Cassazione Penale, Sez. 4, 11 novembre 2024, n. 41202 - Muletto inidoneo ad effettuare le operazioni di sollevamento e di scarico delle plotte e manovra del lavoratore che si posiziona sul carico per bilanciarlo 


 

 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta da:

Dott. DOVERE Salvatore - Presidente

Dott. BELLINI Ugo - Consigliere

Dott. BRANDA Francesco Luigi - Relatore

Dott. DAWAN Daniela - Consigliere

Dott. CIRESE Marina - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A. nato a V il (Omissis)

avverso la sentenza del 26/09/2023 della CORTE APPELLO SEZ. DIST. di SASSARI

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO LUIGI BRANDA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore SABRINA PASSAFIUME, che, riportandosi alle conclusioni scritte, ha chiesto che venga dichiarata l'inammissibilità del ricorso;

letta la memoria depositata dalla parte civile, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso o. in subordine, per il rigetto;

letta la memoria depositata dal difensore dell'imputato, con cui si è riportato ai motivi di ricorso, illustrandoli;
 

Fatto


1. La Corte d'appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con la decisione in epigrafe indicata, ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Tempio Pausania in data 7 aprile 2022, con la quale A.A. veniva condannato alla pena di mesi quattro di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile B.B., per le lesioni subite da quest'ultimo, dipendente della società "Maris Snc", di cui era titolare l'imputato, a causa di un infortunio sul lavoro, verificatosi nello svolgimento dell'attività eseguita sotto il controllo del stesso A.A.

Il fatto è stato così ricostruito: il 5 giugno 2014, B.B., su disposizione dell'imputato, era intento a coadiuvare il medesimo nelle operazioni di scarico di alcuni pontili galleggianti (o plotte) trasportati sul cassone di un camion nel cantiere della "Maris Snc"; tali operazioni venivano poste in essere mediante l'utilizzo di un muletto condotto dal A.A., dotato dì forche di larghezza e lunghezza inferiori alla misura dei pontili, lunghi circa 6 m e larghi circa 2 m. Durante la fase di sollevamento del carico dal cassone, gli stessi pontili si rovesciavano, investendo la persona offesa che rimaneva incastrata con la gamba destra tra il materiale caduto ed il camion. In conseguenza di ciò, la persona offesa subiva fratture plurime che rendevano necessaria l'esecuzione di un intervento chirurgico, con successiva ospedalizzazione per 24 giorni ed allettamento per circa due mesi.

Nelle sentenze di merito è stata accertata la colpa generica e quella specifica in capo all'imputato, ritenendo che l'evento era stato provocato dall'impiego di un muletto inidoneo ad effettuare le operazioni di sollevamento e di scarico delle plotte, in considerazione della ridotta larghezza delle forche rispetto alle dimensioni del materiale che avrebbe dovuto sollevare, sporgente rispetto alle forche di circa 2,35 metri da ciascun lato, e della altrettanto insufficiente profondità delle stesse, inferiore a quella dei pontili. Oltre a ciò, è stato rilevato che il A.A., conducente del mezzo, non aveva ottenuto il patentino richiesto per la conduzione del mezzo, e che lo stesso muletto non era stato ancora collaudato; infine, è stato rilevato che il lavoratore aveva operato sotto il diretto controllo del datore di lavoro, in una situazione di pericolo, e che il medesimo non aveva neanche ricevuto adeguata formazione propedeutica allo svolgimento delle mansioni a lui affidate.

2. A.A., mediante il proprio difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione avverso la predetta decisione, per i seguenti motivi.

2.1 Con il primo motivo, eccepisce l'assoluta mancanza di motivazione in ordine ad un punto decisivo emerso dalla istruttoria, riguardante il fatto che la persona offesa, negli attimi immediatamente precedenti al rovesciamento del carico che lo aveva investito, si trovava al di sopra dei pontili, essendosi limitato il giudice d'appello ad affermare che lo stesso B.B. non aveva interferito sull'equilibrio del carico, sebbene l'istruttoria avesse evidenziato circostanze di segno contrario. La rilevanza di tale elemento di fatto è ricondotta all'ipotesi, prospettata dalla difesa, secondo cui ad alterare l'equilibrio del carico ed a determinarne il rovesciamento sarebbe stato un improvviso e non prevedibile spostamento della persona offesa, ravvisandosi in ciò un comportamento abnorme, non imputabile al datore di lavoro.

