Cassazione Penale, Sez. Feriale, 23 agosto 2024, n. 33094 - Distacco dell'argano montato erroneamente dal preposto. Responsabilità del datore di lavoro


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE FERIALE PENALE

Composta da:

Dott. CAPPELLO Gabriella - Presidente

Dott. D'AURIA Donato - Consigliere

Dott. GALANTI Alberto - Consigliere

Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Relatore

Dott. RUSSO Carmine - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A. nato a C il (Omissis)

avverso la sentenza del 15-03-2024 della CORTE APPELLO di MILANO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

svolta la relazione dal Consigliere ANNA LUISA ANGELA RICCI;

lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore GIULIO MONFERINI, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto


1. La Corte d'Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano di condanna di A.A., nella qualità di titolare e amministratore unico della B.B. costruzioni Srl e perciò datore di lavoro, in ordine al reato di cui agli artt. 590, comma, 3 cod. pen., in danno del dipendente C.C., commesso in Milano il 30 giugno 2016.

1.1 Il processo ha ad oggetto un infortunio sul lavoro, descritto nelle conformi sentenze di merito nel modo seguente. Alla data su indicata, C.C., operaio assunto alle dipendenze della B.B. costruzioni Srl con la qualifica di muratore, si trovava in un cantiere, all'ottavo piano del ponteggio allestito attorno ad un immobile sul quale dovevano essere eseguiti alcuni lavori e con un argano stava sollevando una carriola contenente due sacchi di cemento; l'argano era stato agganciato a un tubo di supporto collocato al decimo e ultimo piano del ponteggio e ad un certo punto, durante la salita del carico, si era staccato da detto tubo e, piegandosi verso il basso, aveva colpito al volto violentemente C.C.; questi a causa dell'urto aveva riportato gravi lesioni (consistite in trauma cranico maggiore, frattura cranica, esa frontale, frattura del massiccio facciale), per le quali era stato giudicato in un primo momento in prognosi riservata e che avevano comportato l'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore a 40 giorni. Si era, indi, accertato che il distacco dell'argano era stato causato dal suo montaggio errato e difforme da quanto indicato nel manuale di istruzione, effettuato nella stessa mattina dell'incidente da D.D., fratello dell'imputato e anch'egli lavoratore dipendente della B.B. costruzioni Srl con la qualifica di operaio di terzo livello e mansioni di caposquadra e preposto; in particolare era emerso che la struttura di sostegno dell'argano non era stata saldamente vincolata, rafforzata e controventatura e che il dado dell'unica vite con testa a martello non era stato debitamente serrato.

1.2. Nei confronti dell'imputato quale addebito di colpa sono stati individuati la negligenza l'imprudenza e l'imperizia e la violazione dell'articolo 71, comma 4, D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, per non aver preso le misure necessarie affinché le attrezzature di lavoro fossero installate ed utilizzate in conformità alle istruzioni d'uso.

2. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso l'imputato con proprio difensore, formulando quattro motivi.

2.1. Con il primo motivo, ha dedotto la violazione di legge ed in specie degli artt. 299, 18 e 19 D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81. Il difensore osserva che, nonostante l'istruttoria avesse chiarito come il montaggio dell'argano fosse stato effettuato la mattina stessa dell'infortunio dal preposto D.D., la Corte di Appello aveva negato ogni rilievo alla grave condotta di questi, senza tenere conto che il libretto del macchinario contenente le istruzioni di montaggio era a sua disposizione in cantiere. D.D. era stato nominato preposto e in ogni caso aveva consapevolmente assunto i relativi compiti e vi aveva concretamente dato seguito, impartendo direttive agli operai e provvedendo egli stesso al montaggio del macchinario: il ruolo di preposto, o comunque di supremazia rispetto al lavoratore, si riveste anche in assenza di nomina formale, rilevando piuttosto le mansioni in concreto esercitate. La Corte di Appello, invece, ha ignorato l'assunzione della qualifica di preposto, quantomeno di fatto, in capo a D.D. e non ne ha tratto le debite conseguenze.

2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge ed in specie dell'art. 40 in relazione all'art. 590 cod. pen. Il difensore ricorda che la causa dell'infortunio era stata individuata nell'insufficiente serraggio di un dado, peraltro inidoneo, nella fase di montaggio dell'argano e che, ciò nonostante, la sentenza impugnata aveva attribuito rilievo causale alla condotta di A.A. e non già a quella del fratello D.D., autore materiale del serraggio e "inventore" delle concrete modalità di montaggio. Nel caso di specie, dunque, la Corte aveva errato nell'individuare il datore di lavoro come il gestore del rischio concretizzatosi con l'evento. Per l'individuazione del garante in tema di prevenzione infortuni occorre fare riferimento al tipo di evento verificatosi valutando quale possa essere il livello aziendale concretamente coinvolto: sarà, dunque, genericamente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l'infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente sinistro riconducibile al dettaglio dell'organizzazione dell'attività lavorativa e a quella del datore di lavoro l'incidente derivante da scelte gestionali. La Corte, dunque, tenuto conto del tipo di evento verificatosi, avrebbe dovuto individuare la responsabilità in capo al gestore del rischio connesso alla esecuzione della prestazione lavorativa, ovvero alla persona che aveva generato in concreto la situazione di pericolo.

