REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUARTA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIERO MOCALI
Dott. VINCENZO ROMIS
Dott. FAUSTO IZZO
Dott. FELICETTA MARINELLI
Dott. ROCCO MARCO BLAIOTTA

- Presidente -
- Rel. Consigliere -
- Consigliere -
- Consigliere -
- Consigliere -

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1) R.G. NATO ****
avverso la sentenza n. 331/2008 CORTE APPELLO di TRENTO, del 24/04/2009
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/06/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Carmine Stabile che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso
Udito, per la parte civile, l'Avv. Luciano Mascolo che ha concluso per l'inammissibilità o rigetto del ricorso.
Udito il difensore Avv. Giacomo Merlo che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

R.G. e S.M. venivano tratti a giudizio dinanzi al Tribunale di Trento per rispondere del reato di cui agli artt. 113 e 590 del codice penale, perché il R. in qualità di amministratore unico della R. s.p.a., esecutrice dei lavori di costruzione di tre palazzine per conto dell'I.T. presso il cantiere di Spini di Gardolo, alle cui dipendenze lavorava C.G. ed il S. in qualità di preposto della R. s.p.a., in cooperazione tra loro, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, e/o imperizia, nonché per violazione dell'art. 2087 c.c. ed inosservanza delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (artt. 24 e 10 del d.P.R. n. 164/56), avevano cagionato lesioni personali gravi (con indebolimento permanente dell'organo della deambulazione) al C. in conseguenza di infortunio sul lavoro verificatosi secondo la seguente dinamica per come descritta nel capo di imputazione: il C., unitamente ad alcuni colleghi, era intento a fissare un parapetto (costituito da un prefabbricato in cemento armato) al poggiolo del secondo piano di una delle palazzine erigende; il C. si trovava sul piano di calpestio del ponteggio allestito all'esterno del poggiolo mentre gli altri operai lavoravano su quest'ultimo; al fine di consentire il passaggio e la posa in opera del parapetto, su indicazione di S.M., i lavoratori stavano provvedendo a rimuovere tutte le protezioni prima ivi installate (parapetti, tavole fermapiede, correnti intermedi e cavalletti); nell'eseguire le operazioni di fissaggio, il parapetto del balcone si era improvvisamente spostato verso l'esterno, così spingendo anche il C.; non essendovi più alcuna protezione laterale, il C. stesso, il quale non indossava nemmeno un'idonea cintura di sicurezza, era caduto dal ponteggio precipitando al suolo da un'altezza di circa sei metri riportando lesioni gravissime.
Per la parte che in questa sede rileva, il suindicato Tribunale, all'esito del giudizio svoltosi con il rito abbreviato condizionato, dichiarava entrambi gli imputati colpevoli del reato loro ascritto, condannandoli alla pena ritenuta di giustizia oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita da liquidarsi in separato giudizio.
A seguito di gravame ritualmente interposto dagli imputati, la Corte d'Appello di Trento confermava l'affermazione di colpevolezza pronunciata dal primo giudice e motivava il proprio convincimento con argomentazioni che possono cosi sintetizzarsi: Posizione S. - Il giorno del fatto, il S. si trovava sul posto e, in assenza del direttore tecnico di cantiere e del capocantiere, ed essendo stato nominato assistente di cantiere per affiancare il direttore, ricopriva quanto meno il ruolo di preposto a norma dell'art. 3 del d.P.R. n. 164/56, ed era stato lui a dare le disposizioni relative alla posa in opera del parapetto, così determinando le condizioni di pericolo per il C. sprovvisto di qualsiasi protezione verso il vuoto e privo della cintura di sicurezza il cui uso non gli era stato imposto da alcuno; dalle testimonianze assunte era emerso che gli ordini di lavoro erano impartiti dal S. il quale anche in occasione dell'infortunio in oggetto aveva provveduto a dare tutte le disposizioni relative alle modalità di lavoro per la posa in opera del parapetto; di tal che, il S. aveva assunto, in relazione alle mansioni effettivamente svolte, il ruolo di preposto secondo i criteri individuati e precisati nella giurisprudenza di legittimità; Posizione R. - Quanto al R., avuto riguardo alla sua veste di amministratore unico della R. s.p.a., ed in quanto legale rappresentante della società, era il principale garante della sicurezza degli operai; il piano di sicurezza, finalizzato alla individuazione dei rischi in relazione alle attività lavorative da svolgere, la cui predisposizione rientra tra gli oneri che incombono sul datore di lavoro, non prevedeva l'installazione di un parapetto prefabbricato in cemento armato che, comportando necessariamente la rimozione della parte superiore del ponteggio, avrebbe reso il ponteggio stesso, in quanto privato dei parapetti, assolutamente inidoneo a salvaguardare l'incolumità dei lavoratori, esponendo costoro al rischio di caduta, rischio poi effettivamente concretizzatosi; la mancata previsione dei rischi connessi all'installazione dei parapetti prefabbricati - il cui montaggio metteva in crisi il sistema di sicurezza realizzato con la predisposizione del solito ponteggio fisso - e la omessa prescrizione di misure di sicurezza idonee a prevenire il rischio di caduta dall'alto (al quale sarebbe stato possibile ovviare con l'uso della cesta applicata al braccio mobile di una macchina operatrice), costituivano evidenti profili di colpa a carico del R.; sussisteva all'evidenza il nesso di causalità tra la condotta del R. e l'evento, posto che la previsione del rischio riconducibile alla posa in opera del parapetto e l'adozione delle opportune misure di sicurezza avrebbero di certo impedito che si verificasse l'infortunio in danno del C.; la disposizione impartita dal S. di togliere parte del ponteggio - non poteva essere considerata causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento, perché detto ordine rappresentò lo sviluppo consequenziale dell'originaria omissione del datore di lavoro; il R., quale datore di lavoro, era anche venuto meno al suo obbligo di formare ed informare non solo il preposto, ma anche i singoli lavoratori in relazione agli specifici fattori di rischio cui i lavoratori stessi erano di fatto esposti: il parapetto poteva essere montato in sicurezza con un ponte sviluppabile e non erano state predisposte misure di sicurezza alternative come, per esempio, l'uso della cintura di sicurezza.
