Cassazione Civile, Sez. Lav., 16 ottobre 2024, n. 26896 - Omessa vaccinazione dell'OSS
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. MANNA Antonio - Presidente
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni - Consigliere
Dott. PONTERIO Carla - Consigliere
Dott. CINQUE Guglielmo - Consigliere
Dott. AMENDOLA Fabrizio - Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 20060-2022 proposto da
A.A., elettivamente domiciliata presso l'indirizzo PEC dell'avvocato GIUSEPPE EUGENIO LOZUPONE, che la rappresenta e difende;
- ricorrente -
contro
SERENA SOCIETA' COOPERATIVA SOCIALE ONLUS, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso l'indirizzo PEC dell'avvocato DELMIRO GIACOMINI, che la rappresenta e difende;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 388/2022 della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA, depositata il 12/05/2022 R.G.N. 16/2022;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/09/2024 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PAOLA FILIPPI, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l'avvocato DELMIRO GIACOMINI.
Fatto
1. La Corte di Appello di Bologna, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto il ricorso, anche ex art. 700 c.p.c., proposto da A.A. nei confronti della SERENA Società Cooperativa Sociale ONLUS, alle cui dipendenze svolgeva mansioni di operatrice socio sanitaria presso una casa di cura per anziani; il ricorso era volto ad ottenere l'accertamento della illegittimità della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, disposta dalla datrice di lavoro in data 7 giugno 2021, in seguito a comunicazione delle prescrizioni del medico competente che l'aveva giudicata "Non idonea temporaneamente a mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-COV-2 fino al termine della pandemia".
2. La Corte, in estrema sintesi e per quanto qui ancora rileva, ha innanzitutto condiviso l'assunto del Tribunale secondo cui la A.A., che non aveva adempiuto all'obbligo vaccinale stabilito dal D. L. n. 44 del 2021 per gli operatori di interesse sanitario, non avrebbe potuto essere diversamente collocata.
La Corte ha pure disatteso l'assunto dell'appellante secondo cui la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per mancato adempimento dell'obbligo vaccinale non poteva essere disposta al di fuori delle procedure previste dall'art. 4 del d. L. n. 44/21 cit.; ha, infatti, considerato che la sospensione poteva derivare dalla sopravvenuta impossibilità della prestazione come valutata dal creditore nell'osservanza dei complessivi obblighi incombenti sul datore ex art. 2087 c.c. e 2043 c.c. ovvero ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, nell'ambito della sorveglianza sanitaria esercitata tramite il medico competente.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la soccombente con otto motivi; ha resistito con controricorso l'intimata Cooperativa.
Il Pubblico Ministero ha depositato memoria in cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Diritto
1. I motivi di impugnazione possono essere indicati secondo la sintesi offerta dalla stessa parte ricorrente.
1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia "Violazione dell'art. 4 D.L. 44/2021 la Corte di Appello ha esteso indebitamente la normativa che imponeva l'obbligo vaccinale, ritenendo che essa precludesse ai soggetti non vaccinati qualsiasi attività lavorativa che determinasse un contatto con soggetti terzi, anche al di fuori dell'ambito strettamente sanitario (motivo ex art. 360 n. 3 c.p.c.)."; si sostiene che la disciplina emergenziale non avrebbe come "scopo... la tutela dello stesso soggetto obbligato, né la tutela generica della salute pubblica"; si critica l'assunto della Corte territoriale secondo cui "la lavoratrice avrebbe potuto essere occupata solo in compiti 'solitari', completamente privi di contatto con soggetti terzi".
1.2. Il secondo motivo denuncia "Violazione dell'art. 342 c.p.c. la Corte di Appello ha rilevato, con formula dubitativa, l'inammissibilità del secondo motivo di appello per asserita omessa efficacia critica della decisione di primo grado, in totale difformità con quanto dettagliatamente riportato nell'atto di appello (motivo ex art. 360 n. 3 c.p.c.)".
