Cassazione Penale, Sez. 4, 25 ottobre 2024, n. 39168 - Ribaltamento di un carico di capriate. Ruolo del dirigente con delega di funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. DOVERE Salvatore - Presidente
Dott. BRANDA Francesco Luigi - Relatore
Dott. ARENA Maria Teresa - Consigliere
Dott. DAWAN Daniela - Consigliere
Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A. nato a C il (Omissis)
avverso la sentenza del 18/01/2024 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di BOLZANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO LUIGI BRANDA;
lette le conclusioni del Procuratore Generale, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
letta la memoria depositata dall'Avv. Giuseppe Fassi, difensore dell'imputato.
Fatto
1. La Corte di Appello di Bolzano, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato quella pronunciata dal Tribunale della stessa città in data 27 aprile 2023, con cui A.A. veniva condannato alla pena di Euro 1.000 di multa per il reato di lesioni colpose, subite da B.B., dipendente della società Wolf System Srl, nella quale l'imputato rivestiva il ruolo di dirigente, con delega di funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Il fatto è stato così ricostruito: in data 25 settembre 2017, il dipendente B.B., mentre era intento ad eseguire le operazioni di carico di capriate realizzate dalla società Wolf System, veniva investito dal ribaltamento di una di esse che, dopo essere stata poggiata sul rimorchio per il successivo trasporto, non essendo stata adeguatamente assicurata con fasce alle sponde del mezzo, si era rovesciata, anche a causa di una raffica di vento, attingendo lo stesso lavoratore, il quale riportava lesioni costituite da trauma toracico, contusioni multiple, distorsione grave alla caviglia, con durata della malattia superiore a 40 giorni.
I giudici di merito, con decisioni conformi, hanno ritenuto che l'imputato, nella sua qualità di dirigente con delega alla sicurezza, era venuto meno all'obbligo di organizzare l'attività di carico degli elementi prefabbricati in modo che ne fosse garantita la stabilità in ogni fase.
Rispetto al documento di valutazione dei rischi che, genericamente, prevedeva lo stoccaggio ordinato e stabile del materiale, vietando lo stazionamento degli operatori sotto i carichi in movimento e posizionamento, la Corte ha rilevato che non erano state fornite ai dipendenti prescrizioni più puntuali e precise, in tal modo non impedendo la prassi aziendale secondo la quale il carico veniva trasportato fin sopra il rimorchio con il carrello elevatore, poi abbassato sul rimorchio e sostenuto solo con le mani da un lavoratore affinché non si rovesciasse, quindi sganciato dal carrello e tenuto in posizione dall'addetto fino all'arrivo del carico successivo, e solo al termine delle operazioni di carico di tutti i pannelli, si provvedeva a legarli con fasce.
Si è ritenuto che l'imputato avrebbe dovuto organizzare l'attività di carico degli elementi prefabbricati in modo che ne fosse assicurata la stabilità in ogni fase, prevedendo il fissaggio alle sponde del rimorchio di ciascun pannello, prima che lo stesso venisse sganciato dal mezzo di sollevamento.
La Corte distrettuale ha ricondotto l'evento al fatto che le singole strutture (capriate) non erano state ancorate, una per una, alle sponde, ma fissate solo al termine delle operazioni di carico.
II documento di valutazione, risalente al gennaio 2017, al riguardo prevedeva, a livello generale, che lo stoccaggio avvenisse in modo ordinato, assicurando la stabilità del materiale; tale previsione tuttavia necessitava di essere meglio definita, disciplinando l'attività di carico degli elementi prefabbricati in modo tale che fosse garantita la stabilità degli elementi in ogni fase lavorativa, mediante il fissaggio di ciascuna struttura alle sponde del rimorchio prima che la stessa venisse sganciata dal mezzo di sollevamento.
Tale regola precauzionale, in effetti, veniva inserita successivamente al sinistro; ed infatti, in data 31 gennaio 2018, venivano dettate specifiche prescrizioni, le quali prevedevano che, in fase di carico, l'operatore procedesse al fissaggio della prima parete al piantone mediante fascia e viti, e analogamente, in sequenza, ad assicurare le pareti successivamente caricate, mediante catene e viti; in tal modo, durante la fase di carico, la parete sarebbe stata vincolata al mezzo di sollevamento, e solo dopo aver messo in sicurezza la singola parete, l'operatore avrebbe dato il segnale per lo gancio dal mezzo di sollevamento.
