Corte dei Conti Marche, Sez. Giurisdiz., 12 agosto 2024, n. 90 - Condotte vessatorie e mobbing


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE MARCHE

composta dai magistrati:

dr. Valter Camillo Del Rosario - Presidente

dr. Guido Petrigni - Consigliere relatore

dr. Giuseppe Vella - Primo Referendario

ha emesso la seguente

SENTENZA

nel giudizio di responsabilità amministrativa iscritto al n. (...) del registro di segreteria, promosso dalla Procura regionale con atto di citazione notificato in data 24 ottobre 2023, nei confronti di:

XXXXXXXXXX (c.f. XXXXXXXXXX), nato a XXXX (XX) il XXXXXXXXXX, ivi residente in via XXXXX, n. XXX, rappresentato e difeso dagli avvocati Roberto Carli e Paolo Massicci ed elettivamente domiciliato presso il loro studio legale in via Dino Angelini, n. 62, Ascoli Piceno; pec: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. e Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.; visto l'atto di citazione;

esaminati gli atti e i documenti di causa;

uditi nella pubblica udienza del 14 maggio 2024, con l'assistenza della segretaria dott.ssa A.C., il relatore dr. Guido Petrigni, il Pubblico Ministero, in persona della dr.ssa Cristina Valeri, e gli avvocati Roberto Carli e Paolo Massicci per il convenuto XXXXXXXXXXX.

 

 

Fatto


I. Con atto di citazione depositato in segreteria in data 20 ottobre 2023, ritualmente notificato e preceduto dall'invito a dedurre, ai sensi dell'art. 67 del Codice di Giustizia Contabile (d'ora in poi c.g.c.), la Procura regionale ha convenuto in giudizio XXXXXXXXXX, in qualità di dirigente, all'epoca dei fatti, della Direzione Territoriale del Lavoro di Ancona, per rispondere del danno indiretto subito dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, a seguito della sentenza n. 239/2019, emessa dal Tribunale del Lavoro di Ancona e passata in giudicato, con cui tale Amministrazione è stata condannata a risarcire i danni patiti dalla funzionaria XXXXXXXX, a causa delle reiterate condotte vessatorie e stressanti, poste in essere nei suoi confronti dal dirigente dell'Ufficio dott. XXXXXXX.

In proposito, la Procura ha evidenziato che tale vicenda s'inserisce in un quadro più ampio di comportamenti autoritari, irrispettosi e sconvenienti, che erano stati sistematicamente tenuti dal dirigente XXXXXXXX nei confronti di numerosi colleghi in servizio presso l'Ufficio da lui diretto, così come anche accertato a conclusione di un'ispezione ministeriale iniziata nel giugno 2015 e conclusasi con l'irrogazione al XXXXXXXX di sanzioni disciplinari, tra cui la sospensione dal servizio con decorrenza dal 7/3/2016.

Il contenzioso promosso dal XXXXXX avverso le sanzioni disciplinari è attualmente pendente dinanzi alla Corte di Cassazione, avendo il medesimo impugnato la sentenza della Corte d'Appello di Ancona n.239/2021, che aveva ritenuto legittime tali sanzioni.

Per quanto riguarda, in particolare, la funzionaria XXXXXX, la Procura ha evidenziato che con la sentenza n. 239/2019, pubblicata il 4 ottobre 2019, passata in giudicato, il Tribunale del Lavoro di Ancona ha accolto il ricorso presentato dalla medesima, la quale aveva lamentato frequenti condotte vessatorie poste in essere nei suoi confronti dal dirigente XXXXXXX, affermando che era stato ampiamente "provato che ella aveva subito comportamenti denigratori della propria professionalità, aggressioni verbali volgari ed offensive, atteggiamenti minacciosi...".

Pertanto, previa effettuazione di una consulenza tecnica medico-psichiatrica, volta a verificare le conseguenze deleterie di tali condotte sulla salute psico-fisica della XXXXXXX, alla quale veniva diagnosticato un "disturbo dell'adattamento cronico con umore depresso", il Tribunale del Lavoro di Ancona ha condannato il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali a risarcire alla XXXXXXX il danno biologico (permanente e temporaneo), quantificato in complessivi Euro 41.615,00, a rimborsarle le spese mediche sostenute per Euro 7.047,41, oltre agli interessi legali dalla sentenza e fino al soddisfo, a rifonderle le spese di lite, quantificate nella misura di Euro 10.337,72.

Inoltre, il Tribunale ha condannato il Ministero alla rifusione delle spese legali, nella misura di Euro 7.785,00, in favore della "Consigliera per le Pari Opportunità", che era intervenuta "ad adiuvandum" nel contenzioso giuslavoristico promosso dalla XXXXXXX, ed al pagamento delle spese di consulenza tecnica per Euro 305,00 più Euro 612,00 (per compenso dovuto all'ausiliaria psichiatra).

Tali somme, ammontati complessivamente ad Euro 67.729,86, risultano essere state effettivamente pagate dall'Amministrazione agli aventi diritto.

II. Il P.M., dopo avere ampiamente illustrato la figura giuridica del "mobbing", ha sostenuto che i fatti contestati al XXXXXXX nel presente giudizio di responsabilità amministrativa, peraltro già oggetto di vaglio da parte del Tribunale del Lavoro di Ancona nell'ambito del contenzioso promosso dalla XXXXXX, trovano puntuale conferma nel materiale probatorio acquisito al fascicolo processuale, da cui emergono numerose condotte vessatorie dolosamente tenute dal dirigente nei confronti di tale funzionaria, in violazione, tra l'altro, dell'art. 2087 del c.c. e del Codice di Comportamento dei Dipendenti Pubblici, con particolare riferimento a quelli investiti di funzioni dirigenziali.

D'altro canto, all'esito della consulenza tecnica medico-legale, esperita, con l'ausilio di uno specialista in psichiatria, nell'ambito del giudizio giuslavoristico, è stato riscontrato che le condotte vessatorie tenute dal XXXXXX hanno causato alla XXXXXX un disturbo post-traumatico da stress, che ha avuto seri effetti negativi anche sulle abitudini personali, sociali e di vita della medesima.

Pertanto, ad avviso della Procura, sussistono nel caso di specie sia l'elemento psicologico del dolo, avendo il XXXXXXX posto in essere le condotte vessatorie nei confronti della XXXXXXX nella piena consapevolezza della loro antigiuridicità e senza preoccuparsi minimamente delle conseguenze del proprio comportamento, sia il nesso di causalità con il danno indiretto subito dall'Amministrazione, che ha dovuto risarcire la XXXXXXX in ottemperanza alla sentenza emessa dal Tribunale del Lavoro di Ancona.

Pertanto, la Procura ha chiesto la condanna del XXXXXXXX a pagare, in favore del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, la somma di Euro 67.729,86, da maggiorarsi di rivalutazione monetaria ed interessi legali, nonché a rifondere allo Stato le spese del presente giudizio. III. Il XXXXXXX s'è costituito in giudizio con memoria depositata in data 24/4/2024, confutando dettagliatamente le conclusioni cui è pervenuta la Procura nei suoi riguardi.

In via preliminare, il convenuto ha sostenuto che la Procura avrebbe erroneamente posto a fondamento dell'azione di responsabilità amministrativa la sentenza n. 239/2019 del Tribunale del Lavoro di Ancona, emessa nel contenzioso promosso dalla XXXXXXX nei confronti del Ministero del Lavoro, giudizio al quale egli era, però, rimasto estraneo, con conseguente inopponibilità nei suoi confronti del giudicato ivi formatosi.

In secondo luogo, il XXXXXXX ha eccepito che l'Avvocatura dello Stato avrebbe assunto la difesa di interessi da ritenersi tra loro contrapposti, in quanto aveva patrocinato l'Amministrazione dapprima nel giudizio di opposizione promosso dal XXXXXXXX avverso le sanzioni disciplinari che gli erano state irrogate (con riferimento anche a tale vicenda) e poi per resistere alle pretese risarcitorie azionate dalla XXXXXX, giudizio, quest'ultimo, da cui sarebbero potuti derivare riflessi negativi nei suoi confronti, in termini di successiva contestazione di danno indiretto.