1.3. Il terzo motivo denuncia "Violazione dell'art. 4 D.L. 44/2021, dell'art. 1 della L. 219/2017 e dell'art. 32 co. 2 Cost. la Corte di Appello ha ritenuto che il datore di lavoro abbia la facoltà di imporre al lavoratore un trattamento sanitario (la vaccinazione contro il COVID-19), a pena della sospensione non retribuita dal servizio, anche al di fuori delle ipotesi specificamente previste dalla normativa speciale portata dal D.L. 44/2021 (motivo ex art. 360 n 3 c.p.c.)."; si sostiene che "la sospensione del diritto al lavoro,..., non discende automaticamente dall'omessa vaccinazione, ma dall'adozione di uno specifico atto amministrativo", argomentando diffusamente che l'accertamento dell'inadempimento all'obbligo vaccinale da parte dell'ASL abbia un "effetto costitutivo";
1.4. Il quarto motivo denuncia "Violazione del combinato disposto degli artt. 2087 e 2697 c.c., nonché dell'art. 115 co. 2 c.p.c. la Corte di Appello ha indebitamente sovrapposto l'obbligo vaccinale di cui all'art. 4 D.L. 44/2021 alla valutazione in merito alla sicurezza del luogo di lavoro ex art. 2087 c.c. La sospensione è stata ritenuta corretta dal punto di vista sanitario unicamente in ragione della sussistenza dell'obbligo vaccinale per la categoria degli operatori sanitari, in assenza di prova della sua utilità nel caso di specie (motivo ex art. 360 n. 3 c.p.c.)". Si deduce, quale "fatto notorio ai sensi dell'art. 115 co. 2 c.p.c., che la vaccinazione abbia un'efficacia assai ridotta ai fini di garantire l'immunità dal virus e, quindi, di impedire che gli operatori sanitari, contagiandosi, possano infettare colleghi e pazienti" e si sostiene che "al momento della sospensione sussisteva, invece, un mezzo molto più efficace ai fini di garantire la sicurezza sul luogo di lavoro, rappresentato dal monitoraggio costante per mezzo di tamponi".
1.5. Il quinto motivo denuncia "Violazione dell'art. 342 c.p.c. la Corte di Appello ha dichiarato l'inammissibilità del terzo motivo di appello per asserita omessa efficacia critica della decisione di primo grado, in totale difformità' con quanto dettagliatamente riportato nell'atto di appello (motivo ex art. 360 n. 3 c.p.c.)".
1.6. Il sesto motivo denuncia "Violazione dell'art. 41 co. 2 lett. b) D.Lgs. 81/2008 e dell'art. 4 D.L. 44/2021 la Corte di Appello ha ritenuto che il medico del lavoro sia competente per l'accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale, seppure a tale compito sia stata deputata, in via esclusiva, l'azienda sanitaria locale di residenza dell'obbligato (motivo ex art. 360 n. 3 c.p.c.)."; si eccepisce che il medico competente avrebbe agito al di fuori dalle proprie attribuzioni.
1.7. Il settimo motivo denuncia "Violazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., nonché 115 e 116 c.p.c. la Corte di Appello ha reputato corretta la decisione del Giudice di prime cure, il quale ha ritenuto provata l'impossibilità di ricollocamento della dipendente sulla base delle mere allegazioni contenute nella comparsa della società resistente, in assenza di qualsivoglia elemento probatorio (motivo ex art. 360 n. 3 c.p.c.).".
1.8. L'ottavo motivo denuncia "Violazione dell'art. 42 co. 1 D.Lgs. n. 81/2008 la Corte di Appello non ha valutato la possibilità che la lavoratrice fosse ricollocabile in altre strutture gestite dalla Cooperativa resistente (motivo ex art. 360 n. 3 c.p.c.)."; si eccepisce che la Cooperativa resistente avrebbe "omesso qualsivoglia allegazione in merito alle eventuali mansioni che potevano essere assegnate alla sig.ra A.A. in una delle sue altre 12 unità operative".
2. Al fine di un ordinato iter motivazionale è opportuno premettere il quadro normativo rilevante per la controversia, così come interpretato da recenti arresti di questa Suprema Corte alla luce della giurisprudenza costituzionale che ha ritenuto infondati i numerosi dubbi di legittimità costituzionale sollevati sulla disciplina adottata dal legislatore a fronte dell'emergenza sanitaria di rilevanza internazionale data dalla diffusione e gravità dell'epidemia da SARS-Cov 2 (cfr. Corte cost. n. 14 del 2023; Corte cost. n. 15 del 2024; Corte cost. n. 186 del 2023).
