Cassazione Penale, Sez. 4, 16 settembre 2024, n. 34770 - Annegamento di due operai durante i lavori di manutenzione della idrovia ferrarese


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta da:

Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente

Dott. VIGNALE Lucia - Relatore

Dott. ARENA Maria Teresa - Consigliere

Dott. MARI Attilio - Consigliere

Dott. GIORDANO Bruno - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA e da:

A.A. nato a C il (Omossis);

nel procedimento a carico di:

A.A. nato a C il (Omossis);

B.B. nato a A il (Omossis);

C.C. nato a R il (Omossis);

avverso la sentenza del 13/06/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere LUCIA VIGNALE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIUSEPPINA CASELLA, che ha concluso chiedendo:

l'annullamento senza rinvio, ai sensi dell'art. 150 cod. pen. per C.C.;

l'annullamento con rinvio per A.A. e B.B., in accoglimento del ricorso proposto dal PG presso la Corte di appello di Bologna; il rigetto del ricorso proposto nell'interesse di A.A.;

uditi i difensori presenti:

Avv. SERENA MATERNI del foro di VERONA, in difesa di A.A., la quale ha chiesto l'accoglimento del ricorso proposto nell'interesse del proprio assistito e, in caso di mancato accoglimento, il rigetto del ricorso proposto dal PG presso la Corte di appello di Bologna;

Avv. MARCO PETTERNELLA del foro di ROVIGO in difesa di B.B. e C.C., che ha chiesto per C.C. l'annullamento senza rinvio per intervenuta estinzione del reato ex art. 150 cod. pen.; per B.B., la dichiarazione di inammissibilità o, in subordine, il rigetto del ricorso proposto dal PG presso la Corte di appello di Bologna.

 

Fatto


1. Con sentenza del 13 giugno 2023, la Corte di Appello di Bologna ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di A.A., B.B. e C.C., imputati del reato di cui agli artt. 113, 589, commi 1, 2 e 4 cod. pen. commesso il 22 febbraio 2013 in danno di D.D. e E.E. Ha ritenuto, infatti, che la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen. dovesse essere esclusa e, pertanto, il reato fosse estinto per prescrizione. È stata così riformata la sentenza pronunciata dal Tribunale di Ferrara il 31 gennaio 2020, con la quale A.A., B.B. e C.C. erano stati ritenuti responsabili del reato aggravato e condannati alla pena di anni due e mesi sei di reclusione ciascuno, previa applicazione dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. equivalente alla contestata aggravante.

2. Per miglior comprensione dei motivi di ricorso è necessario riferire che D.D. e E.E. lavoravano alle dipendenze della GMI Srl che aveva ricevuto in appalto dall'Agenzia Interregionale per il fiume Po (AIPO) lavori di manutenzione della "idrovia ferrarese" che collega il Po a Porto (Omissis); idrovia nella quale un sistema di porte "vinciane" evita che, durante l'alta marea, l'acqua salata risalga il corso dei canali interni e arrivi ai terreni circostanti. I lavori ricevuti in appalto dalla GMI comportavano, tra l'altro (art. 1 del contratto di appalto), la "sostituzione delle guarnizioni e dei pezzi usurati delle porte vinciane con verifica dell'assialità dei vari componenti" e, per poter essere eseguiti, richiedevano che le porte fossero messe a secco. Secondo il progetto contenuto nel Capitolato speciale di appalto, la messa a secco delle porte vinciane doveva essere realizzata, per ciascuna delle porte oggetto di manutenzione, senza svuotare completamente l'invaso perché tale svuotamento avrebbe potuto comportare una spinta verso l'alto della struttura (c.d. "effetto galleggiamento") danneggiandola. Al momento del fatto, D.D. e E.E. stavano lavorando sulla porta vinciana posta a valle della conca di Valle Lepri che era stata messa a secco con la costruzione e posa in opera di una paratia di metallo (in atti denominata "pancone") che doveva essere fissata alla struttura di calcestruzzo e doveva trattenere le acque. Come previsto dal contratto di appalto, il pancone era stato realizzato e collocato in sede dalla GMI, sulla base di un progetto predisposto da AIPO, progetto che era stato inserito nel capitolato speciale di appalto. Le acque che filtravano dai bordi del "pancone" erano aspirate da apposite pompe.

