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Memoria scritta su disegno di legge A.S. n. 1264 recante Disposizioni in materia di lavoro
Senato della Repubblica, 6 novembre 2024
Giada Benincasa, ricercatrice senior di ADAPT
Emanuele Dagnino, ricercatore senior di ADAPT
Marco Menegotto, ricercatore senior di ADAPT
Giovanni Piglialarmi, ricercatore senior di ADAPT
Michele Tiraboschi, Professore ordinario di diritto del lavoro, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
Ci è richiesto di offrire un contributo scritto in merito al disegno di legge A.S. n. 1264 recante Disposizioni in materia di lavoro.
Il presente documento prende in considerazione i punti di maggiore impatto del disegno di legge, offrendo spunti di merito e di opportunità, essendo stata già svolta in altra sede un’analisi puntuale dell’articolato in esame (si veda, in proposito, il Bollettino Speciale ADAPT 18 ottobre 2024, n. 5).
Visione di insieme
L’articolato in oggetto non presenta le caratteristiche di un intervento di riforma sul piano sistematico rispetto all’assetto vigente in materia di diritto del lavoro, caratterizzandosi, al contrario, per essere un progetto eterogeneo, intervenendo su molteplici profili tecnici, anche di elevata complessità e dettaglio, anche al fine di introdurre correttivi o disposizioni mirate alla soluzione di problematiche operative emerse in diversi ambiti della materia.
Il disegno di legge in parola, di iniziativa governativa, ha subìto rilevanti modifiche ed integrazioni nella fase di prima lettura presso la Camera dei Deputati. Basti pensare che dai 23 articoli iniziali si è ora di fronte ad un testo che ne conta altri dieci, per un totale di 33 articoli.
Di seguito intendiamo prendere in esame i nodi di maggior rilievo delle misure di natura strettamente lavoristica, raggruppati per area tematica di intervento.
Tutele (art. 1)
Con particolare riferimento alla materia della sorveglianza sanitaria, pare opportuna la specificazione della possibilità di effettuare la visita di cui all’art. 41, co. 2, d. lgs. 81/2008 anche in fase pre-assuntiva, così garantendo un giudizio del medico competente in grado di assicurare o meno la piena impiegabilità del personale, anche in periodo di prova. Se attuata, tale possibilità contribuisce alla certezza applicativa e alla tutela dei lavoratori in termini di salute e sicurezza.
Maggiori dubbi genera, invece, la disposizione che consente al medico competente di valutare la necessità di effettuare la visita per il giudizio di idoneità per il caso di rientro al lavoro dopo un periodo di malattia pari ad almeno 60 giorni continuativi. Giudizio di idoneità alla mansione specifica che, nonostante la disposizione non specifichi le concrete modalità dello stesso, in ogni caso, sarà comunque da emettere a cura del medico stesso. A tal proposito, infatti, la disposizione così formulata aprirebbe alla possibilità per il medico competente di rilasciare un giudizio - positivo - rispetto alla idoneità alla specifica mansione, senza, tuttavia aver effettuato la visita medica (in quanto rimessa alla discrezionalità del medico competente il quale, tuttavia, potrebbe decretare l’idoneità alla mansione senza aver effettuato la suddetta visita medica).
La novella, pur nel comprensibile intento di ridurre determinate rigidità di sistema e nonostante il tentativo di controbilanciare la maggiore flessibilità/discrezionalità introdotta, rischia di disapplicare il generale principio di effettività che governa la materia. Sarebbe opportuno specificare i termini della valutazione svolta dal medico competente al fine di escludere l’esigenza di visita di controllo (es. esame documentale).
Occorre rilevare poi come la novella, volta a ridurre l’onerosità della sorveglianza sanitaria in casi di malattia di lungo periodo, si muova in controtendenza rispetto alle migliori prassi internazionali, ove specifica attenzione è riservata proprio alla sorveglianza di situazioni che potrebbero portare in futuro ad una disinserzione dal mercato del lavoro, in senso assai più ampio di quanto previsto dalla normativa vigente.
In caso di approvazione, ne andrebbe in ogni caso verificata - con attività di monitoraggio - la concreta portata applicativa, anche in termini di assunzione di responsabilità maggiori da parte dei medici competenti.
Infine, si segnala che l’eliminazione, rispetto al testo originario, della previsione relativa all’obbligo di sorveglianza sanitaria nei casi definiti in sede di valutazione dei rischi fa permanere profili di incertezza rispetto alla novella introdotta da c.d. DL Lavoro all’art. 18 del d.lgs. n. 81/2008. La disposizione, infatti, assicurava un coordinamento tra la modifica dell’art. 18 in tema di nomina del medico competente, la valutazione dei rischi e gli obblighi di sorveglianza sanitaria.