2.1. Nella presente controversia trova applicazione l'originaria disposizione di cui all'art. 4 del D.L. 1 aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, nella L. 28 maggio 2021, n. 76, rubricato "Disposizioni urgenti in materia di prevenzione del contagio da SARS-CoV-2 mediante previsione di obblighi vaccinali per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario".
"(A)l fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza", il comma 1 dell'art. 4 ha previsto l'obbligo vaccinale per "gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 1 febbraio 2006, n. 43, che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali" e si è individuato nella vaccinazione, da somministrare nel rispetto del piano disciplinato dalla legge n. 178 del 2020, art. 1, comma 457, nonché delle indicazioni fornite dalle regioni, un "requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati".
Dall'obbligo vaccinale il legislatore ha esentato, fra gli appartenenti alle categorie sopra indicate, solo coloro che si trovavano in una condizione di "accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale" (art. 4, comma 2).
Nell'iniziale formulazione la norma, oltre a stabilire una scansione procedimentale volta a regolare le modalità operative dell'obbligo vaccinale e a verificarne l'adempimento a carico degli ordini professionali, delle regioni e province autonome, nonché delle aziende sanitarie locali (commi da 3 a 6), si prevedeva, al comma 6, che l'accertamento da parte dell'azienda sanitaria locale di mancato adempimento dell'obbligo vaccinale "determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS – Cov 2".
Aggiungeva il comma 8 che il datore di lavoro, ricevuta comunicazione dell'accertamento, era tenuto ad adibire "il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio".
L'art. 4 in esame si concludeva con la previsione, in caso di impossibilità di una diversa utilizzazione del prestatore, della sospensione dal servizio, accompagnata dalla privazione della retribuzione e di ogni altro emolumento, ed efficace sino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021.
In questa prima fase, dunque, il bilanciamento fra il diritto del singolo tutelato dall'art. 32 Cost., comprensivo anche della libertà negativa di non essere assoggettato a trattamenti sanitari non richiesti o non accettati, e l'interesse della collettività alla tutela della salute pubblica, è stato realizzato dal legislatore prevedendo un modello che, come evidenziato dalla Corte Costituzionale, "pur individuando in determinate categorie i destinatari dell'obbligo vaccinale, ne delimitava il perimetro in modo tale da rapportarlo al concreto svolgimento dell'attività lavorativa e ammettendo anche la possibilità di utilizzare diversamente, nel contesto lavorativo, coloro che non si sottoponessero alla vaccinazione" (così Corte Cost. n. 186 del 2023). Quindi, la sospensione dall'attività e la conseguente privazione della retribuzione erano subordinate alla previa verifica della impossibilità di utilizzare diversamente il lavoratore non vaccinato.
2.2. La scelta inizialmente operata è stata ripensata dal legislatore che, a seguito dell'aggravarsi della situazione sanitaria, ha reso più stringenti i vincoli posti alle categorie interessate e con il D.L. 26 novembre 2021 n. 172, convertito dalla L. 21 gennaio 2022 n. 3, ha modificato il testo del richiamato art. 4 del D.L. n. 44 del 2021.
In particolare a) i destinatari dell'obbligo vaccinale sono stati individuati sulla base della sola categoria professionale di appartenenza, senza alcuna considerazione dei servizi e dei luoghi di espletamento dell'attività lavorativa; b) è stato soppresso il potere/dovere del datore di lavoro, previsto dal comma 8 del testo originario, di adibire il lavoratore non vaccinato a mansioni non comportanti rischio di diffusione del contagio, potere/dovere che è rimasto circoscritto alla sola ipotesi di vaccinazione non effettuata a causa di accertato e documentato pericolo per la salute; c) all'accertamento del rifiuto della vaccinazione è stata correlata la sospensione dall'esercizio della professione sanitaria nella sua interezza e non delle sole prestazioni implicanti contatti interpersonali.
La successiva disciplina ha, poi, ribadito l'analoga disposizione contenuta nell'art. 4, comma 6, stabilendo che "L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati." (comma 3).
