Cassazione Penale, Sez. 4, 10 ottobre 2024, n. 37214 - Crollo del muro perimetrale: assoluzione della coordinatrice della progettazione e della esecuzione
Nota a cura di Lombardo Margherita, in Il quotidiano giuridico/altalex, 29.10.2024 "La posizione di garanzia del coordinatore della sicurezza nella progettazione e nell’esecuzione dei lavori"
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente
Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere
Dott. BRANDA Francesco Luigi - Relatore
Dott. MARI Attilio - Consigliere
Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A. nato a M il (Omissis)
avverso la sentenza del 02/11/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO LUIGI BRANDA;
udito il Proc. Gen. che ha concluso per il rigetto del ricorso, riportandosi alla memoria depositata;
udito l'avvocato TOMALINO UMBERTO, del foro di LECCO, in difesa di A.A., il quale ha illustrato i motivi di ricorso e ne chieda l'accoglimento.
Fatto
1. La Corte di Appello di Milano, con la sentenza in epigrafe, ha confermato quella del Tribunale della stessa città, emessa il 27/10/2021, con cui era stata pronunciata la condanna degli imputati A.A. e B.B. per il reato previsto dagli artt. 41 cpv e 590, commi 1, 2 e 3, CP, commesso in M il 13 marzo 2017; inoltre, ha dichiarato estinta per prescrizione la fattispecie contravvenzionale di cui all'art. 676, comma 2, c.p., alla quale, sin dal primo grado, era stata ricondotta l'originaria contestazione di disastro colposo; ha rideterminato la pena in giorni 20 di reclusione per la A.A. ed in mesi 1 e giorni 10 di reclusione per il B.B.
Agli imputati si addebitava il reato di lesioni colpose, aggravato dalla violazione di norme antinfortunistiche, perché, con condotte indipendenti e causalmente rilevanti, nelle rispettive qualità di coordinatore nella progettazione e nella esecuzione dell'immobile la A.A., e di direttore dei lavori delle opere strutturali del cantiere di via (Omissis) il B.B., avevano cagionato a C.C. plurime lesioni da cui derivava una malattia di durata superiore a 40 giorni e l'indebolimento permanente di organo, provocati dal crollo del muro perimetrale dell'edificio sito al civico (Omissis), in cui la persona offesa dimorava, in appartamento adiacente al fabbricato in costruzione.
Il giudice di primo grado così ricostruiva i fatti: in data 13 marzo 2017, nel corso dei lavori di costruzione e di innalzamento di una nuova palazzina in via (Omissis), da edificare in aderenza al preesistente edificio sito al civico (Omissis), a seguito del getto di calcestruzzo non contenuto con protezioni adeguate, si era verificato il crollo parziale del muro di tamponamento della dimora di C.C., a causa della pressione esercitata dalla colata di calcestruzzo impiegato per l'elevazione del muro perimetrale in aderenza alla parete del fabbricato a confine, causandone il cedimento e la rovina in corrispondenza della stanza occupata dalla vittima che ne era stata travolta, riportando plurime fratture costali associate a quattro distinte fratture vertebrali, una frattura pluriframmentaria del terzo laterale della clavicola sinistra, contusioni polmonari, e infiltrazione di aria all'interno di entrambi gli spazi pleurici.
Risultava accertato che committente dei lavori era la "Pichi 15" Srl; affidataria dell'esecuzione era la "Edil Tomplast" Srl che, a sua volta, aveva subappaltato la costruzione alla "C.V. Impianti" Srl
In merito alle cariche rivestite dagli imputati, A.A. risultava Coordinatore della sicurezza nella progettazione e nella esecuzione dei lavori, B.B. direttore dei lavori delle opere strutturali.
Dalle testimonianze e dalla consulenza redatta dal professor D.D., ausiliario del pubblico ministero, era emerso che il condominio in cui era avvenuto l'incidente era costituito da una struttura in calcestruzzo tamponata con mattoni forati, idonea a resistere alla spinta del vento, ma inadatta a subire pressioni più consistenti, come quella provocata dalla colata del calcestruzzo liquido, tra l'altro avvenuta in corrispondenza della linea mediana della parete, meno resistente alle pressioni.
