Cassazione Civile, Sez. Lav., 05 novembre 2024, n. 28364 - Guardia giurata licenziata per i comportamenti aggressivi nei confronti della Direttrice amministrativa del Tribunale



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE


Composta dagli Ill.mi. Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Pietrogiovanni - Presidente

Dott. RIVERSO Roberto - Consigliere

Dott. PONTERIO Carla - Consigliere

Dott. CINQUE Guglielmo - Rel. Consigliere

Dott. CASO Francesco Giuseppe Luigi - Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA



sul ricorso 19252-2022 proposto da:

ISTITUTO DI VIGILANZA LA VEDETTA Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati BRUNO RONCHI, NICOLA STOCCHIERO;

- ricorrente -

contro

A.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato FRANCO BOLDRINI;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 107/2022 della CORTE D'APPELLO di ANCONA, depositata il 11/05/2022 R.G.N. 379/2021;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/10/2024 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

 

Fatto


1. La Corte di appello di Ancona, in riforma della pronuncia del Tribunale della medesima sede, ex art. 1, comma 57, della legge n. 92 del 2012, ha - con sentenza n. 435 del 23.11.2018 - respinto la domanda di annullamento del licenziamento, per giusta causa intimato con lettera del 20.10.2015 dall'Istituto di Vigilanza LA VEDETTA Srl a A.A., addetto a mansioni di guardia giurata, per aver adottato un comportamento aggressivo nei confronti della Direttrice amministrativa del Tribunale di Sorveglianza di Ancona (presso cui il lavoratore svolgeva il proprio turno di servizio di vigilanza) la quale, in data 30.9.2015, aveva invitato il lavoratore a spostare la 'propria automobile parcheggiata, senza autorizzazione, nello spazio riservato ai mezzi utilizzati dalla Polizia Penitenziaria per il trasporto dei detenuti.

2. La Corte distrettuale, ritenuta provata la condotta dello A.A. (che, con tono arrogante, irriverente e provocatorio, aveva risposto, alla Direttrice, di fare il suo lavoro perché lui sapeva fare il suo), condotta particolarmente connotata dall'elemento soggettivo di veemenza dei toni (come desunto altresì dalla frase "tanto so dove abita" proferita nei giorni immediatamente successivi), ha ricondotto l'infrazione disciplinare - anche alla luce dell'elencazione esemplificativa delle condotte punite con sanzione espulsiva contenuta nel codice disciplinare del C.C.N.L. Settore Vigilanza Privata - alla grave insubordinazione, considerato il particolare ruolo di tutore della sicurezza assegnato alla guardia giurata e l'identificazione del committente del servizio (l'Amministrazione giudiziaria) anche quale autorità datoriale, in considerazione delle direttive generali impartite agli ausiliari dell'appaltatore funzionali alla realizzazione del risultato finale.

3. A.A. proponeva ricorso per cassazione avverso la predetta decisione che veniva cassata, con sentenza di questa Corte n. 28911/2021, in cui veniva rilevato che l'operato della Corte territoriale, pur esaustivamente motivato in ordine alla mancata ricorrenza della fattispecie negoziale della negligente esecuzione della prestazione e pur correttamente rilevato il particolare ruolo assegnato alla guardia giurata, aveva trascurato di comparare l'infrazione disciplinare con le tipizzazioni della giusta causa contenute nel CCNL che - seppure non vincolanti e meramente esemplificative - rappresentavano comunque il parametro cui occorreva fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell'art. 2119 cod. civ., anche considerando che la contestazione disciplinare contemplava, oltre che la condotta aggressiva tenuta nei confronti della Direttrice amministrativa, altresì lo spostamento dell'autovettura privata che costituiva adempimento alla direttiva impartita; la sentenza rescindente sottolineava, poi, che la Corte territoriale aveva, quindi, trascurato di esaminare tutte le circostanze, soggettive od oggettive, che eventualmente avrebbero potuto consentire di escludere, in concreto e pur a fronte di un fatto astrattamente grave, l'idoneità dell'inadempimento a configurare giusta causa o giustificato motivo soggettivo, e, pertanto, avrebbero potuto determinare una sproporzione tra la condotta così come effettivamente realizzata ed il licenziamento.