Da ciò sarebbero anche scaturite conseguenze lesive del principio del "giusto processo".

Inoltre, il XXXXXXXXX ha affermato che l'Avvocatura dello Stato avrebbe dovuto ricusare il magistrato del Tribunale del Lavoro, dott.ssa S., in quanto essa aveva già fatto parte, in qualità di relatore, del Collegio che si era pronunziato, in sede di reclamo, nel giudizio promosso dal XXXXX avverso le sanzioni disciplinari.

In pratica, secondo il XXXXXX, l'operato dell'Avvocatura dello Stato sarebbe censurabile sotto vari profili, non avendo efficacemente confutato la domanda risarcitoria rivolta dalla XXXXXX nei confronti del Ministero e non avendo neppure coltivato l'appello, che aveva inizialmente ritenuto proponibile avverso la sentenza sfavorevole di primo grado.

III.1 Per quanto riguarda l'elemento psicologico del fatto illecito produttivo di danno erariale e la relativa disciplina applicabile nel presente giudizio, il XXXXXXXX ha invocato l'art. 21 del D.L. n. 76 del 2020, convertito in L. n. 120 del 2020, in quanto il giudicato sulla sentenza del Tribunale del Lavoro n. 239/2019, emessa il 4/10/2019, su cui la Procura s'è basata nel promuovere il giudizio di responsabilità amministrativa, s'è formato dopo l'entrata in vigore (21/7/2020) della suddetta norma, che ha limitato ai casi di dolo intenzionale la perseguibilità, dinanzi alla Corte dei conti, delle condotte attive produttive di danno erariale.

III.2 Il XXXXXX s'è poi soffermato sui singoli episodi di presunto "mobbing", descritti dalla Procura nell'atto di citazione, per smentirli o, comunque, per darne una lettura ben diversa, idonea ad escluderne la finalità lesiva nei confronti della XXXXXX.

Peraltro, le dichiarazioni rese dalla XXXXX e da altri dipendenti della Direzione Territoriale del Lavoro di Ancona, sia durante l'ispezione ministeriale sia nel successivo giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale del Lavoro, non sarebbero veritiere, in quanto frutto di manovre preordinate, nell'ambito di un "complotto" appositamente ordito, per screditare il dirigente XXXXXX e danneggiarlo sul piano professionale.

In ogni caso, tutti i presunti episodi di "mobbing", indicati dalla Procura quali presupposti per l'esercizio dell'azione di responsabilità amministrativa per danno erariale indiretto a carico del XXXXXXXXX, sarebbero concentrati in un arco temporale limitato, ossia tra l'ultima decade del mese di febbraio 2015 e il mese di giugno 2015.

Pertanto, le condotte in questione non si sarebbero protratte per l'estensione temporale minima semestrale, che la Corte di Cassazione ritiene necessaria affinché possa dirsi integrata una fattispecie di "mobbing" (v. Cassaz., Sez. Lav., sent. n. 20046/2009).

III.3 In via subordinata, il XXXXX ha eccepito che nella stessa sentenza del Giudice del Lavoro, passata in giudicato, è stata ravvisata una quota di responsabilità a carico del Ministero del Lavoro per i danni subiti dalla XXXXXX, ragion per cui la percentuale di danno a lui ascrivibile dovrebbe essere determinata in misura minoritaria.

In ogni caso, non potrebbe essere ricompresa nel danno risarcibile la somma di Euro 612,00 (relativa al compenso spettante all'ausiliario psichiatra del consulente tecnico, incaricato dal Tribunale del Lavoro), trattandosi di spesa impegnata ma non ancora corrisposta dal Ministero all'avente diritto.

III.4 A fini istruttori, il XXXXXX ha chiesto che siano acquisiti:

- il fascicolo processuale relativo al giudizio promosso dalla dipendente C.A. dinanzi al Tribunale del Lavoro di Ancona nei confronti del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che avrebbe una qualche attinenza con la vicenda in esame;

- il fascicolo relativo all'appello, poi non coltivato, che l'Avvocatura dello Stato aveva inizialmente ritenuto proponibile avverso la sentenza n. 239/2019, emessa dal Tribunale del Lavoro di Ancona in favore della XXXXXX;

- il carteggio relativo al procedimento penale n. 7298/2015 R.G.N.R., che era stato avviato nei suoi confronti dalla Procura della Repubblica di Ancona, da cui emergerebbe la realtà dei fatti storici in cui si è innestata la vicenda oggetto del presente giudizio.

Infine, il XXXXXXXX ha chiesto l'acquisizione di alcune prove testimoniali, da rendersi da parte del sig. L.S., funzionario della Direzione Regionale dell'I.N.P.S. di Ancona, della dott.ssa S.P., in servizio presso l'Ispettorato Territoriale del Lavoro di Ancona, e della dott.ssa C.D.M., che era stata dirigente pro tempore della Direzione Territoriale del Lavoro di Ancona nel periodo in cui egli era stato sospeso dal servizio, i quali dovrebbero fornire chiarimenti su alcune circostanze della vicenda.

All'odierna udienza, il P.M., nel riportarsi integralmente all'atto di citazione ed alla documentazione depositata, ha confutato quanto dedotto ed eccepito dal XXXXXXXX, soffermandosi, in particolare, sulla sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità in esame, avendo il Ministero del Lavoro dovuto risarcire, in ottemperanza alla sentenza del Tribunale del Lavoro di Ancona n. 239/2019, i danni subiti dalla dipendente XXXX, oggetto di reiterati comportamenti vessatori e persecutori tenuti dal XXXXXXXXX.

In proposito, il P.M. ha anche riferito che il Ministero del Lavoro ha, nel frattempo, effettuato il pagamento del compenso di Euro 612,00, dovuto all'ausiliario del consulente tecnico, che era stato nominato nel giudizio giuslavoristico.

Il P.M. ha, altresì, sottolineato che:

il Ministero del Lavoro aveva iniziato a fine anno 2019 ad effettuare i pagamenti di quanto dovuto alla XXXXXX, ragion per cui non potrebbe essere maturata alcuna prescrizione dell'azione di responsabilità amministrativa proposta nei confronti del XXXXXXXXX dinanzi a questa Corte;

l'irrilevanza degli sms intercorsi tra il XXXXX e la XXXX, a cui il medesimo ha fatto riferimento, dato che in questa sede si controverte delle condotte mobbizzanti tenute dal medesimo nei confronti di tale funzionaria in un arco temporale ben individuato;

l'inapplicabilità alla presente fattispecie di quanto disposto dall'art. 21 del D.L. n. 76 del 2020 in ordine all'elemento psicologico del fatto illecito e produttivo di danno erariale.

A loro volta, i difensori del XXXXXXX:

hanno sostenuto, richiamando le argomentazioni esposte nella memoria di costituzione, che la sentenza emessa dal Tribunale del Lavoro di Ancona non potrebbe costituire un valido presupposto per la condanna del XXXXXXX a risarcire il danno indiretto, come richiesta dalla Procura;

hanno argomentato in ordine all'insussistenza di condotte mobbizzanti nei confronti della XXXXXX e, comunque, sul limitato arco temporale in cui esse sarebbero state poste in essere;

hanno ribadito che, in ogni caso, in sede di quantificazione dell'onere risarcitorio da porsi a carico del XXXXXXX, dovrebbe tenersi conto anche dei profili di concorrente responsabilità, che la sentenza del Tribunale di Ancona n. 239/2019 ha ravvisato a carico dell'Amministrazione.