2.3. Con il terzo motivo e il quarto motivo, ha dedotto la violazione di legge ed in particolare dell'art. 43 cod. peno e dell'art. 521 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione in merito alla individuazione dei profili di colpa. Il difensore lamenta che la Corte non si sarebbe soffermata sulla c.d. causalità della colpa, ovvero non avrebbe chiarito in che senso un supplemento formativo da parte del datore di lavoro nei confronti del preposto avrebbe potuto con ragionevole certezza evitare l'evento verificatosi, tenuto conto del fatto che il manuale dell'argano era regolarmente presente in azienda e che le modalità di montaggio erano state deliberatamente "inventate" dal preposto in senso difforme da quanto previsto. Inoltre il difensore osserva che la contestazione di cui all'imputazione era relativa alla violazione dell'art. 71 D.Lgs. n. 81-2008 per avere il datore di lavoro consegnato un macchinario inidoneo e non correttamente manutenuto, mentre la sentenza della Corte di Appello aveva incentrato la responsabilità sul profilo della scelta e della formazione dei lavoratori (culpa in eligendo), sicché la stessa doveva ritenersi nulla per violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza.

2.5. Con il quinto motivo, ha dedotto la violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante. Il difensore sottolinea che la Corte, ai fini del trattamento sanzionatorio, non aveva considerato il fatto che l'infortuno si era verificato a causa della condotta, quanto meno concorrente, di una terza persona.

3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Giulio Monferini, ha presentato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Diritto


1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

2. I primi due motivi, con cui si censura l'affermazione della responsabilità dell'imputato, in luogo di quella del preposto che aveva effettuato il montaggio dell'argano in maniera scorretta e non conforme alle regole indicate nel manuale di istruzioni, sono manifestamente infondati.

2.1.Non è in contestazione la dinamica dell'infortunio così come sopra descritta, né il fatto che il montaggio dell'argano fosse stato effettuato da D.D., fratello del ricorrente, in maniera errata e non conforme alle regole indicate nel manuale di istruzione.

Nelle sentenze di merito conformi, inoltre, non viene posta in dubbio la qualifica di preposto di colui che effettuò il montaggio dell'argano, ma sono individuati profili di colpa nei confronti del datore di lavoro ricollegati alla sua posizione di garanzia.

I giudici di merito, in ordine al mantenimento della posizione di garanzia in capo al datore di lavoro, hanno rilevato che:

- il macchinario doveva essere predisposto da personale specializzato, mentre D.D. era un semplice "capo squadra (muratore)" con un titolo di istruzione di "licenza elementare";

- non era stata impartita adeguata formazione sul montaggio del macchinario ed in particolare sulla predisposizione dell'argano in condizioni di sicurezza, in modo da assicurarne la tenuta sull'impalcatura, non potendosi a tale fine ritenere sufficiente la mera presenza in cantiere del manuale di istruzione;

- il datore di lavoro, che riuniva in sé anche le mansioni di direttore tecnico, era dotato di competenze tecniche qualificate. La norma cautelare violata pone in capo al datore di lavoro l'obbligo (art. 71 co. 4, lett. A punto 1, del D.Lgs. n. 81-2008) di adottare le misure necessarie affinché le attrezzature di lavoro siano installate ed utilizzate in conformità alle istruzioni d'uso, nonché l'obbligo (art. 71 co. 8, lett. A, del D.Lgs. 81-2008) di provvedere affinché le attrezzature di lavoro, la cui sicurezza dipende dalle condizioni di installazione, siano sottoposte a un controllo, non solo iniziale ma anche successivo, in modo da assicurarne l'installazione corretta e il buon funzionamento.

2.2. A fronte di tale percorso argomentativo, le doglianze sono incentrate sulla asserita errata valutazione del mero dato formale della esistenza, anche di fatto, di un preposto e sulla messa a disposizione del libretto di istruzioni da parte del datore di lavoro.

Entrambi i profili non consentono di escludere la posizione di garanzia gravante sul datore di lavoro.

Secondo il costante orientamento della Suprema Corte, il datore di lavoro è tenuto a "controllare che il preposto, nell'esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli; ne consegue che, qualora nell'esercizio dell'attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi" contra legem", foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche" (Sez. 4, n. 26294 del 14-03-2018, Fassero, Rv. 272960; in senso analogo anche Sez. 4 n. 10123 del 15-01-2020, Chironna, Rv. 278608).

