Cassazione Penale, Sez. 4, 25 novembre 2024, n. 42887 - Infortunio con un tornio non sicuro. Responsabilità del Direttore di stabilimento. Il comportamento del lavoratore, seppur imprudente, non fu tale da attivare un rischio eccentrico 



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta da:

Dott. BELLINI Ugo - Presidente

Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere

Dott. BRANDA Francesco Luigi - Consigliere

Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Relatore

Dott. LAURO Davide - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A., nato a T il (omissis);

avverso la sentenza del 03/04/2024 della CORTE APPELLO di TORINO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ANNA LUISA ANGELA RICCI;

udito il PG, in persona del Sostituto Procuratore OLGA MIGNOLO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.

udito il difensore avv. RADA MADDALENA del foro di BOLOGNA in sostituzione ex art. 102 c.p.p., dell'avvocato SIROTTI LUCA del foro di BOLOGNA in difesa di A.A., che ha insistito per l'accoglimento dei motivi di ricorso.

 

Fatto


1. La Corte d'Appello di Torino, in data 3 aprile 2024, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Alessandria di condanna di A.A. in ordine al reato di cui all'art. 590 cod. pen . in danno di B.B. (commesso in N il 2 dicembre 2015), ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato per essere il reato estinto per prescrizione e confermato le statuizioni civili.

Il procedimento ha ad oggetto un infortunio sul lavoro ricostruito nelle sentenze di merito nel modo seguente. In data 28.09.2015 la persona offesa, dipendente dello stabilimento Uva Spa, stava effettuando la tornitura di una lastra di acciaio, mediante il tornio manuale parallelo marca Graziano Modello SAG 290, operando su di una pedana di legno posta davanti ad esso; al fine di collocare correttamente un tubicino refrigerante, che, essendo di plastica e obsoleto, si spostava ogni tre - quattro minuti dalla sua posizione a causa della vibrazioni della macchina, aveva allungato il braccio al di sopra della zona ove era collocato il cilindro e, durante tale movimento, il maglione di lana che egli indossava sopra la tuta, era stato agganciato dal tornio nella zona ascellare; B.B., a seguito del trascinamento, aveva riportato lesioni personali gravi (consistite in ferita ascellare destra con lesione parziale del muscolo pettorale grande dorsale, frattura del manubrio e del corpo dello sterno, frattura della parete laterale e del movimento orbita destro del seno mascellare destro, frattura delle ossa nasali scomposta ferita abrasa profonda del gomito destro frattura con schiacciamento di due), da cui era derivata una malattia giudicata guaribili in giorni 162.

L'addebito di colpa nei confronti dell'imputato, nella qualità di dirigente responsabile dell'unita operativa Uva Spa di N e delegato dal datore di lavoro quale responsabile per la salute e la sicurezza, è stato ravvisato nella negligenza, imprudenza e imperizia e nella violazione dell'art. 71, comma 1, D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 per avere messo a disposizione del lavoratore una attrezzatura non conforme ai requisiti di sicurezza e in particolare un tornio che non era dotato di un sistema atto a impedire che il lavoratore potesse raggiungere con la mano la zona del macchinario ove era presente il tubo refrigerante.

2. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso l'imputato, formulando quattro motivi.

2.1. Con il primo motivo ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla mancata declaratoria della violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza. Il difensore osserva che nel capo di imputazione all'imputato era contestato il non avere messo a disposizione del lavoratore attrezzature conformi ai requisiti di sicurezza previsti dall'art. 70, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008 con specifico riferimento ai seguenti profili da considerarsi con causali all'infortunio: a) il riparo centrale posto sul gruppo carrello/slitte/torretta risultava regolabile sui due assi X e Y, anziché sul solo asse X; b) il pulsante di emergenza ubicato sul gruppo carrello/slitte/ torretta non si trovava in posizione di accesso immediato. L'istruttoria dibattimentale si era dipanata attraverso queste due direttrici, senza che la difesa fosse stata posta in grado di difendersi su altri temi di prova. A fronte di tale contestazione il giudice di prime cure aveva escluso qualsivoglia rilevanza penale dei profili colposi stigmatizzati nel capo di imputazione, ma era pervenuto all'affermazione della responsabilità, elaborando in autonomia una diversa e più specifica violazione della norma cautelare: ad avviso del giudicante l'istruttoria dibattimentale aveva dimostrato che il tornio manuale rappresenta un modello obsoleto, che nel corso del tempo è stato sostituito da macchinari a controllo numerico dotati di un computer dove l'intervento diretto dell'operatore è più limitato, sicché l'addebito di colpa era stato ravvisato nella violazione dell'articolo 71, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2008 per aver messo a disposizione dei lavoratori un macchinario non conforme ai più elevati standard di sicurezza. L'obsolescenza, secondo il giudice di prime cure e secondo la Corte d'Appello, sarebbe stata insita nella manualità della macchina utensile, quando invece l'aspetto della manualità del tornio non era mai stato oggetto di contestazione. Peraltro sia il Tribunale, sia la Corte avevano confermato che il macchinario era conforme alla normativa di settore, mentre la sua presunta inadeguatezza, dovuta alla sua manualità vetusta, non era ricompresa nella contestazione originaria e comunque non era stata oggetto della difesa dell'imputato.