Ammortizzatori ed enti bilaterali (artt. 6, 8, 9)
L’art. 6 ripristina, di fatto, la disciplina originaria di cui all’art. 8, co. 2, d. lgs. n. 148/2015 in materia di compatibilità tra attività di lavoro subordinato o autonomo presso altri datori di lavoro in costanza di ammortizzatore sociale, aderendo alla giurisprudenza ed alla prassi amministrativa che furono nel frattempo superate (art. 1, co. 197, lett. b), legge n. 234/2022), eliminando così la distinzione su compatibilità e sospensione in base alla durata del rapporto di lavoro instaurato. La riforma contribuisce a semplificare e rendere uniforme la disciplina in parola.
L’art. 8 interviene sulla materia dei fondi di solidarietà bilaterale (art. 26 d. lgs. n. 148/2015) disponendo che, per quelli costituiti successivamente al 1° maggio 2023, il decreto ministeriale di costituzione dovrà determinare modalità operative per il trasferimento delle risorse accantonate, fino al momento della costituzione, presso il residuale fondo di integrazione salariale (FIS) tramite contributi datoriali e dei lavoratori. La novella assicura che i contributi versati dal settore nel FIS non restino presso tale fondo, ma vengano collegati al nuovo fondo costituito per il settore specifico cui fa riferimento il singolo datore di lavoro.
L’art. 9 abolisce il vincolo di riparto delle risorse dei fondi bilaterali costituiti nel settore della somministrazione di lavoro (art. 12, d. lgs. 276/2003). Questo comporta la possibilità di utilizzare tali fondi (oggi suddivisi per durata del rapporto di lavoro: tempo determinato o indeterminato) in modo congiunto, sostitutivo o integrativo. La novella, che interviene su materia governata, per natura, dalla contrattazione collettiva, genera dubbi di opportunità in ragione delle diverse misure che giustificano la distinzione dei fondi, in base alle esigenze dei diversi percorsi contrattuali dei lavoratori in somministrazione.
Somministrazione (art. 10)
A seguito dell’abrogazione del regime transitorio di cui all’art. 31, co. 1 d.lgs. n. 81/2015 e in ragione della modifica dell’art. 31, co. 2 del medesimo decreto, è ora consentito alle agenzie di somministrazione di assumere lavoratori a tempo indeterminato e di somministrarli a tempo determinato presso l’utilizzatore. Tuttavia, occorrerebbe precisare se in questo specifico caso le missioni dovranno comunque rispettare o meno il tetto massimo dei 24 mesi stabilito dall’art. 19 d. lgs. n. 81/2015.
Lavoro stagionale (art. 11)
Con riferimento alla disciplina del lavoro stagionale, di assoluta rilevanza applicativa visto il meccanismo di ampie deroghe concesso a tale ipotesi rispetto alla disciplina ordinaria dei rapporti a termine, il DDL introduce una norma di interpretazione autentica che tende ad un ampliamento delle stesse rispetto a talune rigidità introdotte dalla giurisprudenza.
Rientreranno infatti nel concetto di stagionalità quelle attività, ulteriori a quelle elencate dal DPR n. 1525/196 (restando inattuato il rinvio alla decretazione ministeriale operato dall’art. 21, co. 2, d. lgs. n. 81/2015), “(...) organizzate per fare fronte a intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, nonché a esigenze tecnico-produttive o collegate ai cicli stagionali dei settori produttivi o dei mercati serviti dall’impresa, secondo quanto previsto dai contratti collettivi di lavoro [ex art. 51, d. lgs. n. 81/2015, ndr], ivi compresi quelli già sottoscritti (...)”.
Come accennato, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di evidenziare, in ottica restrittiva, come per attività stagionale debba intendersi un attività “aggiuntiva rispetto a quella normalmente svolta ed implica un collegamento con l’attività lavorativa che vi corrisponde” mentre “Le fluttuazioni del mercato e gli incrementi di domanda che si presentino ricorrenti in determinati periodi dell’anno rientrano nella nozione diversa delle c.d. punte di stagionalità che vedono un incremento della normale attività lavorativa connessa a maggiori flussi” (cfr. Cass., ord. 4 aprile 2023 n. 9243).
Si pone, sul punto, un possibile problema di conformità al diritto dell’Unione Europea (direttiva UE n. 1999/70) che prevede, sul punto, il dovere degli Stati Membri di introdurre meccanismi funzionali a limitare l’utilizzo di simili soluzioni contrattuali, introducendo “ragioni obiettive” di ricorso, connesse al contenuto concreto dell’attività lavorativa. Essendo il contratto di lavoro stagionale sottratto a molti dei vincoli stabiliti per i contratti di lavoro a tempo determinato stabiliti dal Capo III del d.lgs. n. 81 del 2015, l’unica misura tra quelle prospettate a livello europeo funzionale a limitarne l’utilizzo è proprio l’individuazione da parte del legislatore di ragioni obiettive che ne giustifichino il rinnovo.
