Cassazione Penale, Sez. 3, 30 settembre 2024, n. 36343 - Reati in materia di sicurezza sul lavoro
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta da
Dott. LIBERATI Giovanni - Presidente
Dott. DI STASI Antonella - Relatore
Dott. GAI Emanuela - Consigliere
Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere
Dott. MAGRO Maria Beatrice - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A., nato in B (Omissis)
avverso la sentenza del 22/06/2023 del Tribunale di Napoli Nord
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonella Di Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio Baldi, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei motivi di ricorso.
Fatto
1. Con sentenza del 22/06/2023, il Tribunale di Napoli Nord dichiarava A.A. responsabile dei reati in materia di sicurezza sul lavoro contestati ai capi d), e), f), g), h), i), j), I), m), n) e o) di cui all'imputazione e lo condannava alla pena di Euro 5.800,00 di ammenda con confisca e vendita all'asta dei beni in sequestro.
2. Avverso tale sentenza l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto appello, convertito in ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 568, comma 5, cod. proc. pen. trattandosi di sentenza inappellabile in base al disposto dell'art. 593, comma 3, cod. proc. pen., articolando quattro motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo, afferente all'affermazione di responsabilità, si deduce che il Tribunale ha ritenuto la colpevolezza dell'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio, in evidente violazione della regola di giudizio sottesa alla valutazione della prova indiziaria di cui all'art. 192, comma 2 cod. proc. pen.; si lamenta una valutazione non sistematica del quadro probatorio di natura indiziaria ed il riltevo decisivo attribuito alla circostanza che l'imputato non aveva esibito la documentazione richiesta dai CC intervenuti; in sostanza, si deduce, l'affermazione di responsabilità risulta fondata in maniera illegittima sul silenzio dell'imputato.
Con il secondo motivo si deduce la mancata applicazione dell'art. 131-bis cod. pen., lamentando che il Tribunale, nel motivare il diniego di applicazione della predetta norma, era incorso in travisamento di dati e fatti non ascritti all'imputato; deduce che emergono plurimi elementi chiaramente indicativi di un apprezzamento sull'assenza di gravità dei fatti addebitati all'imputato che consentirebbero di ritenere configurabili i presupposti per l'applicazione dell'art. 131-bis c.p.
Con il terzo motivo si lamenta la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche e l'eccessività della pena.
Si evidenzia che il Tribunale aveva omesso la doverosa considerazione delle modalità del fatto e della condotta processuale ai fino della valutazione della personalità dell'imputato; si lamenta, inoltre, l'omessa determinazione della pena nel minimo edittale e l'applicazione del minimo aumento per la continuazione tra le contravvenzioni, evidenziandosi che il Tribunale avrebbe dovuto considerare che la condotta non era eccessivamente grave, che il fatto era stato commesso in un contesto spazio-temporale circoscritto e ridotto, nonché che l'imputato aveva avuto un comportamento processuale impeccabile ed improntato a resipiscenza;
inoltre, l'aumento di pena a titolo di continuazione era eccessivo e non motivato correttamente.
Con il quarto motivo si deduce l'erronea applicazione della confisca dei macchinari aziendali in sequestro, evidenziando che il provvedimento di sequestro preventivo impeditivo era stato applicato con riferimento al reato di cui all'art. 603-bis cod. pen., contestato al capo a) dell'imputazione, in relazione al quale il comma 2 del predetto articolo prevede la confisca obbligatoria, ma che per il suddetto reato era intervenuta pronuncia di assoluzione per insussistenza del fatto; il Tribunale, nel disporre la confisca aveva richiamato il disposto dell'art. 240 cod. pen. senza motivare in ordine alla sussistenza dei relativi presupposti applicativi.
Diritto
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Va ricordato che l'impugnazione proposta come appello, riqualificata come ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 568 comma 5, cod. proc. pen. in base al principio di conservazione degli atti, determina unicamente l'automatico trasferimento del procedimento dinanzi al giudice competente in ordine alla impugnazione secondo le norme processuali e non comporta una deroga alle regole proprie del giudizio di impugnazione correttamente qualificato; l'atto convertito deve, pertanto, avere i requisiti di sostanza e forma stabiliti ai fini della impugnazione che avrebbe dovuto essere proposta (ex multis, Sez.3,n.26905 del 22/04/2004, Rv.228729; Sez. 1, n. 2846 del 08/04/1999, Annibaldi R, Rv. 213835).