2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge in relazione alla ravvisata responsabilità dell'imputato, sia pure ai soli effetti civili, da parte della Corte d'Appello. La Corte aveva attribuito all'ingegner A.A., sub delegato alla sicurezza per lo stabilimento Uva di N, il compito di valutare i rischi del tornio utilizzato da B.B. al momento dell'infortunio: il fatto che il tornio fosse manuale, sebbene conforme alla normativa di settore, avrebbe dovuto - secondo la Corte d'Appello - imporre di svolgere uno stringente controllo di sicurezza in ordine ad esso in ragione delle sue caratteristiche peculiari. Tuttavia la valutazione dei rischi effettuata dal datore di lavoro non è delegabile; l'azienda era dotata di DVR, di un'organizzazione della sicurezza che prevedeva ufficio sicurezza e ambiente; di un gruppo di tecnologi, figure deputate alla ricezione di qualsivoglia segnalazione in merito alla sicurezza; di un'organizzazione del lavoro che individua chiaramente figure di dirigenti e preposti ai fini della sicurezza. Tale organizzazione comportava che l'ing. A.A., quale sub delegato alla sicurezza, avesse solo il compito di eseguire ed implementare gli input che gli fossero arrivati dal datore di lavoro, dall'ufficio sicurezza ambiente, dai tecnologi e dai propri sottoposti. L'ingegner A.A., direttore di stabilimento, aveva ricevuto la sub delega in materia di salute e sicurezza solo il 16 dicembre 2014 e quindi in un momento successivo a quello nel quale la direzione di stabilimento si era già occupata di far eseguire doverosi lavori di ammodernamento e adeguamento del tornio. A valle degli interventi effettuati dalla ditta Ro.Ma. nell'aprile del 2014, era stata rilasciata sulla macchina in oggetto la dichiarazione di conformità ai requisiti di sicurezza di cui all'art. 71, comma 8, D.Lgs. n. 81/2008. Da ciò si evince, contrariamente all'assunto del giudicante, che era stato espressamente presa in considerazione nell'ambito della valutazione dei rischi la persistenza dei requisiti di sicurezza della macchina.

Il giudice di prime cure aveva imputato a A.A. uno dei compiti non delegabili ad opera del datore di lavoro, attribuendo detto compito, neanche al delegato diretto, bensì al sub delegato che avrebbe dovuto ingerirsi nella valutazione del rischio, compito che per legge spetta al datore di lavoro.

2.3. Con il terzo motivo, ha dedotto la violazione di legge in relazione all'affermazione della responsabilità penale dell' l'imputato. La Corte aveva ritenuto provata l'esistenza della prassi di riposizionare il tubicino refrigerante a macchina in movimento e aveva sostenuto che il fatto che A.A. non fosse a conoscenza di tale prassi non aveva rilevanza. Tuttavia - osserva il ricorrente - non era stata raggiunta la prova in merito all'effettiva sussistenza di tale prassi e, in ogni caso, era stato accertato che l'ingegner A.A. non ne era a conoscenza e non l'aveva colpevolmente ignorata: i testimoni C.C., D.D., E.E. e F.F. avevano riferito di non aver mai ricevuto segnalazioni in ordine al fatto che il tubo refrigerante si spostasse durante la lavorazione. Se neanche il preposto era stato a conoscenza di una tale presunta prassi, non si vede come avrebbe potuto esserne a conoscenza il direttore dello stabilimento ovvero l'imputato.

