PRO RIFORMA DEL TESTO UNICO DI SALUTE E SICUREZZA NEL LAVORO
(D. lgs. 9 aprile 2008 n. 81 - Ipotesi di gestione dei rischi per la salute e la sicurezza nel lavoro attraverso ulteriori condivisioni dei compiti tra datore di lavoro e linea consultiva)


Venanzo Maria Bocci
1


Prologo
Con pensiero affettuoso e riconoscente a maestri, collaboratori ed amici, che non potrei elencare compiutamente, per ragioni di spazio e di memoria, pur avendo a lungo condiviso passione ed impegno per molteplici temi e problemi di salute e sicurezza nel lavoro. La maggior parte di essi, che mi conforta invece ricordare idealmente riuniti in una mirabile Comunità d’intenti, aperta ad ogni contributo costruttivo, mi ha in vario modo ispirato, guidato e sostenuto, con rigore professionale e tratto umano indimenticabili e, soprattutto, con amore e speranza nel valore intramontabile e nell’evoluzione continua di tale materia, nel tempo sempre più interdisciplinare. Né posso infine dimenticare che questa Comunità ha reso vivo nel quotidiano lo spirito di alcune considerazioni, a lungo maturate e poi riflesse nella concisa versione latina adottata, che ho proposto ai predetti a saluto ed auspicio in occasione dell’uscita dal mondo del lavoro e che, con pari sollecitudine, rinnovo a prologo del presente contributo.


Securitas et salus.
Sui assidua cura modus,
Maxime sine cura causa;
Verum, auxilium, respectum
Securitas exigit.

Salus in opere praecipue
Omnium bona et
Necessaria eorum progressus
Condicio fit.
2

1) Princìpi ispiratori
La situazione della salute e della sicurezza nel lavoro (in avanti per brevità, SSL
3) in Italia risente ancora purtroppo di alcuni condizionamenti socio-economici di natura storica e di rigidità di tipo giuridico-amministrativo, oggi non più in linea con i mutamenti repentini del mondo del lavoro ed anche con le annesse esigenze di maggiore semplificazione e snellimento delle organizzazioni lavorative. In altri termini, l’odierna configurazione dell’area SSL non può più limitarsi ad una serie seppur ingente di accorgimenti tecnico-organizzativi atti a scongiurare i rischi di infortunio e malattia per i lavoratori, predisposti una tantum ed unilateralmente dal DL. Essa è invece chiamata a seguire specifici processi di gestione, analoghi e paralleli a quelli propriamente commerciali, già sviluppati e consolidati, con altrettanti e variegati soggetti coinvolti, al pari di quelli non concludentisi mai in risultati definitivi e caratterizzantisi invece per la continua evoluzione in dipendenza delle mutevoli e non sempre agevolmente interpretabili condizioni effettive di lavoro e di annesso rischio, troppo spesso poste in essere anche per aggirare gli impegnativi obblighi di sicurezza4.
Di tali condizionamenti, una parte sono di natura coercitiva/amministrativa ed altra parte di natura impeditiva od almeno dissuasiva.
Tra i primi, si annoverano:
1) l’eccessiva proliferazione dell’attività documentale/formale rispetto alle esigenze di sostanzialità/efficienza nella gestione della SSL
5;
2) l’ottemperanza alle norme indotta principalmente dal timore per le sanzioni, soprattutto penali e, più recentemente, per quelle conseguenti alla responsabilità amministrativa degli enti, le prime anche qualora mitigate dal regime delle prescrizioni, tutte comunque generalmente inadeguate per qualità e quantità rispetto alla realtà delle infrazioni e quindi di fatto più funzionali ad una regolarità diffusa di tipo formale che ad efficacia ed aperta condivisione interna dei singoli sistemi di SSL adottati dalle imprese
6;
3) il regime dei controlli pubblici, già largamente sottodimensionato ed impotente in una realtà economica caratterizzata ancora a lungo termine dalla presenza di piccole-medie imprese, ma anche ostacolato dai processi di terziarizzazione e delocalizzazione delle grandi imprese, con annesse ristrutturazioni legate principalmente alla maggiore competitività sui mercati, e mirato quindi quasi esclusivamente alla regolarizzazione delle infrazioni di natura penale/amministrativa e solo residualmente all’attività di consulenza ed all’affiancamento di carattere prevenzionistico e qualificato alle imprese
7.
Tra i secondi, si registrano:
1) la proliferazione di normative, spesso mal coordinate e comunque provenienti da fonti eterogenee, la cui osservanza viene spesso vanificata o dalla poca chiarezza dei precetti o dai diversi, contraddittori e spesso sovrapponentisi livelli di sanzionamento
8;
2) l’assenza di una cultura realmente diffusa della SSL, già dalla scuola dell’obbligo, e la conseguente subalternità della sicurezza rispetto agli obiettivi economici d’impresa, in quanto generalmente, anche se non dichiaratamente, vissuta come onerosa, farraginosa e priva di riscontro funzionale e promozionale rispetto ai cambiamenti sempre più incalzanti del mondo del lavoro
9;
3) la constatazione della ridondanza e soprattutto sostanziale scarsa utilità, rispetto alla salvaguardia del DL dal regime sanzionatorio di settore, della presenza delle tante figure previste dal TU, soprattutto sul versante consulenziale
10.
In base alle predette considerazioni, si possono già enucleare alcuni princìpi/orientamenti di maggiore coerenza con gli scopi imprescindibili dell’area SSL, ovvero:
a) necessarietà e doverosità dei compiti di SSL per ragioni di tipo morale, sociale, economico e di natura giuridica interna ed internazionale;
b) erroneità, inopportunità od almeno ragionevole perplessità circa la eccessiva devoluzione al solo DL dell’onere complessivo della SSL, soprattutto in contesti caratterizzati da rilevanti e continue evoluzioni scientifiche, tecnologiche ed organizzative, come ormai generalizzato in tutti i settori produttivi;
c) virtuosità, od almeno opportunità, di alleviare l’attività d’impresa, soprattutto qualora sostanzialmente regolare ed improntata alla buona fede dell’imprenditore, attraverso un regime condiviso di sostenimento dell’onere della SSL che, nel contempo, garantisca due importanti risultati:
1) migliore efficacia derivante dalla reale e mirata partecipazione di tutti, nelle rispettive attribuzioni e funzioni, con particolare riferimento alla linea consulenziale del DL;
2) salute e sicurezza più diffuse nell’impresa e quindi di riflesso nella società.
Da qui dunque, gli assunti applicativi per una possibile riforma, ci appaiono i seguenti:
1) il DL dovrebbe poter optare per una più ampia devoluzione dell’onere della SSL in base a rigorose, adeguate e specifiche garanzie di tipo professionale, gestionale, finanziario ed assicurativo;
2) i soggetti destinatari della devoluzione, in base alle garanzie predette, dovrebbero in conseguenza decidere liberamente ed espressamente di accettare l’assunzione dei relativi obblighi nella piena consapevolezza di assumerne le responsabilità connesse;
3) qualora il DL non intenda percorrere la soluzione maggiormente liberatoria, potrebbe tuttavia ricorrere ad un regime intermedio che consenta una parziale devoluzione dell’onere della SSL, più coerente con le caratteristiche e le necessità dell’impresa e quindi anche di tutela per lo stesso;
4) la soluzione residuale permarrebbe pur sempre quella prevista dall’attuale assetto di SSL disciplinato dal TU, ovvero la delega ex art. 16, opportunamente integrata, come oltre si esporrà
11.
Affrontiamo ora le prime due questioni connesse alla vigente contrarietà del sistema giuridico rispetto alla devolvibilità generale dei compiti e delle relative responsabilità nella materia in oggetto in capo al DL ed al connesso divieto di reformatio in pejus delle condizioni di SSL nei confronti dei lavoratori.
Sul primo punto, i vincoli attuali derivano dall’art. 17 del TU in tema di indelegabilità dei due compiti, penalmente sanzionati in capo al solo DL, relativi alla VR (e successiva sottoscrizione del DVR) ed alla designazione del RSPP
12, e dall’art. 5, par. 2 della DQ, in tema di permanenza delle responsabilità del DL (senza per altro indicazione di genere e specie) anche in caso di ricorso a servizi o persone esterne all’impresa13.
Nello specifico, la indelegabilità penale parziale, in assenza di indicazioni al riguardo nella legge delega n. 123/2007, rappresenta una scelta operata dal legislatore italiano in sede di redazione del TU, mentre la DQ, a sua volta, sanciva soltanto la predetta permanenza delle responsabilità o, rectius, la non liberazione dalle proprie responsabilità per il DL in materia. La delegabilità parziale, in ossequio ai princìpi generali del nostro ordinamento, ha dunque attuato una prima importante deroga al principio comunitario del divieto di esonero per il DL, naturalmente a ben precise condizioni legali, in assenza delle quali si ricade nel predetto divieto
14. Allo stato, tuttavia, non sussisterebbe vincolo giuridico in caso di scelta legislativa nazionale per la delegabilità penale totale, qualora sancita da altrettanto ben precise condizioni, se si vuole ancor più mirate delle attuali, che comportino comunque la permanenza di responsabilità compensative e parallele in capo al DL, con una articolazione tuttavia più consona ad efficienza e funzionalità nella ripartizione delle stesse15.
Ciò vale a fortiori anche sotto il secondo profilo che ammette esplicitamente la reformatio in melius del sistema adottato, in base all’art. 1, par. 3 della DQ
16. Qui infatti è del tutto evidente che la sicurezza e la salute dei lavoratori durante il lavoro rappresentino un valore assoluto che il legislatore europeo ha sancito nella direttiva, anche a costo del superamento di altri principi comunitari, qualora le modalità di attuazione tempo per tempo adottate possano in concreto meglio conseguire quel risultato. Potremmo concludere affermando che, nella presente materia, il meglio è legalmente compatibile con un sistema anche parzialmente difforme da quello della DQ, purchè più efficace rispetto al risultato.
In ultimo poi, è altrettanto evidente, in base all’esperienza giudiziaria italiana, che gli strumenti del diritto penale tradizionale appaiono residuali e comunque inadeguati al dovere della prevenzione e della protezione che permea l’ordinamento nazionale e comunitario in materia, mentre quelli del diritto civile (commerciale e del lavoro), amministrativo e, ultimamente e soprattutto, della responsabilità amministrativa degli enti, qualora debitamente adeguati alle nuove frontiere del mondo del lavoro, potrebbero fornire un contributo maggiormente funzionale rispetto a tale ordinamento
17.

2) Il datore di lavoro in materia di salute e sicurezza – Possibile ridefinizione del soggetto obbligato e, in specie, possibile nuova articolazione dei compiti in situazioni di compresenza di più datori di lavoro nello stesso ambiente o contesto di lavoro, tra i quali i lavoratori autonomi o ad essi equiparabili ed i volontari
La figura del DL in materia di SSL ha già una sua importante definizione a seguito della emanazione della DQ e del TU di attuazione nel nostro ordinamento
18. Ciò non impedisce tuttavia che, sia nelle realtà più complesse sia in quelle minori, le attività di impresa si evolvano in continuazione rendendo spesso incerta, e talvolta foriera di esiti sorprendenti la sua corretta individuazione19.
L’intento del presente contributo è dunque mirato, per un verso, ad una più articolata definizione di tale soggetto e, per altro verso, ad una razionalizzazione in senso estensivo dei suoi rapporti con la linea consultiva, di cui ci occuperemo nei paragrafi successivi. Il tutto, come si è anticipato, per far fronte in modo più esplicito, garantista e soprattutto funzionale ai gravosi compiti che comunque competono al DL, in base ai princìpi generali dell’ordinamento.
In merito al primo approfondimento, il DL:

 

a) nella configurazione di base attualmente vigente, mantiene su di sé tutte le funzioni attinenti a SSL, assumendone le relative responsabilità civili, penali ed amministrative;

b) lo stesso inoltre, già nella configurazione predetta, può delegare parte ingente delle funzioni e connesse responsabilità ad un terzo soggetto, delegato del datore di lavoro per la salute e la sicurezza nel lavoro (DDL), fatta come noto eccezione per due escluse dall’art. 17 del TU (valutazione dei rischi e nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione). Qui allora, l’ulteriore evoluzione della figura potrebbe utilmente estendersi a quella sola parte del dovere di valutazione dei rischi relativa alla gestione ordinaria dei compiti di SSL
20, con attuazione quindi di un regime binario che preveda l’esonero di responsabilità del datore di lavoro delegante per la parte suddetta e la sua permanente responsabilità invece (in relazione alla valutazione dei rischi ed eventualmente all’attuazione delle relative misure non coperte dalla delega) per le parti concernenti la gestione straordinaria o comunque eccedente appunto i poteri di intervento del datore di lavoro delegato, in questi casi denominabile delegato speciale del datore di lavoro per la salute e la sicurezza nel lavoro (DSDL);

c) la figura in oggetto potrebbe infine, per garantirne una migliore funzionalità soprattutto ma non esclusivamente nelle realtà medio-grandi, articolarsi in due soggetti dei quali uno esclusivamente, o comunque specificamente, mirato alla gestione della SSL e l’altro alla gestione commerciale dell’impresa, autonomi nelle rispettive attribuzioni ed interagenti nelle reciproche prerogative.
In questi casi, non si tratterebbe più di delegare ex post una parte di funzioni ad un soggetto della linea aziendale, o comunque subordinato alla gestione commerciale, bensì di individuare, ab initio, un soggetto posto in parallelo a quest’ultima e portatore di un originario potere-dovere di gestione dei compiti di SSL, con attribuzioni, soprattutto di natura economica e gestionale, immodificabili in pejus dall’amministrazione commerciale, se non a pena di vanificarne il ruolo autonomo e perdere l’esonero da responsabilità per quest’ultima.
Tale nuovo soggetto (persona fisica ma, se opportuno, anche giuridica), che qui si indica con la denominazione di datore di lavoro speciale per la salute e la sicurezza nel lavoro (DLS), e che potrebbe comunque estendere le proprie competenze agli adempimenti ambientali, di responsabilità sociale dell’impresa, ecc., dovrebbe essere munito, oltrechè della legale rappresentanza ad acta, di tutti i poteri gestionali e finanziari destinati alla conduzione delle attività di SSL in azienda, la cui dotazione verrebbe garantita da apposita e puntuale deliberazione dell’ente, su sua richiesta a seguito della valutazione dei rischi e della piena ricognizione delle misure da adottare. La conforme delibera dell’ente comporterebbe per il soggetto in esame una piena autonomia nell’esercizio dei poteri-doveri predetti ed altresì un potere di veto sulla gestione commerciale ordinaria, qualora la stessa ne possa pregiudicare la corretta attuazione o ridurre/impedire le relative facoltà di spesa. L’esercizio del potere di veto ed il suo respingimento formalizzato o di fatto, farebbero decadere la sua carica con riassunzione di responsabilità per la legale rappresentanza ordinaria.
Qualora poi tali poteri, soprattutto finanziari, non risultassero sufficienti a garantire singole regolarizzazioni di sicurezza in situazioni straordinarie di necessità e/o urgenza, lo stesso ne acquisirebbe la relativa disponibilità immediata, con presa d’atto, anche ex post, da parte della direzione commerciale aziendale e, anche in questo caso, l’eventuale respingimento formalizzato o di fatto produrrebbe gli stessi effetti caducativi di cui sopra.