Periodo di prova per rapporti a termine (art. 13)
L’art. 13 del DDL interviene, meritoriamente, con la finalità di chiare il principio enunciato all’art. 7, co. 2, d. lgs. n. 104/2022, in materia di durata massima del periodo di prova per i rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato, fornendo maggiore concretezza al criterio di “proporzionalità” del periodo rispetto alla durata del rapporto.
Apprezzabile, anzitutto, la salvaguardia delle disposizioni “più favorevoli” della contrattazione collettiva. Tale inciso, andrebbe sostenuto da un riferimento esplicito alla contrattazione collettiva firmata da soggetti (datoriali e sindacali) comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale, nel solco dell’orientamento assunto dal Legislatore in maniera esplicita in particolare nell’ultimo decennio (art. 51, d. lgs. n. 81/2015) in caso di attribuzioni di deleghe di legge alla contrattazione. Rispetto alla declinazione operativa del principio di maggior favore, sarebbe opportuno esplicitarne il significato. Non è, infatti, sempre pacifico quale sia più favorevole tra un periodo di prova di durata maggiore o minore: se l’orientamento maggioritario valorizza la minore estensione del periodo di prova, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di ammettere deroghe sul fronte individuale qualora fosse dimostrato da parte datoriale che l’estensione più lunga rispondesse ad un interesse del lavoratore. In questo senso, come anticipato, sarebbe opportuna una specificazione normativa rispetto alla concreta declinazione del principio del favor praestatoris al fine di maggiore certezza del diritto e di riduzione di margini di incertezza e rischio di contenzioso dagli esiti non certi.
Quanto invece al criterio matematico introdotto dal primo e dal secondo periodo dell’articolo in commento, si segnala una discrepanza. Prendendo ad esempio un contratto della durata di sei mesi, si nota infatti che, secondo il primo periodo
dell’articolo 13, il limite massimo per il periodo di prova sarebbe di circa 12 giorni (1 giorno ogni 15 = 2 giorni per ogni mese*6 mesi), mentre il secondo periodo ne consentirebbe l’estensione fino a 15. Allo stesso modo, nel caso di un contratto della durata di 12 mesi, il limite massimo del periodo di prova sarebbe 24 giorni secondo il primo periodo dell’articolo e di 30 giorni ai sensi del secondo.
In questo senso, la disposizione potrebbe essere semplificata prevedendo l’introduzione di un solo criterio di calcolo rispetto ai due attualmente proposti.
Non vi sono infine criteri legali per la determinazione della durata del periodo di prova per il rapporto di durata superiore ai 12 mesi, per i quali opererà, laddove intervenga, il solo criterio di contrattazione collettiva. Stante il tenore della novella, parrebbe opportuna l’introduzione di un periodo limite anche nell’ipotesi di durata massima dei rapporti di lavoro a tempo determinato (24 mesi).
Contratto misto (art. 17)
L’art. 17 del DDL in esame si inserisce nel panorama dell’ordinamento lavoristico pur concretizzandosi in una norma di contenuto fiscale, introducendo una deroga al divieto (art. 1, co. 57, lett. d-bis ), l. n. 190/2014) di applicazione del regime forfetario previsto per soggetti (iscritti ad albi e/o repertori professionali esercenti attività libero-professionale) che abbiano, con il medesimo datore di lavoro/committente, sia un rapporto di lavoro subordinato che un secondo rapporto di natura autonoma (o di collaborazione ex art. 409, co. 1, n. 3, c.p.c.).
L’intento del Legislatore di favorire maggiori flessibilità nel mercato del lavoro è bilanciato da meccanismi di tutela come la prevista certificazione in una delle sedi di cui all’art. 76, d. lgs. n. 276/2003 (commissioni di certificazione dei contratti di lavoro) del contratto di lavoro autonomo al fine di verificarne la non sovrapponibilità a quello di natura subordinata.
Il presupposto per una genuina applicazione dell’istituto è quindi connesso al momento certificativo, che non dovrebbe ridursi a mera formalità, e che andrebbe accompagnato, anche in questo caso, da strumenti di verifica e monitoraggio.
Apprendistato “di filiera” (art. 18)
L’art. 18 del DDL in esame introduce la possibilità di trasformare - al conseguimento del titolo e previo aggiornamento del piano formativo individuale - un iniziale rapporto di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore, il certificato di specializzazione tecnica superiore, oltreché in apprendistato professionalizzante (come già previsto all’art. 43, co. 9, d. lgs. n. 81/2015), anche in apprendistato di alta formazione e ricerca e per la formazione professionale regionale. La riforma consente di garantire la possibilità per i giovani in uscita dai percorsi secondari e post-secondari superiori, con titoli conseguiti tramite un periodo di apprendistato, di continuare gli studi in ambito terziario, sempre con un rapporto di apprendistato e con il medesimo datore di lavoro, senza rinunciare quindi all’integrazione tra formazione e lavoro.