 

 

Diritto

I. La fattispecie sottoposta all'esame del Collegio concerne un'ipotesi di danno erariale indiretto, derivante dall'avvenuto pagamento di somme di denaro per complessivi Euro 67.729,86 da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in ottemperanza alla sentenza n. 239/2019, emessa dal Tribunale del Lavoro di Ancona, passata in giudicato, che, accogliendo il ricorso proposto dalla dipendente XXXXXXXXXX, ha condannato l'Amministrazione a risarcire i danni da essa subiti per effetti dei comportamenti vessatori, reiteratamente tenuti nei suoi confronti dal XXXXXXXXX, all'epoca dirigente della Direzione Territoriale del Lavoro di Ancona.

II. In via preliminare, si osserva che nessuna eccezione di prescrizione del diritto dell'Amministrazione ad ottenere il risarcimento del danno subito è stata formalmente sollevata dal convenuto.

Ad ogni buon conto, come sottolineato dal P.M. in udienza, non potrebbe ritenersi maturata alcuna prescrizione, considerato che i pagamenti effettuati dall'Amministrazione, in ottemperanza alle statuizioni contenute nella sentenza n. 239/2019, emessa dal Tribunale di Ancona, hanno avuto inizio a fine anno 2019 e si sono conclusi recentemente.

III. Sempre in via preliminare, il XXXXXXXX ha evocato il principio di autonomia della giurisdizione contabile rispetto a quella civile, sostenendo che il giudicato formatosi "inter alios", ossia tra il Ministero del Lavoro e la XXXXXX, non è opponibile nei suoi confronti, non essendo egli stato chiamato a partecipare al giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale del Lavoro, ed eccependo, altresì, l'inutilizzabilità nel presente giudizio di responsabilità amministrativa degli elementi probatori raccolti in quella sede, in quanto formatisi a contraddittorio non integro, a causa della sua assenza quale parte nel processo civile.

Sul punto il Collegio osserva che, in relazione a fattispecie di danno indiretto, conseguente a giudicato di condanna dell'Amministrazione a risarcire terzi, che siano stati lesi da fatti illeciti compiuti da propri dipendenti, la consolidata giurisprudenza di questa Corte ha affermato il principio secondo cui, anche se la sentenza civile di condanna a carico della P.A. non esplica efficacia vincolante nel giudizio di responsabilità amministrativa promosso dalla Procura nei confronti dell'autore del fatto dannoso, il Giudice contabile può trarre dal giudizio svoltosi in sede civile elementi utili a formare il proprio libero convincimento, ai sensi dell'art. 116 del c.p.c., pur quando il convenuto non abbia partecipato a quel giudizio (v., tra le altre, Corte dei conti, II Sez. App., sent. n. 213/2020, I Sez. App., sentenze nn. 349/2013, 297/2011, 18/2012).

D'altro canto, le risultanze istruttorie acquisite nel processo civile vengono in evidenza nel giudizio di responsabilità amministrativa non quali prove "tout court" bensì quali elementi da valutare ponderatamente in maniera autonoma (v. Corte dei conti, I Sez. App., sent. n. 12/2004), anche ai sensi degli artt. 2727 e 2729 del c.c. (v. Corte dei conti, I Sez. App., sentenze nn. 18/2012 e 133/2004; Id, III Sez. App., sent. n.86/2014).

In altri termini, l'eccezione della radicale inutilizzabilità del materiale probatorio proveniente dal processo civile, prospettata dal XXXXXXXX, risulta palesemente infondata e va, dunque, respinta.

Non va sottaciuto, del resto, che le disposizioni contenute negli artt. 94/99 del c.g.c. garantiscono ai convenuti la facoltà di chiedere l'ammissione di mezzi istruttori in misura certamente non inferiore a quanto previsto dal c.p.c., con piena garanzia, dunque, dei diritti di difesa, del contraddittorio processuale e del principio del "giusto processo", di cui all'art. 111 della Cost. e all'art. 4 del c.g.c.

IV. Ciò premesso, il Collegio giudicante ritiene, tuttavia, che le richieste istruttorie avanzate dal XXXXXXXX non siano meritevoli di accoglimento.

In particolare, tenuto conto dell'oggetto specifico del presente giudizio (danno indiretto subito dal Ministero del Lavoro, condannato a risarcire alla dipendente XXXXX i danni subiti, a causa dei comportamenti vessatori e persecutori tenuti nei suoi confronti dal XXXXXXX, in qualità di dirigente dell'Ufficio) e del ponderoso materiale probatorio già disponibile, che fornisce un quadro sufficientemente chiaro e dettagliato della vicenda in questione, il Collegio ritiene che siano prive di apprezzabile rilevanza ai fini della decisione le richieste acquisizioni del fascicolo relativo al giudizio promosso dalla dipendente C.A. dinanzi al Tribunale di Ancona, degli atti relativi all'appello, poi motivatamente non coltivato dall'Avvocatura dello Stato, che era stato inizialmente ritenuto proponibile avverso la sentenza del Tribunale del Lavoro n. 239/2019, del fascicolo del procedimento penale che era stato avviato nei confronti del XXXXXXX.

Ugualmente, nel medesimo contesto, appaiono prive di apprezzabile rilevanza ai fini della decisione le richieste di acquisizione di dichiarazioni testimoniali, che dovrebbero essere rese dal dott. L.S. (che, quale funzionario con mansioni di consegnatario presso la sede dell'I.N.P.S. di Ancona, dovrebbe confermare che tale Ente aveva proprie maestranze idonee a trasportare mobilia alla Direzione del Lavoro di Ancona, che ne aveva chiesto il comodato d'uso), della dr.ssa S.P. e della dr.ssa C.D.M., relativamente alle quali non è dato comprendere su quali fondamentali circostanze dovrebbero essere chiamate a deporre.

V. Prima di esaminare le questioni di merito, il Collegio ritiene opportuno rilevare che il "fil rouge" della strategia difensiva del XXXXXX è caratterizzato principalmente dal tentativo di screditare, in qualsiasi modo, e, quindi, di dimostrare la malafede o, comunque, l'inattendibilità delle dichiarazioni o l'inadeguatezza dell'operato di tutti i soggetti intervenuti nella vicenda in esame: i dipendenti dell'Ufficio di cui egli era dirigente, che sono stati sentiti dapprima nel procedimento disciplinare avviato a suo carico e successivamente nel contenzioso promosso dalla XXXXXX dinanzi al Tribunale del Lavoro per le condotte vessatorie subite, i magistrati che si sono pronunziati in tale giudizio civile, la stessa XXXXX, gli avvocati dello Stato, che hanno difeso il Ministero del Lavoro nel medesimo contenzioso ecc.

Orbene, se, nell'ambito di una strategia difensiva, è comprensibile confutare la valenza probatoria delle dichiarazioni rese dai soggetti che avevano dato l'abbrivio agli accertamenti ispettivi (che, peraltro, avevano riguardato il comportamento complessivamente tenuto dal XXXXXX nel periodo in cui era stato dirigente dell'Ufficio, nell'ambito del quale gli atteggiamenti mobbizzanti nei riguardi della XXXXX assumevano una rilevanza secondaria) e che successivamente le hanno confermate, per quanto di pertinenza, nel contenzioso instaurato dalla XXXXXXX dinanzi al Tribunale del Lavoro, appaiono del tutto inconferenti nell'ambito del presente giudizio le critiche rivolte nei confronti degli operatori del diritto, che si sono occupati in altri plessi giudiziari della vicenda in esame.

V.1 Con una prima doglianza il XXXXXXX ha eccepito un presunto conflitto di interessi in cui sarebbe incorsa l'Avvocatura dello Stato, che aveva difeso il Ministero del Lavoro dapprima nel giudizio di opposizione promosso dal XXXXXX avverso le sanzioni disciplinari, irrogategli all'esito degli accertamenti ispettivi, e poi nel contenzioso instaurato dalla XXXXXXX dinanzi al Tribunale del Lavoro.