4. Riassunto il giudizio la Corte di appello di Ancona, quale giudice del rinvio, con la sentenza n. 107/22, in riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava risolto il rapporto di lavoro intercorso tra le parti, alla data del licenziamento e condannava l'Istituto di Vigilanza LA VEDETTA Srl al pagamento, in favore di A.A., di una indennità risarcitoria onnicomprensiva pari a 14 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, disponendo la restituzione, a carico del lavoratore, di quanto versato in suo favore in eccedenza, in esecuzione della pronuncia del Tribunale.

5. La Corte territoriale rilevava che: a) dalle risultanze processuali risultavano dimostrate solo le condotte riguardanti il parcheggio della autovettura dello A.A. nel posto riservato alla Polizia Penitenziaria e che, alla richiesta di spostarla, rivoltagli dalla Direttrice Amministrativa del Tribunale di Sorveglianza, egli aveva reagito con frasi di insofferenza dicendo, in particolare, che avrebbe spostato l'autovettura solo quando lo diceva lui e che avrebbe avuto tempo per spostarla prima dell'inizio dell'udienza; b) la Direttrice Amministrativa non era il superiore gerarchico della guardia giurata né aveva una effettiva e diretta autorità in ordine alla disposizione dei mezzi; c) il modo il parcheggiare non integrava una negligenza nel rendere la prestazione lavorativa; d) non si poteva configurare una insubordinazione in senso tecnico, sebbene la Direttrice fosse del tutto legittimata a segnalare la illegittimità del parcheggio; e) il comportamento addebitato non legittimava un licenziamento perché non risultava che vi fosse una previsione nel codice disciplinare del CCNL che prevedesse la sanzione espulsiva per una singola condotta che, pur manifestando ingiustificabile insofferenza e palese sgarbatezza, non era qualificabile in termini di insubordinazione o di minaccia e che, quindi, non appariva ostativa alla continuazione del rapporto ovvero riconducibile alle generali previsioni dell'art 3 legge n. 604/66 o dell'art. 2119 cc; f) la condotta accertata, comunque, non poteva essere sussunta in quelle per le quali la contrattazione collettiva prevedeva l'applicazione di una sanzione conservativa; g) andava, quindi, applicata la tutela di cui al comma 5 dell'art. 18 legge n. 300 del 1970 con determinazione dell'indennità risarcitoria in quattordici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto goduta al momento del recesso.

6. Avverso tale ultima decisione proponeva ricorso per cassazione l'Istituto di Vigilanza LA VEDETTA Srl affidato ad un unico articolato motivo cui ha resistito con controricorso A.A.

7. Le parti hanno depositato memorie.

8. Il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.

 

Diritto


falsa applicazione degli artt. 2104 e 2119 cc, dell'art. 3 legge n. 604/66 e dell'art. 101 del CCNL Vigilanza Privata nonché l'omesso esame di fatti decisivi per il giudizio. In sostanza, si deduce che: a) erroneamente la condotta contestata non era stata ritenuta quale insubordinazione perché non era stato considerato il fatto decisivo che lo A.A. non aveva tempestivamente adempiuto alla direttiva impartitagli dalla dott.ssa B.B.; b) il comportamento del lavoratore, unitariamente considerato, giustificava, per la sua gravità (offese e minacce con insubordinazione), il licenziamento ex art. 2119 cc; c) lo A.A. comunque teneva comportamenti per nulla consoni al proprio ruolo; d) la Corte territoriale non aveva considerato che il Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Ancona aveva raccomandato, alle guardie giurate, la massima professionalità nello svolgimento dei compiti di vigilanza; e) lo A.A., in una occasione, aveva lasciato entrare un soggetto che gli aveva falsamento riferito di avere un appuntamento con un magistrato; f) i plurimi comportamenti di cui si era reso autore lo A.A. non erano confacenti al suo incarico e non rilevava che gli stessi non avessero provocato un danno per il datore di lavoro; g) la sanzione del licenziamento poteva essere adottata a prescindere dalle tipologie previste dalla contrattazione collettiva; h) il licenziamento per giusta causa ben poteva essere convertito, anche di ufficio, in quello per giustificato motivo soggettivo.