2.2 Con il secondo motivo, inquadrato sempre nella censurata mancanza di motivazione, è stata altresì contestata l'argomentazione con cui i giudici di merito hanno accreditato attendibilità alle dichiarazioni della persona offesa, nonostante le evidenti e numerose contraddizioni in cui la stessa sarebbe incorsa, anche rispetto alle dichiarazioni di altri testimoni ed alle emergenze istruttorie. In particolare, la persona offesa riferiva che al momento del sollevamento del carico erano state impiegate prolunghe in legno, sebbene la circostanza non fosse stata confermata da altri testimoni intervenuti nell'immediatezza; e così pure, risulterebbero inattendibili le dichiarazioni concernenti l'omesso svolgimento di un corso di formazione, seppur adeguatamente documentato dalla difesa.

2.3 Con il terzo motivo, viene eccepito il travisamento della testimonianza resa da C.C., il quale, diversamente da quanto ritenuto dal giudice, nella sua testimonianza non aveva mai affermato che il muletto utilizzato dal A.A., in occasione del sollevamento de quo agitur, fosse stato corredato da prolunghe in legno, la cui utilizzazione - nella ricostruzione effettuata dai giudici di merito - avrebbe determinato l'insorgenza di un fattore di rischio di rovesciamento del carico, quale effettivamente verificatosi. La censura viene formulata anche sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione.

2.4 Con il quarto motivo, si censura la totale assenza di motivazione in ordine ai rilievi effettuati dal consulente della difesa sulla idoneità del mezzo impiegato, peraltro confermata dal titolare della ditta fornitrice dei pontili, il quale aveva riferito di aver impiegato per le corrispondenti operazioni di carico un mezzo dotato delle medesime caratteristiche, senza mai riscontrare alcuna difficoltà operativa.

3) Il Procuratore Generale ha depositato memoria scritta ed ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

4) La parte civile ha depositato memoria, chiedendo che venga dichiarata l'inammissibilità del ricorso o, in subordine, che lo stesso venga rigettato per infondatezza dei motivi.

5) Il difensore dell'imputato ha depositato memoria, con cui ha ulteriormente illustrato i motivi di ricorso.

 

Diritto


1. Preliminarmente, ai fini penali, deve disporsi l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essere il reato ascritto al ricorrente venuto ad estinzione per intervenuta prescrizione, maturata in 10 dicembre 2023, tenuto conto della data di commesso reato (5 giugno 2014), del termine prescrizionale comprensivo degli atti interruttivi ex art. 157 comma 1 e 161 comma 2 cod. proc. pen. (anni sette e mesi sei), oltre alla sospensione dei termini (secondo i calcoli esattamente computati ed analiticamente indicati nella sentenza della Corte distrettuale, a pag. 27).

D'altro canto, le doglianze del ricorrente non risultano manifestamente infondate o chiaramente dilatorie, ma sono espressione di difese tecniche degne di essere considerate, quantomeno ai fini civili, di talché, il rapporto processuale risulta essersi regolarmente costituito; sotto diverso profilo dall'esame dei provvedimenti impugnati e degli atti difensivi non emergono elementi che, in maniera incontestabile e in termini di evidenza "ictu oculi", giustifichino la conclusione, in termini di mera constatazione, della insussistenza del fatto, della mancata commissione da parte dell'imputato e, più in generale, della irrilevanza penale dello stesso.

La intervenuta pronuncia di rito assorbe i motivi di ricorso che attengono ai profili sanzionatori e alla punibilità dell'imputato.

In ordine alle questioni civili, sulle quali la Corte è comunque tenuta a pronunciarsi ai sensi dell'art. 578 cod. proc. pen., ancorché in costanza di una causa estintiva della responsabilità penale in presenza di condanna anche generica alle restituzioni o al risarcimento del danno in favore della parte civile, il ricorso deve essere deciso nei termini seguenti.