 

In parallelo e sempre in merito al primo approfondimento, occorre affrontare la delicata questione della compresenza di più datori di lavoro, anche del tutto eterogenei per attività e dimensioni aziendali, in ambienti o contesti di lavoro invece comuni. E’ la situazione più rischiogena nell’attuale fase economico-imprenditoriale e l’interesse a più riprese mostrato dal legislatore alle condizioni di salute e sicurezza nei contratti di appalto, subappalto ed assimilabili ne è la prova evidente21.
In questi casi, la DQ e poi il TU hanno previsto un dovere generale di collaborazione, coordinamento ed informazione tra i vari datori di lavoro interessati ai lavori concomitanti e, rispetto alla scelta operata dal nostro legislatore, l’impulso al coordinamento spetta al DL ospitante o, comunque, committente delle opere e dei servizi
22.
I problemi per SSL nascono in presenza di appalti c.d. “a cascata” tra imprese assuntrici del contratto iniziale (o contratto di servizio) ed imprese dalla prime incaricate per l’esecuzione di parti delle opere o dei servizi, soprattutto quando il numero di queste ultime sia rilevante in termini organizzativi e di coordinamento dei lavori, anche per l’intervento di più forme di subappalto e/o fornitura verticali.
Inoltre, altro fattore di rischio, più tipico del nostro sistema produttivo, è il ricorso a lavoratori autonomi o, comunque, a piccole imprese che, per loro natura, si rivelano di fatto più refrattarie alle azioni di coordinamento da parte della committenza e soprattutto poco sensibili ad una corretta valutazione dei rischi propri e da interferenza.
E tale fenomeno si evidenzia sia in presenza di cantieri temporanei o mobili
23, sia, più in generale, in presenza di affidamento all’esterno di altre opere o servizi.
Vanno dunque meglio presidiate sia l’organizzazione e la gestione dei lavori interni all’azienda ospitante, affidati ad imprese esterne, attraverso una più funzionale attribuzione delle posizioni di garanzia, sia le competenze in tema di SSL proprie dei lavoratori autonomi o equiparabili.
Il più recente concetto di “rischi da interferenza” e la relativa valutazione congiunta tra datori di lavoro diversi ma collegati dalle situazioni predette appaiono, a ben vedere, per un verso incerti se non addirittura riduttivi rispetto alla tutela da realizzare e per altro verso fuorvianti per eccesso di formalismo disancorato dalla realtà dei rapporti economici sottostanti
24.
La dicotomia tra rischi propri e rischi interferenziali e la ripartizione delle competenze tra datori di lavoro in relazione ai primi e la successiva condivisione delle competenze in relazione ai secondi cela un aspetto saliente e spesso drammatico per l’efficacia delle doverose azioni di prevenzione e protezione in presenza di più attività lavorative contestuali: il reciproco affidamento, spesso colpevolmente presunto o peggio soltanto formale, circa la completezza delle informazioni intercorrenti e rilevanti per il buon andamento delle condizioni di SSL nelle attività suddette
25.
Analogamente a quanto avviene nei cantieri temporanei o mobili, nei quali il legislatore ha sancito il principio del coordinamento tra committenza ed attività d’impresa coinvolte e l’impulso alle attività di coordinamento conseguenti in capo al committente che significativamente può già delegare in toto tale attività ad un responsabile dei lavori
26, anche nell’ambito extra-cantieristico ma pur sempre relativo ad attività contestuali, appaiono fondamentali e necessarie le cautele da assumere per tutelare le attività dei vari datori di lavoro e dei rispettivi lavoratori coinvolti ed anzi, trattandosi spesso di attività espletate da soggetti di estrazione e formazione alquanto variegate e comunque sovente non fisicamente separate o separabili, il principio della massima sicurezza risulta, a nostro avviso, meglio garantito dalla unificazione dei compiti di coordinamento e della susseguente gestione delle condizioni di SSL in tema di rischi interferenziali. In particolare, il passaggio ad una gestione ‘monocratica’ dei rischi predetti, la cui individuazione non può non essere il frutto di una doverosa collaborazione tra soggetti coinvolti, garantirebbe meglio l’efficienza del processo gestionale stesso con l’attribuzione inequivoca ad un unico soggetto, la perimetrazione dell’area di rischio definita normativamente e adattata concordemente tra i vari soggetti coinvolti alla specificità dei lavori appaltati, fin dall’inizio degli stessi27, e, non ultimo, garantirebbe meglio anche l’efficacia dell’azione dell’obbligato principale, in quanto garante e responsabile delle relative condizioni di SSL.
Passando dai princìpi alle prassi, ciò comporterebbe:
1) coordinamento unificato e concertato tra DL committente e DL primo (in presenza di subappaltatori dello stesso) od esclusivo appaltatore, con attribuzione dei compiti di SSL per i soli rischi da interferenze e dei relativi poteri gestionali e di spesa a soggetto prescelto dai predetti (uno dei datori di lavoro interessati, soggetto interno/esterno delegato dagli stessi, ivi compresi i responsabili dei servizi di prevenzione e protezione interessati dai lavori
28). In caso di mancato accordo o di silenzio sulla scelta, l’attribuzione potrebbe avvenire ex lege al DL primo od esclusivo appaltatore, al quale dunque gli altri datori di lavoro (committente e subappaltatori) dovrebbero conferire egualmente le complete informazioni per redigere il DUVRI, i poteri gestionali e di spesa per le condizioni di SSL durante i lavori appaltati ed ogni altro potere-dovere necessario allo svolgimento in sicurezza degli stessi29;


2) dal predetto coordinamento deriverebbe la nuova figura del datore di lavoro coordinatore unico per la sicurezza dai rischi interferenziali nei lavori in singolo appalto ed eventuali subappalti (DLURI1), il quale, sia prescelto sia attribuito ex lege, come sopra indicato, rivestirebbe il ruolo di garante per SSL in relazione a tutti i lavoratori interessati dai lavori appaltati, con esclusione dei rischi propri degli stessi che permarrebbero in capo ai rispettivi datori di lavoro. Ogni inadempimento del soggetto suddetto, ogni ingerenza indebita con il suo operato ed ogni omissione di collaborazione doverosa (gestionali e/o finanziarie) da parte degli altri datori di lavoro comporterebbero, su intervento diretto dell’organo di vigilanza pubblico ovvero su istanza di chiunque vi abbia interesse, l’irrogazione di specifica prescrizione e la eventuale comminatoria di adeguate sanzioni penali e/o amministrative in capo al datore di lavoro inadempiente;

3) coordinamento unificato e concertato tra DL committente e datori di lavoro appaltatori di più opere e/o servizi concomitanti per ubicazione e/o organizzazione, anche contrattualmente separati, ivi compresi eventuali datori di lavoro subappaltatori, con attribuzione dei compiti di SSL per rischi da interferenze e dei relativi poteri gestionali e di spesa a soggetto prescelto dai predetti (anche in questo caso, uno dei datori di lavoro, soggetto interno/esterno delegato dagli stessi, ivi compresi i responsabili dei servizi di prevenzione e protezione interessati dai lavori). In caso di mancato accordo o di silenzio sulla scelta, l’attribuzione potrebbe avvenire ex lege al DL committente, o committente principale in presenza di più committenti, al quale dunque gli altri datori di lavoro dovrebbero egualmente conferire le complete informazioni per redigere il DUVRI, i poteri gestionali e di spesa per SSL durante i lavori appaltati ed ogni altro potere-dovere necessario allo svolgimento in sicurezza degli stessi
30;

4) dal predetto coordinamento deriverebbe la nuova figura del datore di lavoro coordinatore unico per la sicurezza da tutti i rischi interferenziali in presenza di più attività contestuali gestite da più datori di lavoro e lavoratori autonomi (DLURI2), attribuibile ex lege al DL committente, ovvero liberamente concertato dai datori di lavoro committenti, appaltatori, subappaltatori o soltanto presenti negli ambienti interessati dai lavori in oggetto ed altresì partecipi o semplicemente esposti ai rischi interferenziali da questi derivanti. Il DLURI2 rivestirebbe dunque il ruolo di garante per SSL in relazione a tutti i lavoratori interessati dai lavori appaltati e subappaltati, con esclusione dei rischi propri degli stessi che permarrebbero in capo ai rispettivi datori di lavoro. Ogni inadempimento del soggetto suddetto, ogni ingerenza indebita con il suo operato ed ogni omissione di collaborazione doverosa (gestionali e/o finanziarie) da parte degli altri datori di lavoro comporterebbero, su intervento diretto dell’organo di vigilanza pubblico ovvero su istanza di chiunque vi abbia interesse, l’irrogazione di specifica prescrizione e la eventuale comminatoria di adeguate sanzioni penali e/o amministrative in capo al datore di lavoro inadempiente;

5) partecipazione obbligatoria alla valutazione dei rischi da interferenze e redazione del DUVRI da parte di tutti i responsabili dei servizi di prevenzione e protezione coinvolti, ivi compresi quelli dei lavoratori autonomi, sia appaltatori, sia subappaltatori. In questi casi, i lavoratori autonomi potrebbero avvalersi di un uno o più RSPP ad acta che li rappresentino comunque congiuntamente
31;

6) in presenza di collaboratori volontari, retribuiti o non, assunzione della posizione di “lavoratore” ai fini della SSL per gli stessi e di “datore di lavoro” in capo alle imprese/organizzazioni di impiego/utilizzo
32;

7) estensione, specializzazione ed incentivazione del sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi con riferimento alla tutela della SSL, con la gradualità del caso ma con l’obiettivo di giungere tempestivamente ad un regime legale generale di possesso necessario dei requisiti di idoneità tecnico-professionale dei soggetti in questione
33.
 

Riassumendo, la nota saliente tra le riforme proposte in caso di affidamento di lavori all’interno dell’azienda del DL consiste, in primis, nella previsione legale di un apposito DL espressamente e specificamente dedicato alla valutazione ed alla gestione dei rischi interferenziali per SSL, con annessi compiti di coordinamento e collaborazione, prescelto od attribuito ex lege, ma sempre necessario e sostituibile soltanto attraverso un nuovo accordo tra datori di lavoro. La soluzione contempla poi anche opportunamente la possibilità di delegare in toto tale responsabilità a soggetto terzo, inclusi anche i responsabili dei servizi di prevenzione e protezione dei datori di lavoro coinvolti, con le prerogative di conferimento che in avanti si evidenzieranno34. La concentrazione dei compiti di SSL in capo a soggetti qualificati e la espressa e concreta disponibilità di risorse e funzioni gestionali per la sicurezza nei lavori di appalto e subappalto appaiono allo stato la forma di tutela più efficace, sostenuta appunto dal principio della univocità gestionale delle attività conseguenti al DUVRI e della relativa responsabilità. E tale assetto potrebbe anche configurarsi nel settore dei cantieri temporanei o mobili, dove già la committenza può avvalersi di delega e pure il coordinamento e la collaborazione sono istituzionalizzati ma dove continua a mancare la univocità della gestione della sicurezza per i rischi da interferenze.

3) Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi
Nell’ambito del TU, il RSPP emerge quale consulente principale del DL, soprattutto in tema di VR, ed a lui, soprattutto se dipendente dello stesso, competono guarentigie di natura sindacale
35. Naturalmente, in caso di conflitto di valutazioni e/o di interessi con il DL, la sua posizione può variare dall’accondiscendenza, formalizzata o non, con il suo dante causa, fino alla esplicita contrapposizione con lo stesso, con possibile revoca della designazione o dimissioni del designato.
Tale impostazione deriva dalla DQ, che ha riprodotto uno schema già in uso nei paesi del nord Europa (Francia, Gran Bretagna, Germania, Scandinavia), nei quali il ruolo in esame ha tuttavia sempre goduto di notevole rispetto formale e sostanziale da parte del sistema industriale, analogamente a quanto avveniva per la componente sindacale di rappresentanza dei lavoratori
36.
Inoltre, in quei contesti, anche per la diffusa assenza di responsabilità penali in materia prevenzionistica, si è indubbiamente agevolato il consolidamento di normali relazioni interne nelle attività aziendali, contribuendo al raggiungimento di buoni risultati sul fronte della sicurezza.
Nel contesto italiano, a parte l’introduzione di alcuni servizi di sicurezza lodevolmente strutturati nelle grandi aziende a più alto rischio, l’approccio consulenziale è stato pressochè inesistente nelle altre, numericamente rilevanti e soprattutto sotto il profilo della relativa rischiologia, non meno preoccupanti
37.
E’ forse giunto il momento per rivedere un ruolo ancora purtroppo non pienamente utilizzato e condiviso, calandolo in realtà più vicine alle nostre e, non ultimo, per valorizzarne maggiormente la presenza anche in relazione all’utilità pubblica svolta
38.
Le considerazioni preliminari ai princìpi riformatori muovono dalla constatazione che, già oggi, il RSPP è necessario nel sistema attuato dal TU (non importa se egli sia interno od esterno all’azienda, oppure se le relative funzioni vengano svolte dal DL in prima persona). Coerenza e funzionalità esigono comunque che il suo apporto trovi adeguato spazio e considerazione da parte del DL e ciò sia per la successiva attuazione delle misure di sicurezza a tutela dell’azienda, sia per l’interesse pubblico al mantenimento di condizioni di salute e sicurezza nel lavoro adeguate al rischio per i lavoratori.
Di qui, la prima riflessione coinvolge direttamente il RSPP. Se il suo apporto è infatti necessario, perché mai non dovrebbe sollevare dalle responsabilità connesse il DL che ne rispetti pienamente il ruolo e l’attività di consulenza specifica?
Ed ancora, se le competenze del RSPP sono adeguate al contesto aziendale di riferimento, perché mai lo stesso non potrebbe provvedere direttamente all’attuazione delle misure previste nel DVR, evitando così in primo luogo dilungamenti ed ostacoli operativi, nonché errori di interpretazione e di attuazione e quindi anche un possibile aggravio di costi per il DL?
Non si tratterebbe dunque di sovvertire le ragioni di un divieto che, nel primo caso, è anche frutto di una scelta dell’ordinamento sulla base della scarsa fiducia circa l’efficacia virtuosa dei trascorsi rapporti tra aziende ed operatori della sicurezza
39, oggi verosimilmente ed ampiamente superabile con gli opportuni interventi di riqualificazione ed aggiornamento dei rispettivi ruoli e che, non si dimentichi, andrebbe proprio ad attuare quel regime di sicurezza più tutelante per i lavoratori, in linea con i principi ispiratori della DQ, e che poi , nel secondo caso, non viene neppure esplicitato nello stesso ordinamento.
Occorre dunque ritornare al principio binario posto dall’art. 41 della nostra Costituzione per il quale, a fianco della libertà d’impresa, si pone il divieto, assoluto, di pregiudicare la sicurezza umana. E’ allora preferibile un sistema che unifichi diritto e divieto nello stesso soggetto il quale, in forza delle leggi economiche e d’impresa, sarà sempre più ed inevitabilmente attratto dal primo e restio al secondo, oppure un sistema che affianchi all’imprenditore un altro soggetto in grado di incanalare correttamente le legittime istanze private del primo nelle altrettanto legittime prerogative pubbliche della collettività cui entrambi pur appartengono, attraverso l’adozione del principio di collegialità effettiva e quindi più confacente con l’ordinamento nazionale, europeo ed internazionale a vario titolo comunque operanti
40?
Senza poi dimenticare che il principio di effettività che pervade la materia in questione appare maggiormente compromesso dalla attuale coesistenza di due soggetti (DL ed RSPP), dei quali il secondo non risponde dei reati prevenzionali ma soltanto, eventualmente e subordinatamente, di quelli comuni contro la persona (quindi post danno, con buona pace per la prevenzione), mentre il primo ne sopporta l’intero impatto, spesso materialmente (e, non di rado, incolpevolmente) all’insaputa della relativa entità e degli adeguamenti organizzativi necessari per un’efficace azione di regolarizzazione.
Per chi scrive non vi sono dubbi soverchi circa la preferibilità della soluzione proposta, seppur modulata in vari livelli di coesistenza dei due soggetti predetti, anche con riguardo alla relativa semplificazione dei processi decisionali e di coinvolgimento dell’attività d’impresa attuabile con la stessa. In primis, va considerato che il DL resta pur sempre l’artefice principale delle scelte in tema di SSL ma potrebbe, in forza di apposita legge di riforma, condividerne la relativa responsabilità con altro soggetto e, ricorrendone le rigorose condizioni proposte, fino ad escludere la propria.
Da tali considerazioni, si possono declinare i seguenti princìpi riformatori:


a) rafforzamento e maggiore qualificazione della figura attuale attraverso l’istituzione di un ampliato percorso di studi superiore/universitario, una peculiare diversificazione per settori produttivi, un esame di stato abilitante e ritarato sulle nuove e più ampie competenze e funzioni, un aggiornamento effettivo e costante, l’istituzione di un albo professionale, l’istituzione di un’assicurazione obbligatoria per la professione
41;

b) obbligatorietà della designazione in ogni unità produttiva, presso ogni DL, ivi compresi i lavoratori autonomi che ne beneficerebbero comunque, anche attraverso il regime dell’assegnazione automatica e sostenuta dallo Stato in caso di difetto
42;

c) ulteriore qualificazione dell’attività valutativa con possibilità di assunzione piena della responsabilità penale attraverso la delega del DL;

d) presunzione di regolarità per il DL (esclusa la colpa grave) in caso di delega piena al RSPP;

e) depenalizzazione della valutazione dei rischi
43;

f) il DVR dovrebbe contenere tutte le misure di sicurezza conseguenti alla valutazione dei rischi: quelle individuate, quelle attuate, quelle ancora da attuare con relativo calendario di attuazione ed indicazione delle misure provvisorie di contenimento dei rischi non ancora compiutamente presidiati;

g) sanzioni amministrative pecuniarie, interdittive o comunque limitative dell’esercizio delle rispettive funzioni, in caso di assenza/incompletezza/erroneità della valutazione dei rischi in capo, pro parte, al DL ed al RSPP;

h) nuova articolazione delle responsabilità del RSPP dipendenti dalla valutazione dei rischi:
1) piena ed esclusiva assunzione di responsabilità in presenza di delega completa e regolare, ovvero, pur in assenza di delega ma in presenza di completa attuazione delle misure di prevenzione e protezione regolarmente indicate nel DVR;
2) solidale e prevalente assunzione di responsabilità in assenza di delega ed in presenza di completa attuazione delle misure di prevenzione e protezione indicate nel DVR, qualora le stesse e/o la valutazione dei rischi si rivelino errate/insufficienti ed il DL non versi in colpa grave;
3) esonero da responsabilità in assenza di delega ed in caso di incompleta/erronea attuazione delle misure di prevenzione e protezione regolarmente indicate nel DVR.

