Cassazione Penale, Sez. 4, 22 agosto 2024, n. 32955 - Ribaltamento della scala durante l'ispezione del forno rotativo e responsabilità del datore di lavoro. La condotta del lavoratore, per quanto autonomamente determinatasi, non interrompe il nesso causale


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta da

Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente

Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere

Dott. CALAFIORE Daniela - Relatore

Dott. MARI Attilio - Consigliere

Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



sul ricorso proposto da

A.A. nato a C il (Omissis)

avverso la sentenza del 24/11/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA CALAFIORE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIULIO ROMANO che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente al 3 motivo e per il rigetto nel resto.

udito il difensore presente. Per l'avvocato BONVICINI MASSIMO del foro di BRESCIA, difensore del ricorrente A.A., l'avvocato MICHELE BONTEMPI stesso foro, come da delega ex art. 102 c.p.p. depositata in udienza. Il difensore presente dopo aver illustrato i motivi di doglianza insiste nell'accoglimento, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.

 

Fatto


1. La Corte di appello di Brescia, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia del Tribunale della stessa sede del 3 maggio 2021, che aveva ritenuto A.A., quale membro del Consiglio di amministrazione e direttore tecnico della RAFFMETAL Spa, responsabile del reato di lesioni personali gravi, aggravato dalla violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, subite dal lavoratore B.B., non impedendo l'evento che aveva l'obbligo giuridico di evitare, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia, nonché nella inosservanza di norme preposte alla prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in particolare, nella violazione dell'art. 71, comma 2, D.Lgs. n. 81 del 2008. In quanto, quale datore di lavoro, per le operazioni di verifica del forno rotativo "B", metteva a disposizione del lavoratore la scala portatile a pioli "Frigerio", strumento inidoneo al lavoro da svolgere, in considerazione delle condizioni manutentive dei piedini antiscivolo, dell'ambiente di lavoro con polvere sulla pavimentazione in cui era collocato, tanto che il suo utilizzo avrebbe dovuto comportare l'estemporanea inchiodatura di un fermo alla sua base o la presenza di un secondo operatore che ne assicurasse la stabilità. In mancanza di tali cautele, il lavoratore, durante l'ispezione della volta del forno rotativo "B", raggiunta la sommità della scala, a causa dello scivolamento della stessa, cadeva al suolo da una altezza di circa m. 2,0, riportando le lesioni sopra indicate. In C il 28 dicembre 2017.

2. Secondo i giudici di merito, sulla base della documentazione acquisita ed assunte le dichiarazioni della parte offesa e di altri testimoni richiesti dalle parti, la dinamica del sinistro andava ricostruita nei seguenti termini. Il 28 dicembre 2017, durante le operazioni di manutenzione dei refrattari interni dei forni rotativi, presso lo stabilimento sito in C, la vittima, operaio dipendente della Raffmetal Spa sin dal 2011, era salita di propria iniziativa sulla scala portatile modello Frigerio, al fine di ispezionare la volta del forno "B", ad una altezza dal suolo di m. 2,70. Durante l'operazione di salita, la scala improvvisamente era scivolata all'indietro, determinando la caduta al suolo dell'B.B. Era certo che al momento del sinistro, non vi fosse altro operatore a trattenere la scala e che era stato lo stesso lavoratore a decidere di effettuare l'operazione autonomamente e senza chiedere aiuto ai colleghi, che pure erano vicini.

3. Era emerso che la scala a pioli di cui la parte offesa si era servita non era del tutto integra al momento del sinistro, in quanto presentava una frattura laterale sul montante, rattoppata con alcune fascette al fine di consentirne l'utilizzo. Il manuale di utilizzo della scala conteneva l'avvertimento di non utilizzarla in condizioni precarie, usurate o danneggiate, ed il divieto di apportare modifiche e/o riparazioni, se non effettuate da personale competente autorizzato.