Prima ancora, il datore di lavoro è tenuto ad investire della qualifica di preposto un soggetto idoneo, sia dal punto di vista delle competenze tecniche che della formazione specifica (Sez. 4 n. 8163 del 13-02-2020, Lena, Rv. 278603 ­01 secondo cui "Il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore che, nell'espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi, né l'adempimento di tali obblighi è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore")

Più in generale, il datore di lavoro è tenuto ad informare il lavoratore dei rischi propri dell'attività cui è addetto e di quelli che possono derivare dall'esecuzione di operazioni da parte di altri, ove interferenti, ed è obbligato a mettere a disposizione dei lavoratori, per ciascuna attrezzatura, ogni informazione e istruzione d'uso necessaria alla salvaguardia dell'incolumità, anche se relative a strumenti non usati normalmente (Sez.4, n. 14915 del 19-02-2019, Arrigoni, Rv. 275577 -01: in motivazione la Corte ha precisato che può essere ritenuta eccezionale o abnorme - e come tale in grado di escludere la responsabilità del datore di lavoro per l'infortunio occorso - solo la condotta del lavoratore che decida di agire impropriamente, pur disponendo delle informazioni necessarie e di adeguate competenze per la valutazione dei rischi cui si espone).

Il datore di lavora può assolvere all'obbligo di vigilare sull'osservanza delle misure di prevenzione adottate attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che assicurino la conoscenza da parte sua delle attività lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione scelte a seguito della valutazione dei rischi.

Ciò premesso, la Corte di Appello ha motivato, in maniera logica, che l'infortuno nel caso di specie si è verificato non già per omesso controllo da parte del preposto dell'osservanza da parte dei lavoratori, nello svolgimento dell'attività lavorativa, delle norme in materia di sicurezza, quanto per avere consentito il datore di lavoro che il montaggio dell'argano fosse effettuato da un soggetto che non aveva ricevuto adeguata formazione: il rischio concretizzatosi nell'infortunio, dunque, rientrava nel perimetro di quello gestito dal datore di lavoro, cui competeva, in ragione dei poteri connessi alla funzione, la vigilanza e ancora prima l'obbligo di assicurare una corretta formazione e conoscenza delle criticità del macchinario da mettere in opera per essere utilizzato dai lavoratori.

In altri termini, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, l'infortunio verificatosi, secondo il coerente ragionamento effettuato dai giudici di merito, era conseguente alla violazione di precisi obblighi gravanti non già sul preposto, bensì sul datore di lavoro, il quale è tenuto a garantire la sicurezza dei lavoratori anche attraverso la formazione adeguata nell'utilizzo e prima ancora nel montaggio delle attrezzature utilizzate. L'evento, pertanto, si è sì verificato per una condotta imperita di altro soggetto, ma tale condotta è stata, a sua volta, determinata dal mancato assolvimento dal parte del datore di lavoro degli obblighi che la normativa sulla sicurezza dei luoghi di lavoro pone a suo carico e che egli può delegare solo attraverso una delega di funzioni formale, avente le caratteristiche di cui all'art. 16 del D.Lgs. n. 81-2008.

Pacifico, inoltre, è il principio per cui in tema di infortuni sul lavoro, non è sufficiente, per far ritenere adempiuti gli obblighi di sicurezza da parte del datore di lavoro, la messa a disposizione dei lavoratori di manuali di istruzione per l'uso dei macchinari, occorrendo, invece, che il datore di lavoro verifichi che le prescrizioni antinfortunistiche siano state effettivamente assimilate dai propri dipendenti e rappresenti loro le conseguenze pericolose dell'eventuale inosservanza delle istruzioni ricevute (Sez. 4 -n. 35816 del 12-05-2021, Galletti Rv. 281975 -01; Sez. F, n. 45719 del 27-08-2019, Moratelli, Rv. 277306; Sez. 4, n. 5441 del 11-01-2019, Lanfranchi, Rv. 275020; Sez. 4, n. 41985 del 29-04-2003, P.G. in proc. Morra e altro, Rv. 227287; Sez. 4, n. 7275 del 18-03-1998, Barsacchi, Rv. 211463).). Né può il datore di lavoro affidarsi alla esperienza di fatto. del soggetto che lui individua come preposto, dovendo prima di tutto assicurarsi che costui sia tecnicamente idoneo e abbia preso concreta e specifica conoscenza del macchinario da utilizzare o da far utilizzare ad altri.

L'attività di formazione del lavoratore, alla quale è tenuto il datore di lavoro, non è esclusa dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro. L'apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge (Sez. 4, n. 21242 del 12-02-2014, Rv. 259219 ­01).