A prescindere dal fatto che tale circostanza non è scrutinabile e non potrebbe assumere alcuna rilevanza nel presente giudizio di responsabilità amministrativa per danno erariale, va sottolineato che i giudizi menzionati dal XXXXXXX avevano natura, oggetto, presupposti e finalità tra loro diversi (basti pensare che le sanzioni disciplinari, oggetto di opposizione, erano state irrogate a seguito degli accertamenti ispettivi, che avevano riscontrato numerosi e censurabili comportamenti tenuti dal XXXXXX nella complessiva gestione della Direzione Territoriale del Lavoro di Ancona, mentre il contenzioso promosso dalla XXXXX riguardava il risarcimento dei danni subiti per effetto di atteggiamenti vessatori tenuti nei suoi confronti dal XXXXXXX); peraltro, cui non è dato comprendere per quali ragioni l'Avvocatura dello Stato avrebbe operato in conflitto d'interessi, tanto più che si trattava di resistere in giudizio a pretese risarcitorie della XXXXXX, che, ove accolte, avrebbero comportato un notevole esborso a carico delle pubbliche finanze.

D'altronde, è ben noto che l'Avvocatura dello Stato ha il compito istituzionale di difendere in giudizio tutte le amministrazioni statali mentre non v'è alcuna norma che imponga alla P.A., senza una specifica e comprovata ragione giuridica (non rinvenibile nella fattispecie in esame), di avvalersi di avvocati del libero foro.

V.2. Con una seconda doglianza il XXXXXXX ha sostenuto che la sentenza n. 239/2019 del Tribunale di Ancona, che ha definito il giudizio risarcitorio promosso dalla XXXXX, sarebbe viziata, in quanto emessa dal giudice del lavoro, dott.ssa S., che avrebbe dovuto astenersi od avrebbe dovuto essere ricusata dall'Avvocatura dello Stato, in quanto era stata componente, quale relatore, del Collegio che si era pronunziato, in sede di reclamo, nella fase cautelare del giudizio di opposizione alle sanzioni disciplinari irrogate al XXXXXXX.

A prescindere dal fatto che anche tale circostanza non è scrutinabile e non potrebbe assumere alcuna rilevanza nel presente giudizio di responsabilità amministrativa per danno erariale, va ribadito che, come sopra sottolineato, i giudizi menzionati dal XXXXXXX avevano natura, oggetto, presupposti e finalità tra loro diversi, ragion per cui non è dato comprendere quali sarebbero state le ragioni giuridiche che avrebbero dovuto indurre la dott.ssa S. ad astenersi o l'Avvocatura dello Stato a ricusarla nel contenzioso promosso dalla XXXXXX.

V.3. Con una terza doglianza il convenuto torna a criticare ulteriormente l'operato dell'Avvocatura dello Stato, sostenendo che l'attività difensiva da essa svolta nel giudizio instaurato dalla XXXXX avverso il Ministero del Lavoro sarebbe stata carente ed inadeguata, specialmente laddove l'Avvocatura avrebbe omesso di richiedere al XXXXXXX una relazione sui fatti (danni derivanti dai presunti comportamenti mobbizzanti) posti a fondamento della domanda giudiziale proposta dalla XXXXXXX.

La carenza dell'attività difensiva svolta dall'Avvocatura viene stigmatizzata dal XXXXXX anche perché in un altro contenzioso (promosso dalla dipendente C.) essa gli aveva chiesto una relazione da utilizzare per resistere in giudizio alle pretese della parte attrice.

Il Collegio ritiene che anche tale doglianza sia inconferente e priva di rilevanza nel presente giudizio.

A parte il fatto che il convenuto non spiega per quali ragioni l'esito del contenzioso promosso dalla XXXXXX avrebbe avuto un esito totalmente diverso, laddove l'Avvocatura gli avesse chiesto una relazione da utilizzare in chiave difensiva, va ribadito che nel presente giudizio di responsabilità amministrativa per danno erariale, in cui la sentenza emessa dal Tribunale del Lavoro non assume valenza vincolante, il XXXXXX può esercitare pienamente il proprio diritto di difesa, al fine di dimostrare che la domanda risarcitoria proposta nei suoi confronti dalla Procura sarebbe priva di fondamento in fatto e/o in diritto.

VI. Il XXXXXXX ha eccepito l'inammissibilità dell'atto di citazione notificatogli dalla Procura, in quanto non vi sarebbe piena corrispondenza tra il suo contenuto e quello dell'invito a dedurre. Infatti, mentre nella prima parte dell'invito a dedurre la Procura aveva fatto riferimento principalmente alla domanda risarcitoria proposta dalla XXXXX dinanzi al Tribunale del Lavoro di Ancona ed alla sentenza n. 239/2019, che aveva condannato il Ministero del Lavoro a risarcire i danni subiti dalla medesima per effetto dei comportamenti vessatori tenuti nei suoi confronti dal XXXXXXX, nell'atto di citazione il P.M. s'è ampiamente soffermato anche sul contenuto della relazione redatta dagli ispettori del Ministero del Lavoro, a conclusione delle indagini svolte presso la Direzione Territoriale di Ancona (di cui il XXXXXX era dirigente), che, però, avevano riguardato principalmente episodi esulanti dalla vicenda "XXXXX".

Orbene, il Collegio ritiene che tale eccezione sia priva di fondamento, in quanto, raffrontando l'atto di citazione con l'invito a dedurre, si desume che il "petitum" e la "causa petendi" sono rimasti sostanzialmente identici.

Infatti, nell'atto di citazione la Procura s'è soffermata anche sulla relazione ispettiva soltanto al fine di meglio rappresentare il complessivo contesto in cui è venuta ad inserirsi la vicenda riguardante la XXXXXX, fermo restando che la domanda risarcitoria proposta a carico del XXXXXXX riguarda esclusivamente il danno indiretto subito dal Ministero per effetto della sentenza di condanna emessa dal Tribunale del Lavoro in favore della suddetta funzionaria.

In proposito, va rammentato che all'odierna udienza il P.M. ha confermato che nella domanda risarcitoria va ricompresa anche la somma di Euro 612,00 (concernente il compenso dovuto all'ausiliario del consulente tecnico, nominato dal Tribunale nel giudizio promosso dalla XXXXXX), trattandosi di spesa non soltanto impegnata ma anche effettivamente corrisposta dal Ministero all'avente diritto, come da documentazione allegata.

VII. Passando all'esame dei profili di merito, va evidenziato che, in base al principio di autonomia della giurisdizione contabile rispetto a quella civile, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte (v., ex plurimis, Sez. III d'App., sent. n. 28/2021), il Collegio è chiamato a valutare autonomamente i fatti, già scrutinati nell'ambito del giudizio civile definito con la sentenza del Tribunale del Lavoro di Ancona n. 239/2019, sulla scorta del compendio documentale acquisito agli atti e tenendo conto delle tesi difensive del convenuto.

VII.1 In proposito, appare utile ripercorrere alcuni dei punti salienti dell'iter logico- giuridico seguito dal Tribunale del Lavoro di Ancona nella sentenza n. 239/2019, che ha condannato il Ministero del Lavoro a risarcire i danni subiti dalla funzionaria XXXXXX per effetto dei comportamenti vessatori e persecutori posti in essere nei suoi confronti dal dirigente XXXXXXX.

In primo luogo, il Tribunale ha rammentato che il "mobbing" è stato definito dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 35/2003 e dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione come un fenomeno complesso, consistente in una serie di atti e comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte del datore di lavoro o del capo della struttura d'appartenenza o dei colleghi e caratterizzati da intenti persecutori e di emarginazione della vittima.

Si tratta, in pratica, di comportamenti ingiustificatamente ostili e prevaricatori, da cui conseguono la mortificazione morale e l'emarginazione del destinatario, con effetti lesivi anche del suo equilibrio psicofisico e della sua personalità.