Secondo la ricostruzione fornita dai giudici di merito, l'incidente fu causato dal cedimento della porzione di calcestruzzo alla quale erano ancorati i piedini inferiori del pancone sul lato ovest della conca. Questo determinò una repentina e violenta inondazione dell'invaso nel quale i due operai stavano lavorando. I due uomini furono travolti dall'acqua, trascinati all'interno di un condotto laterale della conca e morirono per annegamento.

Il Tribunale ha ritenuto che A.A., B.B. e C.C. fossero responsabili della morte dei due lavoratori:

- A.A. (dipendente della AIPO), nella qualità di progettista del pancone e di direttore dei lavori (qualifica che gli era stata attribuita da F.F., Responsabile unico del procedimento per l'ente appaltante, assolto in primo grado "per non aver commesso il fatto");

- B.B. (dipendente della GMI Srl) nella qualità di Direttore tecnico del cantiere;

- C.C., quale legale rappresentante della GMI Srl e datrice di lavoro.

In estrema sintesi, il Tribunale ha individuato a carico di A.A. profili di colpa generica e specifica consistiti: in primo luogo, nell'aver predisposto il progetto del pancone senza valutare la morfologia dell'area di contatto tra i piedini di appoggio dello stesso e il calcestruzzo e senza accertare l'effettiva qualità e le condizioni del calcestruzzo dalle quali dipendeva la tenuta del pancone; in secondo luogo, nell'aver compiuto una scelta progettuale diversa rispetto a quelle adottate in occasione di lavori di manutenzione precedenti, che avevano utilizzato per il posizionamento del pancone scanalature verticali, destinate ad ospitare scalette, simmetricamente esistenti nelle pareti laterali della conca (modalità operative che, secondo il giudice di primo grado, sarebbero state più idonee a garantire la stabilità del pancone); in terzo luogo, nel non aver preteso l'applicazione di sacchetti di sabbia in corrispondenza dei piedini inferiori del pancone che, pure, erano previsti dal progetto.

Il giudice di primo grado ha ritenuto (pagg. 33- 36 della sentenza):

- che A.A. abbia compiuto scelte progettuali non conformi alle previsioni del decreto ministeriale 14 gennaio 2008 (contenente norme tecniche in materia di costruzioni) ed in specie al par. 8 dell'allegato a questo decreto che definisce i criteri generali per la valutazione della sicurezza e per la progettazione, l'esecuzione e il collaudo degli interventi su costruzioni esistenti;

- che egli non abbia adempiuto ai doveri imposti al direttore dei lavori nominato in base al codice dei contratti pubblici (art. 130 D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 nel testo all'epoca vigente), il quale è tenuto a curare che i lavori siano "eseguiti a regola d'arte ed in conformità del progetto e del contratto" (art. 148 D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 - Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163).

Ha ritenuto, inoltre, che gravassero su A.A., quale direttore dei lavori nominato dal RUP, gli obblighi in materia di prevenzione infortuni sul lavoro previsti dagli artt. 15 e 90 D.Lgs. 8 aprile 2008 n. 81.

Quanto agli imputati B.B. e C.C. (rispettivamente direttore tecnico e legale rappresentante della GMI Srl), il Tribunale ha ritenuto sussistenti a loro carico violazioni degli artt. 15, 95 e 96 D.Lgs. n. 81/08 (pag. 37 e ss. della sentenza) per aver consentito che i lavori di manutenzione ricevuti in appalto non si svolgessero in condizioni di sicurezza, ed in specie, per aver costruito e posato in opera il pancone progettato da A.A. "implicitamente avallandole le caratteristiche (anche negative) ... concordando e realizzando alcune variazioni (relative proprio ai punti dell'opera più critici, i piedini di trattenimento inferiori) così dimostrando concretamente che una fase valutativa di vaglio critico sull'opera si era realizzata" (così, testualmente, pag. 41 della motivazione).

2.1. Avendo ritenuto integrate violazioni di norme in materia di prevenzione infortuni sul lavoro, il Tribunale ha qualificato il fatto come violazione degli artt. 113, 589, commi 1, 2 e 4 cod. pen. Ha ritenuto dunque applicabile l'art. 157, comma 6, cod. pen. in base al quale, per questo reato, i termini di prescrizione "sono raddoppiati". La Corte di appello ha sostenuto, invece, che l'aggravante di cui all'art. 589, comma 2, non poteva essere ritenuta sussistente "non risultando provati, alla luce delle risultanze dibattimentali, i profili di colpa specifici originariamente contestati" (così testualmente pag. 3 della motivazione). Ha poi preso atto che il termine di prescrizione per l'omicidio colposo non aggravato da violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro (pari ad anni sette e mesi sei) era decorso e il reato (commesso il 22 febbraio 2013) era estinto ai sensi dell'art. 157 cod. pen. Ha sostenuto, infine, che non sussistevano "elementi per ritenere l'esistenza di cause di proscioglimento nel merito" e ha pertanto dichiarato non doversi procedere nei confronti di tutti gli appellanti.