In ordine al ruolo dell'imputato ed alla sua responsabilità, la Corte di appello, dopo aver richiamato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui sul datore di lavoro grava l'obbligo di valutare tutti i rischi connessi all'attività lavorativa e di individuare così le misure cautelari necessarie a prevenirli, adottandole ed assicurandosi che i lavoratori le osservino, - obbligo di prevenzione che non è limitato al solo rispetto delle norme tecniche ma che richiede anche la produzione di ogni ulteriore accortezza necessaria ad evitare i rischi per i lavoratori -, ha affermato che, nel caso di specie al A.A., quale delegato del datore di lavoro ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo 81/2008, competeva l'adozione di ogni ulteriore accortezza necessaria ad evitare i rischi per i lavoratori con valutazione adeguata e completa per specificare concretamente regole descrittive dei comportamenti da tenere per prevenirne il verificarsi.
Ha richiamato il contenuto della delega rilasciata con atto notarile del 12 gennaio 2017, con la quale il A.A., nominato dirigente per la sicurezza, era delegato, ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo 81/08, allo svolgimento di tutte le funzioni del datore di lavoro delegabili, relative alla sicurezza, con riferimento a tutte le proprie sedi, stabilimenti, uffici, luoghi di lavorazione ed unità produttive.
Il documento prevedeva, tra gli obblighi specificamente delegati, quelli di curare la completa attuazione di tutte le misure di protezione prevenzione contenute nei documenti di valutazione dei rischi relativamente alle attività svolte nelle diverse sedi, cantieri e unità produttive (lett. a della delega); curare l'aggiornamento delle misure di prevenzione e protezione e dei documenti di valutazione dei rischi (lett. b); curare il corretto utilizzo da parte dei lavoratori collaboratori delle attrezzature di lavoro (lett. d); curare la formazione, l'informazione e l'addestramento dei propri preposti e dei lavoratori (lett. h).
È stato altresì evidenziato che il A.A. avrebbe dovuto adottare le stesse prescrizioni che, in data 31 gennaio 2018, ovvero dopo che era avvenuto il sinistro, venivano puntualmente indicate al fine di evitare che quanto già accaduto potesse ulteriormente ripetersi.
2. A.A., a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, censurando la sentenza della corte di merito per l'inosservanza ed erronea applicazione della legge, sulla base di un unico motivo.
In primo luogo, ha rilevato che dalla lettura della sentenza non emerge con chiarezza se l'omissione contestata al ricorrente sia riconducibile alla sola mancanza di adozione di procedure operative che dessero concreta attuazione alle linee generali previste dal documento di valutazione dei rischi, ovvero anche ad una preventiva insufficiente e lacunosa redazione del documento medesimo.
Ha evidenziato che il ricorrente è stato ritenuto responsabile nella sua veste di delegato dall'amministratore ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo 81/2008; la suddetta delega, che ha lo scopo di trasferire obblighi, funzioni, responsabilità del datore di lavoro ad altro soggetto, non può essere estesa all'all'elaborazione del documento di valutazione dei rischi ed alla designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi, essendo ciò testualmente impedito dalla disposizione contenuta nel successivo articolo 17.
Alla luce di tale ricostruzione, il giudice di secondo grado, avendo ritenuto responsabile il A.A. per inadeguatezza del documento di valutazione dei rischi, non avrebbe potuto ascrivere l'addebito al medesimo, stante la non delegabilità della redazione del suddetto documento.
Ugualmente estraneo alla sfera soggettiva del ricorrente sarebbe altresì l'addebito di responsabilità riguardo alla mancata predisposizione di specifiche istruzioni operative attuative del documento di valutazione dei rischi.
Il ricorrente, in proposito, ha ricordato che la normativa antinfortunistica delinea essenzialmente tre figure di garanti che incarnano distinte funzioni e livelli di responsabilità; la prima è quella del datore di lavoro che ha la responsabilità dell'organizzazione aziendale e dell'unità produttiva; la seconda, del dirigente che attua le direttive del datore di lavoro organizzando l'attività in vigilando su di essa; la terza, del preposto, ovvero colui che sovrintende all'attività che attua le direttive ricevute controllandone l'esecuzione. In tale cornice la delega opera la traslazione al delegato dei poteri e responsabilità proprie del delegante nei limiti in cui è consentita dalla legge.