Ove tali comportamenti siano posti in essere direttamente o siano, comunque, consapevolmente tollerati dal datore di lavoro o dal capo della struttura in cui presta servizio la vittima di essi, viene a concretizzarsi una patente violazione dell'obbligo di garantire la sicurezza nell'ambiente di lavoro, posto a carico dello stesso datore dall'art. 2087 del cod. civ.

Può trattarsi anche di atti materiali o provvedimentali compiuti dal datore di lavoro, indipendentemente dall'inadempimento di specifici obblighi contrattuali previsti dalla disciplina del rapporto di lavoro.

Per aversi il "mobbing" è, comunque, necessario che gli atteggiamenti ostili e vessatori siano frequenti e si protraggano per un significativo arco temporale.

Secondo la Corte di Cassazione (v. sentenze nn. 18164/2018, 3977/2018, 7844/2018, 16580/2022, 2901/2023; ordinanze nn. 3791/2024, 3822/2024), lo "straining" si configura, invece, come una forma attenuata di "mobbing", in quanto priva del requisito della continuatività delle vessazioni.

Secondo la giurisprudenza, la fattispecie di "straining" può articolarsi nelle seguenti fasi:

Fase 1: azione ostile;

Fase 2: conseguenze sul piano lavorativo percepite dalla vittima come permanenti (straining);

Fase 3: insorgenza di conseguenze dannose dal punto di vista psicofisico;

Fase 4: uscita dal lavoro.

In pratica, "si tratta di comportamenti ostili, in ipotesi idonei ad incidere sul diritto alla salute, costituzionalmente tutelato, essendo il datore di lavoro tenuto ad evitare situazioni 'stressogene', che diano origine ad una condizione che, per caratteristiche, gravità, frustrazione sul piano personale o professionale, altre circostanze del caso concreto, possa presuntivamente condurre a questa forma di danno, anche in caso di mancata prova di un preciso intento persecutorio.

Mentre il mobbing si manifesta attraverso comportamenti vessatori reiterati e sistematici, lo straining può conseguire anche ad una singola condotta vessatoria, capace, tuttavia, di provocare alla vittima gravi danni psicofisici". Dunque, "lo straining consiste in una situazione lavorativa conflittuale di stress forzato, provocato appositamente ai danni della vittima con condotte ostili o discriminatorie, le quali, però, a differenza del mobbing, sono limitate nel numero e/o distanziate nel tempo".

Tuttavia, sia il "mobbing" che lo "straining" hanno analoga rilevanza medico-legale e sono idonei a configurare comportamenti che si pongono in contrasto con le prescrizioni dell'art. 2087 c.c. e con la normativa in materia di tutela della salute negli ambienti di lavoro, con conseguente risarcibilità dei danni cagionati alla vittima.

VII.2 Nella medesima sentenza del Tribunale di Ancona viene effettuata una dettagliata ricostruzione della vicenda da cui ha tratto origine la domanda risarcitoria proposta in quella sede dalla XXXXXX.

Orbene, questa Corte rileva che i fatti ivi narrati trovano conferma nell'ampio compendio probatorio acquisito agli atti del presente giudizio, ragion per cui non possono sussistere ragionevoli dubbi sulla ricorrenza nella fattispecie in esame della figura di "mobbing/straining" a danno della XXXXX, funzionaria della Direzione Territoriale del Lavoro di Ancona.

In sintesi, dagli atti si evince che la XXXXX, transitata a fine gennaio 2015, a seguito della fusione dei due Uffici, dalla Direzione Regionale alla Direzione Territoriale del Lavoro di Ancona, subiva dal dirigente XXXXXX frequenti aggressioni verbali, manifestazioni di sfiducia, minacce, ordini degradanti, con conseguente lesione della sua dignità di persona e lavoratrice.

Risulta, tra l'altro, che immediatamente dopo la fusione dei due Uffici, la XXXXX, designata dal XXXXXX quale consegnataria dei beni mobili della Direzione Territoriale del Lavoro, veniva incaricata di seguire la procedura di trasloco presso la nuova sede di via R., n. 5, in A..

In tale contesto, la XXXX si trovò non soltanto a gestire le operazioni di trasloco ma anche ad attivare, su specifico ordine del dirigente XXXXXX, la procedura di "messa in fuori uso" di buona parte della mobilia, ritenuta inadeguata, benchè non vi fosse alcuna certezza sui tempi di arrivo dei nuovi mobili, il cui acquisto non era ancora stato autorizzato da parte della competente Direzione Centrale del Ministero del Lavoro.

A causa della mancata coincidenza tra la messa in fuori uso di numerosi mobili e l'arrivo di quelli nuovi (circostanza indubbiamente non dipendente dal comportamento della consegnataria XXXXX), accadeva che, all'atto del trasferimento dell'Ufficio presso la nuova sede, molti impiegati si trovarono senza sedia né scrivania.

In proposito, il teste F., ispettore con funzione di responsabile del personale, ha riferito che il dirigente XXXXX, ritenendo che vi fossero state negligenze della XXXXX, gli aveva chiesto di controllare l'operato della medesima; secondo il F., "tale attività di controllo gli era stata richiesta dal dirigente per tentare di scaricare su altri le proprie responsabilità in ordine al ritardo con cui erano stati ordinati i nuovi mobili in sostituzione di quelli vecchi, già messi in fuori uso in occasione del trasloco di sede".

Il F. ha anche rammentato che, persistendo i disagi a causa della mancanza della mobilia, il XXXXXX, dopo averla convocata nel suo ufficio, "aveva inveito contro la XXXXX, dicendo che il ritardo era colpa sua, che era una cretina e facendo una scenata, come era solito fare, anche davanti all'ing. C. ed a F.L.".

Il F. ha poi riferito che, quando la Direzione Territoriale del Lavoro di Ancona ottenne in comodato temporaneo dall'I.N.P.S. varie scrivanie e poltroncine, su disposizione del XXXXXX, la XXXXX ed il L. "si occuparono fisicamente del loro trasporto, considerato che all'epoca v'era assoluta urgenza di procurarsi mobilia".

A sua volta, il teste L. ha rammentato che, quando lui e la XXXX erano andati a parlare con il XXXXX, segnalando la disponibilità di scrivanie con apposte etichette recanti la scritta "fuori uso", egli aveva loro riposto in maniera oltremodo volgare, aggiungendo che "era lui il direttore e poteva fare ciò che voleva".

Anche il teste D.R., altro funzionario ispettivo, ha confermato che "furono, quindi, la XXXXX e il collega ipovedente L. a doversi occupare fisicamente del trasporto di scrivanie e poltrone dalla sede dell'I.N.P.S. di via R., 3, alla sede della Direzione Territoriale del Lavoro, in via R., 5, e ciò per rimediare ad un errore di programmazione loro non attribuibile; fu il dirigente XXXXX a chiedere che essi si occupassero di risolvere tale situazione, che gli era scoppiata tra le mani; ricordo che tale trasloco è durato parecchi giorni e che si trattava di un buon numero di scrivanie e poltrone, perché molti ispettori ne erano rimasti senza".

Della circostanza del trasporto materialmente operato dalla XXXXX, senza, peraltro, alcuna copertura assicurativa, ha dato conferma anche la teste D.B..

La teste C., pur non ricordando esattamente il motivo ed il contesto, ha riferito di avere assistito ad una scenata in cui "il XXXXX si era alterato ed aveva alzato la voce contro la XXXX", circostanza confermata dalla teste L., che ha anche ricordato un altro episodio analogo.

Da quanto sopra esposto, si desume chiaramente come la XXXX, nella situazione di tensione e difficoltà derivante dal dover gestire il trasloco dell'Ufficio, si sia trovata anche ingiustamente e pubblicamente accusata dal dirigente XXXXX della carenza di mobilia, benchè a lui stesso imputabile (per aver disposto la messa in fuori uso dei mobili vecchi nonostante non fossero ancora arrivati quelli nuovi e non si sapesse neppure quando sarebbero arrivati), tanto da essere indotta, anche con minacce di provvedimenti disciplinari, al fine di porre fine alle lamentele dei colleghi, ad occuparsi direttamente e materialmente del trasporto di numerose scrivanie e poltrone.