4) Le deleghe
L’istituto della delega con valenza di esimente penale nella materia in oggetto è stato finalmente disciplinato in sede di redazione del TU ed inserito negli artt. 16 (Delega di funzioni) e 17 (Obblighi datore di lavoro non delegabili) del Titolo I (Princìpi comuni), Capo III (Gestione della prevenzione nei luoghi di lavoro), Sezione I (Misure di tutela e obblighi)
44. La straordinarietà della delega in oggetto è testimoniata dalla copiosissima giurisprudenza che ha preceduto ed ispirato la sua disciplina legale e consiste nel fatto che essa rappresenti quasi un unicum nel nostro ordinamento, a contrario, in forza delle due ipotesi di indelegabilità assoluta previste all’art. 17, ovvero la valutazione dei rischi, ivi compresa la redazione del documento omonimo, e la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
Nella nostra analisi ci soffermeremo tuttavia su due aspetti particolarmente critici e, a nostro giudizio, non adeguatamente e soprattutto funzionalmente elaborati in sede di vaglio redazionale dell’istituto in oggetto.
Si tratta di due condizioni fondamentali per la regolarità della delega: la indelegabilità della valutazione dei rischi e l’obbligo di vigilanza per il datore di lavoro delegante.
Il divieto di delega di cui all’art. 17 del TU ha tradotto nella nostra legislazione il dovere di sicurezza in capo al datore di lavoro, non evitabile con il ricorso a collaborazioni esterne, di cui all’art. 5, paragrafi 1, 2 e 3 della Direttiva 89/391/CEE del 12/6/1989 (c.d. direttiva quadro, qui DQ)
45. In verità, anche la giurisprudenza italiana formatasi nel corso degli anni precedenti al recepimento della suddetta direttiva, seppur riconoscendo l’istituto della delega nella materia in oggetto e comunque corredandolo di condizioni particolarmente rigorose, non si era mai spinta ad ammettere la contestuale e completa delegabilità delle responsabilità del datore di lavoro delegante. Ora però, pur restando nell’alveo di tali condizionamenti pre e post direttiva europea, ci pare di poter avvalorare un principio altrettanto evidente, in senso giuridico e soprattutto logico.
La responsabilità giuridica del datore di lavoro nella nostra materia (ordinamento nazionale ed europeo) si articola dal settore penale a quello civile ed oggi anche a quello della responsabilità amministrativa di enti ed associazioni. La responsabilità richiamata dall’art. 5, paragrafi 1, 2 e 3 della Direttiva sopra citata non distingue in tal senso la sanzionabilità ricollegabile al dovere di sicurezza ma consente ai vari stati europei la scelta più consona alle rispettive esigenze di tutela, ed anzi, all’art. 1, paragrafo 3 della stessa, viene sancito il criterio della salvaguardia delle disposizioni nazionali “più favorevoli alla protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro”. Ora non c’è dubbio che la maggiore “favorevolezza” alla protezione non possa dirsi esclusivamente dipendente dal livello di incisività coercitiva sulla persona fisica del DL e degli altri soggetti coinvolti nella violazione dell’ordinamento di SSL, come nel caso delle sanzioni penali, ma che invece comprenda più valutazioni di opportunità e soprattutto di perseguimento efficace degli obiettivi di salute e sicurezza nei confronti dei lavoratori
46.
Inoltre, non va dimenticato che la sanzione penale per i reati di natura preventiva od impeditiva del danno materiale ai lavoratori assume rilievo e collocazione alquanto differenti rispetto a quella per i reati di natura offensiva dell’integrità psico-fisica delle persone: i primi devono sì contrastare le negligenze, le imprudenze e le imperizie del datore di lavoro ma soprattutto non sottovalutare ed opportunamente promuovere le attività virtuose e prevenzionali dello stesso; i secondi, oltre alla funzione ovvia e più incisivamente dissuasiva rispetto ai comportamenti illeciti, devono anche impedire agli obbligati di versare in situazioni di soverchia ed obiettiva difficoltà di esercizio del dovere di sicurezza (quasi prossime alla responsabilità oggettiva, come spesso si avverte nel sentire comune tra i soggetti obbligati), situazioni infatti che caratterizzano sempre di più le attuali organizzazioni d’impresa, soprattutto di medio-grandi dimensioni, od almeno alleggerire la loro responsabilità in caso di comportamenti soltanto lievemente colposi. In siffatte realtà, in molte delle quali sempre di più la gestione delle posizioni di garanzia può efficacemente essere presidiata attraverso una migliore distribuzione degli incarichi, lo scopo del legislatore dovrebbe rivolgersi maggiormente al risultato sperato (nel nostro caso, la forte riduzione di infortuni e malattie professionali) e non già far prevalere la sanzione che comunque, per la sua stessa natura, non potrà mai recuperare alla società le risorse umane, professionali ed economiche colpite in concreto dagli eventi delittuosi ovvero, se anche potrà recuperarle in tutto od in parte, tale processo avverrà con grande dispendio di altre risorse economiche e, soprattutto, con gravi sofferenze umane
47.
Per tali ragioni si ritiene più convincente una statuizione che consenta ogni delega in tema di salute e sicurezza, ivi compresa la parte “nobile” della valutazione dei rischi, seppur alle condizioni ritenute più rigorose e certamente verificate in loco ma soprattutto che, oltre a sanzionare il delegato non in regola con competenze ed attribuzioni del caso (responsabilità penali per omissioni ed azioni penalmente rilevanti), sollevi da responsabilità il datore di lavoro/persona fisica delegante, qualora costui abbia agito regolarmente nel conferimento della delega e nei comportamenti successivi e l’impresa/persona giuridica, qualora ad essa non siano imputabili situazioni contrarie all’ordinamento di SSL e di settore commerciale di appartenenza. Le susseguenti questioni risarcitorie di natura civilistica e di accertamento della responsabilità amministrativa della persona giuridica possono essere affrontate con mirati correttivi alle rispettive norme e con l’introduzione di adeguate forme assicurative obbligatorie, quali, ad esempio, un’integrazione dei contributi INAIL più marcatamente riparametrata sulla situazione infortunistica d’impresa, sanzioni interdittive di durata progressiva in base alla gravità dei fatti connessi al rilascio della delega e pecuniarie aggravate in caso di mala gestio dei soggetti delegati, un’assicurazione della responsabilità civile obbligatoria per l’attività degli stessi, ecc.
Il secondo aspetto di criticità sollevato muove a sua volta dal principio sancito nella prima parte del comma 3 dell’art. 16 del TU, secondo il quale “La delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite”. Quale sia e come si esplichi tale obbligo non viene precisato ulteriormente, fatta eccezione per l’indicazione dei modelli di organizzazione e gestione richiamati nella seconda parte del comma predetto: “L’obbligo di cui al precedente periodo si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’art. 30, comma 4”. Non entrando nel merito dei sistemi di controllo richiamati dalla norma in esame, facenti capo alla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ed enti assimilati, di cui al d.lgs. 231/2001, in ragione della facoltatività dell’adozione di tali modelli, che a loro volta dovrebbero essere ulteriormente integrati nei confronti dei reati di omicidio colposo e di lesioni personali colpose gravi o gravissime commessi in violazione delle norme in materia di salute e sicurezza nel lavoro
48, qui ci limitiamo a riflettere sulla effettiva necessità e sulla consistenza dell’obbligo di vigilanza suddetto. Per un verso infatti è pacifico che un controllo troppo pedissequo ed analitico farebbe decadere la validità della delega, privando il delegato della necessaria autonomia, anche in termini di piena assunzione di responsabilità per il proprio operato. Per contro, un controllo sulle direttive principali dell’attività dello stesso, generale se non generico, assumerebbe un valore puramente ricognitivo e superficiale ma scarsamente incisivo in caso di situazioni non sufficientemente evidenziate ed invece suscettibili di carenza di presidio di sicurezza e salute nelle attività dell’azienda.
Per tali ragioni, l’obbligo di vigilanza andrebbe specificato ulteriormente distinguendo le due ulteriori situazioni di devoluzione delle responsabilità in tema di SSL da noi sopra prospettate (DSDL e DLS, oltre al già presente DDL)
49.
Nel primo caso, analogamente alla situazione del DDL, si tratterebbe pur sempre di una delega ordinaria, circoscritta alla sola gestione ordinaria della sicurezza, comportante eventualmente la valutazione dei rischi comunque limitata al suddetto ambito, nei cui confronti il controllo del delegante dovrebbe assumere veste di supervisione complessiva, la cui maggiore incisività o, al suo termine, un esito negativo comporterebbero la decadenza delle funzioni del DSDL. Al riguardo la delega ex art. 16 del TU potrebbe anche essere opportunamente integrata con l’indicazione della facoltà di delegare la valutazione dei rischi relativi alla gestione ordinaria della SSL, sostanzialmente dipendenti dal rispetto e dal controllo delle misure già adottate in seguito alla valutazione dei rischi generale, quest’ultima sempre in capo al DL delegante.
Nel secondo caso, si tratterebbe di una investitura straordinaria ed organica, comportante anche la completa valutazione dei rischi, con acquisizione per l’investito della qualità di datore di lavoro individuato per la SSL, senza vincoli di controllo da parte dell’ente, che qualora esercitati in senso riduttivo/impeditivo vanificherebbero l’investitura in oggetto, e quindi in posizione di supremazia, nel suddetto ambito, rispetto alla direzione aziendale.
In sintesi, la devoluzione dei compiti e delle relative responsabilità consentirebbe un’evoluzione in senso vieppiù liberatorio per il DL a far capo dalla delega attuale, per aggiungervi quella speciale (eventualmente comportante una parziale valutazione dei rischi) e fino all’individuazione dell’alter-ego del DL.
I benefici di tale articolazione riguarderebbero:


a) la migliore efficienza del presidio di SSL, direttamente gestito da uno o più soggetti appositamente incaricati e professionalmente qualificati;

b) la possibilità di devolvere la valutazione dei rischi a soggetto più qualificato connessa con l’esonero di responsabilità, totale o parziale, per la direzione commerciale;

c) la formalizzazione e la pubblicità legale dei poteri di spesa in capo ai predetti, con annessi limiti finanziari e modalità di gestione in eventuale esubero per i casi di necessità ed urgenza e con evidenza agevole ed ufficiale per i terzi interessati e per gli organi di vigilanza.

5) Il medico competente
La figura del MC ha registrato recentemente un’importante estensione delle sue prerogative con l’introduzione dell’obbligo per lo stesso di attuare la sorveglianza sanitaria non soltanto nei casi tassativamente previsti dal legislatore ma anche nei casi in cui lo stesso, in base a scienza e coscienza medica, sia personalmente convinto della sua utilità rispetto alla valutazione dei rischi lavorativi, alla popolazione lavorativa di competenza ed ai singoli casi dallo stesso esaminati, su iniziativa sua o su richiesta dei lavoratori stessi
50.
Fermo restando l’orizzonte sanitario delineato dai requisiti previsti nella DQ e nel TU di attuazione nel nostro ordinamento, non vi è dubbio che l’apertura della sorveglianza sanitaria in azienda alla valutazione professionale del MC, da una parte, ed il mutamento dei fattori di rischio lavorativo negli ultimi decenni dall’altra (l’invecchiamento della popolazione lavorativa, la sempre più consistente componente femminile, l’introduzione massiccia delle tecnologie informatiche, la rilevanza di fattori stressogeni nelle organizzazioni lavorative soprattutto nei paesi occidentali, la recente pandemia e le vecchie e nuove frontiere della medicina del lavoro tra rischi tradizionali e rischi emergenti in tutti i settori, ecc.) abbiano di fatto introdotto una nuova stagione della prevenzione sanitaria nel mondo del lavoro che, anche in dipendenza delle tante difficoltà sopravvenute, di ogni ordine, è ben lungi dall’essere adeguatamente presidiata
51.
In questa sede ci preme affrontare due aspetti particolarmente sensibili ai fini della nostra ipotesi di riconfigurazione: i rapporti tra MC e DL/RSPP, da una parte, quelli tra MC e lavoratori/SSN, dall’altra.
Sotto il primo profilo, la predetta estensione delle prerogative del MC ha finalmente attuato una opportuna parificazione tra le due principali figure consultive del DL, ovvero appunto il RSPP ed il MC, sottraendo quest’ultimo da una sorta di congelamento operativo che lo relegava ad una marginalità professionale prevalentemente finalizzata alla sorveglianza sanitaria e soltanto a quella codificata ex lege. Ora invece è lecito ipotizzare, nonostante una stesura legislativa non priva di contraddizioni, un maggior coinvolgimento di tale figura nella fase cruciale della valutazione dei rischi, con valenza soprattutto prevenzionale ma anche ed opportunamente propositiva e compensativa in sede di miglioramento delle condizioni organizzative e logistiche di lavoro.
La medicina del lavoro di supporto privatistico dovrebbe dunque assumere una veste più integrata nelle realtà lavorative, parallela a quella pubblica, quest’ultima comunque sempre presente nell’ordinamento a sostegno delle legittime situazioni di approfondimento e/o revisione su istanza dei datori di lavoro, dei lavoratori e degli organi di vigilanza. Essa sarà certamente in grado di fornire, con tempestività e competenza, un insostituibile apporto alla valutazione dei rischi, in generale, ed alle singole questioni sanitarie che sopravvengano all’interno di una popolazione lavorativa, sempre più auspicabilmente informata, formata e sensibile ai temi della SSL, in particolare.
Valutazione dei rischi per salute e sicurezza e sorveglianza sanitaria, nell’ottica qui auspicata, si compendiano in un unicum che, pur facendo capo al DL, impegna l’intera linea consultiva dello stesso e richiede coerenza ed efficacia nella individuazione conseguente delle misure di prevenzione e protezione: non può sussistere dunque alcuna valutazione dei rischi regolare che prescinda dalle conclusioni del MC in ordine alle evidenze della medicina del lavoro all’interno dell’azienda.
Né può poi dimenticarsi il ruolo della psicologia del lavoro che ha sofferto di una stagione particolarmente infelice per il settore in dipendenza delle tante crisi (economiche e sanitarie) sopravvenute alla sua comparsa nel TU in sede di valutazione del rischio stress lavoro-correlato. Anch’esso merita una decisa revisione che, oltre a ridefinirne il valore pregnante in tale valutazione, ne consenta una presenza più incisiva nei confronti delle nuove frontiere dei rischi lavorativi (si pensi, ad esempio, al “lavoro agile” o dal proprio domicilio sempre più diffuso ed in latente e costante conflitto con i diritti alla disconnessione, alla progressione delle nuove figure professionali a cavallo tra lavoro autonomo e dipendente, alla massiccia presenza di personale anziano e fragile in tutti i settori lavorativi, alla continua introduzione di nuove tecnologie spesso di difficile approccio ergonomico, ecc.)
52.
Anche i rapporti tra MC, lavoratori e Servizio Sanitario Nazionale assumono grande rilievo ai fini prevenzionali, in azienda e fuori. Il MC è infatti il soggetto potenzialmente più a conoscenza della situazione sanitaria del lavoratore e, qualora tale relazione sia impostata a maggiore facilità di accesso rispetto all’attuale, in grado di fungere da buon supporto all’attività di prevenzione e cura generali in capo al SSN, instaurando così un circuito virtuoso per la salute pubblica e per l’economia della collettività
53.
Per favorire tale processo occorrerebbero alcune condizioni, la cui realizzazione non appare oltremodo onerosa per le aziende e per lo Stato, mentre i benefici potrebbero costituire una importante risorsa per l’apparato sanitario generale, almeno a medio e lungo termine:
a) partecipazione obbligatoria del MC almeno ad ogni prima VR, in tutte le aziende;
b) parere vincolante del MC in ordine alla necessità ed estensione della sorveglianza sanitaria. In caso di contrasto con il DL e/o con il RSPP, sottoposizione del quesito all’organo di vigilanza competente su SSL;
c) ferma restando la preclusione della sorveglianza sanitaria per i casi vietati, facoltà per il lavoratore soggetto legittimamente alla stessa di optare per la unificazione nella figura del MC di quella del medico di base del SSN;
d) compensazione dei costi aziendali necessari per sostenere l’opzione precedente a carico del SSN e premialità fiscali e creditizie per le aziende promotrici in proprio di politiche sanitarie similari;
e) immissione nella cartella sanitaria elettronica del SSN dei giudizi di idoneità lavorativa e dell’attività diagnostica e valutativa del MC nei confronti dei lavoratori soggetti a sorveglianza sanitaria
54;
f) immissione nella cartella sanitaria elettronica del SSN dei giudizi di idoneità lavorativa e della relativa attività diagnostica e valutativa dei servizi di medicina del lavoro del SSN nei confronti dei lavoratori soggetti a sorveglianza sanitaria.

6) Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
La DQ e successivamente il TU hanno configurato il ruolo del RLS quale di diretto esponente degli interessi dei lavoratori in tema di SSL all’interno dell’azienda (o di un gruppo omogeneo di aziende), consulente necessario del DL (con annesso diritto ad informazione e formazione specifiche) e legittimato a richiedere l’intervento degli organi pubblici di vigilanza in caso di ritenuta violazione od incompleta osservanza delle norme in tema di SSL.
Mentre poi la DQ faceva riferimento ai lavoratori, ai loro rappresentanti ed ai rappresentanti dei lavoratori che avessero una funzione specifica in materia di protezione della sicurezza e della salute, la legislazione italiana, fin dal primo decreto legislativo di attuazione della DQ (n. 626/1994) ha optato per quelli muniti di funzione specifica, in prevalenza di estrazione sindacale
55.
In tale scelta si è dunque consumata in senso riduttivo la vicenda dei RLS, in quanto, per un verso, gli stessi sono stati circoscritti nell’ambito delle rappresentanze sindacali generali, con formazione principale di tipo giuslavoristico-sindacale ed habitus professionale più rivendicativo di istanze economico-remunerative che partecipativo di istanze prevenzionistiche ed organizzative in tema di SSL, e, per altro verso, la diffusione di una cultura della sicurezza nel mondo di lavoro è stata di fatto compressa dalla esclusione della generalità dei lavoratori, appunto non sindacalizzati.
Se a ciò si aggiungono una formazione di base e specialistica largamente insufficienti, attribuzioni organizzative e documentali altrettanto insufficienti ed il principio della copertura delle aziende prive di RLS interno con altro RLS territoriale o di sito produttivo, spesso sostanzialmente assenti o comunque insufficienti, si comprende come tale ruolo sia stato colpevolmente disatteso e gli assetti di SSL aziendali privati di uno strumento che avrebbe potuto diventare invece la chiave di volta di soluzioni efficaci e realmente condivise
56.
Inoltre, proprio il principio della copertura obbligatoria della funzione in caso di mancate elezioni o designazioni, avrebbe dovuto stimolare il sistema ad esigere dalla componente fondamentale dei lavoratori un contributo diretto e generale alla partecipazione a tale ruolo, analogamente a quanto ad esempio avvenuto in tema di gestione delle emergenze dove è stato introdotto il principio della obbligatorietà della partecipazione dei lavoratori stessi, trattandosi pur sempre finalmente di beni indisponibili e non negoziabili dalle parti (le condizioni di SSL in azienda).
Si è trattato dunque di una occasione mancata, cui sarebbe tuttavia ancora utile far seguire un opportuno e soprattutto più efficace nuovo indirizzo per una partecipazione più consapevole e diffusa dei lavoratori alle proprie condizioni di SSL.
In tale ottica, è altrettanto ipotizzabile conferire autorevolezza e legittimazione all’attività dei futuri rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, come sopra auspicato formati ed organizzati in senso più coerente con il ruolo di effettivi esponenti della componente lavorativa in tema di SSL, attraverso un riconoscimento qualificato della propria attività. Al riguardo, si potrebbe delineare una condizione di ulteriore attestazione della regolarità del DVR in caso di sottoscrizione per approvazione da parte del RLS, con o senza assunzione di responsabilità dirette per quest’ultimo. Tale atto potrebbe assumere rilievo ai fini della ulteriore regolarità dei sistemi di qualificazione per SSL delle imprese, delle agevolazioni fiscali e creditizie per le stesse, delle valutazioni degli organismi di vigilanza e, infine, del grado di colpa del DL sottoposto all’eventuale esame del giudice in sede contenziosa.
Sembra infatti maturo, anche nel nostro ordinamento, il passaggio ad una più efficace partecipazione dei lavoratori alle proprie condizioni di SSL, attraverso un percorso formativo di maggiore spessore ed in vista di un contributo essenziale, derivante dalla quotidiana esperienza nelle organizzazioni aziendali. Se dunque il lavoratore deve acquisire una soggettività anche su questi temi, cessando realmente di essere soltanto un oggetto di misure predisposte dal DL, anche la sua rappresentanza al tavolo della SSL deve essere parimenti qualificata, autorevole e sottratta alle contingenti politiche sindacali, trattandosi di materia di interesse comune in azienda e collettivo nella società. Non vi può essere contrapposizione di interessi ma soltanto distinzione dei ruoli in vista del miglior risultato di sistema: la salute e la sicurezza nel lavoro
57.
Nella prospettiva indicata, le rappresentanze sindacali del lavoro sono chiamate a fare un passo indietro, pur con la gradualità e gli accorgimenti opportuni, per consentire una reale diffusione della coscienza e della cultura di SSL tra tutti i lavoratori con diretta assunzione dei relativi compiti ma, contemporaneamente, un passo in avanti nelle proprie attività negoziali e di tutela delle condizioni economiche e normative dei lavoratori stessi in quanto sottratte ai compiti che non ammettono appunto contrapposizione di interessi o peggio compromessi sugli stessi. Resterebbe pur sempre a tali rappresentanze il ruolo di sostegno e rinforzo delle attività dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, su loro richiesta o di iniziativa, qualora condivise, ma sempre nel rispetto della distinzione dei ruoli.
Anche le guarentigie per l’attività di RLS (così come, a maggior ragione, quelle per l’attività del RSPP) dovrebbero essere riformulate in parallelo, considerando il ruolo svolto, non di interesse privato, ma di interesse generale e più assimilabile al servizio pubblico
58.

Epilogo
Il presente contributo non è esente da imprecisioni e da lacune che la complessità della materia, anche soltanto dal punto di vista giuridico, può indurre nei confronti di chi se ne occupi ed è quindi opportuno che quest’ultimo ne sia umilmente edotto e ne accolga ogni emendamento ed integrazione necessari.
Il sottoscritto ha invero mirato principalmente a consolidare il quadro normativo derivante dal recepimento della Direttiva CEE 89/391, unitamente alle tante benemerite fonti legislative, giurisprudenziali, dottrinali e di buone prassi precedenti e successive, nell’intento di rafforzarne lo spirito e soprattutto la migliore funzionalità ed efficacia e nella convinzione, lungo il tempo maturata, del suo profondo valore etico e sociale.
Va da sé che sia lo stato attuale della materia, sia l’approdo qui auspicato, dovranno confrontarsi con l’assetto delle relazioni politiche, sociali ed economiche che ne sosterranno l’evoluzione futura.
Due sole le constatazioni finali al riguardo:
1) a detta di tutti gli osservatori, professionali e non, così non si può più procedere, considerati i costi umani e sociali della mancata sicurezza, anche in relazione alla nuova ma fondamentale ed ormai evidente (grazie al progresso scientifico e tecnologico) frontiera della prevenzione da infortuni e malattie nel lavoro, ovvero il consolidamento di sistemi produttivi realmente ed ordinariamente compatibili con le migliori condizioni fisiche e psichiche per chi vi presti la propria opera, poiché oggi ciò è appunto possibile;
2) i vincoli posti da competitività ed efficienza per le imprese impegnate nei mercati attuali e futuri non consentiranno certamente alle stesse di affrontare e rimuovere da sole le cause dei costi predetti ma, forse prima di quanto oggi sembri ancora lontano, grazie all’impulso di istituzioni e persone “di buona volontà” (sempre più presenti in organismi pubblici nazionali ed internazionali, in tante attività private e nel volontariato), le stesse imprese potranno e dovranno adattarsi a nuovi assetti economici più equilibrati e rispettosi delle aspettative e dei diritti dei lavoratori e delle prerogative dell’ambiente. La svolta avverrà anche sotto la spinta sempre più pressante e generalizzata delle esigenze di sostenibilità delle risorse (tutte, a cominciare da quelle umane) e, finalmente, del sistema produttivo stesso.

Allo stato attuale, non esistono dunque alternative accettabili a percorsi virtuosi nella materia ma anche, oggi ne siamo consapevoli (seppur apparentemente spesso stupiti nelle ormai ennesime circostanze avverse ed ancora purtroppo incapaci di adottare adeguatamente tali possibili percorsi), in ogni altra relazione che coinvolga interessi generali della Comunità umana.
 

Pesaro, 27 maggio 2024

 Dott. V.M. Bocci


___

1 Laurea in giurisprudenza.
Addetto e successivamente responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro in primarie aziende di credito (dal 1989 al 2014).
Già collaboratore e docente in materia di salute e sicurezza sul lavoro presso la Fondazione Alma Mater e presso l’Università degli Studi di Bologna e cultore di diritto penale del lavoro presso l’Università degli Studi di Torino.
Membro del Comitato Tecnico-Scientifico del C.S.A.O. (Centro Sicurezza Applicata all’Organizzazione) in Torino.
2 Sicurezza e salute.
La costante attenzione all’incolumità delle persone è l’approccio,
l’eliminazione o la massima riduzione del rischio è lo scopo;
la sicurezza esige veridicità ed obiettività nell’esame delle situazioni di rischio,
collaborazione leale e rispetto fra tutti i soggetti interessati.
La salute nel lavoro, in specie,
rappresenta un patrimonio comune
ed una condizione necessaria
per il progresso di tutti.

3 Gli acronimi successivamente adottati per brevità saranno:

DL

(datore di lavoro);

DLS °

(datore di lavoro speciale per la salute e la sicurezza nel lavoro);

DDL

(delegato del datore di lavoro);

DSDL °

(delegato speciale del datore di lavoro);

DLURI1 °

(datore di lavoro coordinatore unico per la sicurezza dai rischi interferenziali nei lavori in singolo appalto ed eventuali subappalti);

DLURI2 °

(datore di lavoro coordinatore unico per la sicurezza da tutti i rischi interferenziali in presenza di più attività contestuali gestite da più datori di lavoro e lavoratori autonomi);

DQ

(Direttiva del Consiglio CEE 12/6/1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, c.d. “Direttiva Quadro”)

DUVRI

(documento unico di valutazione dei rischi da interferenze);

DVR

(documento di valutazione dei rischi);

MC

(medico competente);

RLS

(rappresentante dei lavoratori per la sicurezza);

RLST

(rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale)

RSPP

(responsabile del servizio di prevenzione e protezione);

SPP

(servizio di prevenzione e protezione dai rischi)

SSN

(L. 23/12/1978 n. 833, “Istituzione del servizio sanitario nazionale”);

TU

(D. lgs. 9 aprile 2008 n. 81, “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” e successive modificazioni ed integrazioni, c.d. “Testo Unico di salute e sicurezza sul lavoro”);

VR

(valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza nel lavoro).

Gli acronimi (e le relative definizioni) contrassegnati con asterisco, relativi a figure ipotizzate dallo scrivente, sono ovviamente semplici proposte liberamente trattabili, in funzione dell’approfondimento e della possibile riformulazione normativa, qui esposte al vaglio ed al confronto degli interessati.
4 Illuminanti al riguardo le considerazioni della Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati, istituita con deliberazione del Senato della Repubblica del 31/10/2019 e comunicata alla Presidenza il 7/10/2022: “La prima costante che si deve sottolineare riguarda il rapporto tra la ricerca del profitto con modalità, termini e proporzioni prevalenti sulla tutela della dignità, della salute e della sicurezza. … Le cause degli incidenti mortali e di quelli gravemente lesivi si devono rintracciare materialmente nella violazione delle normative in materia di sicurezza sul lavoro e specificamente nella trascuratezza della formazione quale prima forma di prevenzione culturale, della sorveglianza sanitaria e dell’obbligo di vigilanza all’interno dell’ambito lavorativo. … In breve, non si muore soltanto di cadute dall’alto o per schiacciamento o altre dinamiche ma anche per la cattiva organizzazione. (Senato della Repubblica, XVIII Legislatura, Doc. XXII-bis, n. 11, pp. 7-9).
5 Pur premettendo che “1. È consentito l’impiego di sistemi di elaborazione automatica dei dati per la memorizzazione di qualunque tipo di documentazione prevista dal presente decreto legislativo … 5. Tutta la documentazione rilevante in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro e tutela delle condizioni di lavoro può essere tenuta su unico supporto cartaceo o informatico” (TU, art. 53 - Tenuta della documentazione), va tuttavia considerato che la documentazione del settore resta comunque imponente e che la sua parziale facoltatività è del tutto relativa ai fini della tutela del DL, traducendosi invece sovente in un onere impegnativo e senza sostanziale più agevole alternativa, come nel caso dei modelli di organizzazione e gestione della SSL e delle deleghe del DL. Di seguito, ad esempio, una significativa elencazione:
1) DVR (documento di valutazione dei rischi per la salute e sicurezza sul lavoro, ai sensi degli artt. 28 e 29 del TU): obbligatorio per tutte le imprese pubbliche e private, di ogni dimensione, compresi i lavoratori autonomi, in presenza di lavoratori subordinati o ad essi equiparati ai sensi degli artt. 2 e 3 del TU (co.co.co, lavoratori distaccati, telelavoratori, lavoratori in regime di lavoro agile, in regime di somministrazione del lavoro, riders, volontari, tirocinanti formativi e di orientamento, allievi di scuole ed università, ecc.);
2) DUVRI (documento unico di valutazione dei rischi da interferenza, ai sensi dell’art. 26 del TU): in tutti i casi di lavori in appalto/subappalto, opera o somministrazione all’interno dell’azienda del datore di lavoro committente o nel contesto dell’organizzazione del lavoro dello stesso, purchè egli abbia la disponibilità giuridica dei luoghi di svolgimento dei lavori stessi;
3) C.C.I.A. (certificato di iscrizione alla camera di commercio, industria ed artigianato): unitamente alla autocertificazione dell’impresa appaltatrice dei lavori di cui sopra, deve essere prodotto ed attestato ai fini della verifica della idoneità tecnico professionale della stessa ad opera del datore di lavoro committente, sempre ai sensi dell’art. 26 del TU;
4) D.U.R.C. (documento unico di regolarità contributiva): deve essere richiesto dal committente dei lavori di cantiere temporaneo o mobile all’impresa affidataria e/o al lavoratore autonomo e trasmesso all’amministrazione pubblica concedente, ai sensi dell’art. 90 del TU;
5) Cantieri temporanei e mobili: a cura del committente, sia datore di lavoro sia non datore di lavoro, con coinvolgimento dell’impresa appaltatrice e/o del lavoratore autonomo appaltatore e dei rispettivi subappaltatori, a loro volta sia datori di lavoro sia non datori di lavoro, in presenza di cantieri temporanei o mobili, la relativa documentazione è obbligatoria ai sensi del tit. IV del TU: in particolare, il piano di sicurezza e di coordinamento (P.S.C.), il fascicolo con le caratteristiche dell’opera, il piano operativo di sicurezza (P.O.S.);
6) Verbale della riunione periodica (ai sensi dell’art. 35 del TU): indizione della riunione e relativa verbalizzazione obbligatorie per le imprese con più di 15 lavoratori;
7) Sistemi di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (S.G.S.L.) e/o Modelli di organizzazione e gestione (M.O.G.) della sicurezza (rispettivamente, ai sensi del d.lgs. 231/2001 e dell’art. 30 del TU): adozione e documentazione facoltative;
8) Deleghe, designazioni, nomine in tema di S.S.L.: facoltative/obbligatorie in relazione agli specifici adempimenti (ad es., la delega di funzioni del datore di lavoro è facoltativa, ai sensi dell’art. 16 d.lgs. del TU, mentre la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi, nei casi in cui è obbligatoria, ovvero ai sensi dell’art. 34 del TU, è altresì un atto indelegabile del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 17 del TU);
9) Informazione, formazione ed addestramento: documentazione obbligatoria per tutte le imprese di cui al num. 1), comprensiva dell’utilizzo in sicurezza degli strumenti di cui al num. 11);
10) Sorveglianza sanitaria e medico competente: documentazione obbligatoria se presente nel DVR in relazione a rischi che li richiedano (tipici/normati e non), compresi i giudizi di idoneità lavorativa per i lavoratori sottoposti;
11) Attrezzature, macchine, impianti: obbligatorie la certificazione di sicurezza e/o l’attestazione delle manutenzioni periodiche;
12) D.P.I. (dispositivi di protezione individuale): documentazione obbligatoria, compresa l’attestazione di avvenuta consegna, se presenti nel DVR in relazione a rischi che li richiedano (tipici/normati e non);
13) Gestione delle emergenze (da incendio, alluvione, terremoto, aggressioni esterne, ecc.): documentazione obbligatoria per tutte le imprese di cui al num. 1, con particolare riferimento a quella connessa con la prevenzione incendi, ai sensi dell’art. 46 del TU e decretazione ministeriale ivi richiamata);
14) Licenze, registri, autorizzazioni in tema di SSL (certificazioni di agibilità, usabilità, prevenzione incendi, lavoro in sotterraneo, lavoro notturno, registro infortuni, contestazioni di infrazioni ad opera dei servizi pubblici e relative regolarizzazioni, ecc.): obbligatori per tutte le imprese di cui al num. 1).
6 Responsabilità amministrativa degli enti che per altro “non ha avuto grande applicazione nei pur numerosi procedimenti giudiziari intrapresi. Le cause di tale scarsa applicazione sono da ricercare probabilmente nelle difficoltà investigative o nella resistenza da parte degli organi di indagine a intervenire con sanzioni pecuniarie o interdittive molto incisive (sic; n.d.r.)” (Senato della Repubblica, XVIII Legislatura, Doc. XXII-bis, n. 11, p. 11).
7 Anche il disegno di legge presentato in Senato nel 2016 recava, richiamando gli insegnamenti del prof. Marco Biagi, la necessità di un forte cambiamento di rotta nell’approccio alla sicurezza: “La sicurezza deve diventare un contenuto intrinseco della qualità totale dell’impresa, incoraggiato dalla primaria capacità consulenziale delle funzioni pubbliche e delle professioni esperte, e non un accessorio burocratico detestato perché subìto per il timore di sanzioni sproporzionate” (Senato della Repubblica, XVII Legislatura, DDL S. 2489, p. 4).
8 “Lo schema impiegato dal legislatore penale in materia di diritto del lavoro è quello della tecnica del “rinvio” o delle “clausole penali”. Ed infatti il precetto si presenta disgiunto dalla norma sanzionatoria, che – appunto – rinvia, per quanto concerne la descrizione della condotta, ad altra norma collocata altrove, dando luogo, talvolta, anche a più “rinvii a catena”. Le fattispecie previste costituiscono, il più delle volte, norme penali in bianco, il cui precetto è integrato da altre disposizioni extra-penali. Con la tecnica del “rinvio”, che talvolta difetta di precisione, di chiarezza e di determinatezza e che spesso rende complesso ed incerto il lavoro dell’interprete, il legislatore penale prevenzionistico ha voluto prevedere una massiccia rete di contravvenzioni poste a tutela di beni e di interessi di rilevanza costituzionale (come la vita, la salute e l’integrità fisica), così favorendo una politica criminale indirizzata alla prevenzione generale, al fine di dissuadere i singoli destinatari del precetto dall’attuare condotte lesive delle norme sul lavoro” (M.C. PARMIGGIANI, Trattato di diritto penale, diretto da A. Cadoppi, S. Canestrari, A. Manna, M. Papa; Legislazione penale speciale, Diritto penale del lavoro, §2 Le contravvenzioni in generale, 2015, p. 142). Resta sempre da valutare compiutamente se la proliferazione delle norme penalmente sanzionate, di rinvio e di integrazione, con i rispettivi margini di difficoltà interpretativa, configuranti reati propri e comuni, siano soltanto efficaci a dissuadere direttamente dalla perpetrazione di questi ultimi, oppure se si prestino obiettivamente anche, ed in quale misura, ad una sostanziale disapplicazione pur a fronte di formali attestazioni, in assenza di una politica di vigilanza pubblica più attenta e diffusa e, soprattutto, di collaborazione qualificata e preventiva alle imprese da parte degli stessi organi di vigilanza o di altri soggetti funzionalmente ed effettivamente autorevoli.
9Taluni operatori della formazione … spesso offrono alle aziende servizi formali, non effettivamente formativi, e questo svuota di significato l’obbligo formativo, a tutto svantaggio delle imprese sane, che invece sostengono importanti costi per una formazione permanente, seria ed efficiente. Pertanto, anche quella dei controlli sull’effettività della formazione … deve costituire una direttrice ispettiva fondamentale, per dare seguito all’applicazione di tutti gli altri obblighi conseguenziali in materia di sicurezza del lavoro” (Senato della Repubblica, XVIII Legislatura, Doc. XXII-bis cit., n. 11, p. 105).
10 Esemplare sotto il presente profilo la posizione di garanzia rivestita dal RSPP in ordine agli eventi dannosi nei confronti dei lavoratori che soggiace pur sempre al doveroso ed individuale vaglio dell’addebito colposo, occorrendo “dimostrare che l’omissione abbia avuto efficienza causale, cioè che un apporto qualificato avrebbe effettivamente potuto evitare l’evento. Si tratta di un’indagine che dovrà muovere dalla analitica considerazione di tutte le circostanze del fatto concreto” (R. BLAIOTTA, Diritto penale e sicurezza del lavoro, 2020, p. 60), ivi inclusa la presenza o l’assenza nella fattispecie dell’attività propulsiva del RSPP nei confronti del DL, come anche da Cass. Pen., Sez. IV, n. 48376/2015: “In tale prospettiva diventa rilevante non solo la condotta attiva del RSPP che abbia indotto in errore il datore di lavoro, con erronei consigli, ma anche quella omissiva e di inadempimento dei suoi obblighi, avendo egli poteri di iniziativa in ordine al rilievo dei rischi ed alla elaborazione dei sistemi di controllo. Il tutto si traduce spesso di fatto in produzioni documentali ‘patologiche’, ovvero formalmente complete ma sostanzialmente inattuate con il più o meno tacito assenso del RSPP od informali e riservate e pertanto di scarsa utilità e potenzialmente pregiudizievoli per entrambi i soggetti.
11 TU, art. 16 - Delega di funzioni.
“1. La delega di funzioni da parte del datore di lavoro, ove non espressamente esclusa, è ammessa con i seguenti limiti e condizioni:
a) che essa risulti da atto scritto recante data certa;
b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
d) che essa attribuisca al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate.
e) che la delega sia accettata dal delegato per iscritto.
2. Alla delega di cui al comma 1 deve essere data adeguata e tempestiva pubblicità.
3. La delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite. L’obbligo di cui al primo periodo si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’articolo 30, comma 4.
3-bis. Il soggetto delegato può, a sua volta, previa intesa con il datore di lavoro delegare specifiche funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro alle medesime condizioni di cui ai commi 1 e 2. La delega di funzioni di cui al primo periodo non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al delegante in ordine al corretto espletamento delle funzioni trasferite. Il soggetto al quale sia stata conferita la delega di cui al presente comma non può, a sua volta, delegare le funzioni delegate”.
Ultra, par. 4) Le deleghe.
12 TU, art. 17 - Obblighi del datore di lavoro non delegabili
“1. Il datore di lavoro non può delegare le seguenti attività:
a) la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall’articolo 28;
b) la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi”.