Ad avviso del consulente, il getto di calcestruzzo per l'erigendo muro in aderenza avrebbe dovuto essere convogliato e contenuto tra due casseri in acciaio, collegati tra loro in modo da non potersi allargare durante la posa in opera ed il consolidamento del materiale, al fine contenere le spinte idrostatiche della colata.
Al contrario, nel caso di specie, la zona di aderenza con il fabbricato adiacente non era stata protetta da un pannello in acciaio, bensì da uno in polistirene da 18 cm di spessore, contrapposto, sul lato della nuova costruzione, ad un cassero puntellato per contenere la spinta del calcestruzzo.
Tra l'altro, a conferma della correttezza del rilievo effettuato dal consulente, era emerso che lo stesso direttore dei lavori, nel procedere alla messa in sicurezza per il prosieguo delle operazioni di cantiere, aveva suggerito come procedura più adatta, l'aggiunta di un cassero verso la costruzione adiacente al cantiere.
Il dr. D.D., consulente del P.M., a domanda della difesa, ammetteva che le prescrizioni d'opera contenute nella tavola 1 della denuncia dei cementi armati prevedevano corrette modalità di getto del calcestruzzo, imponendone lo sversamento da un'altezza massima di cm 60.
Quanto alla posizione della imputata A.A. il primo giudice riteneva provato l'addebito elevato alla stessa, in quanto le modalità di realizzazione del muro in cemento armato, in aderenza al fabbricato confinante avrebbero dovuto essere opportunamente illustrate nel piano di sicurezza e coordinamento (PSC), nonché verificate nella loro concreta esecuzione, con opportune azioni di coordinamento e controllo. In tale documento, al contrario, non v'era alcuna previsione riguardante le modalità di getto del calcestruzzo e di valutazione del conseguente rischio per la statica dell'edificio adiacente.
Così pure nessuna previsione del medesimo rischio e di eventuali precauzioni era stata inserita nel piano operativo di sicurezza (POS).
La Corte d'Appello, ha confermato il giudizio di responsabilità della A.A., richiamando, per condivisione, gli argomenti contenuti nella sentenza di primo grado.
2. A.A. propone ricorso per cassazione, censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 Con il primo motivo censura, per vizio motivazionale e violazione di legge, l'erronea affermazione della sussistenza di una posizione di garanzia in capo alla A.A., nonché della colpa e del nesso eziologico tra la condotta colposa alla stessa ascritta e l'evento.
La sentenza di appello avrebbe erroneamente trascurato l'argomentazione difensiva secondo cui, se l'impresa subappaltatrice, nel procedere alla gettata di cemento, si fosse attenuta alle prescrizioni del progettista e direttore dei lavori della struttura in cemento armato, l'evento (crollo del muro di tamponamento dell'edificio adiacente) non si sarebbe verificato.
La conclusione - sottolinea il ricorrente - è stata asseverata dallo stesso consulente del pubblico ministero, professor D.D., il quale ha dato risposta affermativa alla domanda posta dalla difesa sulla idoneità delle prescrizioni già previste nelle tavole allegate alla denuncia dei cementi armati, redatta dal progettista strutturista, che imponevano di procedere alla gettata del calcestruzzo per strati di 60 cm, rispettando il tempo di attesa, affinchè ciascun strato si consolidasse prima di procedere alla colata di quello successivo.
Da tale affermazione la Corte avrebbe dovuto ricavare che le prescrizioni già esistevano ed erano adeguate e che il crollo era avvenuto per il loro mancato rispetto dà parte dell'impresa esecutrice, ed inoltre per l'omesso controllo da parte del direttore dei lavori e del responsabile di cantiere.
Inoltre, erroneo risulterebbe l'addebito di non aver contemplato nel PSC la valutazione dei rischi connessi alla edificazione dei muri in aderenza e di non aver vigilato sulla loro esecuzione.
