Cassazione Penale, Sez. 3, 23 ottobre 2024, n. 38887 - Portiere schiacciato mortalmente dall'anta di un cancello. Cass. Pen. 51097: ricorso del collaudatore


 




REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE


Composta da:

Dott. SARNO Giulio - Presidente

Dott. GENTILI Andrea - Consigliere

Dott. VERGINE Cinzia - Consigliere

Dott. DI STASI Antonella - Consigliere

Dott. GALANTI Alberto - Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



Sul ricorso presentato da:

A.A., nato a P il (Omissis);

avverso la sentenza della Corte di cassazione n. 51097 del 14/12/2023;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Alberto Galanti;

udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale D.ssa Valentina Manuali, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udita, per l'Imputato, l'Avv. Carla Manduchi del Foro di Roma, che si è riportata al ricorso chiedendone l'accoglimento.

 

Fatto


1. Con sentenza n. 51097 del 14/12/2023, la Quarta Sezione della Corte di cassazione rigettava il ricorso proposto da A.A. avverso la sentenza emessa il dalla Corte di Appello di Brescia del 25 gennaio 2023, che aveva a sua volta confermato la sentenza, pronunciata dal Tribunale di Bergamo in data 10/06/2020, che aveva condannato B.B., C.C., D.D. e A.A. alla pena di 9 mesi di reclusione ciascuno, per il reato di cui all'artt. 113, 589 commi 1 e 2 cod. pen., in relazione alla morte di E.E., avvenuta a seguito di gravissime lesioni riportate al cranio al torace e agli arti inferiori in quanto, mentre stava chiudendo manualmente il cancello di Porta ovest della Nuovo polo fieristico di R-P, l'anta destra usciva dalla guida e si ribaltava addosso al E.E., portiere addetto.

2. Avverso la sentenza il A.A. propone ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 625-bis cod. proc. pen.ioò

2.1. Con il primo motivo deduce errore di fatto, consistente nella errata percezione delle risultanze processuali allegate ai motivi di ricorso, che ha assunto carattere decisivo nel rigetto del ricorso e delle argomentazioni difensive.

Il ricorrente riporta il passo della sentenza in cui i giudici sarebbero incorsi nell'errore percettivo (pag. 7): "I motivi da 1 a 7 e quelli aggiunti che possono essere esaminati congiuntamente sono generici al limite della inammissibilità e non si confrontante con le argomentazioni specifiche della corte territoriale che a proposito della posizione del A.A. valorizza l'elemento probatorio del "Certificato di collaudo opere civili" sottoscritto il 29 novembre 2006 che non conteneva alcun riferimento a recinzioni e cancelli, fra i quali quello della Porta Ovest, che al pari degli altri cancelli e recinzioni, rientrava nel "collaudo statico delle strutture di tutte le opere del Nuovo polo di R-P" che formava l'oggetto dell'incarico conferito da Sviluppo Sistema Fiera Spa (fol. 65 sentenza impugnata che richiama l'allegato 54 relazione CT Leo). I cancelli infatti rientrano nelle opere civili e come tali devono essere oggetto di collaudo, trattandosi di "forniture" che vengono incorporate nei manufatti edilizi: di talché il cancello deve essere visto non come un corpo a sé stante, ma come un elemento del manufatto edilizio che deve perfettamente integrarsi nel complesso dell'opera per il suo corretto funzionamento e la sua necessaria staticità; il collaudo statico e tecnico attribuito al ricorrente - dal quale erano escluse le sole opere già attribuite all'altro collaudatore ing. F.F. - comprendeva specificamente anche la recinzione di cui si discute ("Porta Orientale e Porta Occidentale")".

Tale passo interpreta la relazione di consulenza del C.T. Levo in senso esattamente contrario rispetto al suo contenuto, per effetto di un evidente errore percettivo dell'elaborato.

Tale errore, oltre ad essere evidente, è anche rilevante, in quanto testualmente la sentenza impugnata riferisce che il ricorso del A.A. doveva essere rigettato in quanto le doglianze erano smentite dalla ricostruzione probatoria di cui sopra.

2.2. Con il secondo motivo deduce l'omessa risposta a tutti gli altri motivi denunciati.

La difesa proponeva cinque motivi di ricorso più dei motivi aggiunti, quindi in totale sei motivi.

