Cassazione Penale, Sez. 4, 11 novembre 2024, n. 41198 - Macchinario inidoneo e amputazione di un pollice e sub amputazione di un indice dell'operaio distaccato


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta da:

Dott. DOVERE Salvatore - Presidente

Dott. BRANDA Francesco Luigi - Consigliere

Dott. ARENA Maria Teresa - Consigliere

Dott. DAWAN Daniela - Consigliere

Dott. ANTEZZA Fabio - Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A. nato il (Omissis)

avverso la sentenza del 15/11/2023 della CORTE APPELLO di TRIESTE

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO ANTEZZA;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale KATE TASSONE, nel senso del rigetto del ricorso;

lette le conclusioni della difesa dell'imputato, nel senso dell'accoglimento del ricorso;

 

Fatto


1. La Corte d'Appello di Trieste, con la pronuncia indicata in epigrafe, ha confermato la responsabilità di A.A., amministratore delegato di "Gosselin Italia Srl", esercente attività di trasporto di merci (oltre che deposito e magazzino), in merito alle lesioni personali cagionate per colpa generica e con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, segnatamente per aver messo a disposizione un macchinario idoneo, in offesa di B.B., lavoratore dipendente di "Simart Srl", consistite nell'amputazione del pollice e, nella sub amputazione dell'indice della mano sinistra. È stato invece dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato con riferimento alla fattispecie contravvenzionale di cui all'art. 71 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, per essersi il reato estinto per prescrizione.

2. Avverso la sentenza è stato proposto, nell'interesse dell'imputato, ricorso fondato su sei motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).

2.1. Con il primo motivo si deduce l'inosservanza di norme processuali previste a pena di inutilizzabilità, oltre che l'omessa motivazione in merito al motivo d'appello prospettante la detta inosservanza da parte del giudice di primo grado.

Il ricorrente evidenzia che nel giudizio di primo grado è stato escusso C.C., legale rappresentante della "Simart Srl", ex art. 210 cod. proc. pen. e, in particolare, con l'assistenza del difensore, previo avvertimento della facoltà di non rispondere e in assenza dell'impegno di cui all'art. 497, comma 2, cod. proc. pen. Il detto mezzo di prova sarebbe però inutilizzabile per essere stato escusso C.C. con le formalità e le garanzie previste dall'art. 210 cod. proc. pen., per l'esame del coimputato nel medesimo reato, nonostante soggetto originariamente indagato per le lesioni personali di cui in rubrica ma la cui posizione sarebbe stata archiviata, con conseguente compatibilità a rendere testimonianza. In merito all'evidenziato errore causa di inutilizzabilità del mezzo di prova, dedotto con i motivi d'appello, prosegue sul punto il ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe preso posizione pur utilizzando, al pari del giudice di primo grado, le dichiarazioni rese C.C. ai fini della decisione e, in particolare, per fondare dell'accertamento della responsabilità dell'imputato quale utilizzatore del lavoratore infortunato.

2.2. L'errore nella modalità di escussione di C.C., per il secondo motivo, avrebbe determinato l'erronea valutazione di tutte le altre prove acquisite nel corso dell'istruttoria dibattimentale svolta in primo grado, in quanto apprezzate come coerenti proprio con quanto emerso dalle dette dichiarazioni, e in particolare delle dichiarazioni rese dall'imputato, sulle quali peraltro la Corte non si sarebbe soffermata, che, a detta del ricorrente, se correttamente valutate e in assenza degli elementi emergenti dal mezzo di prova inutilizzabile avrebbero condotto all'esclusione della sua responsabilità.

2.3. All'accertamento della condotta omissiva di A.A., quale amministratore delegato di "Gosselin Italia Srl" utilizzatore del lavoratore infortunato, e al giudizio circa la rilevanza della stessa condotta nella seriazione causale dell'evento, peraltro, i giudici di merito non sarebbero pervenuti se non avessero utilizzato le inutilizzabili dichiarazione rese da C.C. (con conseguente contraddittorietà motivazionale sul punto). Per converso, prosegue il terzo motivo di ricorso, gli elementi probatori, in particolare le plurime dichiarazioni testimoniali, tra cui anche quelle rese dai due dipendenti di "Gosselin Italia Srl", D.D. e E.E., avrebbero condotto a escludere la riconducibilità dell'evento all'imputato, anche in termini soggettivi per la mancata conoscenza dell'esistenza di un'area del capannone in uso alla società da lui amministrata adibita a falegnameria.