4. Anche l'ambiente di lavoro ove operava l'infortunato, poiché il pavimento su cui poggiava la scala presentava accumuli di polvere derivanti dalla pulizia dei forni, che lo rendevano scivoloso, era inidoneo rispetto all'attività, in quota perché a quasi 3 metri di altezza, prestata dall'infortunato. Peraltro, l'utilizzo della scala, secondo le indicazioni dell'art. 113 D.Lgs. n. 81 del 2008, avrebbe dovuto essere preceduto dalla inchiodatura della scala mediante un fermo alla sua base, oppure alla presenza di altra persona che trattenendola al piede ne avrebbe assicurato la stabilità. Era stato violato, quindi, anche l'art. 115 d.lgv. n. 81 del 2008 perché era stata omessa l'adozione di idonei sistemi di protezione per l'attività in quota e, più genericamente, l'art. 2087 cod. civ.

5. Il nesso di causalità non era escluso dalla spontanea determinazione del lavoratore, perché coerente con la prassi esistente e tollerata dal datore di lavoro e comunque non frutto di abnorme ed imprevedibile condotta arbitraria del lavoratore.

6. Il Tribunale, valutate equivalenti alla contestata aggravante le circostanze attenuanti dell'integrale risarcimento del danno e quelle generiche, derivanti dall'aver apprestato, successivamente al fatto, idonee misure di contenimento del rischio, ha condannato l'imputato, sul quale gravavano plurimi precedenti anche specifici, alla pena di un mese di reclusione.

7. La Corte di appello ha integralmente condiviso l'accertamento del Tribunale, confermando che la condotta del lavoratore era conforme alla prassi di generalizzata disattenzione per il rispetto delle prescrizioni che il datore di lavoro tollerava e che il materiale probatorio era stato valutato correttamente.

8.Avverso tale sentenza, ricorre per cassazione A.A., a mezzo dei propri difensori, sulla base dei seguenti motivi, sintetizzati come segue ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

- Con il primo motivo, si denuncia vizio di motivazione, in relazione alla omessa motivazione relativa ai motivi di appello, nei quali si era fatto riferimento alle deposizioni dei testi C.C., D.D. e E.E., che erano state travisate, posto che si era accertato, quale unico profilo di colpa addebitabile all'imputato, l'esistenza di una prassi generalizzata di utilizzo della scala senza il rispetto della regola dei due operatori e/o del fissaggio della stessa al terreno, mentre i testimoni avevano affermato al contrario che le regole erano solitamente, oppure generalmente rispettate; La motivazione della Corte territoriale, pur assumendo che in genere la regola era rispettata, aveva poi virato nelle conclusioni con cui aveva descritto l'organizzazione del lavoro come di "sostanziale anarchia"; le prove testimoniali erano anche state travisate, facendo degradare le effettive prescrizioni sulla sicurezza impartite al rango di generiche raccomandazioni, con ciò imputando al ricorrente anche la colpevole condotta di averle lasciate largamente disattese; a riprova del malgoverno delle risultanze testimoniali, il ricorrente allega un passaggio della deposizione del teste C.C., che riproduce, in cui lo stesso afferma che tante volte l'operatore non si occupava di tenere il piede della scala perché magari impegnato in altro lavoro;

- Con il secondo motivo di ricorso, si deduce, cumulativamente, vizio di motivazione, violazione di legge sostanziale e processuale (artt. 603, comma 2, e 495, comma 1, cod. proc. pen.) in punto di valutazione delle prove sopravvenute e di manifesta superfluità; in particolare, i difensori fanno riferimento ai contenuti della sentenza del Tribunale di Brescia del 19 maggio 2023, allegata al ricorso, con la quale l'imputato F.F. era stato assolto da una identica contestazione per tipo di condotta colposa e per dinamica dell'evento a quella per al quale l'odierno ricorrente era stato condannato; in tale processo era emersa l'insussistenza di prova in ordine ad una prassi di mancato rispetto delle prescrizioni in tema di sicurezza, sempre relative all'uso della scala a pioli; la sentenza impugnata aveva respinto l'istanza di rinnovazione probatoria con motivazione generica, ritenendola non necessaria, mentre il criterio di ammissione avrebbe dovuto essere quello della non manifesta superfluità, trattandosi di prova sopravvenuta;