2.2. La sentenza della Corte di appello è stata impugnata dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna - che ne ha chiesto l'annullamento per vizi di motivazione quanto all'esclusione dell'aggravante - e dall'imputato A.A., che ne ha chiesto l'annullamento per violazione di legge e vizi di motivazione, dolendosi della mancata applicazione dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen. e sostenendo che, nel caso di specie, sarebbe stata evidente la possibilità di una assoluzione nel merito.

3. Il ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di appello consta di un unico motivo col quale il ricorrente deduce violazione dell'art. 606, comma 2, lett. e) cod. proc. pen. per carenza di motivazione. Il ricorrente osserva che la sentenza di primo grado ha individuato a carico degli imputati ritenuti responsabili del reato precisi profili di colpa generica e specifica richiamando le norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro il cui rispetto avrebbe evitato l'evento, e si duole che, a fronte di tale analitica e dettagliata motivazione, la Corte di appello si sia limitata ad affermare che sono ravvisabili in capo agli appellanti solo profili di colpa generica, "senza in alcun modo palesare l'iter logico giuridico in base al quale è arrivata a tali conclusioni". Sottolinea, inoltre, che solo la "apoditticamente ritenuta insussistenza dell'aggravante di cui al comma 2 dell'art. 589 cod. pen" ha consentito di ritenere prescritto il reato escludendo che, nel caso di specie, potesse trovare applicazione l'art. 157, comma 6, cod. pen.

4. Col ricorso proposto nell'interesse di A.A. il difensore si duole che la Corte di appello abbia dichiarato la prescrizione del reato senza aver valutato i motivi di gravame volti ad ottenere l'assoluzione nel merito e senza aver argomentato sulla mancata applicazione dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen. che prevede la pronuncia di una sentenza assolutoria ogniqualvolta dagli atti risulti evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato. Il difensore sottolinea che A.A. ha interesse ad una assoluzione nel merito perché solo in tal modo sarebbe affrancato "dalla pesante alea relativa al possibile pagamento delle spese di difesa (sinora solo in parte rimborsate dall'ente presso il quale prestava servizio al momento del fatto) e alla restituzione delle somme pagate in favore dei congiunti delle due vittime dell'infortunio da parte dell'ente datore di lavoro: una sanzione di fatto pesantissima, viste le somme in gioco (oltre Euro 140.000 le spese di difesa ed oltre un milione quelle pagate in danno agli eredi dei defunti) nonché la possibilità che egli venga licenziato vista la gravità degli addebiti che gli sono imputati e l'apertura, con contestuale sospensione, di procedimento disciplinare" (cosi, testualmente, pag. 10 dell'atto di ricorso).

Tanto premesso, il ricorrente sostiene che la possibilità del proscioglimento nel merito sarebbe stata evidente e non è stata rilevata a causa di plurime violazioni di legge. Articola in tal senso cinque motivi, che di seguito si riportano, nei limiti strettamente necessari alla decisione, come previsto dall'art. 173, comma 1, D.Lgs. 28 luglio 1989 n. 271.

4.1. Col primo motivo, la difesa deduce violazione dell'art. 192 cod. proc. pen. per travisamento della prova costituita dalla perizia eseguita nel corso del dibattimento di primo grado. Secondo il ricorrente, la perizia avrebbe evidenziato che l'infortunio fu reso possibile dal cedimento del pancone e tale opera provvisionale (qualificata tale anche nel contratto di appalto) avrebbe dovuto essere progettata e realizzata dall'impresa esecutrice dei lavori. Il giudice di primo grado, invece, ha attribuito a A.A. una posizione di garanzia perché ha escluso il carattere di opera provvisionale del pancone e ha conseguentemente attribuito all'imputato il ruolo di progettista, ritenendo non necessario un progetto esecutivo e valutando non conforme alle regole di buona tecnica quella che era soltanto una progettazione preliminare.