Nel caso in esame, l'impugnazione è stata proposta da difensore cassazionista, sicché essa è ammissibile ex art. 613 cod. proc. pen; il motivo in esame, tuttavia, è inammissibile perché avente ad oggetto censure diverse da quelle cosentiti dalla legge ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen, atteso che, come si desume dal tenore della doglianza la stessa attiene esclusivamente a censure di merito all'impugnata sentenza, riguardanti, da un lato la rivalutazione del compendio probatorio e dall'altro la ricostruzione in fatto della vicenda, ambiti che esulano dal sindacato di legittimità.
2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Va osservato che questa Corte ha affermato, in tema di ricorso per cassazione, che è deducibile il difetto di motivazione della sentenza di merito che non abbia rilevato "ex officio", alla stregua di quanto previsto dall'art. 129 cod. proc. pen, la sussistenza della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, a condizione che siano indicati i presupposti legittimanti la pretesa applicazione di tale causa proscioglitiva, da cui possa evincersi la decisiva rilevanza della dedotta lacuna motivazionale (Sez.6 n. 5922 del 19/01/2023, Rv.284160 - 01).
Nella specie, la relativa doglianza non è stata adeguatamente argomentata, con la specifica indicazione delle ragioni legittimanti la pretesa applicazione di tale causa di non punibilità e, di conseguenza, non risulta argomentata la rilevanza decisiva della lacuna motivazionale denunciata. Il ricorrente si limita a dedurre che "emergono plurimi dati chiaramente indicativi di un apprezzamento sull'assenza di gravità dei fatti addebitati", senza specificare nulla di concreto in merito.
Il motivo d'impugnazione, dunque, è generico.
3. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, oggetto di un giudizio di fatto, non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola; l'obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica, infatti, la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (Sez.l, n. 3529 del 22/09/1993, Rv. 195339; Sez.6, n.42688 del 24/09/2008, Rv.242419; Sez. 2, n. 38383 del 10.7.2009, Squillace ed altro, Rv. 245241; Sez.3,n. 44071 del 25/09/2014, Rv.260610).
Va, quindi, riaffermato il principio che, in caso di diniego, soprattutto dopo la specifica modifica dell'art. 62 bis c.p. operata con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92 convertito con modif. dalla L. 24 luglio 2008, n. 125 che ha sancito essere l'incensuratezza dell'imputato non più idonea da sola a giustificarne la concessione, è assolutamente sufficiente che il giudice si limiti a dar conto, come nella specie, di avere ritenuto l'assenza di elementi o circostanze positive a tale fine (Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Rv. 260610; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Rv.270986).
Adeguata è anche la motivazione relativa all'entità della pena.
Costituisce principio consolidato che la motivazione in ordine alla determinazione della pena base (ed alla diminuzione o agli aumenti operati per le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti) è necessaria solo quando la pena inflitta sia di gran lunga superiore alla misura media edittale, ipotesi che non ricorre nella specie.
Fuori di questo caso anche l'uso di espressioni come "pena congrua" - come nella specie -, "pena equa", "congrua riduzione", "congruo aumento" o il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell'imputato sono sufficienti a far ritenere che il giudice abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i criteri dettati dall'art. 133 c.p. per il corretto esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla norma in ordine al "quantum" della pena (Sez. 2 ,n. 36245 del 26/06/2009 Rv. 245596; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Rv. 256197).
A fronte di tale adeguata motivazione, il ricorrente propone censure meramente contestative, volte ad una rivalutazione della congruità della pena.
Deve ricordarsi che la graduazione del trattamento sanzionatorio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., sicché è inammissibile la censura che nel giudizio di cassazione miri ad una nuova valutazione della congruità della pena (Sez.3, n.1182 del 17/10/2007, dep. 11/01/2008, Rv. 238851; Sez. 5, n.5582 del 30/09/2013, dep. 04/02/2014, Rv. 259142).
4. Il quarto motivo di ricorso è fondato.
Dalla lettura della sentenza impugnata si evince che il Tribunale ha disposto la confisca dei beni in sequestro limitandosi a richiamare in dispositivo la norma di cui all'art 240 cod. pen., omettendo ogni argomentazione quanto alle ragioni, sia fattuali che giuridiche, sulle quali è stata fondata l'adozione della misura ablativa.
Tale omissione motivazionale vizia parzialmente la sentenza impugnata.
5. Consegue, pertanto, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata per nuovo giudizio, limitatamente alla disposta confisca; il ricorso va, poi, dichiarato inammissibile nel resto, con declaratoria di irrevocabilità dell'affermazione di responsabilità e della condanna alla relativa pena in base al disposto dell'art. 624 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla confisca e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Napoli Nord, in diversa composizione personale. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso e irrevocabile l'affermazione di responsabilità e la condanna alla relativa pena.
Così deciso in Roma, il 18 luglio 2024.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2024.