- Con il terzo motivo, si denuncia la violazione dell'art. 59, comma 1, lettera b) della legge n. 689 del 1981, come sostituito dall'art. 71, comma 2 lett. g) d.lgv. n. 150 del 2022, laddove la sentenza impugnata non aveva consentito la sostituzione della pena detentiva con la pecuniaria, come richiesto in appello in via subordinata alla assoluzione, perché sarebbero stati presenti precedenti specifici della stessa indole, mentre nel testo attuale l'unica ragione ostativa va vista nella prognosi negativa sul pagamento o meno della pena pecuniaria ed il ricorrente aveva sempre pagato le pene pecuniarie inflittegli; nessuna motivazione era poi stata fornita in ordine ai parametri indicati dall'art. 133 cod. pen.;

- Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la inosservanza degli artt. 133, 163 e 164 cod. pen. ed il vizio di motivazione in punto di mancata concessione della sospensione condizionale della pena, laddove si era fatto riferimento ai precedenti penali dell'imputato ed in considerazione dei numerosi infortuni risultanti dal registro infortuni aziendale, senza prendere in considerazione i motivi di appello svolti sul punto. I precedenti penali erano infatti specifici, lesioni personali colpose da infortunio sul lavoro, ma relativi a fatti molto risalenti nel tempo (l'ultimo il 5 febbraio 2004) dunque, per un lungo tempo, l'imprenditore aveva svolto correttamente la propria attività; inoltre, la sospensione condizionale della pena non poteva essere inibita dalle segnalazioni di infortuni risultante dal Registro degli infortuni.

8. Tutto ciò premesso, il ricorrente ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata.

 

Diritto


1. Il primo motivo di ricorso è infondato.

2. È opportuno premettere che le sentenze di primo e di secondo grado hanno raggiunto le medesime conclusioni in ordine alla ricostruzione della dinamica dell'incidente e, quindi, le stesse vanno lette in modo da realizzare un unico corpo motivazionale, in applicazione del principio secondo il quale, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la ed. "doppia conforme" quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12 giugno 2019) Rv. 277218 - 01).

3. Inoltre, si deve precisare che il travisamento, per assumere rilievo nella sede di legittimità, deve, da un lato, immediatamente emergere dall'obiettivo e semplice esame dell'atto, specificamente indicato, dal quale deve trarsi, in maniera certa ed evidente, che il giudice del merito ha travisato una prova acquisita al processo, ovvero ha omesso di considerare circostanze risultanti dagli atti espressamente indicati; dall'altro, esso deve riguardare una prova decisiva, nel senso che l'atto indicato, qualunque ne sia la natura, deve avere un contenuto da solo idoneo a porre in discussione la congruenza logica delle conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito.

4. Invero, il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, in ipotesi di doppia conforme, sia in ipotesi in cui entrambi i giudici siano incorsi in travisamento della prova, sia nella ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle censure della difesa, abbia richiamato elementi probatori non esaminati dal primo giudice, ma in questo ultimo caso la preclusione opera comunque rispetto a quelle parti della sentenza che abbiano esaminato e valutato in modo conforme elementi istruttori comuni e suscettibili di autonoma valutazione (Sez.5, n. 18975 del 13 febbraio 2017, Cadore, Rv. 269906), mentre in relazione alla ipotesi di duplice travisamento, lo stesso deve emergere in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio tra le partì (Sez. 2, n.5336 del 9 gennaio 2018, L. ed altro, Rv.272018).

5. Ciò premesso, deve osservarsi che la sentenza di primo grado, confermata da quella di appello che ha disatteso il motivo di impugnazione che contestava il giudizio di accertamento della colpa, ha fondato la responsabilità penale del ricorrente sui seguenti elementi

- A.A., quale Consigliere di amministrazione e Direttore della società RAFFMETAL Spa e dunque datore di lavoro della parte offesa, aveva fornito all'operaio una scala a pioli per effettuare, ad una altezza di m. 2,80, attività di manutenzione del forno rotativo "B", che, al di là della idoneità della sua struttura e dello stato dei piedi di appoggio, per essere usata in sicurezza durante le operazioni di manutenzione, evitando il rischio del ribaltamento, avrebbe dovuto essere fissata al suolo oppure essere utilizzata mentre altro operaio la tratteneva al piede;

- dalla dichiarazione del teste C.C. (capoturno dei forni rotativi e presente al momento del fatto), si era appreso che la conformazione della bocca del forno era tale da imporre al lavoratore di sporgersi al suo interno per compiere in maniera efficace le operazioni di manutenzione e ciò poteva comportare uno sbilanciamento degli equilibri della scala (pag. 5 della sentenza impugnata);