In ragione di detti principi, al A.A. sarebbero stati attribuiti erroneamente il ruolo di datore di lavoro e di dirigente, che, in astratto, possono pure coesistere ma, in una realtà aziendale complessa come quella della società Wolf System, alle cui dipendenze lavoravano circa 300 persone, con cantieri distribuiti su tutto il territorio nazionale, le tre figure avrebbero dovuto essere distinte, e per ognuna individuato un centro di obblighi e responsabilità differente dopo aver richiamato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui in tema di prevenzione infortuni sul lavoro, ai fini dell'individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse, occorre far riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio, ha evidenziato che le prescrizioni asseritamente omesse rientravano nella sfera di responsabilità del dirigente C.C., incaricato per lo stabilimento di B dove si era verificato il sinistro, tenuto all'organizzazione dell'attività lavorativa nel dettaglio, il quale, originariamente coimputato, aveva definito la sua posizione ricorrendo all'istituto della messa alla prova.
Infine, ha ritenuto non pertinente il richiamo al contenuto della delega rilasciata all'imputato in data 12 gennaio 2017 dinanzi al notaio, posto che la stessa non conteneva specifiche previsioni limitandosi a ripetere gli obblighi e gli adempimenti già attribuiti dalla legge al datore di lavoro, senza far venir meno la suddivisione dei ruoli aziendali tra datore di lavoro, dirigente e preposto.
3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso, riportandosi alle conclusioni scritte depositate il 24 giugno 2024.
Diritto
1. Il ricorso è fondato.
1.1 Dalla lettura della sentenza della Corte distrettuale emerge effettivamente la contraddizione, evidenziata dal ricorrente, ravvisabile nell'aver sottolineato, da un lato, che il sinistro rientrava nella sfera di controllo del datore di lavoro; che le precauzioni necessarie a prevenire il sinistro non erano state colposamente indicate nel DVR dal medesimo predisposto, giudicato lacunoso (testualmente, a pagina 11, penultimo capoverso: "le successive istruzioni del 31/1/2018, adottate dalla società nella procedura operativa in seguito all'infortunio, comprovano le lacune del DVR"); dall'altro, che il A.A., in ciò essendo stata ravvisata la sua colpa, avrebbe dovuto previamente adottare, in qualità di delegato in materia di sicurezza, le stesse prescrizioni successivamente inserite, al fine di contenere il rischio di verificazione dell'evento.
Si tratta delle istruzioni lavorative, adottate ad integrazione del DVR lacunoso che non aveva adeguatamente valutato il rischio di ribaltamento dei manufatti prefabbricati di grandi dimensioni, realizzati dalla Wolf System, durante la fase di carico sui mezzi di trasporto.
Il DVR, infatti, si era limitato a prevedere che lo stoccaggio avvenisse in modo ordinato, assicurando la stabilità del materiale, laddove invece le richiamate istruzioni lavorative prescrivevano modalità di carico effettivamente idonee a contenere il rischio di ribaltamento.
Nella decisione impugnata, al fine di ricollegare il rischio in esame alle funzioni svolte dall'imputato, è stato ritenuto che il A.A., in virtù della delega conferitagli, avesse assunto la stessa posizione di garanzia del datore di lavoro delegante, sul quale grava l'obbligo di valutare tutti i rischi connessi all'attività lavorativa e di individuare così le misure cautelari necessarie a prevenirli, adottandole ed assicurandosi che i lavoratori le osservino.
1.2 La motivazione è in contrasto con i principi elaborati dalla giurisprudenza, e poi recepiti anche nel testo unico sulla sicurezza del lavoro, in tema di allocazione delle responsabilità per la violazione delle norme antinfortunistiche.