2. Infondati appaiono i primi due motivi, con cui si contesta che i giudici di merito non abbiano tenuto conto del fatto che il lavoratore B.B., al momento del rovesciamento dei pontili, avesse imprudentemente deciso di posizionarsi al di sopra del carico, per bilanciarne con il suo peso eventuali oscillazioni durante la movimentazione; ed inoltre, si censura la valutazione della contraddittorietà della testimonianza della persona offesa.

Tali censure non attingono il cuore dell'argomento sviluppato nella sentenza impugnata, ossia l'accertata imprudenza connessa alla specifica operazione di scarico dei pontili, effettuata direttamente dal A.A., mediante l'uso di un mezzo inadeguato, nella evidente consapevolezza da parte dello stesso della presenza del dipendente B.B. nella stessa area della movimentazione dei pontili, o addirittura - come sostiene il ricorrente - al disopra del carico in condizioni di precario equilibrio.

I giudici di merito, con doppia pronuncia conforme, hanno ben evidenziato, richiamando i dati oggettivi emersi dall'istruttoria svolta, che le forche del muletto erano sottodimensionate rispetto al carico da movimentare, il quale sporgeva ai due lati in misura di metri 2,35, ed in misura di circa 50-80 centimetri rispetto alla lunghezza delle stesse.

A fronte di tale evidente situazione di precario equilibrio, nessuna procedura cautelativa era stata prevista per scongiurare il rischio di crollo dei pontili addosso al lavoratore, nessun accorgimento idoneo a contenere tale evenienza.

Anzi, nella sentenza del giudice d'appello è riportata testualmente parte della testimonianza resa da C.C., presente in cantiere al momento dell'infortunio ed intervenuto in soccorso della persona offesa, il quale dichiarava di aver appreso dallo stesso B.B. che il medesimo si era trovato sopra al muletto, sopra al carico "come per fare da contrappeso, per far sì che le plotte, non avendo le forche adatte, non si ribaltassero come invece hanno fatto. Poi lui, spaventato dal movimento, mi ha detto (:) io, quando ho sentito le plotte muoversi, d'istinto sono saltato sul camion".

È stato altresì precisato dai giudici di merito che, all'atto del grave infortunio, il A.A. si trovava alla guida del muletto, mentre B.B. era stato indirizzato verso le plotte al fine di dare indicazioni allo stesso datore di lavoro che azionava le forche nella manovra di sollevamento e scarico.

La Corte territoriale ha specificamente sottolineato il rischio correlato all'operazione di scarico dei pontili, non adeguatamente fronteggiato dal datore di lavoro, presente in loco a dirigere ed eseguire in prima persona l'attività, avendo costui imprudentemente utilizzato un mezzo dotato di forche oggettivamente sottodimensionate, ed avendo consentito che il lavoratore, operante sotto il suo diretto controllo, permanesse in corrispondenza del carico.

Secondo i giudici di merito, le forche sottodimensionate, non erano adatte a caricare pontili che sporgevano in misure considerevoli, sia in larghezza che in profondità, dai punti di appoggio, così compromettendone la stabilità, che imprudentemente si era cercato di controllare con il posizionamento del dipendente B.B. al di sopra del carico, a modo di bilanciere.

Pertanto, nelle conformi decisioni, è stato logicamente ritenuto che, in questo contesto, anche il solo fatto di non aver impedito al lavoratore di posizionarsi sul carico per bilanciarlo - in quanto evidentemente non del tutto stabile - abbia integrato una grave omissione di cautele atte ad evitare il pericolo di infortunio.

La mancata considerazione del pericolo è stata considerata l'antecedente logico della omessa adozione di modalità di lavoro atte a ridurre i rischi di caduta dei pontili e della mancata previsione di una procedura di intervento, in grado di ridurre al minimo il rischio di rovesciamento degli stessi pontili nella fase di scarico dal cassone del Tir che li aveva trasportati fino al cantiere.