2.4. Dall'utilizzo delle dichiarazioni rese da C.C. sarebbe altresì derivato il travisamento di tutti gli altri mezzi di prova assunti, invece sottesi all'accertata responsabilità dell'imputato in termini sia oggettivi che soggettivi, specificatamente indicati in sede di articolazione dei motivi quarto e quinto di ricorso.

L'inutilizzabilità delle dichiarazioni del legale rappresentante di "Simart Srl", peraltro, come si sostiene nel quarto motivo di ricorso, manifesterebbe l'apoditticità della motivazione nella parte in cui la Corte territoriale avrebbe affermato la sussistenza in capo all'imputato della consapevolezza dell'adozione da parte della "Simart Srl" di procedure non conformi alla normativa in materia di sicurezza sul lavoro.

Entrambe le sentenze di merito, argomenta sostanzialmente sul punto il quinto motivo di ricorso, peraltro, avrebbero dalle sole inutilizzabili dichiarazioni rese da C.C. tratto l'errato convincimento che le direttive fossero impartite alla persona offesa dall'imputato, e non dal proprio formale datore di lavoro, oltre la consapevolezza in capo a A.A. delle condizioni lavorative evidenziane l'omessa gestione del rischio. Ciò evidenzierebbe la contraddittorietà della motivazione e in particolare il travisamento della prova, laddove i giudici di merito "hanno ritenuto sussistente la colpa nonostante l'inconsapevolezza delle modalità esecutive del lavoro risultasse dagli atti di causa".

2.5. Con il sesto motivo di ricorso, infine, si deduce il difetto cumulativo di motivazione in merito alla ritenuta insussistenza delle circostanze attenuanti generiche, avendole escluse i giudici di merito in ragione dell'abituale condizione di insicurezza nella quale i lavoratori erano tenuti a riparare i cassoni in legno, nonostante il corretto comportamento processuale e l'intervenuto risarcimento del danno, circostanze che, se valutare, a dire del ricorrente avrebbero comportato l'accertamento della sussistenza delle circostanze attenuanti in oggetto.

3. Le parti hanno concluso per iscritto nei termini di cui in epigrafe.

 

Diritto


1. Il ricorso, complessivamente considerato, è infondato.

2. Come sintetizzato in sede di ricostruzione dei fatti processuali, la Corte d'Appello ha confermato la responsabilità di A.A., amministratore delegato di "Gosselin Italia Srl", esercente attività di trasporto di merci (oltre che deposito e magazzino), in merito alle lesioni personali (amputazione di un pollice e sub amputazione di un indice) cagionate per colpa generica e con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (di cui all'art. 71 D.Lgs. n. 81 del 2008) in offesa di B.B.. lavoratore dipendente di "Simart Srl" legalmente amministrata da C.C. (ex dipendente della "Gosselin Italia Srl"). Trattasi di società tra le quali vi era stato un pregresso contratto di appalto, in forza del quale "Simart Srl" eseguiva per la "Gosselin Italia Srl" il materiale trasporto dei beni, e aventi in uso, ciascuna, una autonoma porzione di un capannone (in forza di distinti contratti di locazione conclusi con la società proprietaria), delle quali, una, quella utilizzata dalla "Simart Srl", adibita solo a deposito in quanto priva di allacci alla rete elettrica, e l'altra munita di un'area adibita a falegnameria.