Il difensore ricorda la giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 1636 del 2023) per cui, pur in presenza di una prassi di lavoratori elusiva delle prescrizioni volte alla tutela della sicurezza, non è ravvisabile la colpa del datore di lavoro sotto il profilo dell'esigibilità del comportamento dovuto ove non vi sia la prova della sua conoscenza o della sua colpevole ignoranza di tale prassi.

2.4. Con il quarto motivo, ha dedotto la violazione di legge per non avere la Corte d'Appello ritenuto interrotto il nesso causale per effetto del comportamento del lavoratore. Nel corso del dibattimento era emerso che B.B. aveva deciso, a pezzo in movimento, e in spregio a quanto insegnatogli in sede di formazione, di procedere alla risistemazione del tubo sporgendosi con il braccio destro sopra il cilindro in movimento, senza prima inertizzare il pezzo agendo sulle leve del cambio; nel fare ciò, aveva indossato inopinatamente il maglione sopra la giacca di cotone con polsini elasticizzati e non già sotto di essa, così come avrebbe dovuto fare secondo la formazione ricevuta. L'avere indossato il maglione sopra la giacca è comportamento abnorme, esorbitante dalle mansioni professionali di un qualsiasi lavoratore, interruttivo del nesso causale tra contegno omissivo (laddove ritenuto sussistente) e l'evento di danno.

3. Il Procuratore Generale, nella persona del Sostituto Olga Mignolo, ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.

4. La parte civile ha depositato conclusioni scritte e nota spese.

 

Diritto


1. Il ricorso deve essere rigettato.

2. Il primo motivo, con cui si censura la mancata declaratoria della violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza, è infondato.

2.1. La questione, venendo in rilievo il ricorso dell'imputato avverso sentenza di dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, deve essere valutata in relazione alle conseguenza sul piano della identificazione dell'illecito a cui connettere l'obbligo risarcitorio.

Occorre prendere le mosse dal principio espresso dalle Sezioni Unite secondo cui, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U., n. 36551 del 15/07/2010 Carelli, Rv. 248051 - 01).

L'immutazione del fatto, ai fini della eventuale applicabilità dell'art. 521 cod. proc. pen., dunque, è solo quella che modifica radicalmente la struttura della contestazione, in quanto sostituisce il fatto tipico (condotta, nesso di causalità e nesso psicologico) e per conseguenza di essa la fattispecie contestata risulta completamente diversa da quella contestata, al punto da essere incompatibile con le difese apprestate dall'imputato per discostarsene (Sez. 4 n. 18366 del 17/01/2024, T., Rv. 286379 - 01 in motivazione). Con riferimento ai reati colposi si è ritenuta insussistente la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (Sez. 4, n. 19028 del 01/12/2016, dep. 2017, Casucci, Rv. 269601; Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, Denaro e altro, Rv. 260161). Simmetricamente si è sostenuto che il ricorso per cassazione con cui si deduca la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, ai fini della sua ammissibilità, sotto il profilo della specificità, non può limitarsi a segnalare la mancanza formale di coincidenza tra l'imputazione originaria e il fatto ritenuto in sentenza, dovendo altresì allegare il concreto pregiudizio che ne è derivato per l'esercizio del diritto di difesa, non sussistendo la violazione predetta ove, sulla ricostruzione del fatto operata dal giudice, le parti si siano confrontate nel processo (Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Castaldo, Rv. 281997).

2.2. La Corte di Appello, in replica all'analoga censura fatta valere con i motivi di appello, ha osservato che la questione attinente alla conformità o meno del tornio ai requisiti di sicurezza era stata lungamente affrontata e dibattuta in primo grado e che, proprio nel corso dell'istruttoria dibattimentale, era emersa la specifica violazione colposa individuata dal giudice di primo grado quale causa determinante dell'infortunio, rispetto alla quale la difesa aveva potuto esercitare ogni più ampia ed effettiva difesa.

La decisione della Corte di Appello appare conforme ai principi sopra richiamati. I profili di colpa evidenziati nella sentenza impugnata e ritenuti causali rispetto all'evento, ovvero l'avere messo a disposizione un tornio che non era dotato di un sistema atto a impedire che il lavoratore potesse raggiungere con la mano la zona del macchinario ove era presente il tubo refrigerante, erano ricompresi nella contestata violazione relativa alla attrezzatura non conforme ai requisiti di sicurezza ed, essendo stata incentrata l'istruttoria proprio su quei profili, l'imputato aveva potuto dispiegare anche rispetto ad essi la sua difesa.