2.1 Si rammenta che, in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro ha l'obbligo giuridico di analizzare e individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda e, all'esito, deve redigere e, ricorrendo i presupposti dell'art. 29, comma 3, D.Lgs. n. 81/20013, sottoporre ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 D.Lgs. n. 81/2008, all'interno del quale è tenuto a indicare le misure di prevenzione e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261109; Sez. 4, n. 20129 del 10/03/2016, Serafica, Rv. 267253).

L'analisi del rischio va effettuata in diretta relazione con il contesto lavorativo e con le mansioni assegnate ai lavoratori.

Si è, in proposito, già affermato che la redazione del documento di valutazione dei rischi, anche nei casi nei quali sia stata effettuata, esige poi l'adozione delle relative misure di prevenzione e, in ogni caso, non esclude la responsabilità del datore di lavoro quando, per un errore nell'analisi dei rischi o nell'identificazione di misure adeguate, non sia stata adottata idonea misura di prevenzione (Sez. 4, n. 43350 del 05/10/2021, Mara, Rv. 282241-01).

2.2 Nel caso concreto, in disparte la questione sulla effettiva previsione in DVR delle modalità di contrasto al pericolo di ribaltamento del carico, che non è oggetto di esame, viene in rilievo la mancata adozione, in concreto, delle relative misure di prevenzione, che, in ogni caso, non esclude la responsabilità del datore di lavoro quando, per un errore nell'analisi dei rischi, non sia stata adottata idonea cautela.

Questa Corte, sul punto, ha più volte sottolineato che il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l'obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro (sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014 dep. M2015, Ottino, Rv. 263200).

I giudici di merito hanno conformemente evidenziato che, all'atto del grave infortunio, il A.A. si trovava alla guida del muletto, mentre B.B. era stato indirizzato proprio al fine di collaborare con chi operava le forche nella manovra di sollevamento e scarico; l'attività demandata al dipendente, su precise direttive dell'imputato, non era stata frutto di una scelta estemporanea ed imprevedibile del dipendente, essendosi verificata sotto la sfera di immediato controllo del datore di lavoro.

La censura secondo cui tale condotta del dipendente, sarebbe stata autonomamente intrapresa, appare irrilevante, avendo la Corte di merito adeguatamente motivato in ordine alla non abnormità della stessa.

La pronuncia è conforme al principio secondo il quale il soggetto garante del rischio è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché questo rientri nel limite della ragionevole prevedibilità in base alle circostanze del caso concreto.

Costituisce, invero, principio consolidato della giurisprudenza di legittimità quello per il quale le "norme antinfortunistiche sono dirette a prevenire anche il comportamento imprudente, negligente o dovuto ad imperizia dello stesso lavoratore" (Sez. 4, n. 12348 del 29/01/2008, Giorgi, Rv. 239253); perché la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro occorre un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità; " perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia" (in tal senso, Sez. 4, n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti Federica Micaela, Rv. 280914); e "perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questo abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante" (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone Massimo, Rv. 276242).

E' vero che in materia di prevenzione antinfortunistica, si è effettivamente passati da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, imponendosi contro la loro volontà), ad un modello "collaborativo" in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, in tal senso valorizzando il testo normativo di riferimento (cfr. art. 20 D.Lgs. n. 81/2008), il quale impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia (cfr., sul punto, sez. 4 n. 8883 del 10/2/2016, Santini e altro, Rv. 266073).

Tuttavia, pur dandosi atto che - da tempo - si è individuato il principio di autoresponsabilità del lavoratore e che è stato abbandonato il criterio esterno delle mansioni, sostituito con il parametro della prevedibilità, intesa come dominabilità umana del fattore causale (cfr., in motivazione, sez. 4 n. 41486 del 2015, Viotto), passandosi, a seguito dell'introduzione del D.Lgs. 626/94 e, poi, del T.U. 81/2008, dal principio "dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore" al concetto di "area di rischio" (sez. 4, n. 21587 del 23.3.2007, Pelosi, Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva, resta in ogni caso fermo il principio secondo cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (cfr. sez. 4 n. 21587 del 2007, Pelosi, cit.).

All'interno dell'area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (cfr. sez. 4 n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; cfr. sez. 4 n. 5007 del 9 28/11/2018, dep. 2019, PMT c/ Musso Paolo, rv. 275017); oppure, ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (cfr. sez. 4 n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222).