13 DQ, art. 5 – Disposizioni generali, par. 2
“Qualora un datore di lavoro ricorra, in applicazione dell’art. 7, paragrafo 3, a competenze (persone o servizi) esterne all’impresa e/o allo stabilimento, egli non è per questo liberato dalle proprie responsabilità in materia.”
DQ, art. 7 – Servizi di protezione e prevenzione, par. 3
“Se le competenze nell’impresa e/o nello stabilimento sono insufficienti per organizzare dette attività di protezione e prevenzione, il datore di lavoro deve fare ricorso a competenze (persone o servizi) esterne all’impresa e/o allo stabilimento”.
14 Per contro, il delegato “che ritenga di non essere stato posto in grado di svolgere le funzioni delegate – o, a maggior ragione, non si ritenga in grado di svolgere adeguatamente queste funzioni – deve chiedere al delegante di porlo in grado di svolgerle e, in caso di rifiuto o mancato adempimento, rifiutare il conferimento della delega” (Cass. Pen., Sez. IV, n. 48295/2008).
15 Non sussiste infatti contrarietà con il principio costituzionale della responsabilità personale per i reati (Cost., art. 27, primo comma) e con la doverosa permanenza della posizione di garanzia in capo al DL per le condizioni di SSL (in primis, Cost., art. 41, secondo comma e c.c., art. 2087) in caso di delega dello stesso ad altro soggetto che ne diverrà l’alter ego formale e/o sostanziale, qualora le condizioni poste dall’ordinamento siano costituzionalmente orientate e penalmente suffragate in primis dal rispetto del principio di effettività della devoluzione. Interessante al riguardo la equiparazione tra la delega in oggetto e quella organica delle persone giuridiche: “Certamente vale per la persona fisica quanto per quella giuridica, la possibilità di spostare un obbligo gravante sulla figura apicale alla quale il sistema dà il nome di datore di lavoro, e in effetti la delega nasce proprio nel territorio impersonale delle aziende o società come laboratorio di costruzioni fondative della responsabilità delle persone giuridiche, preconizzata nella materia lavoristica, e finalmente attuata ben oltre l’idea originaria del 2001. La complessità è, tuttavia, una caratteristica riferibile a tutte le organizzazioni lavorative, grandi o piccole, singole o collettive che siano, naturale dunque immaginare per tutti la possibilità di superare la logica della investitura formale e posizionare l’obbligo, e la relativa responsabilità, in capo ad un soggetto originariamente estraneo al piano delle competenze formali, e però meglio attrezzato ad adempire alla posizione di garanzia creata dalla norma. Resta semmai, il dubbio se tale delega sia una modalità di attuazione ovvero una novazione della posizione di garanzia, e sul punto continuano a registrarsi diversità di vedute, oltre che, naturalmente, diversità di conseguenze giuridiche: se, infatti, una semplice modalità, una ridistribuzione delle funzioni come forma di attuazione della garanzia, conserva, pur modificandola, la posizione originaria, viceversa una idea di trasferimento produce l’esonero dalla responsabilità originaria e la creazione di una nuova figura di soggetto responsabile. Semprechè, s’intende, via sia l’effettività del trasferimento, nel senso di effettivo esercizio delle prerogative funzionali, originariamente appartenenti al soggetto delegante (V.B. MUSCATIELLO, Trattato di diritto penale cit., §5 Delega di funzioni, pp. 75-76).
16 DQ, art. 1 – Oggetto, par. 3
“La presente direttiva non pregiudica le disposizioni nazionali e comunitarie, vigenti o future, che sono più favorevoli alla protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro”.
17 “La normativa penale italiana posta a tutela del lavoratore si inserisce in un ordinamento che sembra ancora ignorare la svolta epocale che la globalizzazione ha determinato nel sistema economico: nell’ambito di sistemi produttivi articolati attraverso nuovi schemi contrattuali e societari si assiste ad una parcellizzazione dell’iter decisionale che implica una opacità – deliberata – dei centri di imputazione della responsabilità. La frammentazione dei soggetti attivi del reato, attuata tramite contratti di outsourcing, di appalto di opera e di servizi, di sub-committenza, di somministrazione e l’esistenza di gruppi societari non agevolano, infatti, una corretta ascrizione della responsabilità penale. Attraverso gruppi societari e forme contrattuali complesse, come i contratti di rete, è possibile garantire l’immunità a chi di fatto utilizza il lavoro sfruttato, in quanto schermi giuridici dissimulano il coinvolgimento di chi effettivamente beneficia di situazioni di degrado lavorativo” (Senato della Repubblica, XVIII Legislatura, Doc. XXII-bis cit., n. 11, p. 67).
18 Rispettivamente, all’art. 3, Definizioni, ed all’art. 2, comma 1, lett. b). Di quest’ultimo si riferisce la parte iniziale, qui di maggiore interesse: “b) «datore di lavoro»: il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.
19 I dubbi persistono nonostante l’applicazione delle norme sulla rappresentanza legale delle persone giuridiche e del principio di effettività, di estrazione giurisprudenziale ed ora codificato nel TU all’art. 299, in quanto è sempre l’indagine giudiziale sulla fattispecie concreta ad evidenziare particolari situazioni di concorso, diversa articolazione dei compiti od esclusione di responsabilità. Al riguardo, alcuni interessanti pronunciamenti di carattere generale che necessitano tuttavia dell’esame di specie, a sua volta in grado di estendere, più frequentemente, ovvero ridurre, soprattutto nelle realtà più complesse, l’ambito dell’indagine: “Nei casi di imprese gestite da società di capitali gli obblighi relativi alla sicurezza gravano su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, non potendo, in ogni caso, essere trasferiti i poteri di controllo concernenti l’andamento della gestione” (Cass. Pen., Sez. IV, n. 22361/2015); “Una volta conferita la delega, l’obbligo di vigilanza sull’osservanza delle misure antinfortunistiche passa dall’intero consiglio di amministrazione al delegato” (Cass. Pen., Sez. III, n. 41996/2014); “Al fine dell’attribuzione della veste di datore di lavoro di fatto, è assolutamente irrilevante la circostanza che l’impresa non fosse iscritta nel registro delle imprese e il lavoratore infortunato lavorasse ‘in nero’, nonché la presenza di un rapporto gerarchico tra il garante di fatto e il soggetto garantito” (Cass. Pen., Sez. III, n. 4993/2014).
20 Alcuni esempi di valutazione dei rischi ordinari: rischi generali di natura infortunistica ed igienico-ambientale (da strutture, attrezzature ed ambienti di lavoro), manutenzioni ordinarie di impianti ed attrezzature di lavoro, aggiornamento della formazione e dell’informazione, ecc.
Alcuni esempi di valutazione dei rischi straordinari: rischi particolari di natura trasversale (da organizzazione del lavoro, stress lavoro-correlato, presenza di importanti ristrutturazioni interne con impatto su persone ed ambienti di lavoro), manutenzioni straordinarie di impianti ed attrezzature di lavoro, cantieri, ecc.
21 “La spasmodica ricerca di risparmio dei costi attuata spesso a svantaggio della sicurezza sul lavoro è attuata per lo più per il tramite di società cooperative “spurie” costituite ed estinte per la durata di un appalto o di un subappalto”. Sarebbe pertanto auspicabile, in analogia a quanto avvenuto per gli appalti pubblici con l. 108/2021, “l’introduzione dell’obbligo di parità del trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti del committente in assenza della quale il lavoratore dell’impresa appaltatrice si troverà sempre in una posizione di debolezza contrattuale rispetto a quello dell’impresa appaltante ovvero imponendo ai dipendenti dell’appaltatore la disciplina della contrattazione collettiva propria del committente … Infine il sistema delle tutele potrebbe avvantaggiarsi dalla previsione di un ampliamento della responsabilità solidale del committente, oggi confinata alle sole obbligazioni retributive, riferita alla scelta da parte del committente dell’appaltatore o subappaltatore” (Senato della Repubblica, XVIII Legislatura, Doc. XXII-bis cit., n. 11, pp. 33-34)”.
In tal senso il recente d.l. 2/3/2024 n. 19 “Ulteriori disposizioni per l’attivazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza”, convertito con modificazioni dalla l. 29 aprile 2024, n. 56, al cui art. 29, comma 2, si legge: “All'articolo 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sono apportate le seguenti modificazioni: a) dopo il comma 1 è inserito il seguente: "1-bis. Al personale impiegato nell'appalto di opere o servizi e nel subappalto spetta un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale stipulato dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicato nel settore e per la zona strettamente connessi con l'attività oggetto dell'appalto e del subappalto"; b) al comma 2, dopo il secondo periodo, e' aggiunto, in fine, il seguente: «Il presente comma si applica anche nelle ipotesi dell'utilizzatore che ricorra alla somministrazione di prestatori di lavoro nei casi di cui all'articolo 18, comma 2, nonché ai casi di appalto e di distacco di cui all'articolo 18, comma 5-bis.»”.
22 DQ, art. 6 – Obblighi generali dei datori di lavoro, par. 4
“Fatte salve le altre disposizioni della presente direttiva, quando in uno stesso luogo di lavoro sono presenti i lavoratori di più imprese, i datori di lavoro devono cooperare all’attuazione delle disposizioni relative alla sicurezza, all’igiene ed alla salute, e, tenuto conto della natura delle attività, coordinare i metodi di protezione e di prevenzione dei rischi professionali, informarsi reciprocamente circa questi rischi e informarne i propri lavoratori e/o i loro rappresentanti”.
TU, art. 26 - Obblighi connessi ai contratti d’appalto o d’opera o di somministrazione
“1. Il datore di lavoro, in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture all’impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all’interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’azienda medesima, sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto o la prestazione di lavoro autonomo:
a) verifica, con le modalità previste dal decreto di cui all’articolo 6, comma 8, lettera g), l’idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori, ai servizi e alle forniture da affidare in appalto o mediante contratto d’opera o di somministrazione. Fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui al periodo che precede, la verifica è eseguita attraverso le seguenti modalità:
1) acquisizione del certificato di iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato;
2) acquisizione dell’autocertificazione dell’impresa appaltatrice o dei lavoratori autonomi del possesso dei requisiti di idoneità tecnico professionale, ai sensi dell’articolo 47 del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 2000, n. 445;
b) fornisce agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività.
2. Nell’ipotesi di cui al comma 1, i datori di lavoro, ivi compresi i subappaltatori:
a) cooperano all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto;
b) coordinano gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva.
3. Il datore di lavoro committente promuove la cooperazione e il coordinamento di cui al comma 2, elaborando un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze…”.