Infine, sul presupposto della contrarietà a diritto dello svolgimento di attività lavorativa in violazione dell'obbligo vaccinale, il legislatore ha previsto, al comma 5, che "Lo svolgimento dell'attività lavorativa in violazione dell'obbligo vaccinale di cui al comma 1 è punito con la sanzione di cui al comma 6 e restano ferme le conseguenze disciplinari secondo i rispettivi ordinamenti di appartenenza", ed ha affermato l'applicabilità della medesima sanzione alle categorie di personale soggette all'obbligo vaccinale ai sensi degli artt. 4 e 4 bis del decreto legge, come riformulato. Significativo rilevare che il legislatore, rendendo evidente la doverosità della vaccinazione e l'assenza di qualsivoglia discrezionalità da parte dei datori di lavoro, abbia assoggettato a sanzione anche quest'ultimi in caso di omissione degli adempimenti necessari al fine di assicurare il rispetto dell'obbligo vaccinale.
In definitiva, in questa seconda fase, con la modifica introdotta dal D.L. n. 172/2021, fermo il precetto dell'obbligo vaccinale e il divieto di attività lavorativa nel caso di violazione di detto obbligo, il legislatore ha scelto di non esigere più dal datore di lavoro uno sforzo di cooperazione volto all'utilizzazione del personale inadempiente in altre mansioni e il giudice delle leggi ha ritenuto non irragionevole detta scelta, in considerazione delle finalità di tutela della salute pubblica che attraverso la stessa, nella situazione di emergenza venutasi a delineare, si intendeva perseguire (cfr. Corte Cost. n. 14 del 2023).
2.3. Avuto riguardo alle conseguenze che derivano dall'eventuale illegittimità della sospensione del lavoratore non vaccinato, la Corte Costituzionale, nell'escludere l'illegittimità della norma nella parte in cui prevede anche la sospensione dell'obbligo retributivo, ha evidenziato che questo obbligo, in assenza di prestazione, può sorgere solo in presenza di mora credendi del datore di lavoro, ossia di rifiuto ingiustificato dell'attività lavorativa che, invece, il dipendente avrebbe potuto legittimamente rendere. Invece, il rifiuto della prestazione offerta dal lavoratore non vaccinato non integra mora credendi, perché fondato sulla carenza di un requisito essenziale di carattere sanitario per lo svolgimento della prestazione stessa e ciò giustifica anche la sospensione dell'obbligo retributivo, come la mancata previsione dell'assegno alimentare. Infatti, nel caso di mancato adempimento all'obbligo vaccinale, è il lavoratore che decide di sottrarsi unilateralmente alle condizioni di sicurezza che rendono la sua prestazione lavorativa legittimamente esercitabile (cfr. Corte cost. n. 15 del 2023).
La pronuncia appena citata ha pure evidenziato che, una volta elevata dalla legge la vaccinazione a requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati, il datore di lavoro, messo a conoscenza della accertata inosservanza dell'obbligo vaccinale da parte del lavoratore, è tenuto ad adottare i provvedimenti di sospensione dal servizio e dalla retribuzione; ciò in sintonia con l'obbligo di sicurezza imposto al datore di lavoro dall'art. 2087 c.c. e dall'art. 18 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, con valenza integrativa del contenuto sinallagmatico del contratto individuale di lavoro, in quanto la vaccinazione anti SARS-CoV-2 ha ampliato il novero degli obblighi di cura della salute e di sicurezza prescritti dall'art. 20 del D.Lgs. n. 81 del 2008, nonché degli obblighi di prevenzione e controllo stabiliti dal successivo art. 279 per i lavoratori addetti a particolari attività. Posto che la prestazione offerta dal lavoratore che non si è sottoposto all'obbligo vaccinale non è conforme al contratto, come integrato dalla legge, è certamente giustificato – secondo la Corte costituzionale - il rifiuto della stessa da parte del datore di lavoro e lo stato di quiescenza in cui entra l'intero rapporto è semplicemente un mezzo per la conservazione dell'equilibrio giuridico-economico del contratto.