Nel ricorso si deduce che compito del CSPE è quello di prevenire e neutralizzare, attraverso la redazione del PSC, i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, derivanti dalla presenza in cantiere di più imprese. Lo stesso ha funzioni di alta vigilanza che si esplicano prevalentemente mediante procedure e non mediante poteri o doveri di intervento immediato; egli deve apprestare le misure necessarie per prevenire il cosiddetto rischio generico relativo alle fonti di pericolo riconducibile all'ambiente di lavoro, al modo in cui sono organizzate le attività, alle procedure lavorative e alla convergenza in essa di più imprese attraverso la predisposizione del PSC.
Tale compito era stato perfettamente adempiuto dalla A.A., come dimostrato dal fatto che nessuna contestazione, circa la violazione delle norme antinfortunistiche, le era stata mossa. Esulava, invece, dai suoi doveri la prevenzione dei rischi specifici propri dell'attività delle singole imprese presenti in cantiere, di competenza del datore di lavoro, come pure il rischio specifico professionale, connesso alle prestazioni specialistiche di dettaglio, di volta in volta necessarie in cantiere.
Ad avviso della ricorrente, pertanto, esulavano dalla posizione di garanzia in capo all'imputata e dal correlativo obbligo di agire le prescrizioni relative alle lavorazioni specialistiche di dettaglio in cui è riconducibile la gettata del calcestruzzo. Trattasi infatti di competenza tecnica del progettista dei cementi armati che ha predisposto, in completa autonomia, le relative procedure, sintetizzandole nelle prescrizioni contenute nella tavola 1, allegata alla denuncia dei cementi armati, in cui la A.A. non avrebbe potuto ingerirsi.
3.2 - Il secondo motivo concerne l'erronea affermazione della sussistenza del nesso causale e della prevedibilità dell'evento, contestata sia per vizio motivazionale che per violazione di legge.
Ad avviso della ricorrente, i giudici di merito non hanno dato risposta al quesito se l'evento, per come in concreto verificatosi, sarebbe stato impedito, con probabilità vicina alla certezza, laddove l'agente avesse tenuto il comportamento doveroso contestato.
Infatti, anche se l'architetto A.A. avesse riprodotto nel PSC le prescrizioni contenute nelle tavole allegate alla denuncia dei cementi armati, il crollo del muro non sarebbe stato comunque impedito, essendo stato acclarato che l'evento si verificò proprio a causa dell'imprevedibile loro inosservanza da parte della ditta che effettuò la gettata di calcestruzzo dall'altezza di metri 1,55, e quindi da una quota superiore di oltre il doppio rispetto limite prescritto dallo strutturalista; inosservanza ricadente sotto la sfera di controllo del direttone dei lavori ma non del CSPE, a cui spetta una funzione di alta vigilanza che, secondo giurisprudenza costante, non può estendersi ad un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative.
3. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
4. Il difensore ha illustrato i motivi di ricorso e ne ha chiesto l'accoglimento.
Diritto
1. Il ricorso è fondato.
1.1. Comune ai motivi sopra esposti è innanzitutto la censura concernente la ravvisabilità di una posizione di garanzia del coordinatore per la progettazione ed esecuzione dei lavori, connessa al rischio di crollo in concreto verificatosi.
I giudici di merito hanno formulato un duplice addebito, postulando che la A.A. non avesse inserito nel PSC la prescrizione relativa alle corrette modalità di gettata del calcestruzzo e che poi avesse omesso il controllo sull'andamento delle lavorazioni.
L'ampio raggio dell'ascrizione chiama in causa il complessivo ruolo del coordinatore nella progettazione e nella esecuzione dell'immobile; in particolare l'obbligo di predisposizione del PSC e quello di verificare l'attuazione delle misure in esso previste.
La giurisprudenza di questa Corte è venuta precisando il ruolo del coordinatore nell'ambito dei cantieri temporanei o mobili che prevedano il concorso di più imprese esecutrici, nel senso che il medesimo ricopre una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, spettandogli compiti di "alta vigilanza", consistenti: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS (così, ex multis, Sez. 4, n. 44977 del 12/06/2013 - dep. 07/11/2013, Lorenzi e altri, Rv. 257167).
Di indubbio rilievo è la puntualizzazione che il controllo sul rispetto delle previsioni del piano non può essere meramente formale, ma va svolto in concreto, secondo modalità che derivano dalla conformazione delle lavorazioni; essenziale è che alla previsione della cautela segua un'attività di verifica della sua attuazione, della quale devono darsi cura le imprese esecutrici. Attività di verifica, tuttavia, non può significare presenza diuturna nel cantiere ma, appunto, presenza nei momenti delle lavorazioni topici rispetto alla funzione di controllo.