4.2. Col secondo motivo, la difesa deduce carenza o manifesta illogicità della motivazione e violazione degli artt. 40 e 589, comma 1, cod. pen. Si duole che la sentenza di primo grado e quella di appello (che ad essa fa rinvio in tutto, salvo che per l'esclusione dell'aggravante) non abbiano adeguatamente valutato se la condotta doverosa che A.A. è accusato di aver omesso avrebbe potuto evitare l'evento. Secondo la difesa, la motivazione della sentenza di primo grado non consente di comprendere per quali ragioni A.A. avrebbe potuto avvedersi che, nello specifico punto in cui si verificò il cedimento, la resistenza era insufficiente e sostiene che, se egli avesse preteso dall'impresa esecutrice la realizzazione di un progetto cantierabile di affinamento rispetto a quello a base di gara o avesse chiesto al progettista incaricato dall'impresa di valutare la resistenza del calcestruzzo nelle zone di appoggio del pancone, l'evento si sarebbe ugualmente verificato. Aggiunge che l'evento si sarebbe verificato anche se A.A. avesse disposto rilievi volti a valutare tale capacità di resistenza. Osserva a tal fine che, come emerso in giudizio, una estesa campagna di rilievi e campionamenti disposta nel 2020 dalla Regione Emilia-Romagna sul calcestruzzo dell'intera conca di Valle (Omissis) ha evidenziato che lo stesso era astrattamente idoneo a resistere alla forza esercitata dai piedini inferiori del pancone; era nel suo complesso integro, privo di salinità e ammaloramenti, ed era conforme, per qualità, ai dati dei quali A.A. aveva tenuto conto nella redazione del progetto preliminare, sicché una valutazione ulteriore e più approfondita non avrebbe potuto evitare l'evento.

4.3. Col terzo motivo, la difesa deduce violazione di legge sostenendo che, facendo propria la motivazione fornita dal giudice di primo grado secondo la quale i lavori di manutenzione avrebbero dovuto essere realizzati o svuotando completamente l'invaso oppure secondo le modalità eseguite in occasione di interventi precedenti (utilizzando a mo' di gargame scanalature verticali destinate ad ospitare scalette simmetricamente esistenti nelle pareti laterali della conca) i giudici si sarebbero sostituiti, nella sostanza, al Responsabile Unico del Procedimento, esercitando una potestà riservata ad organi dell'amministrazione.

4.4. Col quarto motivo, la difesa deduce violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. e vizi di motivazione. Si duole, infatti, che la Corte territoriale non abbia spiegato per quali ragioni sia stata respinta l'eccezione di nullità della sentenza di primo grado che era stata ritualmente avanzata nell'atto di gravame. Eccezione con la quale si era sostenuto che la responsabilità dell'imputato era stata affermata in relazione a profili di colpa diversi rispetto a quelli contestati nel capo di imputazione, pur modificato nel corso del giudizio.

4.5. Col quinto e ultimo motivo, la difesa lamenta che la sussistenza di cause di proscioglimento nel merito sia stata esclusa con motivazione apodittica essendosi la Corte di appello limitata ad affermare (pag. 3 della motivazione): "non sussistono ... elementi per ritenere l'esistenza di cause di proscioglimento nel merito, richiamate, in ordine agli elementi di prova disponibili, le condivise valutazioni del giudice di prime cure, non seriamente incise dalle censure degli appellanti".

5. In data 24 luglio 2024 il difensore di C.C. e B.B. ha depositato una memoria ex art. 611 cod. proc. pen.

Alla memoria è allegata certificazione attestante il decesso di C.C. nei cui confronti la difesa ha chiesto la pronuncia di una sentenza di estinzione del reato ex art. 150 cod. pen.

Per quanto riguarda la posizione di B.B., il difensore ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso proposto dal Procuratore generale di Bologna sostenendo che il ricorrente avrebbe chiesto alla Corte di legittimità di compiere una diversa valutazione degli elementi di prova acquisiti nel corso del giudizio. Il difensore di B.B. ha sottolineato a tal fine che i profili di colpa ritenuti dalla sentenza di primo grado, quand'anche sussistenti, integrano "al più violazioni del codice dei contratti pubblici".

 

Diritto


1. Il ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna è fondato. Ciò comporta che la valutazione sull'esistenza dell'aggravante di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen. e sulla conseguente applicazione dell'art. 129 cod. proc. pen. debba nuovamente essere compiuta e rende superfluo l'esame dei motivi del ricorso proposto nell'interesse di A.A.