2.4. Sulla base di tali condivise premesse, questa Corte Suprema ha sancito che, affinché il prestatore, sospeso dal servizio, possa pretendere a titolo risarcitorio le retribuzioni non corrisposte sino alla successiva riammissione, è necessario che lo stesso non si trovasse nelle condizioni richieste dalla normativa per essere sottoposto all'obbligo vaccinale, e ciò con riferimento ad entrambe le fasi di cui si è dato conto (in termini, Cass. n. 12211 del 2024; conf. Cass. n. 15697 del 2024)
Con l'ulteriore conseguenza che anche il diritto sopravvenuto, che certo non può valere a conferire retroattivamente legittimità ad una sospensione che tale non era al momento della sua adozione, vale, però, ad escludere che le retribuzioni perse a partire da detta data possano integrare un danno ingiusto risarcibile. Ciò in quanto, divenuta irricevibile la prestazione di lavoro sulla base dello ius superveniens, viene meno la mora credendi che del risarcimento da illegittima sospensione costituisce il necessario presupposto (ancora Cass. nn. 12211 e 15697 del 2024 cit.).
È stato anche condivisibilmente affermato "dal complesso delle disposizioni dettate dal legislatore... si evince che, sorto l'obbligo di legge a partire dalla data sopra indicata, l'attività imposta ai datori di lavoro aveva solo finalità accertativa dell'avvenuto rispetto dell'obbligo medesimo, sicché anche l'eventuale omissione da parte del datore di lavoro della procedura indicata dal comma 3 (omissione passibile di sanzione amministrativa) non rende possibile e lecita una prestazione ormai vietata dal chiaro disposto della legge" (così, Cass. n. 12211 del 2024).
Tanto in coerenza con quanto ritenuto dalle Sezioni unite di questa Corte che, in sede di riparto di giurisdizione, hanno più volte ritenuto che l'autorità amministrativa preposta è tenuta unicamente ad accertare il compimento di una fattispecie legale specificamente regolata, ossia che – nei termini stabiliti dalle stesse disposizioni di legge – si sia determinato il "fatto" dell'inadempimento all'obbligo vaccinale, per darne, quindi, attestazione e comunicazione; si tratta di un atto, di mera verifica dell'essersi determinato il "fatto" dell'inadempimento all'obbligo imposto dalla legge, che ha "natura dichiarativa" e che non richiede alcun apprezzamento discrezionale, con la conseguenza che la relativa controversia appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario perché viene in rilievo un diritto soggettivo nei cui confronti la pubblica amministrazione non esercita alcun potere autoritativo correlato all'esercizio di poteri di natura discrezionale (Cass. SSUU n. 28429 del 2022; conf. Cass. SS.UU. n. 9403 del 2023; Cass. SS.UU. n. 15262 del 2024).
3. Tutto ciò premesso in diritto, i motivi del ricorso non meritano accoglimento.
3.1. Il primo, il terzo, il quarto e il sesto motivo possono essere trattati congiuntamente, per connessione reciproca, in quanto censurano la sentenza impugnata, sotto vari profili, avuto essenziale riguardo alla pretesa violazione della disciplina introdotta dall'art. 4 del D.L. n. 44 del 2021, conv., con modificazioni, nella L. n. 76 del 2021.
Le doglianze ruotano, nella sostanza, sull'assunto che la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione della lavoratrice non poteva essere disposta al di fuori di un accertamento della violazione dell'obbligo di sottoporsi alla vaccinazione effettuato senza il rispetto delle procedure previste dalla disposizione evocata; si sostiene la natura "costitutiva" dell'atto di accertamento da parte dell'ASL.
Alla stregua dei princìpi già affermati da questa Corte e innanzi richiamati, le censure non hanno pregio.
Innanzitutto, perché dall'entrata in vigore della disciplina richiamata è sorto immediatamente l'obbligo, per determinati lavoratori individuati dalla normativa, di sottoporsi a vaccinazione per rendere la prestazione, in mancanza della quale la stessa difettava di un requisito legale essenziale per essere resa; di modo che la complessa attività procedimentale stabilita dalla stessa disposizione aveva solo la finalità strumentale di accertare e dichiarare l'avvenuto rispetto dell'obbligo vaccinale e anche l'eventuale omissione della procedura da parte del datore di lavoro non rendeva "possibile e lecita una prestazione ormai vietata dal chiaro disposto della legge" (in termini Cass. n. 12211/2024 cit.).
