2 e 299 D.Lgs. 8 aprile 2008, n. 81, la corresponsabilità del datore di lavoro e di colui che, pur se privo di tale investitura, ne eserciti, in concreto, i poteri giuridici" (Sez. 4, n. 30167 del 06/04/2023, Di Rosa, Rv. 284828 - 01; Sez. 4, n. 49732 del 11/11/2014, Canigiani, Rv. 261181 - 01).
2.2. Nel caso di specie la sentenza impugnata ha chiarito che lo A.A., legale rappresentante della "Luisa Style", è sopraggiunto in un secondo momento sul luogo ove si stava effettuando il controllo, chiamato dalla B.B.
Alla luce delle considerazioni espresse al par. 2.1., non vi è dubbio alcuno sulla responsabilità del legale rappresentante (la cui qualifica formale non è contestata) quale datore di lavoro, il cui motivo di ricorso va dichiarato inammissibile.
2.3. Diverso è il discorso per quanto riguarda la B.B.
La sua qualifica di datore di lavoro di fatto viene desunta in sentenza dalla circostanza che la stessa, oltre ad essere presente a tutte le operazioni, è stata colei che ebbe a fornire tutta la documentazione sulla ditta agli ufficiali di polizia giudiziaria e a rintracciare il legale rappresentante formale.
Ritiene il Collegio che tali elementi non siano sufficienti a giustificare l'applicazione della "clausola di equivalenza".
Ed infatti, viene contestato ai titolari di posizione di garanzia della "Luisa style" di aver omesso la valutazione dei rischi e la formazione dei lavoratori, nonché di avere omesso cautele antinfortunistiche nella tenuta dei serramenti e della segnaletica di sicurezza.
Dalla lettura della sentenza non emerge, tuttavia, che l'imputata abbia in concreto svolto attività corrispondente all'esercizio di poteri tipici del datore di lavoro, tali da consentire il trasferimento in capo alla stessa della posizione di garanzia gravante sul datore di lavoro "formale".
Coglie nel segno la ricorrente laddove evidenzia che "la materiale disponibilità di documenti e la conoscenza di alcune informazioni circa l'impresa, in cui presta l'attività lavorativa in forza di un rapporto di lavoro subordinato, non la rende soggetto esercente effettivamente un ruolo gestionale, organizzativo o dirigenziale idoneo a prenderla titolare di una posizione di garanzia nei confronti degli altri operai, non essendo ciò sufficiente a dimostrare lo svolgimento in capo alla medesima di poteri tipici dei datore di lavoro".
La sentenza va pertanto annullata senza rinvio, in riferimento alla ricorrente B.B., perché il fatto non sussiste.
L'accoglimento del primo motivo di ricorso ha efficacia assorbente sul secondo, limitatamente alla ricorrente B.B..
3. Il secondo motivo di ricorso di A.A. è infondato.
In relazione agli aumenti operati per la continuazione, il Collegio non può che prendere le mosse da Sez. U. n. 47127, del 24/06/2021, Pizzone, secondo cui "ove riconosca la continuazione tra reati, ai sensi dell'art. 81 cod. pen., il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base per tale reato, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ognuno dei reati satellite" (c.d. "visione multifocale" descritta dalle Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263717, poi richiamata da Sez. U, n. 40983 del 21/06/2018, Giglia, Rv. 273750, che una volta ancora hanno rimarcato la necessità della individuazione delle pene per i singoli reati satellite).
Non vi è quindi dubbio sull'obbligo di autonoma determinazione degli aumenti dì pena previsti per i singoli reati satellite; ciò, evidentemente, in ossequio al principio di "proporzionalità" della pena (v. Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Bazouli, Rv. 264205, che, in riferimento al concetto di "pena illegale", hanno posto una chiara correlazione tra questo e il principio di proporzione).
Diversa è la questione relativa all'obbligo di motivazione su ciascun aumento di pena, che sia pur obbligatorio nell'an, merita ulteriore approfondimento in relazione al quantum necessario cui venga irrogata una pena di gran lunga più vicina al minimo che al massimo edittale, il mero richiamo ai "criteri di cui all'art. 133 cod. pen." deve ritenersi motivazione sufficiente per dimostrare l'adeguatezza della pena all'entità del fatto (Sez. 1, n. 6677 del 05/05/1995, Brachet, Rv.201537; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi, Rv. 256464).
E, per converso, quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall'art. 133 cod. pen., quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio (Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, Bonarrigo, Rv. 241189; Sez. 5, n. 511 del 26/11/1996, dep. 1997, Curcillo, 207497).
Ancora, elemento che può fungere da parametro di giudizio sulla ragionevolezza del calcolo è il rispetto della "proporzionalità interna" tra la pena irrogata per il reato base e quelle determinate per i reati satellite (Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, non massimata sul punto).
Da tale complesso di pronunce si evince un principio di fondo, esplicitato da Sez. 6, n. 8156 del 12/01/1996, Moscato, Rv. 205540 (richiamata dalle Sez. U. Pizzone), secondo cui è necessario che:
1. risultino rispettati i limiti previsti dall'art. 81 cod. pen.;
2. che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene;
3. che sia stato rispettato, ove ravvisabile, il rapporto di proporzione tra le pene, riflesso anche della relazione interna agli illeciti accertati.
Nel caso di specie, gli aumenti in continuazione sono stati operati, complessivamente, nella misura di Euro 1.200, ossia 400 Euro per ciascuna violazione, rispetto a una pena base, calcolata sul reato di cui al capo B), di 3.600 Euro.
Pertanto, alla luce delle superiori considerazioni, la locuzione utilizzata in sentenza ("si stima pena equa...") appare soddisfare i requisiti minimi di motivazione richiesti dalla legge.
Il motivo è pertanto infondato.
4. La costituzione di un valido rapporto di impugnazione impone al Collegio di verificare l'eventuale sussistenza di cause di estinzione del reato sopravvenute alla sentenza impugnata.
Nel caso di specie, pur in presenza di reati commessi il 16 maggio 2018, trova applicazione l'articolo 23 del D.Lgs. 758/1994, a norma del quale "il procedimento per la contravvenzione è sospeso dal momento dell'iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all'art. 335 del codice di procedura penale fino al momento in cui il pubblico ministero riceve una delle comunicazioni di cui all'art. 21, commi 2 e 3".
Tale disposizione determina l'applicabilità dell'articolo 159, primo comma, cod. pen., secondo cui "il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge".
Nel caso in esame, in data 9 dicembre 2019 è pervenuta comunicazione (prot. 12661 dei VV.FF. di Prato) di omesso pagamento della somma stabilita; da tale data, quindi, ha iniziato a decorrere nuovamente la prescrizione, il cui termine massimo, grazie anche all'interruzione determinata dalla sentenza di primo grado, alla data odierna non risulta ancora decorso.
Il ricorso di A.A. va pertanto rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di B.B. perché il fatto non sussiste.
Rigetta il ricorso di A.A. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 07 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2024