Ricorre per Cassazione il R. svolgendo argomentazioni, sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale, che possono così riassumersi:
1) la caduta del C. dall'alto sarebbe stata conseguenza esclusiva della condotta degli operai, ivi compreso lo stesso C. per non aver osservato regole di comune esperienza avendo provveduto ad eseguire un'operazione di montaggio, rimuovendo una struttura deputata proprio alla sicurezza dei lavoratori: né sarebbe stato possibile prevedere un rischio derivante dallo smontaggio ad opera dello stesso lavoratore infortunato di una struttura posta a presidio della sua sicurezza;
2) anche se il piano di sicurezza avesse previsto il rischio in argomento, la autonoma condotta del S. - concretizzatasi nell'ordine di rimuovere parte del ponteggio - sarebbe risultata causa di per sé idonea a determinare l'evento: la responsabilità commissiva del S. sarebbe incompatibile con la responsabilità di natura omissiva che sarebbe stata integrata dal datore di lavoro: donde la contraddittorietà riscontrabile nel percorso argomentativo seguito dalla Corte di merito;
3) sarebbe apodittica l'affermazione della Corte distrettuale, secondo cui il R. avrebbe omesso di formare ed informare i lavoratori in ordine ai rischi connessi all'attività lavorativa, non avendo il P.M. addotto alcun concreto elemento probatorio al riguardo, e non potendo ipotizzarsi a carico dell'imputato un onere di prova contraria;
4) la Corte avrebbe errato nel ricondurre la responsabilità dell'infortunio in oggetto al datore di lavoro, non avendo considerato che il R. aveva nominato un Responsabile della sicurezza in fase di esecuzione nella persona del geom. O.L., ed un vero e proprio Responsabile della sicurezza nella persona dell'architetto N.A..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso deve essere rigettato, per l'infondatezza delle censure dedotte.
La mancata indicazione nel piano di sicurezza dei rischi connessi al montaggio dei parapetti - la cui installazione, comportando la rimozione della parte superiore del ponteggio, rendeva inidoneo, ai fini della sicurezza dei lavoratori, il tradizionale ponteggio fisso - e la assoluta mancanza di quelle specifiche misure di sicurezza particolarmente indicate per il lavoro da svolgere (l'uso di una cesta applicata al braccio mobile di una macchina operatrice oppure l'uso della cintura di sicurezza), costituiscono evidenti profili di colpa riconducibili al ruolo del R. quale datore di lavoro, la cui condotta omissiva, così individuata e precisata, si pone in palese nesso di causalità con l'infortunio in oggetto; nemmeno potrebbe giovare alla posizione del R. l'eventuale adempimento (peraltro escluso dai giudici di merito) dell'obbligo della formazione e dell'informazione dei lavoratori, non avendo poi, il R. stesso, in concreto, fornito ai lavoratori i dovuti presidi di sicurezza: è logico ritenere, comunque, che, trattandosi di rischio neanche previsto nel piano dì sicurezza, sul punto non vi sia stata formazione ed informazione dei lavoratori.
La tesi difensiva del ricorrente - secondo cui l'evento sarebbe riconducibile ad altri soggetti - è infondata.