2.1. Dai conformi giudizi di merito sono emerse le circostanze del sinistro, qui esposte nella parte non controversa.

Si è trattato di lesioni personali subite dal lavoratore alle dipendenze di "Simart Srl" ma di fatto distaccato al momento del sinistro presso "Gosselin Italia Srl", al fine di eseguire come avvenuto più volte in precedenza, con altri lavoratori della società da ultimo citata e a ciò deputati, lavori di riparazione di cassoni in legno all'interno del magazzino in uso alla "Gosselin Italia Srl", ove era stata da tempo allestita, per la riparazione di cassoni, "una sorta di "falegnameria"" mediante l'utilizzo di preesistenti macchinari ivi lasciati dalla società dante causa della società concedente in locazione le due autonome porzioni di capannone. L'evento si è verificato mentre il lavoratore era intento a eseguire il taglio di un componente in legno mediante una sega circolare presente nella detta falegnameria. Per i giudici di merito, nell'evento si è concretizzato lo specifico rischio che la previsione dell'obbligo di idonea strumentazione era preordinata a gestire. In particolare, all'esito di una valutazione ex ante, l'evento non si sarebbe verificato se il macchinario utilizzato (dismesso dopo il sinistro), già modificato e dotato di un piano inferiore a quello idoneo, fosse stato dotato, come dovuto ai fini della sua idoneità tecnica, di cuffia registrabile sul piano di lavoro e bloccabile all'altezza del pezzo da tagliare e di un dispositivo di guida longitudinale.

2.2. Ricostruiti i fatti nei detti termini, i giudici di merito, per quanto ancora rileva in questa sede, hanno ritenuto la responsabilità dell'imputato, cui spettava, nella qualità innanzi indicata, la gestione del rischio del quale l'evento è stata concretizzazione, per le lesioni personali occorse a B.B., lavoratore dipendente di "Simart Srl", sostanzialmente fornitrice di manodopera in favore di "Gosselin Italia Srl", per colpa generica e specifica, in particolare per aver messo a disposizione il macchinario inidoneo.

3. Orbene, è infondato il primo motivo di ricorso con il quale si deduce l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da C.C.

3.1. Dalla sentenza impugnata nonché dai verbali d'udienza, allegati al ricorso per ragioni di autosufficienza ed esaminabili dalla Suprema Corte in ragione del vizio dedotto, emerge che C.C. è stato escusso con le forme di cui all'art. 210, cod. proc. pen., quale imputato in un procedimento connesso a norma dell'art. 12, lett. a, cod. proc. pen., quindi con l'assistenza di un difensore, con l'avvertimento della facoltà di non rispondere e senza impegnarsi ex art. 497 cod. proc. pen., "in quanto potenzialmente indagabile per l'infortunio avvenuto ai danni di un dipendente della Simart da lui rappresentata ...". Ne consegue l'errar in procedendo denunciato con il presente ricorso, già dedotto con i motivi d'appello, in ragione dell'assenza di una causa d'incompatibilità ad assumere la funzione di testimone, non identificabile nella mera astratta e potenziale indagabilità del dichiarando così come non derivante dall'intervenuta archiviazione della relativa posizione (ex plurimis, quanto alla compatibilità con l'ufficio di testimone di soggetto già indagato ma con posizione archiviata: Sez. U, n. 12067 del 17/12/2009, dep. 2010, De Simone, Rv. 246376 - 01, e, tra le più recenti, Sez. 6, n. 34562 del 07/07/2021, Carleo, Rv. 281982 - 01).

3.2. Fermo restando il descritto error in procedendo, non si versa in ipotesi d'inutilizzabilità. Trattasi di fattispecie assimilabile all'assunzione di una prova testimoniale con modalità differenti da quelle prescritte e non di prova acquisita in violazione di divieti stabiliti dalla legge, per cui è invece prevista la sanzione dell'inutilizzabilità ex art. 191 cod. proc. pen.

Si versa difatti nell'ipotesi in cui un soggetto, in posizione di non incompatibilità con la prova testimoniale, è stato escusso con l'assistenza del difensore, non integrando ciò un divieto probatorio ai sensi dell'art. 191 cod. proc. pen. (né ipotesi di nullità testuale delia deposizione che, ex art. 497, comma 3, cod. proc. pen., è prevista solo quale conseguenza dell'inosservanza delle disposizioni di cui al comma 2 dello stesso citato articolo).

Avvertito della facoltà di non rispondere, il soggetto escusso ha reso dichiarazioni senza pronunciare la formula d'impegno di cui all'art. 497, comma 2, c.p.p. Ciò non integra violazione dello specifico divieto probatorio di cui all'art. 198, comma 2, c.p.p., e quindi della relativa garanzia sostanziale posta alla base del divieto di essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale; divieto che, se violato, avrebbe invece reso la deposizione inutilizzabile (in ragione della relativa inutilizzabilità testuale di cui al citato art. 198, comma 2, cod. proc. pen.).