Poiché l'imputata C.C. è deceduta a R il (Omissis), nei suoi confronti l'annullamento deve avvenire senza rinvio per essere il reato estinto ex art. 150 cod. proc. pen.

2. Si è già detto che nell'affermare la penale responsabilità di A.A., B.B. e C.C., il giudice di primo grado ha ritenuto fossero loro ascrivibili profili di colpa generica e specifica. Per quanto qui rileva, il Tribunale ha ritenuto che l'incidente nel quale persero la vita D.D. e E.E. (dipendenti della GMI Srl) fosse stato determinato anche da violazioni di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro. Ha ritenuto, in particolare, che A.A. e B.B. avessero violato l'art. 15 D.Lgs. n. 81/08 per non aver adottato le necessarie misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e non aver eliminato - o comunque ridotto al minimo - i rischi connessi allo svolgimento di un lavoro che comportava la permanenza degli operai all'interno di un profondo invaso, liberato dall'acqua e mantenuto a secco grazie alla posa in opera di un pancone che A.A. progettò per conto dell'AIPO e la GMI Srl, aggiudicataria della gara di appalto, realizzò e installò sotto la direzione tecnica di B.B.

Secondo la ricostruzione fornita dai giudici di merito, che hanno aderito alle indicazioni fornite dal perito nominato dal Tribunale, la parte inferiore del pancone d'acciaio (largo più di dodici metri e alto più di cinque metri) era stata fissata alla struttura di calcestruzzo della conca per mezzo di piedini di aggancio laterali, destinati ad inserirsi all'interno di bocche di acquedotto simmetricamente poste in prossimità del fondo dell'invaso. Nella parte superiore, invece, erano stati predisposti tiranti in acciaio che assicuravano la stabilità del pancone evitando che potesse ribaltarsi o spostarsi. Malauguratamente, sul lato ovest, in corrispondenza del vincolo inferiore, il calcestruzzo costituente la parete della conca non resse alla sollecitazione cui era sottoposto dal piedino di appoggio del pancone e si ruppe determinando la rotazione del pancone stesso e l'inondazione della parte dell'invaso che doveva essere tenuta all'asciutto. Come emerge dalla lettura della sentenza di primo grado (pag. 20 e pag. 27), secondo il perito la rottura fu causata dal carico statico determinato dal pancone che provocò, in corrispondenza dell'appoggio del piedino inferiore lato ovest, il superamento del carico limite per quel tipo di calcestruzzo.

Il Giudice di primo grado ha sottolineato che era fondamentale per la sicurezza dei lavoratori garantire la tenuta del pancone, atteso che, se lo stesso avesse ceduto, vi sarebbe stata una inondazione della vasca al cui interno dovevano svolgersi i lavori e la massa d'acqua sarebbe stata tale da precludere ai lavoratori ogni possibilità di mettersi al riparo. Questo dato - che doveva essere evidente per A.A. al momento della predisposizione del progetto preliminare e per B.B. al momento dell'esecuzione di quel progetto - imponeva particolare cautela e attenzione nella progettazione, realizzazione e posa in opera della struttura e un attento dimensionamento dei piedini di appoggio anche in relazione alle caratteristiche di resistenza del calcestruzzo sul quale essi erano destinati ad insistere. La sentenza di primo grado riferisce (pag. 27) che, non ostante ciò, come evidenziato dal perito: "né in sede di sviluppo del cosiddetto progetto di massima del pancone provvisionale, né in sede di messa in opera dello stesso", furono appurate "la reale geometria dell'area di contatto interessata dalla zona di appoggio dei piedini e le caratteristiche del materiale ivi sollecitato". La relazione di calcolo, infatti, fu "unicamente finalizzata al dimensionamento del pancone metallico" e non furono "curati i dettagli di vincolo alla struttura preesistente nel punto specifico, omissione che è all'origine della causa dell'incidente".