Nella sentenza si parla invece di otto motivi, i cui contenuti non sono stati affatto affrontati.

Sul tema della aggravante antinfortunistica/prescrizione, ad esempio la risposta della Corte è di fatto una pseudo-motivazione (pag. 26: "è manifestamente infondato l'ottavo motivo che mira genericamente ad ottenere la esclusione dell'aggravante di cui alla violazione della normativa infortunistica la cui sussistenza incide sui termini di prescrizione, raddoppiandoli ai sensi di quanto previsto dall'art. 157 cod. pen.").

Anche con gli altri motivi di ricorso sussiste analogo errore di fatto.

3. In data 11/07/2024, il processo veniva rinviato alla data odierna a seguito di adesione del difensore dell'imputato all'astensione dalle udienze e dalle attività giudiziarie penali proclamata per i giorni 10, 11 e 12 luglio 2024 dagli organismi di categoria.

 

Diritto


1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il Collegio premette che il particolare strumento dell'art. 625-bis cod. proc. pen. è teso a porre riparo alla particolare patologia estrinseca dello "sviamento" del giudizio, quando la decisione oggetto del rimedio sia fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità sia positivamente stabilita e ciò possa desumersi ictu oculi.

O ancora, lì dove per una vera e propria svista materiale (disattenzione di ordine meramente percettivo) sia stato omesso l'esame di uno specifico motivo di ricorso, dotato del requisito della decisività (v., da ultimo, Sez. 1, n. 7189 del 13/02/2024, Pieraccini, Rv. 285792-01), come sembrerebbe dedursi in riferimento al secondo profilo di doglianza.

La giurisprudenza di questa Corte è chiara nel ritenere che l'errore di fatto - verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio previsto dall'art. 625-bis cod. proc. pen. - consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall'influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall'inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221280-01).

Coerente corollario di tale assunto è che, ove la causa dell'errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì un errore di giudizio, come tale escluso dall'orizzonte del rimedio previsto dall'art. 625-bis cod. proc. pen. (così Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, Moroni, Rv. 263686; cfr. nello stesso alveo Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, Corsini, Rv. 250527; Sez. 1, n. 23225 del 21/01/2021, Dellagaren, n.m.).

Del tutto coerente con questa impostazione è, infine, la considerazione per cui il ricorso straordinario non è da ammettersi neanche quando venga dedotto un erroneo vaglio deliberativo di aspetti del compendio storico-fattuale, essendo pure in tal caso prospettato un errore non di fatto, bensì di giudizio (cfr. Sez. 6, n. 37243 del 11/07/2014, Diana, Rv. 260817).

Del pari, conseguente all'impostazione illustrata (e sintetizzata anche da Sez. 1, n. 52985 del 16/05/2017, Novebaci, non mass.) si profila l'approdo secondo cui l'errore materiale e l'errore di fatto - indicati dall'art. 625-bis cod. proc. pen. come motivi di possibile ricorso straordinario avverso provvedimenti della Corte di cassazione - consistono, il primo, nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica e, il secondo (che qui rileva), in una svista o in un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, il cui contenuto viene percepito in modo difforme da quello effettivo, con l'effetto che rimangono del tutto estranei all'area dell'errore di fatto - e vanno ritenuti, quindi, inoppugnabili - anche gli errori di valutazione e di giudizio dovuti a una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, da assimilare agli errori di diritto conseguenti all'inesatta ricostruzione del significato delle norme sostanziali e processuali (Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, Barbato, Rv. 273193-01).

3. Nel caso di specie, come il Collegio di seguito evidenzierà, non sono ravvisabili né un errore materiale né un errore di fatto.

4. Quanto al primo motivo, è di solare evidenza che ciò che il ricorrente intende denunciare non è un errore "percettivo", bensì "valutativo" e in particolare un travisamento della prova, che - come premesso - non può costituire oggetto dello strumento di impugnazione straordinario attivato.

Non a caso, a pag. 7 del ricorso, si parla testualmente di una manifesta "erronea lettura degli atti di causa".

Il motivo è pertanto inammissibile in quanto proposto al di fuori dei casi consentiti.