Il compito del datore di lavoro è molteplice e articolato, e va dalla istruzione dei lavoratori sui rischi di determinati lavori, e dalla necessità di adottare certe misure di sicurezza, alla predisposizione di queste misure: di tal che, ove dette misure consistano in particolari cose o strumenti, è necessario che questi strumenti siano messi a portata di mano del lavoratore. Il datore di lavoro deve avere la cultura e la forma mentis del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore, e non deve perciò limitarsi ad informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro (cfr., Sez. IV, 3 marzo 1995, Grassi). Sul punto ebbero modo di intervenire anche le Sezioni Unite di questa Corte, enunciando il principio secondo cui "al fine di escludere la responsabilità per reati colposi dei soggetti obbligati ex art. 4 del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 a garantire la sicurezza dello svolgimento del lavoro, non è sufficiente che tali soggetti impartiscano le direttive da seguire a tale scopo, ma è necessario che ne controllino con prudente e continua diligenza la puntuale osservanza" (conf. Sez. IV, 25.9.1995, Morganti, secondo cui le norme antinfortunistiche impongono al datore di lavoro una continua sorveglianza dei lavoratori allo scopo di prevenire gli infortuni e di evitare che si verifichino imprudenze da parte dei lavoratori dipendenti).
Quanto alla condotta del lavoratore, è sufficiente ricordare il consolidato orientamento affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme (Sez. 4, n. 40164 del 03/06/2004 Ud. - dep. 13/10/2004 - Rv, 229564, imp. Giustiniani): deve definirsi imprudente il comportamento del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - oppure rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (in tal senso, "ex plurimis", Sez. 4, Sentenza n. 25532 del 23/05/2007 Ud. - dep. 04/07/2007 - Rv. 236991); orbene, in relazione ai principi così enunciati, nel caso di specie non può certo definirsi abnorme il comportamento del C.. È stato altresì condivisibilmente precisato che le norme sulla prevenzione degli infortuni hanno la funzione primaria di evitare che si verifichino eventi lesivi della incolumità fisica, intrinsecamente connaturati all'esercizio di talune attività lavorative, "anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuale disaccortezza, imprudenza e disattenzione degli operai subordinati" (in termini, Sez. 4, 14 dicembre 1984, n. 11043; in tal senso, "ex plurimis", anche Sez. 4, n. 4784 del 13/02/1991 - dep. 27/04/1991- imp. Simili ed altro, RV. 187538). Se è vero, infine, che destinatari delle norme di prevenzione, contro gli infortuni sul lavoro, sono non solo i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti, ma anche gli stessi operai, giova ricordare, tuttavia, che l'inosservanza di dette norme da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti ha valore assorbente rispetto al comportamento dell'operaio, la cui condotta può assumere rilevanza ai fini penalistici solo dopo che da parte dei soggetti obbligati siano adempiute le prescrizioni di loro competenza (cfr. Sez. 4, n. 10121 del 23/01/2007 Ud. - dep. 09/03/2007 - Rv. 236109 imp.: Masi e altro).
Neppure può dirsi che il nesso di causalità tra la condotta colposa del R. e l'evento sia stato interrotto dalle disposizioni impartite dal S. al C. ed agli altri lavoratori in occasione dell'infortunio "de quo". La Corte territoriale, nel disattendere l'assunto difensivo del R. in proposito, ha correttamente osservato che l'ordine impartito dal S. rappresentò lo sviluppo consequenziale dell'originaria condotta colposa del datore di lavoro. Al riguardo, è sufficiente ricordare il consolidato indirizzo interpretativo, delineatosi nella giurisprudenza di legittimità - che anche in questa circostanza deve essere ribadito perché del tutto condivisibile - per il quale "in tema di rapporto di causalità, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 41 c.p., secondo cui «le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente, simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui», il nesso di causalità non resta escluso dal fatto volontario altrui, cioè quando l'evento è dovuto anche all'imprudenza di un terzo o dello stesso offeso, poiché il fatto umano, involontario o volontario, realizza anch'esso un fattore causale, al pari degli altri fattori accidentali o naturali" (in termini, Sez. IV, 6 maggio 1986, Ori, RV 172820).
Ancora, mette conto sottolineare che questa Corte ha avuto modo di precisare ulteriormente che "in tema di reati colposi, per escludere il nesso causale (rispetto alla condotta dell'agente) non è sufficiente che nella produzione dell'evento sia intervenuto un fatto illecito altrui, ma è necessario che tale fatto configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista né prevedibile, che sia stata da sola sufficiente a produrre l'evento" (in termini, Sez. IV., 15 dicembre 1988, Scognamiglio, RV 180738).
Del tutto generica ed assertiva è infine la doglianza del R. circa la nomina di taluni soggetti quali Responsabili della sicurezza, non avendo il ricorrente sviluppato alcuna specifica considerazione al riguardo. Peraltro, giova ribadire che la dinamica dell'infortunio in oggetto trova la sua origine nella predisposizione da parte del R. di un Piano di sicurezza in cui non erano stati previsti i rischi connessi al montaggio dei parapetti: profilo di colpa, questo, riconducibile alla specifica posizione di garanzia del R. quale datore di lavoro.
Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; il ricorrente va altresì condannato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio che si liquidano in complessivi euro 2.500,00 , oltre accessori come per legge.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio liquidate in complessivi euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.
Roma, 8 giugno 2010