Secondo il Tribunale (pag. 37), il pancone non era una "opera provvisionale" a totale cura e carico della impresa appaltatrice, ma una "opera provvisoria" realizzata dalla GMI sulla base del progetto predisposto dall'ente appaltante. Secondo lo stesso Tribunale però (pag. 40), anche se così non fosse, ciò non muterebbe la posizione di A.A. e B.B., atteso che: il primo, predispose il progetto del pancone senza tenere conto della conformazione e della superficie dei punti di appoggio, delle qualità e delle caratteristiche del calcestruzzo sul quale quei punti di appoggio dovevano insistere; il secondo, realizzò il pancone - e lo pose in opera così come progettato - senza predisporre un più dettagliato progetto esecutivo e senza eseguire ulteriori controlli. Non fu dunque adottato il principio di precauzione che sarebbe stato imposto dalla particolare pericolosità dell'operazione e del luogo nel quale i lavori di manutenzione dovevano essere eseguiti.

Pur non citandolo espressamente, il Tribunale fa implicito rinvio all'allegato XI del D.Lgs. n. 81/08. Sostiene, infatti, che la GMT si era aggiudicata lavori che, per il luogo nel quale dovevano essere svolti, comportavano rischi particolari per la sicurezza e la salute dei lavoratori e li esponevano a rischio di annegamento. Un rischio che avrebbe dovuto essere accuratamente valutato nella fase della progettazione e nella fase dell'esecuzione. Sostiene, inoltre, che tale obbligo gravava su B.B., quale direttore tecnico dei lavori e preposto in cantiere, ai sensi dell'art. 96 D.Lgs. n. 81/08 e su A.A., quale progettista e Direttore dei lavori, ai sensi dell'art. 90 del medesimo D.P.R.

3. La Corte di appello non ha condiviso tali valutazioni e ha sostenuto che, nel caso di specie, l'aggravante di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen. non può trovare applicazione. Nel farlo, però, non ha in alcun modo contrastato le argomentazioni sviluppate dalla sentenza di primo grado e si è limitata alla seguente testuale motivazione: "la fattispecie ... non può ritenersi aggravata ai sensi dell'art. 589, comma 2, cod. pen., essendo ravvisabili solo profili di colpa generica nella condotta degli appellanti, non risultando provati, alla luce delle risultanze dibattimentali, i profili di colpa specifica originariamente contestati".

La sentenza non chiarisce quali profili di colpa tra quelli individuati dal giudice di primo grado possano ritenersi sussistenti e perché tali profili di colpa non riguarderebbero la violazione di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro. Neppure distingue tra la posizione di A.A. - ritenuto responsabile del reato quale progettista del pancone e direttore dei lavori per conto del committente - e quella degli altri appellanti, ritenuti responsabili del reato in ragione della qualifica rivestita nella GMI Srl (della quale i lavoratori deceduti erano dipendenti).

La motivazione è assertiva a tal punto da essere apodittica. Ne consegue che il vizio di motivazione è tale da tradursi in violazione di legge. Come noto, infatti, la violazione di legge comprende "sia gli "errores in iudicando" o nin procedendo", sia quei vizi della motivazione cosi radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice" (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692). Ne consegue l'annullamento della sentenza impugnata.

4. L'annullamento deve essere disposto senza rinvio quanto alla posizione di C.C. perché il reato a lei ascritto è estinto ai sensi dell'art. 150 cod. pen.

Per quanto riguarda gli imputati A.A. e B.B., invece, l'annullamento deve essere disposto con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna, che dovrà valutare se la circostanza aggravante di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen. possa reputarsi sussistente.

In caso positivo, non potendo ritenere il reato estinto per prescrizione, i giudici del rinvio dovranno procedere alla valutazione dei motivi di appello formulati dagli imputati.

In caso negativo, invece, dovranno valutare se sussistano le condizioni per l'assoluzione nel merito ai sensi dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen. A tal fine, dovranno essere tenuti presenti i principi affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274 secondo la quale "In presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129, comma secondo, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento". Nel presente procedimento, infatti, la costituzione delle parti civili, ritualmente avvenuta all'udienza preliminare, è stata revocata nel corso del giudizio di primo grado e, in sede di appello, il proscioglimento nel merito per contraddittorietà o insufficienza della prova non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che, "sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili" (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244273).

Poiché il ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna è fondato, non v'è ragione di esaminare in questa sede i motivi del ricorso proposto nell'interesse di A.A.

 

P.Q.M.


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di C.C. perché il reato è estinto ex art. 150 cod. pen.

In accoglimento del ricorso del PG, così assorbito il ricorso di A.A., annulla la sentenza impugnata nei confronti di A.A. e B.B. e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.

Così deciso il 10 settembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2024.