Va peraltro aggiunto che la sentenza che qui si impugna, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente anche in sede di discussione, non ha fatto espresso riferimento alla relazione di consulenza, cui il ricorrente attribuisce significato contrario a quello ritenuto nei tre gradi del precedente giudizio, bensì - testualmente - al "fol. 65 sentenza impugnata che richiama l'allegato 54 relazione CT Levo", ciò che appare coerente con i poteri di scrutinio della Corte, focalizzati sul provvedimento giurisdizionale impugnato e non sulle prove assunte nel giudizio.

Il motivo di ricorso, oltre che inammissibile, è quindi anche manifestamente infondato in quanto radica la sua deduzione su un presupposto di fatto erroneo.

5. Il secondo motivo non gode di miglior sorte e deve anch'esso essere dichiarato inammissibile.

Ed infatti, quanto alla tematica della prescrizione e della aggravante della normativa infortunistica (profilo su cui maggiormente si appunta la doglianza), a pagina 25 la sentenza impugnata precisa che "la normativa che attiene al collaudo statico delle strutture riguarda non solo la perfetta realizzazione a regola d'arte del manufatto ma anche il rispetto delle norme antinfortunistiche e di sicurezza del cancello anche quale luogo e attrezzatura di lavoro nel rispetto dei requisiti essenziali di sicurezza del cancello imposta dalla direttiva prodotti da costruzione 89/106/CEE. Il A.A. non verificò con la dovuta diligenza dovuta in esecuzione dell'incarico affidatogli il funzionamento del cancello in tutti i suoi aspetti soprattutto di sicurezza, stante la difformità dal Progetto edilizio, il disallineamento da quanto riportato nei disegni finali, l'assenza di indicazioni sul sistema di fermo corsa installato, l'assenza di un progetto esecutivo costruttivo del cancello conforme alle norme e alle leggi codificanti la regola d'arte, la evidente incapacità dei sistemi di ammortizzazione del cancello in chiusura di evitare "urti inopportuni" della piastre di fermo corsa, la mancata certificazione della conformità delle norme tecniche previste dalla Direttiva prodotti di costruzione come richiesto dal contratto, a garanzia della regolare costruzione a regola d'arte del manufatto e della sicurezza dei lavoratori e dei terzi. Le omissioni anche del collaudatore A.A. hanno consentito, nella catena causale, al costruttore NPF e ai subappaltatori di progettare non adeguatamente, di realizzare e mettere in servizio un cancello scorrevole manuale in realtà privo di un sistema di fermo corsa in chiusura delle ante mobili, in quanto non costruito a regola d'arte e ciò in disapplicazione delle norme antinfortunistiche di cui all'art. 3  D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 3, delle norme di fabbricazione del cancello, attrezzatura di lavoro secondo le vigenti normative di sicurezza e le specifiche disposizioni sulla sicurezza dei prodotti di costruzione 89/106/CEE.... Conseguentemente è manifestamente infondato l'ottavo motivo che mira genericamente ad ottenere la esclusione dell'aggravante di cui alla violazione della normativa infortunistica la cui sussistenza incide sui termini di prescrizione, raddoppiandoli ai sensi di quanto previsto dall'art. 157 cod. pen.".

Il ricorso, che riporta solo la parte finale della motivazione, senza confrontarsi con la parte che precede, in cui viene evidenziata la violazione della normativa infortunistica, cui consegue il raddoppio dei termini prescrizionali, è pertanto inammissibile per genericità, oltre che - anche in questo caso - teso ad ottenere una rivalutazione non consentita della motivazione del giudice della legittimità in sede di impugnazione straordinaria.

Del pari generica è la restante parte della doglianza.

Alle pagine 11-13, nelle premesse in fatto la sentenza impugnata riporta il contenuto del ricorso del A.A. nel modo che segue:

