Cassazione Civile, Sez. Lav., 24 ottobre 2024, n. 27614 - Risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale sofferto dal lavoratore per essere lo stesso rimasto vittima, in violazione dell'art. 2087 c.c., di atteggiamenti irrispettosi della dignità 



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia - Presidente

Dott. RIVERSO Roberto - Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella - Rel. Consigliere

Dott. PANARIELLO Francescopaolo - Consigliere

Dott. MICHELINI Gualtiero - Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA
 


sul ricorso 27278 - 2019 proposto da:

CESAR DI A.A. E F.LLI Srl (già TOP 20 Srl), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 17, presso lo studio dell'avvocato SABATINO CIPRIETTI, che la rappresenta e difende;

- ricorrente -

contro

B.B., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato SIGMAR FRATTARELLI;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 151/2019 della CORTE D'APPELLO di L'AQUILA, depositata il 14/03/2019 R.G.N. 294/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/09/2024 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

 

Fatto


1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di l'Aquila ha confermato la sentenza di primo grado che aveva revocato il decreto ingiuntivo ottenuto dalla società TOP 20 Srl nei confronti di B.B.; con il decreto era stato intimato il pagamento della somma di Euro 8.000,00, corrisposta in esecuzione di sentenza relativa ad altro giudizio inter partes, sentenza poi riformata in secondo grado; la pretesa monitoria azionata dalla società era stata fondata sull'assunto che la somma in questione era stata riconosciuta a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale connesso alle dimissioni rassegnate dal dipendente ed annullate in prime cure poiché rese in stato di incapacità naturale; pertanto, secondo la società, una volta esclusa dalla sentenza di secondo grado la situazione di incapacità naturale e affermata conseguentemente la validità del negozio di recesso del lavoratore era venuto meno il titolo alla base dell'attribuzione;

2. la Corte distrettuale ha disatteso le ragioni a fondamento della pretesa restitutoria della società osservando, in sintesi, che il risarcimento del danno di Euro 8.000,00 riconosciuto in favore del lavoratore non aveva avuto alcuna connessione - neppure indiretta - con la questione dell'annullamento delle dimissioni; invero, la somma liquidata a titolo risarcitorio era stata correlata al danno biologico, morale ed esistenziale sofferto dal lavoratore per essere lo stesso rimasto vittima, in violazione del precetto dell'art. 2087 c.c., soprattutto in occasione dei due licenziamenti intimatigli dalla società, di atteggiamenti non rispettosi della sua dignità in quanto incentrati sulla valorizzazione di aspetti attinenti alle abitudini ed al modo di essere della persona, estranei al rapporto di lavoro, nonché di una condotta discriminatoria e di subdoli pregiudizi moralistici attinenti all'etica ed al costume; in particolare, la Corte di appello ha evidenziato che anche quando il giudice di primo grado aveva fatto accenno all'episodio delle dimissioni per descrivere il danno sofferto dal lavoratore lo aveva fatto a prescindere del tutto dalla questione dell'annullamento delle dimissioni ovvero dalla questione in sé della sussistenza o meno di uno stato di incapacità naturale ex art. 428 c.c.;

3. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la società CESAR di A.A. e F.lli Srl, quale incorporante per fusione la TOP 20 Srl, sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso;

 

Diritto


1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce ai sensi dell'art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. : violazione del giudicato esterno formatosi tra le parti; violazione degli artt. 2909 e 324 c.p.c. in relazione all'intangibilità del giudicato. Deduce inoltre ai sensi dell'art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c. erronea individuazione della portata dal giudicato formatosi ed errata percezione degli atti processuali e dei provvedimenti;

2. con il secondo motivo deduce violazione dell'art. 336 c.p.c. censurando la sentenza impugnata per avere affermato che nel precedente giudizio inter partes la condanna risarcitoria comunque era destinata a permanere non essendo la relativa statuizione stata impugnata da parte di TOP 20 Srl;

rappresenta, infatti, che la riforma della statuizione di annullamento delle dimissioni implicava ai sensi dell'art. 336 c.p.c., senza necessità di attendere la formazione del giudicato sul punto, la caducazione della statuizione risarcitoria quale conseguenza del venir meno del necessario titolo legittimante;

3. entrambi i motivi, esaminati congiuntamente per connessione, devono essere respinti;

3.1. preliminarmente va affermata la inammissibilità delle deduzioni che denunziano errata percezione degli atti processuali e dei provvedimenti nel profilo in cui sembrano evocare un errore revocatorio che avrebbe dovuto essere denunziato con il mezzo di cui all'art. 395 c.p.c. e non con il ricorso per cassazione. In relazione ai residui profili deve escludersi la denunziata violazione del giudicato alla stregua di quanto si evince dal medesimo ricorso per cassazione nel quale risultano trascritte, in conformità del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, la sentenza di primo grado e la sentenza di appello rese nel giudizio sugli esiti del quale la società ha fondato la pretesa azionata in via monitoria;

3.2. dall'esame di tali atti emerge che il giudice di prime cure ha affermato l'esistenza del pregiudizio non patrimoniale per il quale ha condannato la società al pagamento della somma di Euro 8.000,00 in favore del lavoratore; tale pregiudizio, tuttavia, non è stato posto in collegamento causale con le dimissioni del dipendente, ritenute dal primo giudice rassegnate in una situazione di incapacità naturale, bensì con il complessivo atteggiamento della società datrice di lavoro, tenuto anche in relazione all'intimato licenziamento, ritenuto sorretto da giusta causa, atteggiamento "non rispettoso della dignità del lavoratore, in quanto incentrato sulla valorizzazione di aspetti attinenti alle abitudini e al modo di essere della persona estranei al rapporto di lavoro" (v. sentenza di primo grado riportata a pag. 34 e sgg. del ricorso per cassazione);

3.3. tale statuizione non risulta modificata dalla sentenza di secondo grado la quale si è limitata ad accertare la sussistenza della capacità naturale del dipendente all'atto delle dimissioni - ritenute pertanto valide ed idonee a determinare la risoluzione del rapporto - senza in alcun modo incidere sulle ragioni della condanna risarcitoria; ciò nell'evidente presupposto che il risarcimento del danno riconosciuto dal primo giudice non era causalmente collegabile con la questione della incapacità naturale all'atto delle dimissioni;

3.4. l'interpretazione dei giudicato nei termini di cui sopra esclude la dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 336 c.p.c. stante l'assenza del necessario rapporto di dipendenza tra la statuizione di (parziale) riforma della sentenza di primo grado, limitata al solo accertamento dell'insussistenza dell'incapacità naturale all'atto delle dimissioni, e la condanna risarcitoria causalmente collegata al complessivo atteggiamento della parte datoriale tenuto nei confronti del dipendente nella vicenda sfociata nell'intimazione di due atti di licenziamento successivamente alle dimissioni;

4. al rigetto del ricorso consegue la condanna della parte soccombente alla rifusione delle spese processuali ed pagamento, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali, dell'ulteriore importo del contributo unificato ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002;

 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 2.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Dispone che ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196/03, in caso di diffusione della presente ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Ai sensi dell'art. 13, co. 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 settembre 2024.

Depositata in Cancelleria il 24 ottobre 2024.