Per di più, dalle dichiarazioni rese da diversi testi trovano conferma i reiterati episodi di aggressione verbale del XXXXXXX nei confronti della XXXXX, con utilizzo anche di minacce e di turpiloquio, assolutamente non consoni ad un serio ambiente di lavoro, le denigrazioni della figura professionale della XXXXX e l'assegnazione ad essa di altri compiti degradanti, come, ad esempio, lo spostamento di una grossa pianta nel suo ufficio.

Non rientrano, tuttavia, nel periodo indicato (anno 2015) presunti episodi di diffamazione a sfondo sessuale, menzionati dalla Procura nell'atto di citazione, che il XXXXX avrebbe compiuto nei confronti della XXXXX.

VII.3 Ad avviso del Collegio, le condotte, di per sé, deplorevoli, tenute per finalità vessatorie dal XXXXXXXX nei confronti della suddetta funzionaria vanno anche inquadrate nel particolare contesto ambientale, che si era venuto a creare nell'Ufficio di cui era dirigente il XXXXXXXX, contesto che ha indubbiamente contribuito a rendere ancora più pesanti le ripercussioni psicologiche subite dalla XXXXXX.

Ciò emerge, in particolare, dalla relazione finale dell'ispezione eseguita, a partire dal giugno 2015, presso la Direzione Territoriale del Lavoro di Ancona da funzionari ministeriali, che hanno riscontrato una grave carenza di benessere organizzativo, derivante da un ambiente caratterizzato da tensioni, conflittualità, diffuso malessere, rapporti personali non cordiali e rispettosi, timori e disorientamento. La stragrande maggioranza del personale interpellato ha indicato come causa di tale grave deterioramento ambientale i comportamenti inadeguati tenuti dal dirigente XXXXXX, i cui atteggiamenti nei confronti dei subordinati sono stati concordemente definiti come arroganti, verbalmente aggressivi, offensivi, prevaricatori, scorretti, maleducati, umilianti, intimidatori, volgari, denigratori, minacciosi, delegittimanti, irrispettosi, illogici ecc.

Il Collegio ritiene, pertanto, che le risultanze della suddetta ispezione ministeriale siano idonee a corroborare le conclusioni cui, a seguito di apposita istruttoria, è pervenuto il Tribunale del Lavoro di Ancona, che con la sentenza n. 239/2019 ha condannato il Ministero del Lavoro a risarcire i danni psico-fisici subiti dalla XXXX per effetto dei comportamenti vessatori tenuti nei suoi confronti dal XXXXX.

Il Collegio ritiene, altresì, di dover sottolineare che, a fronte delle concordanti dichiarazioni e testimonianze rese da numerosi dipendenti della Direzione Territoriale del Lavoro di Ancona, dapprima nel corso dell'ispezione ministeriale svoltasi nel 2015 e successivamente, a distanza di qualche anno, nel giudizio risarcitorio promosso dalla XXXXX dinanzi al Tribunale del Lavoro nei confronti del Ministero, appare inverosimile e, comunque, priva di oggettivi e convincenti supporti probatori la tesi del XXXXXX, secondo cui sarebbe stato addirittura organizzato un "complotto", da parte di vari soggetti che nutrivano rancori verso di lui, per danneggiarlo dal punto di vista professionale.

VII.4 A questo punto, il Collegio ritiene che sia privo di significativa rilevanza lo stabilire se le suddette condotte integrino una fattispecie di vero e proprio "mobbing" oppure, come prospettato dalla difesa del XXXXXXX, di "straining", ossia "una forma attenuata di mobbing, nella quale non si riscontra il carattere della continuatività per una durata almeno semestrale delle azioni vessatorie e persecutorie" (cfr. Cass. Sez. Lavoro, sent. n. 18164 del 10/7/2018), trattandosi, in entrambi i casi, di azioni che, ove si rivelino produttive di danni all'integrità psico-fisica del lavoratore, legittimano, come affermato dal Tribunale del Lavoro di Ancona nella sentenza n. 239/2019, la pretesa risarcitoria fondata sull'art. 2087 del c.c., di cui la consolidata giurisprudenza ha fornito un'interpretazione estensiva, costituzionalmente orientata al rispetto di beni essenziali e primari, quali il diritto alla salute, la dignità umana e professionale e i diritti inviolabili della persona.

In particolare, l'ambito di applicazione di tale norma è stato ritenuto non circoscritto al solo campo della prevenzione antinfortunistica in senso stretto, evidenziandosi che l'obbligo posto a carico del datore di lavoro di tutelare l'integrità psicofisica e la personalità morale del lavoratore gli impone non soltanto di astenersi da ogni condotta lesiva di tali beni ma anche di impedire che nell'ambiente di lavoro si possano verificare situazioni idonee a mettere in pericolo la salute e la dignità della persona.

VIII. Per quanto riguarda la sussistenza di un effettivo nesso di causalità tra le condotte vessatorie poste in essere dal XXXXXX e i danni psico-fisici lamentati dalla XXXXXX, risulta dagli atti che, nella fase istruttoria del contenzioso promosso dalla medesima dinanzi al Tribunale del Lavoro di Ancona, il Giudice ha disposto apposita consulenza medico-legale.

Il C.T.U. incaricato, dott. Maurizio Marchionni, si avvaleva, su espressa autorizzazione del Giudice, anche di una specialista in psichiatra, ossia la dott.ssa F.B., che eseguiva mirati test psicodiagnostici.

La psichiatra così formulava le proprie conclusioni: "In base a quanto emerso dalla valutazione condotta sulla signorina XXXXX, si ritiene che a partire dalla primavera del 2015 ella iniziava a presentare le prime forme di disagio, caratterizzate da componente ansiosa con manifestazioni conversive (svenimenti) e attacchi di panico. Successivamente, lo stress a cui era quotidianamente sottoposta, con la realizzazione di una sempre maggiore difficoltà a gestire la situazione, evolveva in una sintomatologia con tratti depressivi, ansiosi, anoressici ed altri propri del Disturbo Post Traumatico da Stress. Tali manifestazioni cliniche hanno portato i medici a formulare, nel tempo, diagnosi diverse tra loro ma abbastanza affini, tra cui:

- 01/02/2016, prof. Provinciali: "disturbo dell'adattamento con umore depresso";

- 16/02/2016, medico di base: "sindrome ansioso-depressiva con disturbi del comportamento alimentare";

- 4/07/2016, prof. Provinciali: "disturbo dell'adattamento con umore depresso, disturbo d'ansia con somatizzazioni";

- 25/10/2016, dr. L.M.: "disturbo post traumatico da stress";

- 30/10/2016, medico di base: "disturbo post traumatico da stress";

- 16/12/2016, dr. L.M.: "disturbo post traumatico da stress cronico".

Sulla base della valutazione svolta, della disamina della documentazione in atti, dei colloqui effettuati e dei risultati dei test psicometrici (pregressi ed attuali), si ritiene che la signorina XXXXXXXXX al momento presenti una sintomatologia compatibile con la diagnosi di "disturbo dell'adattamento con umore depresso cronico", secondo quanto proposto dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali- Quinta Edizione (DSM-5).

Di seguito si portano in evidenza i criteri presenti nel caso in esame:

Disturbo dell'adattamento.

A) Lo sviluppo di sintomi emotivi o comportamentali in risposta a uno o più eventi stressanti identificabili, che si manifestano entro tre mesi dall'insorgenza dell'evento/i stressante/i.

B) Questi sintomi comportamentali sono clinicamente significativi, come evidenziato da uno o da entrambi i seguenti criteri: 1. Marcata sofferenza che sia sproporzionata rispetto alla gravità o intensità dell'evento stressante, tenendo conto del contesto esterno e dei fattori culturali che possono influenzare la gravità e la manifestazione dei sintomi. 2. Compromissione significativa del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre importanti aree.

