Cassazione Civile, Sez. Lav., 16 ottobre 2024, n. 26893 - Omessa vaccinazione della lavoratrice con mansioni di ASA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. MANNA Antonio - Presidente
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni - Consigliere
Dott. PONTERIO Carla - Consigliere
Dott. CINQUE Guglielmo - Relatore
Dott. AMENDOLA Fabrizio - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 20526-2022 proposto da
MOSAICO COOPERATIVA SOCIALE ONLUS, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso l'indirizzo PEC dell'avvocato LUCA COSTANTINO, che la rappresenta e difende;
- ricorrente -
contro
A.A., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati GIUSEPPE EUGENIO LOZUPONE, MAURO SANDRI;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 104/2022 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 02/03/2022 R.G.N. 1174/2021;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/09/2024 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. STEFANO VISONA', che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l'avvocato LUCA COSTANTINO.
Fatto
1. Il Tribunale di Milano ha dichiarato l'illegittimità del provvedimento di collocamento in aspettativa non retribuita del 9.2.2021, disposto dalla Cooperativa MOSAICO coop. sociale arl nei confronti della dipendente A.A., svolgente mansioni di ASA presso a RSA di (Omissis) di M, dal 9.2.2021 al 30.4.2021, per "violazione della migliore tutela dei collaboratori, degli ospiti e di tutti gli utenti riconnessa alla omessa inoculazione del vaccino Anticovid 19", e ha condannato la datrice di lavoro al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data di sospensione alla data di effettiva riammissione in servizio o di legittima sospensione della prestazione lavorativa, oltre accessori, rigettando la domanda di risarcimento dei danni ex art. 96 cpc.
2. La Corte di appello di Milano, con la sentenza n. 104/22, ha confermato la suddetta pronuncia, respingendo il gravame proposto dalla Cooperativa.
3. I giudici di seconde cure hanno rilevato che a) la lavoratrice era titolare di un interesse ad agire per accertare la illegittimità del provvedimento che aveva decretato la sospensione del suo rapporto lavorativo per mancata vaccinazione; b) il provvedimento impugnato era stato adottato prima della entrata in vigore del D. L. n. 44 del 2021, che aveva imposto l'obbligo vaccinale alla maggior parte del personale sanitario, introducendo una specifica procedura per verificare l'assolvimento del relativo obbligo e per determinare le eventuali conseguenze sul rapporto di lavoro; c) la norma di riferimento, pertanto, era quella di cui all'art. 41 co. 6 D.Lgs. n. 81/2008 per la quale la Cooperativa avrebbe dovuto, alla luce della emergenza sanitaria determinata dal Covid 19, fare accertare dal proprio medico competente che le mansioni specifiche della lavoratrice potevano essere svolte, ai fini della sicurezza del lavoro, solamente da soggetti vaccinati; d) tale iniziativa non era stata intrapresa dalla Cooperativa che non aveva, poi, attivato neanche quella pubblicistica connessa all'entrata in vigore del D.L. n. 44 del 2021; e) correttamente il primo giudice aveva accertato l'assoluta carenza di prova circa l'inidoneità della lavoratrice e la sua ricollocabilità in mansioni alternative; f) in assenza di impugnazione non era più in discussione il potere datoriale di pretendere, ai fini della responsabilità ex art. 2087 cc che, nel periodo di emergenza sanitaria, i lavoratori dovessero essere vaccinati; g) alla illegittimità del provvedimento di sospensione discendeva l'obbligo del datore di lavoro di adempiere alla propria obbligazione principale di corrispondere le retribuzioni ingiustamente non erogate fino al momento della reintegrazione in servizio ovvero sino all'intervento di una legittima fonte, negoziale o legale, che avesse statuito la assoluta impossibilità di svolgimento delle mansioni di ASA in assenza di vaccinazione.
4. Avverso la decisione di secondo grado la MOSAICO Cooperativa Sociale Onlus ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui ha resistito con controricorso l'intimata.
5. Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
6. Le parti hanno depositato memorie.
Diritto
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2.Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la falsa applicazione del D.Lgs. n. 81/2008. La Cooperativa sostiene che, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte territoriale, la sospensione della lavoratrice era avvenuta proprio per la sua parziale e temporanea inidoneità alle specifiche mansioni di ASA, motivata appunto sui rischi derivanti al dipendente e alle persone ricoverate; deduce, inoltre, l'erroneità del riferimento dei giudici di seconde cure alla necessità di un preventivo parere da parte del medico competente, che era una questione mai sollevata né trattata in primo grado e, comunque, richiamata in modo errato perché la competenza del medico ex art. 41 co. 6 D.Lgs. 81/2008 non poteva interferire in materia di sanità pubblica né poteva questi ritenersi elemento attivo del processo previsto dal D.L. n. 44 del 2021; infine, obietta che il comportamento era stato adottato in ossequio al disposto di cui all'art. 2087 cc e che non vi erano mansioni alternative, attesa la gravità della situazione, esenti dal rischio di contagio cui assegnare la lavoratrice.
3. Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell'art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la falsa applicazione del D. L. n. 44/2021, sottolineando la erroneità della statuizione della Corte distrettuale allorquando aveva affermato la non applicabilità della procedura prevista dal suddetto decreto sul presupposto che fosse entrato in vigore successivamente al provvedimento di sospensione, in quanto essa Cooperativa aveva immediatamente avviato la prevista procedura non avendo avuto però riscontro da parte degli ATS.
4. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 cc. Essa precisa che, secondo quanto affermato dalla Corte territoriale, i lavoratori che non si erano sottoposti alla vaccinazione avrebbero potuto essere sospesi dalla prestazione lavorativa ex art. 2087 cc ma, nel caso in esame, l'aspettativa disposta dalla Cooperativa era illegittima perché non preceduta dal parere del medico competente e senza la attivazione della procedura di cui al D.L. n. 44 del 2021. Ciò, a parere della Cooperativa ricorrente, era in palese contrasto con quanto statuito dall'ordinanza del 26.8.2021 -che aveva rigettato il reclamo, in sede cautelare, proposto dalla A.A.- ove era stato appunto precisato che la scelta datoriale di rimanere inerte a fronte del rifiuto di un dipendente di sottoporsi al vaccino per la prevenzione dell'infezione SARS Covid 2, avrebbe determinato o aggravato la sua responsabilità ai sensi degli artt. 2087, 1228 e 2049 cc nei confronti dei soggetti danneggiati dal lavoratore. La ricorrente ribadisce che, con l'adozione del provvedimento di sospensione, non si era fatto altro che dare corso alle indicazioni governative e regionali e al Piano Vaccinale Nazionale del dicembre 2020 che prevedevano appunto la vaccinazione prioritaria di tutti i lavoratori delle RSA nell'ottica della maggiore tutela della salute dei propri collaboratori e ospiti.
5. I tre motivi, da esaminare congiuntamente per connessione logico-giuridica, sono inammissibili per difetto di decisività.
6. Invero, il dato da cui partire è rappresentato dal principio di diritto, che si evince dai precedenti di questa Corte (Cass. n. 15697/2024, Cass. n. 12211/2024) secondo cui, per gli operatori sociosanitari che non avevano voluto sottoporsi all'obbligo della vaccinazione anti-Covid, sino all'entrata in vigore del D.L. n. 172/2021 (26.11.2021), il datore di lavoro aveva un obbligo di repechage generalizzato in ipotesi di disposta sospensione, non retribuita, dal lavoro del dipendente.
7. Ciò trova fondamento nella pronuncia della Corte costituzionale (sentenza n. 15 del 2023), che ha escluso l'illegittimità costituzionale della norma di cui all'art. 4 del D.L. n. 44/2021 nella parte in cui prevedeva anche la sospensione dell'obbligo retributivo, ha condivisibilmente evidenziato che questo obbligo, in assenza di prestazione, poteva sorgere solo in presenza di mora credendi del datore di lavoro, ossia di rifiuto ingiustificato dell'attività lavorativa che, invece, il dipendente avrebbe potuto legittimamente rendere.
8. Invero, solo con la modifica introdotta dal D.L. n. 172/2021, il legislatore ha scelto di non esigere più dal datore di lavoro uno sforzo di cooperazione volto all'utilizzazione del personale inadempiente in altre mansioni ed ha ritenuto non irragionevole detta scelta, in considerazione delle finalità di tutela della salute del lavoratore stesso, degli altri lavoratori e dei terzi, portatori di interessi costituzionali prevalenti sull'interesse del dipendente, la cui tutela, nella situazione di emergenza venutasi a delineare, si intendeva perseguire.
9. Orbene, nel caso in esame, entrambi i giudici del merito (Tribunale e Corte di appello) hanno rilevato l'assoluta carenza di prova circa l'inidoneità della lavoratrice e la sua ricollocabilità in mansioni alternative.
10. In particolare, è stato precisato dalla Corte distrettuale che, nel contesto normativo vigente al 9.2.2021 e quindi ancor prima della entrata in vigore del D. n. 44 del 2021, la Cooperativa avrebbe dovuto dimostrare, attraverso un accertamento medico, che le specifiche mansioni di ASA potevano essere svolte, ai fini della sicurezza sul lavoro, unicamente da lavoratori vaccinati e che, in assenza di tale condizione, gli stessi fossero valutati come inidonei alla specifica mansione di ASA e non utilmente ricollocabili in altre mansioni, anche inferiori, nell'ambito dei servizi erogati dalla Cooperativa presso la RSA.
11. Tale ratio decidendi non risulta idoneamente aggredita con i tre motivi di ricorso per cassazione perché la ricorrente si è limitata genericamente a dedurre l'impossibilità di adibire la lavoratrice ad altri compiti, in quanto comunque vi era il rischio di un inevitabile contatto con gli altri operatori e con gli ospiti, ma non ha criticato, nello specifico, la necessità, prospettata dalla Corte di appello, di una prova concreta che escludesse tale ricollocabilità ed il fatto che essa non era stata fornita.
12. La definitività della violazione dell'obbligo di ricollocazione, che, come ha anche sottolineato il Procuratore Generale presso questa Corte, è sufficiente per ritenere l'illegittimità del provvedimento di messa in aspettativa non retribuita, rende, pertanto, "non decisive" tutte le altre questioni sottese alle censure proposte.
13. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
14. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
15. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
16. In caso di diffusione della presente sentenza, vanno omessi i nomi delle parti e i riferimenti per la loro individuazione, costituendo dato sensibile, relativo alla salute (ex art. 4 Reg UE 2016/679 nonché art. 52 comma 2 e art. 2 septies u.c. D.Lgs. n. 196 del 2003) la mancata immunizzazione della lavoratrice, per sua volontà, nel lasso temporale oggetto del provvedimento di collocamento in aspettativa non retribuita.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Ai sensi dell'art. 52 comma 5 del D.Lgs. n. 196/2003, in caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi della lavoratrice controricorrente e della società datrice di lavoro.
Così deciso in Roma il 25 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2024.