"3.3.1. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ricostruzione operata quanto alla competenza del prof. A.A. con riferimento al collaudo tecnico della Porta ovest. Deduce che il collaudo statico non trova applicazione con riferimento al cancello ma solo alle opere civili e quindi ai manufatti edilizi; i cancelli rientrano nei prodotti da costruzione e non sono sottoposti al collaudo statico ai sensi della legge 1971/1086 come peraltro affermato anche dal CT a pag. 36 e ss.; 3.3.2. Motivazione apparente con riferimento all'estraneità del ricorrente A.A. al collaudo tecnico della porta Ovest, che non rientrava nell'ambito della sua competenza poiché attribuita ad altro collaudatore, come risulta dalla Relazione di ultimazione delle opere redatta dalla Direzione Lavori in data 31.03.2006 dall'Ing D.D. che non menziona la Porta ovest; 3.3.3. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ricostruzione del nesso causale in considerazione del fatto che il cancello ha svolto la sua funzione per sette anni e quindi è contraddittorio affermare che le saldature erano così esili da essere incapaci a resistere alla forza di impatto del cancello e il paracolpi inidoneo a intrinsecamente ad assorbire tale forza di impatto; 3.3.4. vizio di motivazione con riferimento al nesso causale avendo i giudici omesso di accertare un diverso iter causale che poteva giustificare l'improvvisa caduta del cancello dopo anni di regolare funzionamento in particolare gli interventi manutentivi che risultano essere stati fatti prima dell'incidente riguardanti nuovi paraurti in gomma come risulta da una fotografia scattata da Manutencoop il giorno dopo dell'incidente e allegata alla relazione del CT del PM. Ricostruzione alternativa peraltro non esclusa anzi argomentata dalla Corte di appello nella sentenza 444/2020 del 18.11.2020 che ha assolto G.G. dipendente della Orsogril per il quale si è proceduto con rito abbreviato dinanzi al Gup del Tribunale di Milano in cui si evidenziano dubbi in merito alla inefficacia causale sia del lungo lasso di tempo trascorso sia degli interventi alterativi dello stato dei luoghi posti in essere prima della caduta; 3.3.5 violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla effettiva rimproverabilità del fatto all'imputato quanto alla prevedibilità e alla riconoscibilità in concreto del pericolo generico, considerato che al momento del collaudo il cancello era in funzione da un anno e mezzo e non vi erano segnali di criticità e non vi è stata violazione di alcuna norma cautelare mirata a prevenire la concretizzazione del rischio; 3.3.6. violazione di legge per insussistenza dell'aggravante contestata in quanto nessuna delle regole cautelari di cui si contesta la violazione è connessa alla tutela dell'ambiente di lavoro. Unica norma richiamata nel capo di imputazione è la legge 1086/1971; mentre la norma tecnica UNI EN 12604:2002 è destinata ai produttori e ha ad oggetto l'incolumità pubblica di utenti e pedoni non quella specifica del lavoratore la norma è stata recepita nel 2004 in Italia e nel regime transitorio fino all'aprile 2005 ha avuto un'applicazione volontaria; 3.3.7. violazione di legge in relazione alla mancata applicazione della prescrizione a far data del 21.02.2021 prima della sentenza della Corte di appello stante la pacifica esclusione dell'aggravante contestata; 3.3.8. La difesa di A.A. ha depositato memoria intitolata "con nuovi motivi di ricorso" in cui si ribadiscono le deduzioni già affrontate nel ricorso con riferimento al fatto che è pacifico che nel certificato di collaudo del 29.11.2006 non conteneva alcun riferimento a recinzioni e cancelli e che il A.A. era uno dei collaudatori per il collaudo tecnico delle opere civili; non è stata individuata nel caso concreto la regola comportamentale che si assume violata che ha efficacia cautelare oltre alla prevedibilità ed evitabilità dell'evento che la regola violata mirava ad evitare".

La sentenza impugnata poi, a pagina 14, con motivazione valevole per tutti i ricorsi, precisa che "i ricorrenti invocano, in realtà, con motivi sostanzialmente sovrapponibili, una riconsiderazione alternativa del compendio probatorio, con riguardo alla ricostruzione della dinamica del fatto ed alla affermazione di penale responsabilità alla luce di un preteso travisamento della prova", salvo poi procedere, dal par. 2.2 in poi, ad affrontare i temi sollevati dai vari ricorrenti, concernenti la causalità della colpa, l'estensione della posizione di garanzia, l'aggravante antinfortunistica (pag. 16) e la sua applicabilità anche nei confronti dei terzi (1718), la scarsa tenuta delle saldature della piastra di fermo-corsa del cancello e l'intrinseca incapacità del paracolpi in gomma di attenuare significativamente le forze d'impatto in fase di chiusura del cancello stesso (pag. 21).