L'alta vigilanza della quale fa menzione la giurisprudenza di questa Corte, quindi, lungi dal poter essere interpretata come una sorta di contrazione della posizione di garanzia, indica piuttosto il modo in cui vanno adempiuti i doveri tipici.
Mentre le figure operative sono prossime al posto di lavoro ed hanno quindi poteri-doveri di intervento diretto ed immediato, il coordinatore opera attraverso procedure; tanto è vero che un potere-dovere di intervento diretto è previsto per tale figura solo quando constati direttamente gravi pericoli (art. 92, co. 1 lett. f) D.Lgs. n. 81/2008).
Può dirsi che il coordinatore per l'esecuzione identifica momenti topici delle lavorazioni e predispone attività che assicurino rispetto ad esse l'attuazione dei piani 'attraverso la mediazione dei datori esecutori'.
Non può esimersi dal prevedere momenti di verifica della effettiva attuazione di quanto esplicato e previsto; ma anche queste azioni di verifica non possono essere quotidiane ed hanno una periodicità significativa e non burocratica (cioè dettate dalle necessità che risultino idonee allo scopo e non routinarie).
Parallelamente, l'accertamento giudiziale non dovrà ricercare i segni di una presenza diuturna, ma le tracce delle azioni di coordinamento, di informazione, di verifica, e la loro adeguatezza sostanziale (così già sez. 4, sent. n. 37597 del 5/5/2015, dep. 16/9/2015, Giambertone, n.m.).
Coerentemente la giurisprudenza più recente ribadisce che il coordinatore per l'esecuzione dei lavori non è tenuto ad un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è invece demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l'obbligo, previsto dall'art. 92, lett. f), del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate (Sez. 4, n. 27165 del 24/05/2016 -dep. 04/07/2016, Battisti, Rv. 267735; similmente Sez. 4, sent. n. 37597 del 5/5/2015, dep. 16/9/2015, Giambertone, n.m.).
Ad ulteriore chiarimento di questi principi si può aggiungere che il D.Lgs. n. 81/2008 ha ancor più nettamente connesso l'opera del coordinatore per l'esecuzione alla sicura organizzazione complessiva del cantiere, con ciò intendendosi la conformazione dell'opera, dell'area di cantiere e della sequenza delle lavorazioni - tenuto conto anche, ma non esclusivamente, del rischio da interferenze - alle necessità della sicurezza dei lavoratori.
Le singole lavorazioni, per contro, devono essere organizzate in modo sicuro dai datori di lavori chiamati alla loro esecuzione.
1.2 Su queste premesse si può venire all'esame dei rilievi mossi dalla ricorrente.
Innanzitutto, non risulta in alcun modo superata l'osservazione difensiva, prospettata nei motivi di appello, secondo cui la regola cautelare era stata già correttamente indicata dal progettista strutturista, il quale, nelle tavole allegate alla denuncia dei cementi armati, aveva indicato che il getto avrebbe dovuto essere effettuato per strati non superiori a 60 centimetri ciascuno, intervallati dal tempo necessario al consolidamento del precedente.
Anche il consulente del P.M. - scrivono gli stessi giudici di merito - ha confermato l'adeguatezza della suddetta precauzione al fine di evitare il rischio di crolli. Al riguardo, si osserva che la Corte non critica questa affermazione, ma si limita a ribadire che la regola cautelare non era stata comunque ripetuta nel PSC.
Tuttavia, non si può rimproverare al coordinatore di non aver ribadito nel PSC una regola cautelare concernente un rischio specifico, che già era stata direttamente rivolta al datore di lavoro della ditta esecutrice, tenuto ad eseguire il getto del calcestruzzo secondo il progetto strutturale nella sua disponibilità, e che appunto prevedeva espressamente la prescrizione atta a prevenire il crollo.