Giova al riguardo rammentare in premessa che, secondo affermazione consolidata nella giurisprudenza di questa Corte, il datore di lavoro - che, per altrettanto consolidato indirizzo, nelle società di capitali si identifica con il legale rappresentante (Sez. 4, n. 38991 del 4/11/2010, Quaglierini, non mass, sul punto; Sez. 4, n. 6280 del 11/12/2007 - dep. 08/02/2008, Mantelli, Rv. 238959; Sez. 4, n. 988 del 11/07/2002 - dep. 14/01/2003, Macola, Rv. 226699) - è il primo e principale destinatario degli obblighi di assicurazione, osservanza e sorveglianza delle misure e dei presidi di prevenzione antinfortunistica. Ciò dovendosi desumere, anche a non voler considerare gli obblighi specifici in tal senso posti a carico dello stesso datore di lavoro dal D.Lgs. n. 81/2008, dalla "norma di chiusura" stabilita nell'art. 2087 cod. civ., che integra tuttora la legislazione speciale di prevenzione, imponendo al datore di lavoro di farsi tout court garante dell'incolumità del lavoratore.
Va, quindi, ancora una volta ribadito che il datore di lavoro, proprio in forza delle disposizioni specifiche previste dalla normativa antinfortunistica e di quella generale di cui all'art. 2087 c.c., è il "garante" dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale del lavoratore, con la già rilevata conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo gli viene addebitato in forza del principio che "non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo" (art. 40, comma 2, cod. pen.).
È bensì vero che nelle imprese di grandi dimensioni occorre un puntuale accertamento, in concreto, della gerarchia delle responsabilità all'interno dell'apparato strutturale, così da verificare la eventuale predisposizione di un adeguato organigramma dirigenziale ed esecutivo il cui corretto funzionamento esonera l'organo di vertice da responsabilità di livello intermedio e finale (così, Sez. 4, n. 4123 del 10/12/2008 - dep. 28/01/2009, Vespasiani; Sez. 4, 9 luglio 2003, Boncompagni; Sez. 4, 27 marzo 2001, Fornaciari, nonché Sez. 4, 26 aprile 2000, Mantero).
Altrettanto consolidato è però il principio che la delega non può essere illimitata quanto all'oggetto delle attività trasferibili.
1.3 Tali principi hanno trovato conferma nel D.Lgs. n. 81 del 2008, che prevede, infatti, gli obblighi del datore di lavoro non delegabili, per l'importanza e, all'evidenza, per l'intima correlazione con le scelte aziendali di fondo che sono e rimangono attribuite al potere/dovere del datore di lavoro (art. 17).
Trattasi: a) dell'attività di valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza al fine della redazione del documento previsto dal cit. D.Lgs., all'art. 28, contenente non solo l'analisi valutativa dei rischi, ma anche l'indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate; b) della designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi (RSPP).
Nel caso in esame, occorre concentrare l'analisi sulla redazione del documento di valutazione dei rischi, posto che la contestazione è connessa alle lacune ravvisate nella sua formulazione.
A partire dall'entrata in vigore del D.Lgs. n. 626/1994 perno della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori è divenuta la valutazione dei rischi connessi all'attività lavorativa.
Gli artt. 15, 17, 28 e 29 sono le principali disposizioni che si occupano della valutazione dei rischi, delineandone i profili più caratteristici, tra i quali qui è sufficiente rammentare la riserva in capo al datore di lavoro e la sua onnicomprensività: devono essere valutati tutti i rischi connessi all'attività lavorativa, ivi compresi quelli implicati dallo stesso modo di produzione. Abbandonando l'indifferenza per l'organizzazione del lavoro manifestatasi con la legislazione degli anni Cinquanta del secolo scorso, il legislatore ha imposto al datore di lavoro di definire l'organizzazione per la produzione in modo che essa sia al contempo un'organizzazione per la prevenzione dei rischi ai quali è esposto il lavoratore. Di pari passo, l'attribuzione di responsabilità per il fatto colposo ha progressivamente spostato la propria attenzione dalla mancata adozione di singole misure di prevenzione alla mancata o inidonea 'progettazionÈ della sicurezza del lavoro. Il deficit organizzativo è divenuto il principale addebito mosso al datore di lavoro. Si pretende da questi la predisposizione di un sistema di gestione della prevenzione, articolato in termini congrui rispetto alle dimensioni e alla complessità dell'organizzazione produttiva, sia quanto alle figure soggettive chiamate a concorrere al funzionamento di tale sistema, sia quanto alle funzioni da assegnare ai diversi ruoli, coerentemente al disegno legislativo che contempla, accanto al datore di lavoro, il dirigente, il preposto, il medico competente, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e, infine, lo stesso lavoratore (a tacere di altre figure, esterne all'organigramma aziendale), ciascuno titolare di compiti peculiari.