La mancata pronuncia della formula d'impegno, difatti, non caratterizza la prova come essere stata assunta in violazione di un divieto probatorio ma, in ragione del principio di tassatività delle nullità (art. 177 c.p.p.), per espressa disposizione dell'art. 497, comma 3, c.p.p., integra una nullità (testuale) relativa che, ai sensi dell'art. 182, comma 2, cod. proc. pen., deve essere eccepita, diversamente da quanto avvenuto nella specie, dalla parte che assiste al compimento dell'atto prima che l'esame abbia inizio (Sez. 5, n. 44860 del 07/09/2015, Piccinini, Rv. 265686 - 01; si vedano altresì, ex plurìmis: Sez. 6, n. 45696 del 27/11/2008, Verderame, Rv. 241661 - 01, e Sez. 6, n. 8656 dell'11/07/1996, Dato, Rv. 205961 - 01; trattasi peraltro di nullità che, diversamente da quanto avvenuto nella specie, può essere immediatamente eccepita anche dal difensore del soggetto escusso, in quanto la previsione dell'art. 182, comma 2, cod. proc. pen. fa riferimento non alla parte processuale bensì alla parte di un atto, qual è il soggetto escusso, in tal senso si veda Sez. 6, n. 41260 deM'11/09/2019, Raffaello, Rv. 277284 - 01, che, in fattispecie di mancato invito al teste a rendere la dichiarazione sacramentale di cui all'art. 497, comma 2, cod. proc. pen., in ipotesi di testimonianza assistita, ha ritenuto trattarsi di nullità relativa immediatamente eccepibile anche dal difensore del testimone, in quanto la previsione dell'art. 182, comma 2, cod. proc. pen. fa riferimento non alla parte processuale, ma alla parte di un atto, qual è il teste assistito nel corso della sua escussione).

3.3. In forza di quanto innanzi trova dunque applicazione anche nella specie, poiché risolventesi in una mera ipotesi di assunzione di una prova senza l'osservanza delle formalità prescritte, il pacifico principio di diritto per cui la sanzione dell'inutilizzabilità prevista in via generale dall'art. 191 cod. proc. pen. si riferisce alle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge e non a quelle la cui assunzione, pur consentita, sia avvenuta senza l'osservanza delle formalità prescritte, trovando in ipotesi applicazione, in tale ultimo caso, la disciplina delle nullità processuali, sempre che tale sanzione sia prevista con riferimento alla singola violazione in base al principio di tassatività delle nullità sancito dall'art. 177 cod. proc. pen. (ex plurimis: Sez. 2, n. 9494 del 07/02/2018, Schiavo, Rv. 272348 - 01, la quale ha escluso l'inutilizzabilità dell'esito dell'esame dell'indagato sentito inizialmente come persona informata dei fatti, nonostante fosse stato iscritto nel registro degli indagati il giorno precedente, considerata la presenza e assistenza di difensore d'ufficio e l'immediato e successivo avviso dato allo stesso della facoltà di non rispondere; Sez. 3, n. 52435 del 03/10/2017, M., Rv. 271883 - 01, per la quale la violazione delle regole per l'esame dibattimentale del testimone e, in particolare, di quella secondo cui l'esame deve svolgersi mediante domande su fatti specifici, di cui all'art. 499, comma 1, cod. proc. pen., non dà luogo né alla sanzione di inutilizzabilità, poiché si tratta di prova assunta non in violazione di divieti posti dalla legge, ma con modalità diverse da quelle prescritte, né a una ipotesi di nullità, non essendo la fattispecie riconducibile ad alcuna delle previsioni delineate dall'art. 178 cod. proc. pen. - Fattispecie in cui l'esame di un testimone nelle forme dell'incidente probatorio era stato effettuato mediante la semplice richiesta di conferma delle dichiarazioni già rese in sede di sommarie informazioni alla polizia giudiziaria -; Sez. 6, n. 3460 del 13/0271998, Mago, Rv. 210089 - 01, con particolare riferimento all'assunzione di testimonianza senza l'osservanza delle prescritte formalità).

4. Dall'infondatezza della censura deducente l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da C.C. deriva l'inammissibilità dei motivi di ricorso dal secondo al quinto, in quanto, come analiticamente evidenziato in sede di esposizione del fatto processuale, tutti strutturalmente fondanti sul presupposto dell'inutilizzabilità delle dette dichiarazioni.