3. Il terzo e il quarto motivo, incentrati sulla individuazione dei profili di colpa e ripercorrenti, nella sostanza, le medesime censure di cui ai primi due motivi, sono manifestamente infondati.

Oltre a richiamarsi quanto già supra evidenziato, si deve ribadire che l'aspetto della culpa in eligendo, oggetto di contestazione nel percorso argomentativo della Corte di Appello, non può essere qualificato come autonomo e distinto rispetto alla negligenza e imperizia e alla violazione della normativa specifica richiamata nel capo di imputazione: la mancata adozione, in violazione dell'art. 71 , commi 4 e 8 D.Lgs. n. 81-2008, delle misure necessarie affinché le attrezzature di lavoro, fossero installate ed utilizzate in conformità alle istruzioni d'uso, ricomprende anche l'affidamento delle incarico di installazione a soggetto non adeguatamente formato e preparato, su cui ha omesso di vigilare.

Già si è detto, inoltre, che l'obbligo di formazione non può dirsi assolto attraverso la messa a disposizione del manuale di istruzione del macchinario, dovendo piuttosto il datore di lavoro occuparsi di predisporre una formazione specifica e assicurarsi che il funzionamento e l'assemblaggio siano stati adeguatamente compresi e assimilati. La Corte di Appello ha dato atto, con argomentazione coerente e conforme alle risultanze richiamate, che tali obblighi non erano stati assolti dal datore di lavoro.

Non si è verificata, dunque, la eccepita violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza. A tale fine si deve ribadire che le Sezioni Unite hanno chiarito che, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazio.ne del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15-07-2010 Carelli, Rv. 24805101). Tale principio è stato ribadito anche in tema di reati colposi, rispetto ai quali si è ritenuta insussistente "la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (Sez. 4, n. 19028 del 01-12-2016,dep. 2017, Casucci, Rv. 269601; Sez. 4, n. 35943 del 07-03-2014, Denaro e altro, Rv. 260161). Sicché al giudice è consentito di aggiungere agli elementi di fatto contestati, altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, perché sostanzialmente non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa. Simmetricamente si è sostenuto che il ricorso per cassazione con cui si deduca la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, ai fini della sua ammissibilità, sotto il profilo della specificità, non può limitarsi a segnalare la mancanza formale di coincidenza tra l'imputazione originaria e il fatto ritenuto in sentenza, dovendo altresì allegare il concreto pregiudizio che ne è derivato per l'esercizio del diritto di difesa, non sussistendo la violazione predetta ove, sulla ricostruzione del fatto operata dal giudice, le parti si siano confrontate nel processo (Sez. 4,n. 32899 del 08-01-2021, Castaldo, Rv. 281997). Nel caso di specie, come visto, da un lato, il profilo di colpa ritenuto dalla Corte di Appello, relativo alla scelta ed alla formazione del preposto, rientra nella violazione della norma specifica contestata nel capo di imputazione e, dall'altro, la parte, anche rispetto a tale profilo, è stata messa in grado di difendersi, come dimostrato dal fatto che nello stesso atto di appello aveva interloquito in ordine al difetto di formazione del preposto.

4. Il quinto motivo, inerente il trattamento sanzionatorio, è inammissibile in quanto meramente reiterativo della censura già dedotta in appello, in assenza di confronto con il percorso argomentativo della sentenza impugnata cui non contrappone alcuna valida ragione in fatto e in diritto.

Si deve premettere che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti e al giudizio di bilanciamento, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale assolve al relativo obbligo di motivazione se dà conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. peno o richiama la gravità del reato o la capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27-04-2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 4, n. 21294 del 20-03-2013, Serratore, Rv. 256197). Il giudizio di bilanciamento è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto espressione del potere discrezionale nella valutazione dei fatti e nella concreta determinazione della pena demandato al giudice del merito, purché la motivazione sia aderente ad elementi tratti obiettivamente dalle risultanze processuali e sia, altresì, logicamente corretta. Nel caso in esame, la Corte ha osservato che il peso delle circostanze attenuanti generiche già riconosciute non poteva superare quello dell'aggravante costituita dalla violazione delle norme antinfortunistiche e ciò in ragione sia dei precedenti gravanti sull'imputato, di cui uno specifico, sia dell'elevato grado della colpa consistita nel mettere a disposizione dei lavoratori un'attrezzatura per sua natura pericolosa, montata in totale spregio delle istruzioni formulate nel manuale d'uso. A tale percorso argomentativo, logico e coerente, il ricorrente si limita ad obiettare che la Corte non aveva tenuto conto del rilievo causale nella dinamica dell'infortunio della condotta del terzo, non considerando, tuttavia, che proprio in relazione a tale condotta era stata individuata la violazione delle regole cautelari in capo al datore di lavoro.

5. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere di versare la somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Deciso in Roma il 22 agosto 2024

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2024