23 TU, art. 89 - Definizioni
“1. Agli effetti delle disposizioni di cui al presente capo si intendono per:
a) cantiere temporaneo o mobile, di seguito denominato: “cantiere”: qualunque luogo in cui si effettuano lavori edili o di ingegneria civile il cui elenco è riportato nell’ALLEGATO X. …
ALLEGATO X
ELENCO DEI LAVORI EDILI O DI INGEGNERIA CIVILE di cui all’articolo 89, comma 1, lettera a)
1. I lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione, risanamento, ristrutturazione o equipaggiamento, la trasformazione, il rinnovamento o lo smantellamento di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura, in cemento armato, in metallo, in legno o in altri materiali, comprese le parti strutturali delle linee elettriche e le parti strutturali degli impianti elettrici, le opere stradali, ferroviarie, idrauliche, marittime, idroelettriche e, solo per la parte che comporta lavori edili o di ingegneria civile, le opere di bonifica, di sistemazione forestale e di sterro.
2. Sono, inoltre, lavori di costruzione edile o di ingegneria civile gli scavi, ed il montaggio e lo smontaggio di elementi prefabbricati utilizzati per la realizzazione di lavori edili o di ingegneria civile”.
24 “L’interpretazione del concetto di ‘interferenza’, da cui sorgono gli obblighi di coordinamento e cooperazione, come ricavabili dall’art. 26 al comma 2, lett. a) e b) e comma 3 del D.Lgs. n. 81/2008, con riferimento alla posizione del committente, ed al comma 2, lett. a) e b) stesso decreto, con riferimento alla posizione dell’appaltatore e del subappaltatore, non viene definita dal D.Lgs. n. 81/2008, ma una sua definizione normativa la si può rinvenire nella Determinazione n. 3/2008 dell’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che la intende come ‘circostanza in cui si verifica un contatto rischioso tra il personale del committente e quello dell’appaltatore o tra il personale di imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti’. Gli obblighi di cui al richiamato art. 26 presuppongono un rapporto di appalto ovvero di somministrazione, secondo le definizioni di tali tipologie contrattuali che si ricavano dalle norme civilistiche. Tuttavia, non possono esaurirsi in essi i rapporti a cui fa riferimento l’intero art. 26, posto che la ratio della norma è quella di tutelare i lavoratori appartenenti ad imprese diverse che si trovino ad interferire le une con le altre per lo svolgimento di determinate attività lavorative e nel medesimo luogo. … L’interferenza rilevante … deve essere necessariamente intesa in senso funzionale, ossia come interferenza non di soli lavoratori, ma come interferenza derivante dalla coesistenza in un medesimo contesto di più organizzazioni, ciascuna delle quali facente capo a soggetti diversi.” (Cass. Pen., Sez. IV, n. 44792/2015). Ciò evidenziato circa la più corretta e quindi più estesa interpretazione del concetto di “interferenza”, restano dubbi sul fino a dove debba spingersi il ruolo di garanzia del DL committente “allorchè l’appaltatore o i lavoratori autonomi non facciano fronte con l’accortezza necessaria ai loro compiti inerenti alla sicurezza. Sembra che tale intervento debba essere letto alla stregua del principio di ingerenza: chi si coinvolge nella sfera di gestione del rischio assegnata ad altri ne assume su di sé la responsabilità. … Occorre inferirne che un’ingerenza non effimera ed occasionale coinvolge il committente nelle responsabilità dirette dell’appaltatore. Lo stesso committente, dunque, nelle situazioni di constatata insicurezza delle lavorazioni dovrà piuttosto promuovere attivamente la discussione critica, da parte dei diversi garanti, della situazione esistente e l’adozione delle determinazioni conseguenti” (R. BLAIOTTA, Diritto penale e sicurezza del lavoro cit., p. 94). Una soluzione che tuttavia non soddisfa proprio in relazione alla sicurezza dei lavori contestuali in azienda, in quanto non chiarisce la corretta posizione del DL committente, con accresciuto rischio di coinvolgimento per il medesimo, né si occupa delle circostanze e dell’esito dell’”impasse” operativa conseguente tra i vari datori di lavoro, sempre ammesso e non concesso che la stessa si determini e non venga invece, più malcelatamente, accantonata per ragioni di superamento di tempistiche programmate e soprattutto di costi convenuti.
25Il responsabile della sicurezza, sia egli o meno l’imprenditore (DL, DDL, dirigente, n.d.r.), deve avere la cultura e la ‘forma mentis’ del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore ed ha perciò il preciso dovere non di limitarsi a assolvere normalmente il compito di informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria (sic, n.d.r.), che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria pressi di lavoro. Inoltre lo specifico onere di informazione e di assiduo controllo, se necessario nei confronti dei dipendenti dell’impresa, si impone a maggior ragione nei confronti di coloro che prestino lavoro alle dipendenze di altri e vengano per la prima volta a contatto con un ambiente e delle strutture a loro non familiari e che perciò possono riservare insidie non note” (Cass. Pen., Sez. IV, n. 1858/2015). “Il principio di affidamento non esonera l’affidante da responsabilità anche quando l’affidato sia responsabile per la sua condotta colposa, nel caso in cui l’affidante ponga in essere una condotta causalmente rilevante … Nel caso di specie, era doveroso il controllo in considerazione della particolare pericolosità del materiale trasportato e che lo stesso imputato (poi condannato per il delitto di lesioni personali colpose nei confronti di due lavoratori suoi dipendenti, noleggiatore di cisterne per materiali pericolosi che non aveva controllato le condizioni di restituzione di una cisterna successivamente esplosa durante operazioni di manutenzione ordinaria da parte dei due lavoratori predetti, n.d.r.) ha dato prova di scarsa preparazione tecnica e consapevolezza dei rischi” (Cass. Pen., Sez. IV, n. 18628/2010).

26 “Il D.Lgs. n. 494/1996 prima ed il T.U. in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81) ora, hanno effettuato e confermato una scelta di campo: il committente è stato infatti coinvolto pienamente nell’attuazione delle misure di sicurezza. Chiara la ratio: il legislatore, al fine di contenere il fenomeno degli infortuni sul lavoro nel campo degli appalti e costruzioni, ha optato per la responsabilizzazione del soggetto per conto del quale i lavori vengono eseguiti. Quanto precede si è tradotto nella previsione di tutta una serie di obblighi in capo al committente, cristallizzati nell’art. 90 del T.U. , che tra l’altro prevede la nomina (alla presenza delle ulteriori condizioni previste dalla legge) del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l’esecuzione nel caso della presenza di più imprese esecutrici; la verifica dell’idoneità tecnico-professionale delle imprese affidatarie ed esecutrici” (Cass. Pen., Sez. IV, n. 46991/2015).
“TU, art. 89 - Definizioni
1. Agli effetti delle disposizioni di cui al presente capo si intendono per:

b) committente: il soggetto per conto del quale l’intera opera viene realizzata, indipendentemente da eventuali frazionamenti della sua realizzazione. Nel caso di appalto di opera pubblica, il committente è il soggetto titolare del potere decisionale e di spesa relativo alla gestione dell’appalto;

c) responsabile dei lavori: soggetto che può essere incaricato dal committente per svolgere i compiti ad esso attribuiti dal presente decreto; nel campo di applicazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, il responsabile dei lavori è il responsabile del procedimento“.
“TU, art. 90 – Obblighi del committente o del responsabile dei lavori
1. Il committente o il responsabile dei lavori, nelle fasi di progettazione dell’opera, si attiene ai principi e alle misure generali di tutela di cui all’articolo 15, in particolare:
a) al momento delle scelte architettoniche, tecniche ed organizzative, onde pianificare i vari lavori o fasi di lavoro che si svolgeranno simultaneamente o successivamente;
b) all’atto della previsione della durata di realizzazione di questi vari lavori o fasi di lavoro. …
2. Il committente o il responsabile dei lavori, nella fase della progettazione dell’opera, prende in considerazione i documenti di cui all’articolo 91, comma 1, lettere a) e b).
3. Nei cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese esecutrici, anche non contemporanea, il committente, anche nei casi di coincidenza con l’impresa esecutrice, o il responsabile dei lavori, contestualmente all’affidamento dell’incarico di progettazione, designa il coordinatore per la progettazione.
4. Nei cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese esecutrici, anche non contemporanea, il committente o il responsabile dei lavori, prima dell’affidamento dei lavori, designa il coordinatore per l’esecuzione dei lavori, in possesso dei requisiti di cui all’articolo 98. …
7. Il committente o il responsabile dei lavori comunica alle imprese affidatarie, alle imprese esecutrici e ai lavoratori autonomi il nominativo del coordinatore per la progettazione e quello del coordinatore per l’esecuzione dei lavori. Tali nominativi sono indicati nel cartello di cantiere”.
“TU, art. 91 - Obblighi del coordinatore per la progettazione
1. Durante la progettazione dell’opera e comunque prima della richiesta di presentazione delle offerte, il coordinatore per la progettazione:
a) redige il piano di sicurezza e di coordinamento (PSC, n.d.r.) di cui all’articolo 100, comma 1, i cui contenuti sono dettagliatamente specificati nell’ALLEGATO XV;
b) predispone un fascicolo adattato alle caratteristiche dell’opera, i cui contenuti sono definiti all’ALLEGATO XVI, contenente le informazioni utili ai fini della prevenzione e della protezione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, tenendo conto delle specifiche norme di buona tecnica e dell’allegato II al documento UE 26 maggio 1993 …”.
“TU, art. 92 - Obblighi del coordinatore per l’esecuzione dei lavori

1. Durante la realizzazione dell’opera, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori:
a) verifica, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l’applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’articolo 100 ove previsto e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro;
b) verifica l’idoneità del piano operativo di sicurezza (POS, n.d.r.), da considerare come piano complementare di dettaglio del piano di sicurezza e coordinamento di cui all’articolo 100, assicurandone la coerenza con quest’ultimo, ove previsto, adegua il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’articolo 100, ove previsto, e il fascicolo di cui all’articolo 91, comma 1, lettera b), in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, valutando le proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere, verifica che le imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi piani operativi di sicurezza;
c) organizza tra i datori di lavoro, ivi compresi i lavoratori autonomi, la cooperazione ed il coordinamento delle attività nonché la loro reciproca informazione;
d) verifica l’attuazione di quanto previsto negli accordi tra le parti sociali al fine di realizzare il coordinamento tra i rappresentanti della sicurezza finalizzato al miglioramento della sicurezza in cantiere;
e) segnala al committente o al responsabile dei lavori, previa contestazione scritta alle imprese e ai lavoratori autonomi interessati, le inosservanze alle disposizioni degli articoli 94, 95, 96 e 97, comma 1, e alle prescrizioni del piano di cui all’articolo 100, ove previsto, e propone la sospensione dei lavori, l’allontanamento delle imprese o dei lavoratori autonomi dal cantiere, o la risoluzione del contratto. Nel caso in cui il committente o il responsabile dei lavori non adotti alcun provvedimento in merito alla segnalazione, senza fornire idonea motivazione, il coordinatore per l’esecuzione dà comunicazione dell’inadempienza alla Azienda Unità Sanitaria…”

27 Il richiamo potrebbe avvenire all’interno del TU, con o senza rinvio ad altro ordinamento subordinato di estrazione più tecnico-scientifica. Ad esempio, una elencazione generale potrebbe comprendere:
- rischi per la sicurezza connessi con la non possibile completa separazione fisica delle varie lavorazioni a rischio specifico e proprio di singole attività;
- rischi per la salute connessi con la presenza di condizioni igienico-sanitarie da presidiare adeguatamente anche nei confronti di lavoratori o comunque persone presenti non esposti a rischio specifico;
- rischi di natura organizzativa connessi con la compresenza di lavoratori di più imprese addetti a fasi contestuali o successive di lavorazione e con presenza di macchinari, strumentazioni e sostanze potenzialmente pericolose in aree di comune passaggio o disponibilità;
- rischi derivanti da inadeguata informazione e formazione dei lavoratori circa la presenza dei rischi specifici da interferenza;
- rischi derivanti da difetto di adeguato presidio di vigilanza in locali od operazioni esposti a rischio specifico da interferenza non diversamente gestibile;
- rischi derivanti da difetto di sorveglianza sanitaria, in presenza di lavorazioni di imprese soggette a tale obbligo, da parte di imprese invece non normalmente soggette allo stesso;
- ecc.
28 Ultra, par. 3) Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi.
29 La ragione della individuazione legale del DL primo appaltatore, che tuttavia potrebbe pur sempre essere modificata concordemente dalle parti interessate, risiede nella opportunità di investire tale soggetto di maggiore professionalità ed attenzione alla sicurezza dei lavori svolti presso altri datori di lavoro, contribuendo così alla sua evoluzione e qualificazione, tenendo altresì conto che in tale prospettiva i rischi da interferenze graverebbero esclusivamente sul medesimo e che pertanto il conferimento dei relativi poteri decisionali e di spesa da parte degli altri datori di lavoro dovrebbe costituire oggetto di formalizzazione in ordine alle modalità, entità e materiale disponibilità ex ante rispetto ai lavori interessati, unitamente al DUVRI. In caso di permanenza della responsabilità sul DL committente, nonché, a maggior ragione sui datori di lavoro subappaltatori, non verrebbe comunque meno la forte spinta ad una gestione maggiormente professionale dei rischi in questione, in virtù della unificazione della stessa e della disponibilità anteriore all’inizio dei lavori dei relativi poteri decisionali e di spesa.
30 Nel presente caso, la ragione della individuazione legale del DL committente, che tuttavia potrebbe pur sempre essere modificata concordemente dalle parti interessate, risiede nella opportunità di concentrare nella sua figura, in qualità di DL ospitante dei diversi lavori, la gestione coordinata e collaborativa degli stessi, evitando le difficoltà, i vuoti di informazione e gestione, e gli equivoci nell’affidamento reciproco, spesso dipendenti dalla presenza di una pluralità di soggetti operanti in un’organizzazione altrui. Pari considerazioni rispetto al caso precedente potrebbero formularsi in situazione capovolta, ossia con individuazione del soggetto responsabile per i rischi da interferenze in uno degli appaltatori o subappaltatori ivi presenti e, naturalmente, pari regolamentazione dei poteri decisionali e di spesa a corredo del DUVRI andrebbe perfezionata al fine di formalizzare e quindi devolvere responsabilità e compiti tra le parti.
31 In considerazione della rilevante fenomenologia di infortuni e malattie professionali che colpiscono i piccoli imprenditori ed i lavoratori autonomi (emblematici rispetto ai valori totali il 12% degli infortuni ed il 18% dei decessi sul lavoro nel 2022, a fronte di una componente dei categoria pari a circa il 6% di tutti i lavoratori dipendenti o equiparati, secondo le fonti INAIL ed INPS), nonché il loro concorso non sempre evidenziato ma notorio in episodi infortunistici che coinvolgono altri lavoratori, sembra opportuno prevedere anche per tale categoria la presenza ed il supporto del SPP, almeno nelle attività all’interno di organizzazioni lavorative ospitanti.
32 “TU, art. 3 - Campo di applicazione
1. Il presente decreto legislativo si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio.
12-bis. Nei confronti dei volontari di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, dei volontari che effettuano servizio civile, dei soggetti che svolgono attività di volontariato in favore delle associazioni di promozione sociale di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 383, delle associazioni sportive dilettantistiche di cui alla legge 16 dicembre 1991, n. 398, e all’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e delle associazioni religiose, dei volontari accolti nell’ambito dei programmi internazionali di educazione non formale, nonché nei confronti di tutti i soggetti di cui all’articolo 67, comma 1, lettera m), del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 21 del presente decreto. Con accordi tra i soggetti e le associazioni o gli enti di servizio civile possono essere individuate le modalità di attuazione della tutela di cui al primo periodo. Ove uno dei soggetti di cui al primo periodo svolga la sua prestazione nell’ambito di un’organizzazione di un datore di lavoro, questi è tenuto a fornire al soggetto dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti negli ambienti nei quali è chiamato ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla sua attività. Egli è altresì tenuto ad adottare le misure utili a eliminare o, ove ciò non sia possibile, a ridurre al minimo i rischi da interferenze tra la prestazione del soggetto e altre attività che si svolgano nell’ambito della medesima organizzazione”.
“TU, art. 21 - Disposizioni relative ai componenti dell’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis del Codice civile e ai lavoratori autonomi