- è pacifico, come rivelato dalla persona offesa, che le prescrizioni da adottare per scongiurare il rischio di ribaltamento non venivano abitualmente seguite dal personale, essendo diffusa la prassi operativa dell'utilizzo della scala da parte di un unico addetto; in particolare, la vittima aveva dichiarato che generalmente operavano due operatori, uno saliva sulla scala ed accedeva al forno e l'altro doveva trattenere da terra la scala al piede. Tuttavia, accadeva frequentemente che l'incombenza manutentiva venisse svolta da un solo addetto, come appunto avvenne il giorno in questione;

- da tali circostanze, ad avviso della Corte di appello, emerge la responsabilità addebitata in ordine al reato contestato, dovendo ritenersi superfluo l'accertamento dello stato usurato dei piedi della scala, rimasto controverso; quella decisiva, per fondare la responsabilità, è la condotta di mancata repressione dell'elusione del rispetto delle regole preventive poste a contrasto del rischio specifico di ribaltamento della scala, poi effettivamente realizzatosi;

- la condotta del lavoratore, per quanto autonomamente determinatasi, non impediva il nesso causale tra la condotta e l'evento in quanto non abnorme e non eccentrica rispetto al rischio di ribaltamento che si era effettivamente realizzato.

6. La motivazione della sentenza impugnata, articolata nei punti appena descritti, non è viziata dai vizi enunciati dal ricorrente. La stessa è basata sui riscontri puntualmente indicati ed ha messo in luce i caratteri della condotta colposa contestata in maniera congrua. Non è illogico, in particolare, riconoscere l'esistenza di disposizioni organizzative inerenti alle misure di prevenzione sull'utilizzo della scala a pioli, ben conosciute, ma ampiamente disattese. Il rimprovero, infatti, non è quello di non aver previsto il rischio o di non aver individuato le misure atte a prevenirlo, ma l'aver permesso che le regole di prevenzione e sicurezza adottate non fossero osservate.

7. Difettando il travisamento di prove, palesemente non configurabile nel caso di affermata scorretta interpretazione della prova dichiarativa, e la illogicità del ragionamento denunciati, il motivo di ricorso va dichiarato inammissibile.

8. Il secondo motivo va pure disatteso.

Dalla sentenza impugnata si evince che la richiesta di rinnovazione istruttoria, avanzata con motivo aggiunto in appello al fine della acquisizione di una sentenza relativa ad altro soggetto e ad altro fatto di reato, è stata ritenuta ultronea alla luce di quanto accertato in punto di responsabilità. Il ricorrente, in questa sede, deduce che sia stato disatteso l'obbligo di fornire adeguata motivazione in ordine alla decisione di non acquisire la sentenza di assoluzione in caso analogo, a mezzo della quale si sarebbe potuti giungere a diverso convincimento.

9.Il motivo è manifestamente infondato giacché è stato correttamente applicato il principio, affermato dalla Corte di cassazione, secondo cui la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello, ai sensi dell'art. 603 cod. proc. pen., siccome funzionalmente diretta - in armonia con la nozione generale di "istruzione dibattimentale" ricavabile dall'art. 496, comma 1, cod. proc. pen. alla assunzione di prove" (il cui oggetto deve essere ricompresso nelle specifiche previsioni di cui all'art. 187 stesso codice), non può consistere nella sola acquisizione, ai sensi dell'art. 236, comma 2, cod. proc. pen., di sentenze e certificati del casellario giudiziario al fine di valutare la credibilità di un testimone le cui dichiarazioni sono già state assunte in primo grado (Sez. 1, n. 23161 del 16/05/2002, Calabro, Rv. 221502-01. Successivamente, nello stesso senso Sez. 2, n. 19693 del 20/05/2010, Dell'Anna, Rv. 247056-01).

Nel caso di specie, l'acquisizione della sentenza indicata dal ricorrente, relativa ad altra vicenda verificatasi nello stesso ambiente di lavoro, non assume valenza decisiva al fine di determinare una difforme ricostruzione in fatto rispetto a quella formatasi nei gradi di merito, limitandosi al più ad introdurre solo un ulteriore elemento di valutazione nella ricostruzione dei fatti.