Data tale premessa in diritto, non si rinviene - nella risposta approntata dalla Corte d'appello alle doglianze formulate con il gravame di merito - alcun vizio motivazionale che infici il complessivo ragionamento probatorio svolto, le cui argomentazioni, al contrario, tengono in debito conto i richiamati principi.

Infatti, di tali coordinate ermeneutiche la Corte territoriale ha fatto buon governo, laddove ha affermato che il comportamento della vittima non vale ad elidere il nesso di causalità tra la condotta posta in essere dall'imputato ed il sinistro, atteso che, in particolare, B.B. era intento a svolgere il suo compito sotto la diretta sorveglianza del A.A., seguendo le direttive del responsabile dell'azienda.

Nella specie, come emerge dalle decisioni di merito, il lavoratore ha agito sotto il controllo dello stesso datore di lavoro, coadiuvandolo allo scarico dei pontili, mediante un contributo che avrebbe dovuto sopperire alla insufficienza del muletto ad assicurare la stabilità delle operazioni.

Non può trovare conseguentemente accoglimento la censura diretta a ravvisare una responsabilità esclusiva della persona offesa nella causazione dell'evento ai suoi danni.

La Corte di merito, nel richiamare i principi consolidati in materia, secondo cui, perché la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro, occorre un vero e proprio contegno eccezionale od abnorme del lavoratore medesimo, esorbitante cioè rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute e come tale, dunque, del tutto imprevedibile, ha correttamente rilevato che tali connotazioni non sono presenti nella condotta del lavoratore B.B., il quale nella colposa assenza di procedure o indicazioni su come eseguire la mansione affidata, si è industriato per provvedere al meglio, stando sul pianale del mezzo e valutando attimo per attimo la situazione relativa alla movimentazione del carico e che si è adoperato per favorire le operazioni del mulettista.

A chiusura, occorre ricordare che, secondo l'insegnamento di questa Corte, in tema di infortuni sul lavoro, non è configurabile il concorso di colpa del lavoratore allorquando le disposizioni di sicurezza dettate dal datore di lavoro e non rispettate dal dipendente siano di per sé illegali e contrarie ad ogni regola di prudenza (Sez. 4, Sentenza n. 36227 del 26 marzo 2014 Rv. 259767-01, in tema di lesioni personali patite da un operaio a cui il datore di lavoro faceva effettuare attività di pulizia dei rulli di un macchinario, con gli organi in movimento, pur indicandogli alcune cautele da osservare).

2.3 In ordine alle contraddizioni in cui sarebbe incorsa la persona offesa nel rendere testimonianza, il ricorrente non spiega la rilevanza delle dedotte incongruenze, a fronte della ricostruzione della dinamica del sinistro effettuata sulla base di elementi di fatto ricavati dai riscontri costituiti dalla intera istruttoria svolta.

L'inosservanza delle regole cautelari è ricavata da un complesso di elementi indicati in sentenza, con cui il ricorrente non si confronta, limitandosi a censurare alcuni aspetti di contorno, senza aggredire la tenuta della motivazione, nel suo complesso, che non ne risulta disarticolata.

Non è adeguatamente confrontato in ricorso il peso della testimonianza di B.B. in rapporto con le altre prove, comunque decisive e di cui non si contesta l'attendibilità.

3. Il terzo motivo di ricorso è infondato.

Con la suddetta censura, si deduce il travisamento della prova in ordine al contenuto della testimonianza di C.C., il quale, diversamente da quanto affermato in sentenza, non avrebbe mai affermato che le forche erano state allestite con prolunghe in legno inadeguate.

Va premesso che il ricorso per cassazione con cui si lamenta il vizio di motivazione per travisamento della prova, non può limitarsi, pena l'inammissibilità, ad addurre l'esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di decisività, ma deve, invece: a) identificare l'atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6 -, Sentenza n. 10795 del 16/02/2021 Ud. (dep. 19/03/2021) Rv. 281085-01).