C) Il disturbo correlato con lo stress non soddisfa i criteri per un altro disturbo mentale e non rappresenta solo un aggravamento di un disturbo mentale preesistente.

D. I sintomi non corrispondono a un lutto normale.

E. Una volta che l'evento stressante o le sue conseguenze sono superati, i sintomi non persistono per più di sei mesi con umore depresso, con umore basso, facilità al pianto o disperazione, che sono predominanti.

Persistente (cronico): il disturbo dura da più di sei mesi.

Dalla valutazione condotta si ritiene che la signorina XXXXXXX sia affetta da: disturbo dell'adattamento cronico con umore depresso, secondo i criteri diagnostico- statistici del DSM-5.

Il quadro sindromico è insorto su di una personalità pre-morbosa negativa e, dalla ricostruzione anamnestica, il suo esordio è avvenuto nel 2015 ed è insorto a seguito delle azioni costrittivo-vessatorie subite in modo reiterato, frequente, persistente sul luogo di lavoro, ad opera del direttore dr. XXXXXXX.

Gli eventi descritti in ambito lavorativo, che corrispondono ad una tipologia di azioni intimidatorie, vessatorie, discriminative, puramente interpersonali, hanno avuto un esito traumatico vettoriale cumulativo che ha portato allo sviluppo del disturbo dell'adattamento di cui sopra".

A sua volta, sulla base di tali elementi, il C.T.U., dott. Marchionni, così concludeva:

"Sulla base di quanto dedotto nei vari incontri con la paziente (alcuni direttamente, altri filtrati dalla mia ausiliaria), della lettura della documentazione medica, dell'analisi delle testimonianze in atti e soprattutto della dotta ed esauriente relazione dell'ausiliaria psichiatra, dott.ssa B., si può sostenere senza tema di smentita che la signorina XXXXX è sofferente attualmente di un "disturbo dell'adattamento cronico con umore depresso".

Il quadro clinico, alla sua base, si è palesato per la prima volta all'attenzione medica in data 1 febbraio 2016 (visita neurologica del dr. Provinciali) ed il confronto tra quanto accaduto sul luogo di lavoro nel periodo 2015-2016 ed i criteri che definiscono le caratteristiche del disturbo, ben declinate qui sopra dalla dr.ssa B., mi inducono a ritenere che le condotte moleste poste in essere dal superiore gerarchico della ricorrente (con particolare riguardo ad aggressioni verbali, manifestazioni di sfiducia, minacce, ordini degradanti, come occuparsi dello spostamento del mobilio, diffusione di notizie riguardanti la propria sfera sessuale) nonché le condizioni ambientali di lavoro, così come descritte nella relazione ispettiva prodotta dal Ministero convenuto (relazione finale del 21/9/2015), possano essere considerati eventi stressanti idonei, ancorché di assoluto valore concausale è da ritenersi pure la personalità pre-morbosa del soggetto, riassumibile in un assetto rigido-perfezionista e che dunque mal sopporta, specialmente se reiterata, una condotta lesiva nei suoi confronti, tanto più se ritenuta ingiusta.

Proprio in questo assetto personologico, a mio avviso, sta la maggior spiegazione della cronicizzazione del disturbo oltre il termine dello stimolo stressogeno, ancorché si sia assistito ad un progressivo miglioramento parziale, anche grazie alle terapie farmacologiche e psicologiche.

Chiarito il rapporto causale tra mobbing lavorativo e disturbo psichico, procedo alla valutazione del danno biologico, temporaneo e permanente.

Per il primo, considerato, come sopra accennato, che, da un lato, il disturbo si è palesato in modo documentale il 1 febbraio 2016 e che il 30 novembre 2016 terminava l'ultimo periodo di astensione lavorativa per malattia e, dall'altro lato, che il disturbo dell'adattamento diviene cronico (e dunque permanente) dopo un periodo di 6 mesi, i giorni da considerarsi come I.T. biologica non potranno essere più di 180, di cui i primi 90 al 50% e gli altri 90 al 25%, con riferimento all'incidenza sull'insieme delle attività comuni".

VIII.1 Sulla scorta delle conclusioni rassegnate dal C.T.U., che, ad avviso di questa Corte, appaiono ampiamente motivate nonché suffragate dalle certificazioni mediche in atti, il Giudice del Lavoro è, dunque, pervenuto alla quantificazione in Euro 35.000,00 del danno biologico permanente ed in Euro 6.615,00 del danno biologico temporaneo subiti dalla XXXXX.

Orbene, il Collegio ritiene che tale quantificazione, di natura prettamente medico-legale, possa considerarsi sostanzialmente corretta e condivisibile, considerato, altresì, che la valutazione del danno sotto il profilo psichiatrico non è stata basata unicamente su quanto riferito dalla XXXXX, avendo il C.T.U. tenuto conto anche degli elementi probatori già acquisiti nel corso dell'istruttoria svolta dal Tribunale del Lavoro e di quelli desumibili dalla relazione ispettiva.

IX. Sulla base degli elementi sopra illustrati, il Collegio reputa, quindi, che siano ravvisabili tutti gli elementi integranti la fattispecie di responsabilità amministrativa a carico del XXXXXX.

In primo luogo, sussiste un danno patrimoniale subito dal Ministero del Lavoro, che, in ottemperanza alla sentenza del Tribunale di Ancona n. 239/2019, ha dovuto risarcire i danni patiti dalla funzionaria XXXXXXXXXX.

Tali esborsi hanno, infatti, comportato una notevole "deminutio patrimonii" per l'Amministrazione, senz'alcuna corrispondente utilità.

In secondo luogo, appare evidente il nesso di causalità tra l'operato del XXXXXX e il danno indiretto subito dall'Amministrazione, che ha dovuto risarcire alla XXXXXXX i danni patiti per effetto dei reiterati comportamenti vessatori tenuti nei suoi confronti dal dirigente dell'Ufficio in cui prestava servizio.

Per quanto riguarda l'elemento psicologico, non v'è dubbio che i comportamenti vessatori tenuti dal XXXXXX nei confronti della XXXXXX siano stati connotati da dolo, essendo egli consapevole della loro antigiuridicità e delle conseguenze che ne sarebbero potute derivare, in termini risarcitori, a carico dell'Amministrazione, come poi effettivamente avvenuto.

In proposito, il Collegio osserva che appare palesemente inconferente il riferimento operato dal convenuto all'art. 21 del D.L. n. 76 del 2020, convertito in L. n. 120 del 2020.

Ad avviso del XXXXXXXX, infatti, la suddetta norma, nella parte in cui dispone che, per quanto riguarda la responsabilità amministrativa per danno erariale, "la prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell'evento dannoso", sarebbe applicabile nel presente giudizio, considerato che il passaggio in giudicato della sentenza n. 239/2019, emessa in data 4/10/2019 dal Tribunale del Lavoro di Ancona nel contenzioso promosso dalla XXXXXXX avverso il Ministero del Lavoro per ottenere il risarcimento dei danni subiti, è avvenuto dopo l'entrata in vigore di tale norma.

Orbene, ferma restando la connotazione dolosa dei comportamenti tenuti dal dirigente XXXXXX, il quale era indubbiamente consapevole dei danni che ne sarebbero potuti derivare per l'Amministrazione d'appartenenza, va rammentato che la giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di precisare che la norma in questione ha carattere sostanziale, in quanto incide su uno degli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità amministrativa per danno erariale, e, dunque, ai sensi dell'art. 11 delle Disp. Prel. al c.c., non può dispiegare effetti su vicende già verificatesi prima della sua entrata in vigore (in tal senso, Corte dei conti, Sez. II d'App., sentenze nn. 95/2021, 30/2022, 305/2022).