1. I componenti dell’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis del Codice civile, i lavoratori autonomi che compiono opere o servizi ai sensi dell’articolo 2222 del Codice civile, i coltivatori diretti del fondo, i soci delle società semplici operanti nel settore agricolo, gli artigiani e i piccoli commercianti devono:
a) utilizzare attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al Titolo III, nonché idonee opere provvisionali in conformità alle disposizioni di cui al Titolo IV;
b) munirsi di dispositivi di protezione individuale ed utilizzarli conformemente alle disposizioni di cui al Titolo III;
c) munirsi di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le proprie generalità, qualora effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di appalto o subappalto.
2. I soggetti di cui al comma 1, relativamente ai rischi propri delle attività svolte e con oneri a proprio carico hanno facoltà di:
a) beneficiare della sorveglianza sanitaria secondo le previsioni di cui all’articolo 41, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali;
b) partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, incentrati sui rischi propri delle attività svolte, secondo le previsioni di cui all’articolo 37, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali”.
Sembra preferibile la soluzione prospettata in quanto il fenomeno del volontariato (oggi c.d. “terzo settore, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 117/2017, che ha abrogato la L. n. 266/1991, istituendo appunto il Codice del Terzo Settore”) è in via di forte espansione, comprende soggetti in molta parte di età medio-avanzata che, anche in considerazione della gratificazione morale prevalentemente, quando non esclusivamente, derivante da tale attività, non si prestano ad essere ricompresi nell’ambito dei lavoratori autonomi, in relazione agli adempimenti di prevenzione e sicurezza nelle rispettive attività. L’attuale collocazione normativa difetta quindi di realismo sia in relazione ai rapporti dei volontari con le organizzazioni di impiego, sia in vista di applicare a questi ultimi adeguate formazione e sorveglianza sanitaria. Le stesse potrebbero invece rientrare negli accordi di impiego a carico delle organizzazioni di volontariato, quale più giusto e finanziariamente corretto contributo ad attività tanto benemerite per la società.
33 Al presente, assistiamo ad una evoluzione di tale sistema con estensione a tutte le imprese e lavoratori autonomi che operano nei cantieri temporanei o mobili, la cui efficacia dovrà valutarsi nel tempo e che desta comunque perplessità sia per il formalismo e l’automatismo che la connotano, sia per la reale capacità dello Stato di effettuare i controlli mirati e soprattutto preventivi sulle attività in questione, che inoltre escludono le altre attività non rientranti nei cantieri temporanei o mobili ma pur sempre significative sotto il profilo SSL.
Il già citato recente d.l. 2/3/2024 n. 19 “Ulteriori disposizioni per l’attivazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza”, convertito con modificazioni dalla l. 29 aprile 2024, n. 56, all’art. 29, comma 19, ha abrogato l’art. 27 TU, sostituendolo con il seguente:
Art. 27 (Sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi tramite crediti).
- 1. A decorrere dal 1° ottobre 2024, sono tenuti al possesso della patente di cui al presente articolo le imprese e i lavoratori autonomi che operano nei cantieri temporanei o mobili di cui all'articolo 89, comma 1, lettera a), ad esclusione di coloro che effettuano mere forniture o prestazioni di natura intellettuale. Per le imprese e i lavoratori autonomi stabiliti in uno Stato membro dell'Unione europea diverso dall'Italia o in uno Stato non appartenente all'Unione europea è sufficiente il possesso di un documento equivalente rilasciato dalla competente autorità del Paese d'origine e, nel caso di Stato non appartenente all'Unione europea, riconosciuto secondo la legge italiana. La patente è rilasciata, in formato digitale, dall'Ispettorato nazionale del lavoro subordinatamente al possesso dei seguenti requisiti:
a) iscrizione alla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura;
b) adempimento, da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti, dei preposti, dei lavoratori autonomi e dei prestatori di lavoro, degli obblighi formativi previsti dal presente decreto;
c) possesso del documento unico di regolarità contributiva in corso di validità;
d) possesso del documento di valutazione dei rischi, nei casi previsti dalla normativa vigente;
e) possesso della certificazione di regolarità fiscale, di cui all'articolo 17-bis, commi 5 e 6, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nei casi previsti dalla normativa vigente;
f) avvenuta designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, nei casi previsti dalla normativa vigente.

2. Il possesso dei requisiti di cui al comma 1 è autocertificato secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. Nelle more del rilascio della patente è comunque consentito lo svolgimento delle attività di cui al comma 1, salva diversa comunicazione notificata dall'Ispettorato nazionale del lavoro.
3. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito l'Ispettorato nazionale del lavoro, sono individuati le modalità di presentazione della domanda per il conseguimento della patente di cui al comma 1 e i contenuti informativi della patente medesima nonché i presupposti e il procedimento per l'adozione del provvedimento di sospensione di cui al comma 8.
4. La patente è revocata in caso di dichiarazione non veritiera sulla sussistenza di uno o più requisiti di cui al comma 1, accertata in sede di controllo successivo al rilascio. Decorsi dodici mesi dalla revoca, l'impresa o il lavoratore autonomo può richiedere il rilascio di una nuova patente ai sensi del comma 1.
5. La patente è dotata di un punteggio iniziale di trenta crediti e consente ai soggetti di cui al comma 1 di operare nei cantieri temporanei o mobili di cui all'articolo 89, comma 1, lettera a), con una dotazione pari o superiore a quindici crediti. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito l'Ispettorato nazionale del lavoro, sono individuati i criteri di attribuzione di crediti ulteriori rispetto al punteggio iniziale nonché le modalità di recupero dei crediti decurtati.
6. Il punteggio della patente subisce le decurtazioni correlate alle risultanze dei provvedimenti definitivi emanati nei confronti dei datori di lavoro, dirigenti e preposti delle imprese o dei lavoratori autonomi, nei casi e nelle misure indicati nell'allegato I-bis annesso al presente decreto. Se nell'ambito del medesimo accertamento ispettivo sono contestate più violazioni tra quelle indicate nel citato allegato I-bis, i crediti sono decurtati in misura non eccedente il doppio di quella prevista per la violazione più grave.
7. Sono provvedimenti definitivi ai sensi del comma 6 le sentenze passate in giudicato e le ordinanze-ingiunzione di cui all'articolo 18 della legge 24 novembre 1981, n. 689, divenute definitive.
8. Se nei cantieri di cui al comma 1 si verificano infortuni da cui deriva la morte del lavoratore o un'inabilità permanente, assoluta o parziale, l'Ispettorato nazionale del lavoro può sospendere, in via cautelare, la patente di cui al presente articolo fino a dodici mesi.
Avverso il provvedimento di sospensione è ammesso ricorso ai sensi e per gli effetti dell'articolo 14, comma 14.
9. I provvedimenti definitivi di cui al comma 6 sono comunicati, entro trenta giorni, anche con modalità informatiche, dall'amministrazione che li ha emanati all'Ispettorato nazionale del lavoro ai fini della decurtazione dei crediti.
10. La patente con punteggio inferiore a quindici crediti non consente alle imprese e ai lavoratori autonomi di operare nei cantieri temporanei o mobili di cui all'articolo 89, comma 1, lettera a). In tal caso è consentito il completamento delle attività oggetto di appalto o subappalto in corso di esecuzione, quando i lavori eseguiti sono superiori al 30 per cento del valore del contratto, salva l'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 14.
11. Fatto salvo quanto previsto dal comma 2, in mancanza della patente o del documento equivalente previsti al comma 1, alle imprese e ai lavoratori autonomi che operano nei cantieri temporanei o mobili di cui all'articolo 89, comma 1, lettera a), si applicano una sanzione amministrativa pari al 10 per cento del valore dei lavori e, comunque, non inferiore a euro 6.000, non soggetta alla procedura di diffida di cui all'articolo 301-bis del presente decreto, nonché l'esclusione dalla partecipazione ai lavori pubblici di cui al codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, per un periodo di sei mesi. Le stesse sanzioni si applicano alle imprese e ai lavoratori autonomi che operano nei cantieri temporanei o mobili di cui al citato articolo 89, comma 1, lettera a), con una patente con punteggio inferiore a quindici crediti. Gli introiti derivanti dalle sanzioni di cui ai periodi precedenti sono destinati al bilancio dell'Ispettorato nazionale del lavoro e concorrono al finanziamento delle risorse necessarie all'implementazione dei sistemi informatici necessari al rilascio e all'aggiornamento della patente.
12. Le informazioni relative alla patente sono annotate in un'apposita sezione del Portale nazionale del sommerso, di cui all'articolo 10, comma 1, del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124, unitamente a ogni utile informazione contenuta nel Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro, di cui all'articolo 8 del presente decreto.
13. L'Ispettorato nazionale del lavoro avvia il monitoraggio sulla funzionalità del sistema della patente a crediti entro dodici mesi dalla data di cui al comma 1 e trasmette al Ministero del lavoro e delle politiche sociali i dati raccolti per l'eventuale aggiornamento dei decreti ministeriali previsti dai commi 3 e 5 del presente articolo.
14. L'applicazione delle disposizioni di cui ai commi da 1 a 13 può essere estesa ad altri ambiti di attività individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentite le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative.
15. Non sono tenute al possesso della patente di cui al presente articolo le imprese in possesso dell'attestazione di qualificazione SOA, in classifica pari o superiore alla III, di cui all'articolo 100, comma 4, del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo n. 36 del 2023";

34 Ultra, par. 3) Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi e par. 4) Le deleghe
35 “TU, art. 31 – Servizio di prevenzione e protezione
1. Salvo quanto previsto dall’articolo 34, il datore di lavoro organizza il servizio di prevenzione e protezione prioritariamente all’interno della azienda o della unità produttiva, o incarica persone o servizi esterni costituiti anche presso le associazioni dei datori di lavoro o gli organismi paritetici, secondo le regole di cui al presente articolo.
2. Gli addetti e i responsabili dei servizi, interni o esterni, di cui al comma 1, devono possedere le capacità e i requisiti professionali di cui all’articolo 32, devono essere in numero sufficiente rispetto alle caratteristiche dell’azienda e disporre di mezzi e di tempo adeguati per lo svolgimento dei compiti loro assegnati. Essi non possono subire pregiudizio a causa della attività svolta nell’espletamento del proprio incarico”.
“TU, art. 33 – Compiti del servizio di prevenzione e protezione
1. Il servizio di prevenzione e protezione dai rischi professionali provvede:
a) all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all’individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione aziendale;
b) ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive di cui all’articolo 28, comma 2, e i sistemi di controllo di tali misure;
c) ad elaborare le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali;
d) a proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori;
e) a partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, nonché alla riunione periodica di cui all’articolo 35;
f) a fornire ai lavoratori le informazioni di cui all’articolo 36.
2. I componenti del servizio di prevenzione e protezione sono tenuti al segreto in ordine ai processi lavorativi di cui vengono a conoscenza nell’esercizio delle funzioni di cui al presente decreto legislativo.
3. Il servizio di prevenzione e protezione è utilizzato dal datore di lavoro”.

Ma che cosa comporta quest’ultima apparentemente pleonastica disposizione di legge? Almeno tre osservazioni:
a) la VR è un atto indelegabile per il datore di lavoro;
b) ciononostante, la VR deve avvenire in collaborazione con soggetti qualificati che affianchino l’obbligato principale (RSPP e MC);
c) l’impiego del RSPP non è quindi meramente facoltativo ma invece doveroso e penalmente sanzionato e pertanto sistematico e funzionale a:
1) adottare il processo, definire l’oggetto ed esporre i risultati della valutazione;
2) controllare l’efficacia delle misure adottate a seguito della valutazione;
3) controllare nel tempo lo stato delle condizioni di salute e sicurezza nel lavoro.
36 Ad esempio, in Francia è prevista la costituzione di un CHSCT (Comitato di igiene e sicurezza delle condizioni di lavoro) all’interno di aziende con più di 50 dipendenti (ed al di sotto, se richiesto da un ispettore del lavoro) composto da: datore di lavoro, rappresentanti dei lavoratori, medico del lavoro, responsabile della sicurezza, ispettori del lavoro, agenti della cassa di prevenzione, “incaricato di controllare la prevenzione e la sicurezza nell’impresa, o di personale formato alla sicurezza” (G. MAGRI, S. BERGAGNIN ed altri, “Rapporto sicurezza sul lavoro. Cinque normative a confronto”; Ambiente e Sicurezza, n. 21/2015, p. 35). Per contro, “il sistema di vigilanza britannico garantisce un alto livello di trasparenza nei controlli e una certezza della norma, dato che gli stessi strumenti vengono forniti alle aziende, ma anche utilizzati dagli organi di controllo … Sia nel recepimento della direttiva europea quadro, sia in molti altri atti specifici, la normativa britannica utilizza spesso il termine “management”, incentivando così una gestione manageriale della sicurezza e salute sul lavoro” (Ibidem, p. 45). Per le rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza, si veda anche sub nota 59.

37 “La figura del Tecnico della Sicurezza, diffusa a partire dalla metà degli anni ’50 nei grandi e medi complessi industriali italiani con attribuzioni spesso disomogenee, ha di fatto contribuito a ingenerare il dubbio che la responsabilità delle condizioni di igiene e sicurezza nel lavoro, tradizionalmente attribuite dal nostro sistema legislativo al “capo dell’Impresa” ed alla “linea operativa”, potesse in qualche modo essere disarticolata dalla funzione e dal ruolo di queste figure” (O. COLATO, Servizi di sicurezza aziendale e sicurezza nell’impresa, 1988, pp. 28-29). La vera questione in gioco resta tuttavia il mancato e colpevole allineamento tra la linea direzionale ed operativa e quella consultiva, laddove pure entrambe queste erano presenti: è qui che occorreva, e purtroppo ancora sostanzialmente necessita, intervenire per arginare la prima fonte della insufficiente e spesso ambigua gestione aziendale delle condizioni di SSL.
38 “I componenti del (SPP) possono assumere la veste di garante. L’assenza di sanzioni penali non è risolutiva per escludere il ruolo di garante. Ciò che importa è che i componenti SPP siano destinatari di obblighi giuridici e non può esservi dubbio che, con l’assunzione dell’incarico essi assumano l’obbligo giuridico di svolgere diligentemente le funzioni. … In particolare, in relazione al RSPP, vige l’obbligo di svolgere in autonomia, nel rispetto del sapere scientifico e tecnologico, il compito di informare il datore di lavoro e di dissuaderlo da scelte magari economicamente seducenti ma esiziali per la sicurezza (Cass. Pen., Sez. Un., n. 38343/2015). Come noto, la posizione di garanzia in questione attiene alla vita, all’integrità fisica ed alla salute dei lavoratori e degli altri soggetti coinvolgibili nei vari contesti lavorativi e pertanto, considerate l’entità ed il rilievo giuridico di tale fenomeno allo stato attuale, le pur parzialmente diverse ma legittime aspettative delle imprese e dei lavoratori non possono tuttavia entrambe prescindere dal risultato di quella autonoma valutazione e di quella retrostante qualificata diligenza professionale, indispensabili per salvaguardare le condizioni socio-economiche basilari in un paese civile.
39 Esemplare al riguardo la posizione della giurisprudenza, che da un lato qualifica il RSPP come garante per la sicurezza dei lavoratori (come a nota precedente) e dall’altro lo definisce “mero ausiliario del datore di lavoro privo di autonomi poteri decisionali”, pur non escludendo appunto “la sua responsabilità penale per l’infortunio conseguito alla mancata adozione di una misura prevenzionale, qualora si accerti che lo stesso abbia indotto il datore di lavoro all’omissione, essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale” (Cass. Pen., Sez. IV, n. 1036/2016).
40 Il dualismo nelle funzioni soprattutto pubbliche è istituto storico (dai consoli romani dell’età repubblicana, a quelli dell’età comunale, fino alla odierna multiforme divisione dei poteri tra capi di stato e capi di governo) ma conserva sempre ed anche nel diritto privato (come, ad esempio, nel caso del mandato) alcuni pregi obiettivi: la distribuzione più funzionale di incarichi delicati ed impegnativi che richiedano competenze, processi e tempi gestionali rilevanti, il supporto ed il controllo reciproci ed il conseguente veto in caso di disaccordo, la maggiore evidenza e documentabilità delle decisioni, ecc..
41 Appare naturale chiedersi se non sia venuto il momento di auspicare l’istituzione di un Albo professionale degli Addetti alla Sicurezza in considerazione della duplice esigenza di garantire da un canto adeguati standard di professionalità iniziale; dall’altro una adeguata tutela dell’ordinamento verso chi ha dedicato e dedica la propria vita professionale per il miglioramento delle condizioni e delle qualità del lavoro dell’industria italiana” (O. COLATO, Servizi di sicurezza aziendale e sicurezza nell’impresa cit. p. 519). La risposta a tale ormai vetusto quesito (anni ’80 del secolo scorso) non può continuare ad essere altro che affermativa, considerando che gran parte del management di settore proviene ancora dall’esperienza sul campo, piuttosto che da adeguata formazione teorico-pratica. Nella stessa direzione la benemerita recente istituzione di corsi di laurea per Tecnici della prevenzione nell'Ambiente e nei Luoghi di Lavoro, ancora insufficienti come numero e diversificazione specialistica ma sulla buona strada per coprire un fabbisogno ormai ineludibile.
42  In analogia a quanto avviene nel caso del RLST (ultra, par. 6).
43 Tale principio si sposa con l’interesse primario ad una reale e completa VR, in quanto mira a consentire una esposizione libera ed esaustiva della situazione delle condizioni di SSL nell’impresa, scevra da preoccupazioni formali o peggio di autodenuncia penale, e volta all’individuazione di tutte le misure necessarie/opportune, a volte non normate ma cionondimeno utili a garantire livelli di sicurezza in linea con il principio cardine della massima sicurezza scientificamente e tecnologicamente possibile.
44 Supra, rispettivamente, sub note 11 e 12.
45 DQ, art. 5 – Disposizioni generali
“1. Il datore di lavoro è obbligato a garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori in tutti gli aspetti connessi con il lavoro.
2. Qualora un datore di lavoro ricorra, in applicazione dell’art. 7, paragrafo 3, a competenze (persone o servizi) esterne all’impresa e/o allo stabilimento, egli non è per questo liberato dalle proprie responsabilità in materia.
3. Gli obblighi dei lavoratori nel settore della sicurezza e della salute durante il lavoro non intaccano il principio della responsabilità del datore di lavoro”