Entrambi i giudici di merito hanno erroneamente dato per scontato che il governo di quel rischio eminentemente riferito alla fase esecutiva (crollo del muro a causa della gettata di calcestruzzo, senza l'osservanza della cautela già indicata in progetto) competesse alla A.A., nella qualità di coordinatrice della progettazione e della esecuzione.
È stato giustamente contestato dalla difesa che il rischio era specifico perché attinente ad una lavorazione affidata alle particolari cure del datore di lavoro della ditta esecutrice della gettata di calcestruzzo, trattandosi di un intervento settoriale che non presentava ulteriori profili di interazione, oltre a quelli già considerati e regolamentati nel progetto strutturale e nelle tavole ad esso allegate.
Il fatto che la previsione della cautela rientrasse esclusivamente nella posizione di garanzia di altri soggetti si ricava dalla diretta assunzione di responsabilità a governare il rischio da parte di altri soggetti e, al contempo, dal fatto che la stessa non riguardasse direttamente la sfera di coordinamento affidata alla A.A.
Quanto alla progettazione, si è già detto che il progetto strutturale già conteneva la prescrizione atta a prevenire il crollo; la stessa regola cautelare era diretta alla ditta esecutrice e, perciò, in quanto attinente ad un rischio specifico della singola lavorazione, non necessitava di alcuna previsione di coordinamento, non involgendo ulteriori profili interferenziali.
In ordine alla fase esecutiva, coglie nel segno, - e non risulta superata dalla sentenza impugnata -, la censura proposta dal ricorrente, il quale, dopo aver richiamato la definizione di "alta vigilanza" spettante al coordinatore, ha osservato che non poteva pretendersi dal medesimo un controllo puntuale, momento per momento, della singola attività lavorativa, tale da consentire l'immediata percezione della isolata inosservanza della regola cautelare ed eventualmente bloccarne l'esecuzione.
Effettivamente, il puntuale e stringente controllo, momento per momento, spettava invece al datore di lavoro ed al direttore dei lavori, in ragione della loro necessaria presenza e vigilanza continuativa in cantiere, finalizzate a prevenire un accidente contingente, scaturito estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori, eseguiti discostandosi dalle modalità esecutive previste nelle tavole più volte richiamate.
Come emerge dalle decisioni di merito, infatti, il crollo si verificò perché la ditta esecutrice, nell'eseguire la gettata, procedette allo sversamento della malta cementizia dall'altezza di metri 1,55, e quindi da una quota superiore di oltre il doppio rispetto al limite prescritto dallo strutturalista e senza attendere il consolidamento del primo strato di centimetri 60; inosservanza ricadente sotto la sfera di immediato controllo del direttore dei lavori, ma non del CSPE, a cui spettava una funzione di alta vigilanza che, secondo giurisprudenza costante, non può estendersi ad un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative.
D'altro canto, come è stato puntualmente eccepito dalla difesa, nella esecuzione delle gettate di cemento avvenute in precedenza, in corrispondenza della medesima parete, non si erano verificati inconvenienti che potessero destare allarme e richiedere più frequenti e specifiche verifiche da parte del coordinatore nel prosieguo della edificazione.
In sintesi, il crollo si verificò a causa dello sversamento della malta cementizia da una quota superiore a quella prevista in progetto (tavola 1), con evidente aumento della pressione della colata di cemento sulla parete, e senza attendere il consolidamento del primo strato, indicato prudenzialmente in progetto con un'altezza di centimetri 60; e quindi, a causa di errori di esecuzione di specifici lavori che esulavano dall'area di rischio interferenziale gestita dal coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione, inerente pur sempre alla materia della prevenzione degli infortuni sul lavoro, e non estesa al versante del controllo, momento per momento - sulla corretta esecuzione di singole lavorazioni adeguatamente regolamentate nel progetto di edificazione.
In sintesi, fondato appare il motivo diretto a dimostrare l'illogicità della motivazione per non aver ritenuto che, sulla base delle cennate considerazioni, il rischio concretizzato esulava dalla posizione di garanzia riferibile alla A.A., in qualità di coordinatrice della progettazione e della esecuzione.
2. La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio nei confronti dell'imputata per non aver commesso il fatto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di A.A. per non aver commesso il fatto.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2024.
Depositato in cancelleria il 10 ottobre 2024.