2. Il ricorso è inammissibile.

3. In ordine alla doglianza riguardante la mancata considerazione che la condotta contestata non fosse stata ritenuta insubordinazione in quanto non era stato valutato che lo A.A. non aveva adempiuto tempestivamente alla direttiva di rimuovere l'auto, osserva il Collegio che la censura non si confronta con la ratio decidendi della gravata sentenza in cui, con un punto non idoneamente criticato, è stato affermato che il Direttore amministrativo non era il superiore gerarchico del lavoratore e non aveva neanche una effettiva e diretta autorità in ordine alla disposizione dei mezzi: tali statuizioni superano la tesi che la fattispecie integrata dal comportamento incolpato possa essere qualificata come insubordinazione in senso tecnico.

4. In ogni caso, va poi aggiunto che i giudici di rinvio hanno accertato, richiamando la deposizione del teste P. (pag. 4 cpv. 2 della sentenza) che la richiesta di spostare l'auto era stata eseguita senza dilazione, provvedendo, quindi, lo A.A. ad un tempestivo adempimento della direttiva impartita.

5. Si verte, pertanto, in un accertamento di fatto, argomentato con motivazione esente dai vizi di cui all'art. 360 co. 1 n. 5 cpc, ratione temporis applicabile, e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità.

6. Sulla obiezione che le offese e le minacce accompagnate da insubordinazione, di per sé, costituissero giusta causa di licenziamento, deve, invece, osservarsi che la questione è stata esaminata dalla Corte territoriale la quale, proprio sulle indicazioni fornite dalla sentenza di cassazione, un volta esclusa la insubordinazione, ha ritenuto insussistente la giusta causa di licenziamento rapportata ad un unico episodio che, pur manifestando ingiustificabile insofferenza e palese sgarbatezza, non era qualificabile come insubordinazione o minaccia e, quindi, tale da essere ostativo alla continuazione del rapporto, così escludendo implicitamente anche la possibilità di sussistenza di un giustificato motivo soggettivo di recesso.

7. La Corte distrettuale, poi, in linea con il recente precedente di legittimità (Cass. n. 11665/2022), ha escluso che i fatti accertati, comunque di rilievo disciplinare, potessero essere puniti con sanzione conservativa applicando, conseguentemente la tutela di cui al comma 5 dell'art. 18 St. lav.

8. Le altre censure articolate nel motivo, infine, sono parimenti inammissibili in quanto riguardano questioni che esulavano dal thema decidendum del giudizio di rinvio, come delimitato da questa Corte, ovvero perché sono finalizzate ad ottenere una diversa valutazione delle prove e una differente ricostruzione della vicenda in fatto che sono attività non consentite in sede di legittimità e comunque precluse in sede rinvio ex art. 384 cpc.

9. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

10. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano come da dispositivo.

11. Non sussistono i presupposti per la invocata responsabilità della società ex art. 96 cpc, né ai sensi del comma 1, perché non risulta che la ricorrente abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, né ai sensi del comma 3 dello stesso articolo, per non avere abusato dello strumento processuale, in quanto non risulta che essa abbia agito in modo scorretto, senza tenere conto degli interessi confliggenti in gioco, sacrificandoli ingiustificatamente o sproporzionalmente in relazione alla utilità effettivamente conseguibile (Cass. n. 26545/2021; Cass. n. 25041/2021).

12. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

 

P.Q.M.


La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 ottobre 2024.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2024.