46 Per un verso, inoltre, “lo Stato è stato drammaticamente, colpevolmente assente nel governo di attività rischiose, generando situazioni di danno epocali: Marghera, Eternit, Ilva, solo per citare i casi più estremi, testimoniano una gestione di rischi macroscopici completamente avulsa da direttive e controlli pubblici” (R. BLAIOTTA, Diritto penale e sicurezza del lavoro cit., p. 114). Per altro verso, e più in generale, “una politica criminale razionale dovrebbe garantire il rispetto del principio di efficacia della tutela. Non bastano a legittimare l’intervento penale meritevolezza e bisogno di pena, se poi lo strumento penale si mostra inefficace alla tutela stessa del bene, perché il ricorso alla sanzione penale mostrerebbe solo il volto cupo del puro intervento simbolico, che lancia una promessa di tutela che non è poi in grado di mantenere. Solo un diritto penale efficace in termini di scopo è in grado di giustificare il sacrificio della libertà personale a tutela del bene.” (M. PELISSERO, Manuale di diritto penale – Parte Generale, con C.F. Grosso, D. Petrini e P. Pisa, 2020, p. 72). Efficacia delle sanzioni (tutte e senza esclusioni: penali, premiali, di diritto pubblico e privato) ed effettività nella rispettiva irrogazione, anche rispetto alla copertura dell’intero fenomeno trasgressorio od almeno della più parte dello stesso, come invece attualmente non avviene, costituiscono dunque cardini imprescindibili dell’auspicabile salto di qualità della tutela in oggetto.
47 Le difficoltà intrinseche nella VR e quindi nelle attività di prevenzione e protezione nel lavoro sono ben colte, seppur a contrario ed in senso chiarificatore delle responsabilità del DL, nella giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione: “La normativa cautelare ha bisogno di essere integrata dal sapere scientifico e tecnologico che reca il vero nucleo attualizzato della disciplina prevenzionistica. Per tale ragione il sistema prevede che ciascun garante analizzi i rischi specifici connessi alla propria attività ed adotti le conseguenti, appropriate misure cautelari, avvalendosi proprio di figure istituzionali, come il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, che del sapere necessario sono istituzionalmente portatori, Correttamente si è parlato al riguardo di auto-normazione: espressione che ben esprime la necessità di un continuo auto-adeguamento delle misure di sicurezza alle condizioni delle lavorazioni … La discesa della disciplina dalla sfera propriamente legale a fonti gerarchicamente inferiori che caratterizza la colpa specifica, contrariamente a quanto si potrebbe a tutta prima pensare, costituisce peculiare, ineliminabile espressione dei princìpi di legalità, determinatezza, tassatività (Cass. Pen., Sez. Un., n. 38343/2014).
Quanto ai dati relativi ai costi economici (per non parlare di quelli sociali) del fenomeno infortunistico e delle malattie professionali, la citata relazione finale del Senato indica, tra gli altri, alcuni numeri impressionanti: nell’anno 2018, ad esempio, prima quindi del concorso del COVID-19, l’Italia annoverava più di 1.000 infortuni mortali (a fronte dei 3.300 complessivi della UE), più di 500.000 infortuni non mortali (a fronte dei 3,1 milioni della UE) ed un’incidenza totale dei relativi costi sul PIL stimata pari al 6,3% (a fronte di una media del 3,5% UE) (Senato della Repubblica, XVIII Legislatura, Doc. XXII-bis cit., n. 11, pp. 12-29)”.

48 Integrati appunto con “idonei sistemi di registrazione dell’avvenuta effettuazione delle attività (previste dal modello di organizzazione e gestione, n.d.r.) di cui al comma 1” e con la previsione di “un’articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio” (TU, art. 30 – Modelli di organizzazione e gestione, commi 2 e 3).
Il modello di verifica e controllo richiamato dalla norma predetta del TU (art. 16, comma 3) stabilisce inoltre che “Il modello organizzativo deve altresì prevedere un idoneo sistema di controllo sull’attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate” (art. 30, comma 4). Esso tuttavia è stato introdotto nel TU stesso per la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ed enti assimilati e la sua estensione alla esimenza penale per il DL delegante in tema di SSL suscita qualche perplessità, in quanto, a differenza del giudizio penale, nel giudizio ex d.lgs. 231/2001, “l’efficienza del modello/sistema prevale sulla sua efficacia qualora si dimostri che l’evento lesivo è derivato da cause tali da non comprometterne la validità in senso giuridico (elusioni fraudolente del modello, fatti imprevedibili, situazioni di non punibilità, ecc.). La sua funzione essenziale consiste infatti nel documentare (e provare in giudizio) che esiste, a monte dell’evento lesivo, un sistema organizzativo aziendale in grado di determinare e di controllare i comportamenti individuali, assicurando il rispetto del T.U.” (“MIMOSA -Metodo per Implementare, Misurare e Organizzare la Sicurezza in Azienda”, a cura della Fondazione Alma Mater, Bologna 2012, p. 32). La responsabilità penale del DL delegante in tema di SSL per mancato o difettoso controllo sul delegato nei casi di reati richiamati dal d.lgs. 231/2001 (omicidio colposo e lesioni personali colpose gravi o gravissime commessi in violazione delle norme in materia di salute e sicurezza nel lavoro) potrebbe egualmente sussistere ed essere dichiarata in giudizio sulla base di cause diverse dalle predette ed anche attinenti i rapporti personali tra i due soggetti (ad esempio, per affidamento colposo del delegante sul delegato, per elusione non fraudolenta del modello, per comportamento colposo del delegato non rilevato dall’organismo di vigilanza e dal delegante, ecc.).
49 Qui si ripropone il tema della configurazione giuridica del DL, sopra affrontata sotto il profilo dei rapporti apicali in tema di SSL (par. 2, sub b), c)), per integrarla con riferimento al profilo dei controlli del delegante nei confronti del delegato.
50 TU, art. 18 - Obblighi del datore di lavoro e del dirigente 1. Il datore di lavoro, che esercita le attività di cui all’articolo 3, e i dirigenti, che organizzano e dirigono le stesse attività secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite, devono: a) nominare il medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti dal presente decreto legislativo e qualora richiesto dalla valutazione dei rischi di cui all'articolo 28”. (Testo così modificato dall’art. 14 del d.l. 4 maggio 2023, n. 48 contenente “Misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro”, convertito con modificazioni dalla l. 3 luglio 2023, n. 85). Il mancato richiamo di tale estensione nel successivo art. 41 del TU sulla sorveglianza sanitaria, per quanto inopportuno e redazionalmente carente, non inficia la più logica e sistematica dottrina in merito alla invece opportuna presenza del MC in sede di valutazione dei rischi: “Da tempo e da più parti si era rilevato che la presenza del medico competente dovrebbe sempre essere prevista almeno per la valutazione dei rischi, ferma restando eventualmente la possibilità di prescinderne ove la valutazione non evidenzi esigenze di sorveglianza sanitaria” (P. PASCUCCI, Le novità del d.l. n. 48/2023 in tema di salute e sicurezza sul lavoro, Olympus Uniurb, Approfondimenti, 7/10/2023, p. 3).
51 Al riguardo, i dati INAIL recenti evidenziano un andamento fortemente crescente delle denunce delle malattie professionali, con caratteristiche ed eziologie “classiche” ed altresì legate alle emergenze più recenti: ”Le denunce di malattia professionale protocollate dall’Inail nel 2023 sono state 72.754, circa 12mila in più rispetto allo stesso periodo del 2022 (+19,7%). L’incremento è del 31,6% rispetto al 2021, del 61,6% sul 2020 e del 18,7% rispetto al 2019. … Le patologie del sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo, quelle del sistema nervoso e dell’orecchio continuano a rappresentare, anche nel 2023, le prime tre malattie professionali denunciate, seguite dai tumori, dalle patologie del sistema respiratorio e dai disturbi psichici e comportamentali” (Sito INAIL, Infortuni e malattie professionali, online gli open data Inail del 2023).
52 Secondo l’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro con sede a Bilbao, i costi totali (diretti ed indiretti) connessi con la presenza e la carente gestione dello stress lavoro-correlato nel sistema produttivo europeo sono passati da 20 miliardi di euro nel 2005 a 240 miliardi di euro nel 2015, con apporto della metà delle ore di lavoro perse sul totale e del 25% dei lavoratori colpiti sul totale.
53 Il Codice etico della Commissione internazionale di salute occupazionale (ICOH), richiamato dal TU all’art. 39 – (Svolgimento dell’attività di medico competente) è chiaro nell’attribuzione allo stesso di un ruolo centrale nella politica di prevenzione primaria nei contesti di lavoro (e quindi, potremmo desumere, di prevenzione generale tout court), con i necessari livelli di professionalità, autonomia di valutazione e di azione a supporto della salute dei lavoratori: Obiettivi e ruolo di consulenza 1. Obiettivo primario della medicina del lavoro è quello di salvaguardare e promuovere la salute dei lavoratori, in un ambiente di lavoro sicuro e non nocivo e di proteggerne le capacità lavorative e l’accesso al mondo del lavoro. Nel perseguire tale obiettivo, gli OML (operatori di medicina del lavoro; n.d.r.) devono fare uso di validi metodi di valutazione del rischio e di promozione della salute, dovranno proporre misure preventive efficaci e quindi controllarne l’applicazione. Nel soddisfare le richieste in materia di salute e sicurezza espresse dai datori di lavoro, lavoratori o autorità competenti, gli OML dovranno essere proattivi nel migliorare i livelli di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro avvalendosi delle proprie competenze e valutazioni di natura etica. …
Conoscenza e competenza 2. Gli OML dovranno mantenersi continuamente informati sul ciclo produttivo e sull’ambiente di lavoro, oltre a migliorare le proprie competenze ed aggiornare le proprie conoscenze tecnico-scientifiche sui fattori di rischio professionali e sulle misure più efficaci per eliminare o ridurre i relativi rischi. Poiché l’obiettivo principale è la prevenzione primaria in termini di indirizzi, programmazione, scelta di tecnologie pulite, misure di controllo tecniche e adattamento dell’organizzazione del luogo di lavoro ai lavoratori, gli OML devono, con regolarità ed, ove possibile, con scadenza preordinata, fare sopralluoghi sui luoghi di lavoro e discutere delle attività svolte con i lavoratori ed i loro responsabili. …
Sorveglianza sanitaria 8. Gli obiettivi di medicina del lavoro, i metodi e le procedure di sorveglianza sanitaria dovranno essere definiti con chiarezza, dando priorità all’adattamento del luogo di lavoro al lavoratore, che dovrà essere informato a questo riguardo. La rilevanza e validità di tali metodi e procedure dovranno essere in linea con l’evidenza scientifica e relative buone prassi. La sorveglianza sanitaria deve essere effettuata con il consenso libero ed informato dei lavoratori
.
54 Il sopra citato Codice etico ICOH sancisce già il rapporto proficuo e sistematico tra medicina del lavoro e medicina di base, sul presupposto della opportunità di una conoscenza globale delle condizioni di salute del lavoratore al fine di poterne seguire più efficacemente gli sviluppi nel tempo e del rispetto della relativa riservatezza e comunque della piena disponibilità del soggetto interessato alla sorveglianza sanitaria: Rapporti con gli altri operatori sanitari 23. … Il medico del lavoro può, con il consenso informato del lavoratore, richiedere ulteriori informazioni o dati sanitari al medico curante o al personale medico ospedaliero, ma solo a scopo di tutela, di mantenimento o di promozione della salute del lavoratore stesso. Nel fare ciò, il medico del lavoro deve informare il medico curante del lavoratore o il personale medico ospedaliero del proprio ruolo e del motivo per cui l’informazione sanitaria viene richiesta. Con il consenso del lavoratore, il medico del lavoro o il personale paramedico competente possono, se necessario, fornire al medico curante del lavoratore informazioni sanitarie o sui fattori di rischio o sull’esposizione professionale o su coercizioni sul lavoro che comportino un particolare rischio a causa dello stato di salute del lavoratore”.
55 TU, art. 47 - Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza 1. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è istituito a livello territoriale o di comparto, aziendale e di sito produttivo. L’elezione dei rappresentanti per la sicurezza avviene secondo le modalità di cui al comma 6. 2. In tutte le aziende, o unità produttive, è eletto o designato il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. 3. Nelle aziende o unità produttive che occupano fino a 15 lavoratori il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è di norma eletto direttamente dai lavoratori al loro interno oppure è individuato per più aziende nell’ambito territoriale o del comparto produttivo secondo quanto previsto dall’articolo 48. 4. Nelle aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è eletto o designato dai lavoratori nell’ambito delle rappresentanze sindacali in azienda. In assenza di tali rappresentanze, il rappresentante è eletto dai lavoratori della azienda al loro interno. 5. Il numero, le modalità di designazione o di elezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, nonché il tempo di lavoro retribuito e gli strumenti per l’espletamento delle funzioni sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva”.
56 Continuiamo a ritenere doveroso un ripensamento del principio del c.d. “canale unico” di rappresentanza dei lavoratori che ha impedito, a far capo dall’introduzione del D.lgs. 626/1994, la formazione di due funzioni separate e più efficaci (quella sindacale generalista e quella specialistica di sicurezza, con legittimazione diretta dei lavoratori). Ciò ha in molti casi comportato, come ormai appurato, subalternità, scarsa specializzazione e considerazione aziendale, a tratti fino a varie malcelate forme di svilimento dell’attività dei rappresentanti per la sicurezza, specialmente considerando, a contrario, che la DQ, all’art. 11, indicava nella partecipazione equilibrata dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e/o nella consultazione preventiva e tempestiva ad opera del datore di lavoro la loro “funzione specifica”. Sempre condivisibili appaiono quindi le considerazioni in merito di L. ANGELINI, Rappresentanza e partecipazione nel diritto della salute e sicurezza dei lavoratori in Italia, in Diritto e Sicurezza sul Lavoro, 1-2020, pp. 112 e 115: “Per il vero, si sarebbe dovuto e potuto fare molto di più, soprattutto nel rassicurare i lavoratori più motivati e potenzialmente disponibili a candidarsi attraverso la previsione di forme e strumenti di aiuto e sostegno nello svolgimento delle funzioni rappresentative … Quando è in gioco la tutela della salute e sicurezza, nessuna vera conquista è possibile se si prescinde dalla partecipazione e dall’effettivo coinvolgimento dei lavoratori che, una rappresentanza collettiva che essi non abbiano adeguatamente legittimato, nella quale non si riconoscono e che, soprattutto, non si dimostri nei fatti capace di interpretare tutti i loro bisogni non è sicuramente in grado di realizzare”.
57 Ad esempio, in Francia “si è notato uno scostamento tra i due paesi (Italia e Francia appunto, n.d.r.), relativamente alla partecipazione alle politiche aziendali di sicurezza sia per quanto riguarda la partecipazione dei lavoratori che delle compagini più rappresentative. La Francia attribuisce grande importanza a questo aspetto formalizzando una “rete” di consultazioni” (G. MAGRI, S. BERGAGNIN ed altri, “Rapporto sicurezza sul lavoro cit.”; p. 34). In Gran Bretagna, parimenti, “i rappresentanti per la sicurezza, i workers representatives, rappresentati all’interno delle Trade Unions (sindacati), hanno le stesse funzioni previste in Italia, ma sono più coinvolti nella gestione della sicurezza come risorsa attiva nell’individuazione dei rischi presenti nell’ambiente di lavoro” (Ibidem, p. 46).
58 Per entrambi potrebbe ipotizzarsi un ruolo di incaricato di pubblico servizio, ai sensi dell’art. 358 c.p., soprattutto qualora la rispettiva attività comporti ex lege dichiarazioni di conformità/difformità in materia di SSL, non importa se vincolanti per il DL e comunque limitate al solo contesto aziendale. Al riguardo Cass. Pen., sez. VI, n. 4952/2020 sancisce che “il riconoscimento della qualità di incaricato di p.s. non si fonda su un canone di tipo soggettivo, implicante la verifica della natura pubblica dell'ente e del rapporto che lega il soggetto all'ente, bensì su un criterio oggettivo, connesso alla natura delle funzioni in concreto svolte, a prescindere dal fatto che possano assumere forma privatistica … il pubblico servizio si distingue per il fatto di essere disciplinato da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, pur non essendo connotato da poteri autoritativi o certificativi”, mentre Cass. Pen., sez. unite n. 7958/1992 aveva opportunamente rimarcato che “il pubblico servizio è dunque attività di carattere intellettivo, caratterizzata, quanto al contenuto, dalla mancanza dei poteri autoritativi e certificativi propri della pubblica funzione, con la quale è solo in rapporto di accessorietà e complementarietà”. Per il medico convenzionato con il SSN (e quindi anche per il medico competente aziendale, in caso di ampliamento delle sue funzioni come sopra auspicato) già è consolidata la qualificazione di incaricato di pubblico servizio ed è interessante constatare che, analogamente all’esercizio delle funzioni delle figure predette, “la parte più delicata non consiste nella certificazione, bensì nelle attività prodromiche alla stessa (Cass. Pen., sez. III, n. 1913/2000).