Alla base del disegno organizzativo vi è appunto la valutazione dei rischi, attraverso la quale si identificano quelli presenti nella specifica realtà produttiva e le misure che valgono, in concreto, ad eliminare o, ove non possibile, a ridurre i rischi censiti, con opzione a favore delle misure collettive.
Come insegna la giurisprudenza di questa Corte, in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro ha l'obbligo di analizzare e individuare, con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro, e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all'interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (Sez. 4, n. 20129 del 10/03/2016, Rv. 267253).
1.4 Tanto premesso, va osservato che la sentenza impugnata, alle pagine 9 e 10, ha dapprima reiteratamente sottolineato che sul datore di lavoro grava l'obbligo di valutare tutti i rischi; che l'obbligo di prevenzione gravante sul medesimo non è limitato al solo rispetto delle norme tecniche ma richiede anche l'adozione di ogni ulteriore accortezza necessaria ad evitare i rischi per i lavoratori; che lo stesso datore di lavoro ha l'obbligo giuridico di analizzare ed individuare, anche sulla base dell'esperienza e della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda e, all'esito, redigere ed aggiornare il DVR.
Quindi, ha attribuito decisivo rilievo, ai fini in esame, alla delega conferita in materia di sicurezza al A.A., ritenendolo perciò - in quanto espressamente delegato, - alter ego del datore di lavoro -, tenuto a valutare adeguatamente i rischi ed a specificare regole descrittive del comportamento da osservare per prevenire il verificarsi dell'evento.
E tutto ciò, avendo pure affermato che il DVR era lacunoso, tanto da richiedere una integrazione con istruzioni che prevedevano differente, più articolata fase di lavorazione, con maggiori e più accurate cautele per l'operatore (pagina 11, ultima parte).
Tuttavia, in questa prospettiva, non si è adeguatamente confrontata con i fondamentali aspetti della disciplina in materia.
Il fatto stesso che si trattasse di aspetto dell'organizzazione ricompreso nel contenuto essenziale del documento di valutazione dei rischi avrebbe dovuto condurre ad escludere che i compiti e le responsabilità connesse al suo governo potessero formare oggetto di valida ed efficace delega a terzi, alla luce del testuale disposto dell'art. 17 T.U. cit. che, come detto, espressamente esclude la delegabilità della valutazione di tutti i rischi e della elaborazione del relativo documento (previsto dall'art. 28): attività che, ai sensi dell'art. 29, comma 3, deve essere "immediatamente" nuovamente eseguita "in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori".
In ciò, coglie nel segno la censura che contesta, in termini di vizi di violazione di legge e di motivazione, l'argomentazione contenuta in sentenza secondo cui la delega fosse idonea a trasferire allo stesso imputato compiti e responsabilità del datore di lavoro, connessi al fattore di rischio individuato ad origine dell'evento letale, trascurando di considerare che trattavasi di aspetto non contingente dell'organizzazione del lavoro all'interno del cantiere (le operazioni di carico di manufatti così imponenti, già considerate nel DVR - seppur superficialmente - riguardavano infatti una fase lavorativa non occasionale, particolarmente delicata e foriera di rischi).
Ciò, del resto, è confermato dalla circostanza, pure contraddittoriamente evidenziata in altra parte della motivazione, dove si sostiene che la riprova della originaria insufficienza delle previsioni contenute nel DVR era ricavabile dalla successiva adozione di istruzioni operative che, in via generale, disponevano adeguate cautele riferite alla fase di carico propedeutico al trasporto dei suddetti manufatti.
La sentenza impugnata si rivela perciò insufficientemente e contraddittoriamente motivata ed incorre nel denunciato vizio consistito nel non aver chiarito perché è stato ritenuto che il A.A. era tenuto a prescrivere le regole precauzionali integrative del DVR, idonee ad evitare il rischio concretizzatosi, in luogo del datore di lavoro ed in materia da quest'ultimo non delegabile.
Essa deve essere pertanto annullata con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Trento
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Trento. Dispone che in caso di diffusione del provvedimento venga omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi della persona offesa, ai sensi dell'art. 52, co. 2 D.Lgs. n. 196/2003.
Così deciso in Roma il 9 luglio 2024.
Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2024.