Al riguardo, il ricorrente non ha certamente adempiuto all'onere di argomentare sulla decisività della circostanza asseritamente travisata; e ciò, anche in considerazione del fatto che la motivazione della Corte di merito è incentrata piuttosto sul fatto che il datore di lavoro, presente in loco ed impegnato direttamente a condurre le operazioni di scarico dei pontili, non aveva adottato alcuna cautela atta ad impedire che il dipendente B.B. potesse trovarsi in corrispondenza dello spazio di movimentazione delle pesanti plotte, nell'atto di sollevamento del carico dal cassone del camion, mediante un muletto dotato di forche oggettivamente sottodimensionate.

4. Il quarto motivo di ricorso è infondato.

Con riguardo all'idoneità del macchinario, la Corte di appello ha escluso che la rispondenza dello stesso alla normativa di settore e al manuale d'uso, lo rendesse comunque idoneo all'utilizzo nel caso concreto, posto che la fuoriuscita della sagoma dei pontili dalla base di appoggio si è dimostrata essere la causa del rovesciamento.

La difesa ritiene che il rischio concretizzatosi non sia corrispondente al rischio che la diversa lunghezza delle forcine avrebbe dovuto evitare, da tanto desumendo l'inutilità del comportamento alternativo, dunque l'assenza di causalità tra la negligenza ascritta al datore e l'evento verificatosi. Si tratta, però, di un ragionamento che non tiene conto del fatto che l'obbligo del datore di lavoro di ridurre al minimo i rischi correlati all'utilizzo di macchinari è autonomo rispetto a quello del costruttore ed è strettamente attinente all'obbligo di valutazione dei rischi ai quali, nel singolo ambiente di lavoro e in relazione alle concrete mansioni svolte, il lavoratore è esposto.

La decisione impugnata ha correttamente valutato l'uso improprio e l'inidoneità del mezzo, in rapporto alle specifiche condizioni di lavoro nelle quali operava il dipendente B.B.; l'obbligo del datore di lavoro di ridurre all'origine il rischio è stato desunto dal fatto che egli abbia utilizzato il mezzo per la movimentazione dei pontili, facendosi coadiuvare dal suddetto dipendente, il quale, sotto la vigilanza dello stesso datore di lavoro, eseguiva le mansioni a lui affidate nell'area di movimentazione del carico, dove non avrebbe dovuto permanere, e per di più, in condizioni di non perfetta stabilità (è stata richiamata in sentenza la testimonianza di C.C., dalla quale è emerso che il posizionamento del dipendente al di sopra del carico, serviva a stabilizzare il precario equilibrio del materiale da movimentare, segno evidente della insufficienza del solo mezzo meccanico a garantire la stabilità).

La Corte territoriale ha perciò fatto buon governo del principio secondo cui l'idoneità alla prevenzione degli infortuni di un macchinario non può essere valutata facendo esclusivo riferimento alle indicazioni del costruttore, essendo precipuo compito del datore di lavoro verificare tale idoneità in rapporto all'ambiente nel quale il macchinario deve essere utilizzato e alle mansioni concretamente svolte dal lavoratore ad esso adibito.

Non contraddice tale ragionamento la prova che un evento del genere non si fosse verificato presso il cantiere della ditta che spedì il carico, nella quale le operazioni di caricamento sarebbero state effettuate mediante utilizzo di un muletto dello stesso tipo, senza manifestare alcuna criticità. La Corte di merito correttamente ha evidenziato che da ciò non è dato trarre una regola comportamentale, a fronte di rilievi di inadeguatezza del mezzo emersi dall'istruttoria in riferimento al caso concreto.

5. Deve, in definitiva, annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione. Il ricorso va, invece, rigettato agli effetti civili con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, spese che, esaminate le note ed alla stregua delle tariffe vigenti, si liquidano come in dispositivo. In caso di diffusione del presente provvedimento, dovranno omettersi le generalità e gli altri dati identificativi della persona offesa, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 in quanto imposto dalla legge.

 

P.Q.M.


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità in favore di B.B., liquidate in euro 3.000,00 oltre accessori come per legge se dovuti.

Così deciso in Roma il 19 settembre 2024.

Depositato in Cancelleria l'11 novembre 2024.