Inoltre, perché il prestatore, unilateralmente sospeso dal servizio, intanto poteva pretendere a titolo risarcitorio le retribuzioni non corrisposte in quanto non si trovasse nelle condizioni richieste dalla normativa per essere sottoposto all'obbligo vaccinale (ancora Cass. n. 12211/2024 cit.) e non perché non è stata seguita la procedura prevista per l'accertamento dell'inadempimento all'obbligo vaccinale, inadempimento comunque mai posto in contestazione.
Infatti, l'obbligo retributivo, in assenza di prestazione, può sorgere solo in presenza di mora credendi del datore di lavoro, ossia di rifiuto ingiustificato dell'attività lavorativa che, invece, il dipendente avrebbe potuto legittimamente rendere. Invece, il rifiuto della prestazione offerta dal lavoratore non vaccinato non integra mora credendi, perché fondato sulla carenza di un requisito essenziale di carattere sanitario per lo svolgimento della prestazione stessa e ciò giustifica anche la sospensione dell'obbligo retributivo.
Circa, poi, la pretesa incompatibilità tra le procedure previste dall'art. 4 del D.L. n. 44 del 2021 e l'osservanza degli obblighi di sorveglianza sanitaria previsti nell'adempimento degli obblighi derivanti dal D.Lgs. n. 81 del 2008, oltre che dall'art. 2087 c.c., è appena il caso di rammentare che la Corte costituzionale (sentenza n. 15/2023 cit.) ha condivisibilmente sottolineato come gli obblighi di sicurezza imposti da tali normative abbiano valenza integrativa del contenuto sinallagmatico del contratto individuale di lavoro, con la conseguenza che la prestazione offerta dal lavoratore che non si è sottoposto all'obbligo vaccinale non è conforme al contratto, come integrato dalla legge, rendendo certamente giustificato il rifiuto della prestazione da parte del datore di lavoro.
3.2. Il secondo e il quinto motivo, che denunciano entrambi la violazione dell'art. 342 c.p.c. per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto inammissibili taluni motivi di appello, non possono trovare accoglimento.
Infatti, la Corte bolognese si è comunque pronunciata nel merito.
Sia avuto riguardo al secondo motivo di gravame, che la Corte, dopo aver qualificato il medesimo "di opinabile ammissibilità", ha comunque giudicato "infondato", con diffusa motivazione; sia con riguardo al terzo motivo di appello, che la Corte ha ritenuto sì inammissibile ma anche "infondato per le stesse ragioni di cui al provvedimento impugnato".
3.3. Il settimo e l'ottavo motivo, infine, che denunciano la violazione di plurime norme di legge, sono inammissibili.
La possibilità o meno che la lavoratrice potesse essere utilizzata in altre mansioni piuttosto che sospesa, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, rappresenta inevitabilmente una quaestio facti, demandata all'accertamento dei giudici del merito.
Come tale può essere sindacato innanzi a questa Corte nei ristretti limiti in cui può esserlo ogni accertamento di fatto, tanto più in una ipotesi di cd. "doppia conforme" (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall'art. 3, commi 26 e 27, D.Lgs. n. 149 del 2022).
Sicuramente non attraverso la prospettazione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., che presuppone una ricostruzione dei fatti storici incontestata.
Più volte le Sezioni unite di questa Corte hanno ribadito l'inammissibilità di censure che "sotto l'apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l'inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l'azione", così travalicando "dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all'art. 360 cod. proc. civ., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti" (cfr. Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass. SS.UU. n. 33373 del 2019; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020).
4. In conclusione, il ricorso, nel suo complesso, è da rigettare; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
Infine, a tutela della ricorrente in relazione a scelte che coinvolgono dati concernenti la personale sfera sanitaria, si deve disporre, in caso di riproduzione in qualsiasi forma della presente sentenza, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi della medesima, ai sensi dell'art. 52, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 1.800,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Dispone, in caso di riproduzione in qualsiasi forma del presente provvedimento, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi di A.A., ai sensi dell'art. 52, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
Così deciso in Roma il 25 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2024.