9. Il terzo motivo è fondato.

10. Secondo il consolidato convincimento espresso dalla Corte di cassazione (ex plurimis Sez.5 n. 48117 del 26/10/2023), la decisione di applicare la pena sostitutiva si correla alla indicazione normativa di individuare una pena che sia la più idonea alla rieducazione del condannato; nell'ambito di tale valutazione va salvaguardata la necessità che essa - corredata dalle indispensabili prescrizioni che vanno a bilanciare i margini di libertà che tali misure in maniera più o meno intensa, a seconda del tipo, lasciano al condannato - scongiuri, medio tempore, la commissione di altri reati.

11. Il presupposto da cui deve muovere il giudice al fine di verificare l'an dell'applicazione della pena sostitutiva breve è quello della valutazione della sussistenza o meno di fondati motivi che inducano a ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute perché la prospettiva della rieducazione non può prevalere sull'esigenza di neutralizzazione del pericolo di recidiva che necessita di essere soddisfatta anche durante l'esecuzione della pena.

12. Quanto alla motivazione, l'art. 58 legge n. 689 del 1981 si limita a prevedere che il giudice deve indicare i motivi che giustificano l'applicazione della pena sostitutiva, diffondendosi, piuttosto, sulla struttura argomentativa che il provvedimento deve avere quanto alla scelta del tipo (esserlo chiaramente da privilegiare la pena non detentiva nell'impostazione che risulta dalle disposizioni in argomento); è soprattutto in tale fase di selezione della pena che entra in gioco la specifica esigenza rieducativa ed argomentativa ad essa collegata dovendo il giudice - per espressa previsione contenuta nell'art. 58 - scegliere quella più idonea alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato con il minor sacrificio della libertà personale (e quando applica la semilibertà o la detenzione domiciliare, il giudice deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonei nel caso concreto il lavoro di pubblica utilità o la pena pecuniaria).

13. Nel caso di specie, la Corte di appello, chiamata a decidere su sollecitazione della difesa, ha a monte reputato non sostituibile la pena detentiva inflitta in applicazione dell'art. 59, comma 2 lett. a) I. n. 689 del 1981, in ragione delle condanne pregresse per reati della stessa indole nell'ultimo decennio anteriore alla definizione del giudizio.

14. Tuttavia, tale testo non era in vigore al momento della pronuncia (24 novembre 2023), essendo stato modificato dall'art. 71, comma 1, lett. g), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, a decorrere dal 30 dicembre 2022, ai sensi di quanto disposto dall'art. 99-bis, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 150/2022, aggiunto dall'art. 6, comma 1, D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199.

15. Il nuovo testo recita "Art. 59 (Condizioni soggettive per la sostituzione della pena detentiva) La pena detentiva non può essere sostituita

a) nei confronti di chi ha commesso il reato per cui si procede entro tre anni dalla revoca della semilibertà, della detenzione domiciliare o del lavoro di pubblica utilità ai sensi dell'articolo 66, ovvero nei confronti di chi ha commesso un delitto non colposo durante l'esecuzione delle medesime pene sostitutive; è fatta comunque salva la possibilità di applicare una pena sostitutiva di specie più grave di quella revocata;

b) con la pena pecuniaria, nei confronti di chi, nei cinque anni precedenti, è stato condannato a pena pecuniaria, anche sostitutiva, e non l'ha pagata, salvi i casi di conversione per insolvibilità ai sensi degli articoli 71 e 103;

c) nei confronti dell'imputato a cui deve essere applicata una misura di sicurezza personale, salvo i casi di parziale incapacità di intendere e di volere;

d) nei confronti dell'imputato di uno dei reati di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, salvo che sia stata riconosciuta la circostanza attenuante di cui all' articolo 323-bis, secondo comma, del codice penale.

Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli imputati minorenni."

È evidente l'errore applicativo in cui è incorsa la sentenza impugnata.

16. Pertanto, il motivo è fondato e va accolto, con annullamento della sentenza impugnata in punto di applicazione della sanzione sostitutiva, mentre resta assorbito il quarto motivo e vanno dichiarati inammissibili gli altri.

 

P.Q.M.


Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla questione dell'applicazione della pena sostitutiva e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di Appello di Brescia. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.

Così deciso in Roma il 5 luglio 2024.

Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2024.