L’articolo in commento si inserisce nell’ambito della c.d. “riforma 4+2”, di istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale introdotta con l. n. 121/2024, consentendo dunque che il passaggio dai 4 anni di percorsi secondari superiori ai 2 anni dei percorsi ITS con un unico rapporto di lavoro.
La novella rappresenta dunque un’interessante opportunità di costruzione di percorsi di apprendistato “di filiera” e di inserimento graduale nel mercato del lavoro di giovani con competenze via via sempre maggiori, nell’interesse loro e delle imprese ospitanti.
Della novella si suggerisce un attento monitoraggio, da attuare in sede ministeriale e con le parti coinvolte, al fine di verificarne la portata applicativa, anche in rapporto alla già vigente trasformazione in apprendistato professionalizzante.
Dimissioni di fatto (art. 19)
L’art. 19 del DDL interviene sulla disciplina dell’assenza ingiustificata prolungata dal posto di lavoro, introducendo un meccanismo di “dimissioni di fatto”, che nulla ha a che vedere con la pratica delle dimissioni in bianco, che si caratterizza invece per la firma, da parte del lavoratore, di un documento di dimissioni senza data, sin dall’instaurazione del rapporto di lavoro.
L’articolo mira invece ad arginare quelle pratiche, già attenzionate dalla giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Udine, 27 maggio 2022), che inducono i datori di lavoro a recedere dal rapporto di lavoro per simili ipotesi di assenza ingiustificata, con il solo scopo - da parte del lavoratore - di ottenere il trattamento Naspi.
Il presidio di tutela per il lavoratore (ad esempio impossibilitato per cause di forza maggiore a comunicare l’assenza al datore di lavoro) già introdotto nell’esame parlamentare - l’obbligo di comunicazione all’ Ispettorato del Lavoro ed il possibile intervento di quest’ultimo a verifica del presupposto - potrebbe essere rafforzato con un dovere d’intervento per verificare la veridicità di quanto comunicato dai datori di lavoro, ferma restando la disapplicazione della presunzione legale in caso di dimostrazione dell’impossibilità di comunicare i motivi dell’assenza da parte del lavoratore. Al fine di formalizzare in termini di maggiore certezza la procedura, un sistema di “messa in mora” come quello sperimentato dal legislatore francese potrebbe essere utile per dimostrare la decorrenza dei termini. Inoltre, sarebbe opportuno precisare in quale sede il lavoratore possa dimostrare la sussistenza dei motivi dell’assenza dal posto di lavoro (ricorrendo all’ispettorato del lavoro territorialmente competente o direttamente al giudice del lavoro attraverso un ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c.).
Conciliazioni in via telematica (art. 20)
L’art. 20 del DDL AS n. 1264 mira a stabilizzare una prassi inaugurata all’epoca delle norme emergenziali nel periodo pandemico (art. 12-bis, co. 2, d.l. n. 76/2020), introducendo - a regime - la possibilità di sottoscrivere conciliazioni in materia di lavoro, ai sensi degli artt. 410, 411 e 412-ter c.p.c., anche mediante modalità telematiche, secondo regole tecniche da adottarsi con apposito decreto interministeriale.
Il provvedimento è apprezzabile per l’adeguamento a modalità diffuse di più generale remotizzazione dei rapporti di lavoro e dei relativi adempimenti, ma perfettibile.
È infatti auspicabile chiarire come anche gli accordi ex art. 2103, co. 6, c.c. (modifica pattizia in senso peggiorativo delle mansioni, del livello d’inquadramento, della categoria legale ed anche del trattamento retributivo) ed ogni altro accordo avente ad oggetto rinunce e transazioni ex art. 2113, co. 4, c.c. possa essere svolto tramite simile procedura telematica. Procedura che andrebbe estesa, esplicitamente, anche alle sedi di cui all’art. 76, d. lgs. n. 276/2003 (commissioni di certificazione dei contratti di lavoro).
Estrema importanza assumeranno poi le misure tecniche adottate con decretazione ministeriale, che dovranno tener conto, oltreché dei richiamati profili di tutela della riservatezza dei dati e delle modalità concrete di sottoscrizione anche degli assesti giurisprudenziali in materia di effettiva assistenza sindacale del lavoratore e di sede protetta. Ciò anche in ottica evolutiva. Si pensi infatti a quelle sentenze, anche recenti (Cass. n. 10065/2024) che hanno inteso il concetto di “sede” anche nella dimensione “fisica-topografica”.
Per le stesse sembrerebbe peraltro opportuno sentire le Parti Sociali, che in taluni casi hanno già adottato procedure simili tramite appositi accordi collettivi.
fonte: bollettinoadapt.it