D'altro canto, trattandosi di fattispecie di danno indiretto subito dall'Amministrazione, che è stata condannata a risarcire i danni patiti dalla XXXXXX per effetto dei comportamenti vessatori dolosamente tenuti dal XXXXXXXXo nell'arco temporale 2015/2016, non è dato affatto comprendere quale ipotetica valenza scriminante, relativamente alle pregresse condotte del XXXXXXXXX, potrebbe avere, nell'ottica dell'ipotizzata applicabilità dell'art. 21 del D.L. n. 76 del 2020, il momento in cui s'è formato il giudicato sulla sentenza n. 439 del 4/10/2019, che è stata pronunziata, anteriormente alla modifica normativa, nel contenzioso tra la XXXXXX e il Ministero del Lavoro, riguardante fatti lesivi anch'essi verificatisi anteriormente alla medesima modifica normativa.

Il Collegio giudicante ritiene, altresì, che i comportamenti tenuti dal XXXXXXXX integrino una grave violazione degli obblighi di servizio su di lui incombenti, in qualità di superiore gerarchico della funzionaria XXXXXX, assegnata al suo Ufficio, nell'ambito del quale egli, in qualità di rappresentante dell'Amministrazione datrice di lavoro, avrebbe dovuto garantire l'osservanza dell'art. 2087 del c.c. in materia di tutela della salute psico-fisica e della dignità dei lavoratori. X. Per quanto riguarda la quantificazione dell'onere risarcitorio da porsi concretamente a carico del XXXXXXXX, il Collegio ritiene che, in ossequio ai principii sanciti dalle sentenze della Corte costituzionale n. 371/1998, n. 355/2010 e n. 203/2022 e dalla consolidata giurisprudenza contabile, debba tenersi conto di tutti gli elementi acquisiti agli atti e, quindi, anche dell'ulteriore contributo causale alla produzione del danno, che è stato ravvisato dalla sentenza n. 239/2019, emessa dal Tribunale del Lavoro di Ancona in favore della XXXXXX.

In proposito, va rammentato che con tale sentenza il Ministero del Lavoro, citato in giudizio dalla XXXXXX, è stato condannato al pagamento in favore della medesima di: Euro 41.615,00, a titolo di danno biologico, Euro 7.047,41, a titolo di rimborso delle spese mediche sostenute, Euro 27,73 per interessi legali, Euro 10.337,72, a titolo di rifusione delle spese processuali, per un totale, dunque, di Euro 59.027,86.

Inoltre, il Ministero è stato condannato al pagamento delle spese inerenti alla consulenza tecnica, in misura pari ad Euro 305,00 in favore del dott. Marchionni, più Euro 612,00 dovuti alla dott.ssa B., in qualità di ausiliaria psichiatra.

Infine, l'Amministrazione è stata condannata alla rifusione delle spese legali per Euro 7.785,00, in favore della "Consigliera per le Pari Opportunità", intervenuta nel giudizio promosso dalla XXXXXX.

Orbene, nella sentenza n. 239/2019 (cfr. pagg. 9-10) il Tribunale ha evidenziato che: "Ebbene, nel caso di specie, deve affermarsi la responsabilità in capo al Ministero convenuto, atteso che, come affermato unanimemente dalla giurisprudenza, la circostanza che la condotta di mobbing provenga da altro dipendente, in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima, non vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro, su cui incombono gli obblighi di cui all'art. 2049 c.c., ove questo sia rimasto colpevolmente inerte nella rimozione del fatto lesivo... Nel caso di specie, la durata e le modalità plateali con cui sono state poste in essere le condotte sopra descritte sono tali da far ritenere la loro conoscenza da parte del datore di lavoro, che le ha comunque tollerate, pur non essendo mancate segnalazioni da parte di vari dipendenti (v. esposto citato nella relazione ispettiva). In questo quadro, pur essendo il Ministero doverosamente intervenuto, dapprima con un'indagine ispettiva e poi con l'irrogazione al Direttore della grave sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi sei, è, tuttavia, innegabile che tali iniziative non hanno impedito il verificarsi delle condotte ostili qui esaminate, iniziate nel febbraio 2015 e proseguite anche nei primi mesi del 2016, laddove si osservi che l'indagine è partita materialmente il 30 giugno 2015 e la sanzione è stata irrogata con decorrenza dal 7 marzo 2016".

Ad avviso di questa Corte, la quota della concorrente responsabilità nella produzione dei danni risarciti alla XXXXXX, da ascriversi al Ministero del Lavoro, può essere ragionevolmente quantificata, tenuto conto ponderatamente di tutti gli elementi caratterizzanti la vicenda, in misura pari al 20% della somma contestata, in questa sede, dal P.M. contabile a carico del XXXXXXX.

In secondo luogo, il Collegio ritiene che non possano essere ragionevolmente imputate al XXXXXX le spese legali per Euro 7.785,00, che il Ministero è stato condannato a rifondere alla "Consigliera per le Pari Opportunità", volontariamente intervenuta nel giudizio promosso dalla XXXXXX, giudizio al quale il XXXXXX è, peraltro, rimasto estraneo.

Infatti, l'ammissibilità di tale intervento è stata rimessa alla discrezionalità del Giudice adito, che, al di là di una breve premessa (pag. 2 della sentenza n. 239/2019), nulla ha argomentato sulla sua necessità od opportunità.

Va, altresì, rammentato che le statuizioni contenute nella sentenza del Giudice civile non possono, comunque, "fare stato", ossia assumere valenza vincolante, nel giudizio di responsabilità amministrativa di competenza della Corte dei conti.

XI. Conclusivamente, il Collegio giudicante ritiene che il XXXXXXXXXX debba essere condannato al pagamento di complessivi Euro 47.955,88, pari alla somma di Euro 47.222,28 (ottenuta detraendo dall'importo di Euro 59.027,86, versato dall'Amministrazione alla XXXXXXX, la quota di danno del 20%, ascrivibile al Ministero del Lavoro), più Euro 244,00 (Euro 305,00, detratto il 20%), per compenso erogato al C.T.U., più Euro 489,60 (Euro 612,00, detratto il 20%), per compenso erogato all'ausiliario psichiatra del C.T.U.

L'importo di Euro 47.955,88 dovrà essere maggiorato di rivalutazione monetaria, da calcolarsi con decorrenza dalla notifica dell'atto di citazione (24 ottobre 2023) e sino alla data di pubblicazione di questa sentenza; sull'importo così rivalutato andranno calcolati gli interessi legali, con decorrenza da tale ultima data e sino al soddisfo.

Trattandosi di comportamenti tenuti dolosamente, non può essere applicato in favore del convenuto XXXXXXXXXX il potere riduttivo dell'addebito.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate a cura della Segreteria, ai sensi dell'art. 31 del c.g.c., a carico del medesimo.

 

P.Q.M.

la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Marche, definitivamente pronunziando, condanna XXXXXXXXXX al pagamento, in favore del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, della somma di Euro 47.955,88, da maggiorarsi di rivalutazione monetaria, da calcolarsi con decorrenza dalla notifica dell'atto di citazione (24 ottobre 2023) e sino alla data di pubblicazione di questa sentenza; sull'importo così rivalutato andranno calcolati gli interessi legali, con decorrenza da tale ultima data e sino al soddisfo.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate a cura della Segreteria, ai sensi dell'art. 31 del c.g.c., a carico del XXXXXXXX.

DECRETO

Il Collegio, rilevata la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 196 del 2003, all'art. 9, par. 1 e 4, del Reg. UE n. 2016/679 e all'art. 2- septies del D.Lgs. n. 196 del 2003, come modificato dal D.Lgs. n. 101 del 2018, dispone che la Segreteria proceda, per qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità del convenuto XXXXXXXXXX e della sig.ra XXXXXXXX, citata nella presente sentenza.Così deciso in Ancona, nella camera di consiglio del 14 maggio 2024.

Depositata in Cancelleria il 12 agosto 2024.