4.1. Trattasi comunque di censure caratterizzate anche da altri profili d'inammissibilità, in primo luogo in quanto, come emerge dal raffronto con i motivi d'appello (dettagliati a pag. 3 e ss. della sentenza impugnata), si fondano su doglianze che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelle già dedotte in appello e puntualmente disattese dalla Corte territoriale (pag. 5 e ss.), dovendosi quindi le stesse considerare non specifiche ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere alla tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (ex plurimis: tra le più recenti, Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024, Amato; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710 - 01).

4.2. A ciò deve aggiungersi l'ulteriore profilo d'inammissibilità ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen. sostanziandosi le censure in motivi diversi da quelli prospettabili in sede di legittimità (sul contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione si vedano ex plurimis: Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024, Amato, cit., tra le più recenti; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584 -01; si veda altresì Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Gattelli, Rv. 268822 - 01, in ordine ai motivi d'appello ma sulla base di principi pertinenti anche al ricorso per cassazione).

Come emerge dall'esplicitazione dei motivi in sede di ricostruzione del fatto processuale (paragrafi dal n. 2.2. al n. 2.4 del "Ritenuto in Fatto"), le censure si sostanziano difatti in mere doglianze in fatto, con le quali si prospettano anche erronee valutazioni probatorie del giudice di merito in ordine agli elementi emergenti dalle assunte deposizioni, anche laddove (con il quarto motivo) formalmente dedotte in termini di travisamento del mezzo di prova ma concretamente dirette a trarre un diverso significato delle dichiarazioni e non attinenti al relativo significante.

4.3. Le censure in esame, peraltro, ove non volte a sostituire proprie valutazioni anche di natura probatoria a quelle dei giudici di merito, sono inammissibili in ragione del mancato confronto con la ratio decidendi sottesa alla sentenza impugnata (per l'inammissibilità del motivo di ricorso che non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, venendo meno in radice l'unica funzione per la quale è previsto e ammesso, ex plurimis: Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024, Amato, cit., tra le più recenti; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, cit.).

I giudici di merito, tanto di primo quanto di secondo grado, difatti, diversamente da quanto dedotto in ricorso, sono lungi dal non aver considerato le dichiarazioni rese dall'imputato, su cui si fondano peraltro le difese nei gradi di merito, invece valutate al pari delle dichiarazioni rese da C.C., dalla persona offesa e dagli altri lavoratori escussi (D.D. e E.E.) ai fini dell'accertamento della situazione di contesto dell'infortunio, dei rapporti tra le due società e della mancata gestione del rischio da parte del prevenuto con riferimento al settore falegnameria, a cui era sostanzialmente e continuativamente adibita parte del capannone in uso alla società della quale A.A. era amministratore delegato.

4.4. Il ricorrente non confronta il suo dire con la motivazione della sentenza impugnata anche con il sesto motivo di ricorso, con il quale, comunque mirando a sostituire proprie valutazioni in fatto a quelle del giudice di merito, si censura l'apparato motivazionale sotteso alla ritenuta insussistenza delle circostanze attenuanti generiche.

Diversamente da quanto dedotto, difatti, con motivazione non sindacabile in sede di legittimità in quanto coerente e non manifestamente illogica, sono state ritenute insussistenti le dette circostanze dai giudici di entrambi i gradi di merito considerando elemento negativo determinante, in quanto preponderante rispetto alle circostanze addotte dalla difesa in senso contrario, il particolare grado della colpa, per l'abituale condizione lavorativa caratterizzata da mancata applicazione delle regole antinfortunistiche, e l'intervenuto risarcimento del danno è stato considerato ai fini dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 6, cod. pen. (già ritenuta sussistente da giudice di primo grado).

5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento dovranno essere omesse le generalità e gli altri dati identificativi della persona offesa, a norma dell'art. 52, comma 2, D.Lgs. n. 196 del 2003.

 

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone che in caso di diffusione del provvedimento venga omessa la indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi della persona offesa, ai sensi dell'art. 52, co. 2 D.Lgs. n. 196/2003.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2024.

Depositato in Cancelleria l'11 novembre 2024.