A pagina 18 precisa che "il primo giudice aveva già compiutamente affrontato e risolto le questioni sollevate dalla difesa, seguendo un percorso motivazionale caratterizzato da completezza argomentativa e dalla puntualità dei riferimenti agli elementi probatori acquisiti e rilevanti ai fini dell'esame della posizione dei ricorrenti; di tal che, trattandosi di conferma della sentenza di primo grado, i giudici di seconda istanza, a fondamento del convincimento espresso, legittimamente hanno richiamato anche la motivazione addotta dal Tribunale, senza peraltro mancare di ricordare i passaggi più significativi dell'iter argomentativo seguito dal primo giudice e di fornire autonome valutazioni a fronte delle deduzioni dell'appellante" e che "nella concreta fattispecie la decisione impugnata si presenta dunque formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti l'infortunio oggetto del processo. La Corte distrettuale, infatti, dopo aver analizzato tutti gli aspetti della vicenda (dinamica dell'infortunio, posizioni di garanzia, nesso di causalità tra la condotta contestata e l'evento, comportamento della parte lesa) ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente la penale responsabilità degli odierni ricorrenti; ha puntualmente ragguagliato il giudizio di fondatezza dell'accusa al compendio probatorio acquisito, a fronte del quale non possono trovare spazio le deduzioni difensive, per lo più finalizzate a sollecitare una lettura del materiale probatorio diversa e volte ad accreditare un' alternativa generica ricostruzione dei fatti, mediante prospettazioni che risultano formulate in difetto di correlazione con i contenuti della decisione impugnata e si risolvono in mere critiche discorsive a quest'ultima".

A pagina 24, la sentenza affronta la posizione dell'odierno ricorrente, testualmente affermando che "i motivi da 1 a 7 e quelli aggiunti che possono essere esaminati congiuntamente sono generici al limite della inammissibilità e non si confrontano con le argomentazioni specifiche della Corte territoriale che a proposito della posizione del A.A. valorizza l'elemento probatorio del "Certificato di collaudo opere civili" sottoscritto il 29 novembre 2006 che non conteneva alcun riferimento a recinzioni e cancelli, fra i quali quello della Porta Ovest, che al pari degli altri cancelli e recinzioni, rientrava nel "collaudo statico delle strutture di tutte le opere del Nuovo polo di R-P" che formava l'oggetto dell'incarico conferito da Sviluppo Sistema Fiera s.p.a" (segue spiegazione sul perché i cancelli rientrano nelle opere civili e come tali devono essere oggetto di collaudo), per poi precisare (così delimitando chiaramente il perimetro della posizione di garanzia che gravava sul ricorrente) che "oggetto del collaudo affidato a A.A. era tutta l'opera realizzata, a prescindere dalle indicazioni e specificazioni, più o meno corrette, fornite dal Direttore dei Lavori, le cui eventuali mancanze non avevano alcun valore di esenzione da un collaudo che anzi avrebbe dovuto evidenziare le criticità riscontrate rispetto "alle prescrizioni progettuali, alle normative vigenti e alle regole del buon costruire".

Evidenzia poi la sentenza che "nei motivi di ricorso e in quelli nuovi il A.A. prospetta genericamente una versione alternativa smentita dalla ricostruzione probatoria sopra descritta non solo cercando di escludere che il cancello in quanto tale rientri nel collaudo delle opere civili, dovendosi far carico al fornitore eventuali vizi e comunque la certificazione della fornitura (nel caso di specie l'esecuzione e la posa in opera era stata realizzata da H.H. e I.I. cui erano stati appaltati da Orsogril in palese violazione del contratto redatto con la medesima Orsogril); ma deducendo la mancanza della violazione di specifiche norme cautelari e quindi dell'aggravante infortunistica" (segue la parte di motivazione, già vista, sull'aggravante antinfortunistica contestata).

A fronte di tale corposa, esauriente, motivazione, il ricorrente omette completamente di indicare in quali parti il riepilogo dei motivi di ricorso differisca, al di là dell'aspetto numerico (ben potrebbe il relatore aver operato per ragioni espositive ulteriori partizioni dei motivi di ricorso), rispetto al contenuto delle doglianze ivi proposte; omette di indicare "quali" dei suddetti motivi di ricorso siano rimasti inesplorati nel provvedimento impugnato; omette, infine, di indicare la "decisività" di tale eventuale omissione, risultando di tal guisa totalmente generico e quindi inammissibile.

6. Il ricorso va, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Alla declaratoria dell'inammissibilità consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 9 ottobre 2024.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2024.