Di contro il motivo deduce una censura generica, che fa leva solo sui diversi profili di non conformità del macchinario, e nel momento in cui lamenta la lesione del diritto di difesa, non spiega in che senso tale diritto sarebbe stato in concreto pregiudicato.

3. Il secondo motivo e il terzo motivo, attinenti alla affermazione della responsabilità del ricorrente in ordine all'infortunio, sono infondati.

3.1. La Corte di Appello ha sottolineato la validità della delega conferita da F. a A.A., ai sensi dell'articolo 16 del D.Lgs. n. 81/2008: A.A., in quanto responsabile dell'unità produttiva dello stabilimento di N e delegato in materia di sicurezza, era titolare della posizione di garanzia rispetto ai lavoratori e tenuto a gestire il rischio connesso all'uso delle attrezzature sui luoghi di lavoro. In ragione della posizione di garanzia assunta come dirigente e delegato, A.A. - hanno proseguito i giudici - era gravato dell'obbligo di vigilare sulla sicurezza del macchinario. Dall'istruttoria era emerso come lo stesso, sebbene conforme alla normativa di settore, fosse datato, in quanto risalente alla fine degli anni sessanta e non automatizzato: proprio in ragione della sua obsolescenza, erano state effettuate da una ditta specializzata delle modifiche, che non avevano tuttavia impedito all'operatore di svolgere qualsiasi tipo di movimento anche senza spegnere la macchina, tanto che era stato previsto che soltanto gli operai esperti potessero essere addetti a quella lavorazione. L'istruttoria aveva fatto emergere anche la prassi per cui il riposizionamento del tubicino avveniva a macchina in movimento: il fatto che A.A. non fosse stato informato di tale prassi non poteva avere rilevanza, in quanto egli aveva l'obbligo di verificare in concreto le modalità di utilizzo del tornio da parte dei lavoratori, stanti i rischi derivanti dalle sue peculiari caratteristiche.

3.2. La motivazione adottata non si presta alle censure dedotte, in quanto aderente ai principi elaborati in materia di tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro. Da tempo la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il datore di lavoro è responsabile delle lesioni patite dall'operaio, allorquando abbia consentito l'utilizzo di una macchina, la quale, pur astrattamente conforme alla normativa CE, per come assemblata ed in pratica utilizzata abbia esposto i lavoratori a rischi del tipo di quello in concreto realizzatosi (Sez. 4, n. 22819 del 23/04/2015, Baiguini, Rv. 263498 - 01; Sez. 4, n. 49670 del 23/10/2014, Fagnani, Rv. 261175 - 01). In maniera coerente, dunque, la Corte ha spiegato le ragioni per cui la conformità alla normativa CE del macchinario, in ragione delle caratteristiche specifiche dello stesso, non poteva valere a sollevare il garante dall'obbligo di monitorarne in concreto le modalità di utilizzo, indipendentemente dal fatto che fossero pervenute o meno da parte dei preposti segnalazioni rispetto a prassi pericolose.

4. Il quarto motivo, secondo cui il comportamento del lavoratore infortunatosi, in quanto abnorme, avrebbe interrotto il nesso di causalità fra l'eventuale condotta colposa dell'imputato e l'evento, è manifestamente infondato.

Sotto tale profilo si deve ribadire che a seguito dell'introduzione del D.Lgs. 626/94 e, poi, del T.U. 81/2008 si è passati dal principio "dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore" al concetto di "area di rischio" (Sez. 4, n. 21587 del 23.3.2007, Pelosi, Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva, ma resta in ogni caso fermo il principio secondo cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (Sez. 4 n. 21587 del 2007, Pelosi, cit.). All'interno dell'area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4 n. 15124 del 13712/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; Sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, PMT c/ Musso Paolo, Rv. 275017), oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4 n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222). La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, sottolineando che il lavoratore infortunatosi stava svolgendo un'attività ordinaria e relativa all'oggetto delle mansioni ad egli attribuite dal datore di lavoro, sicché il suo comportamento (consistito fra l'altro nell'avere indossato il maglione sopra la giacca di cotone con polsini elasticizzati) era stato imprudente, ma non tale da attivare un rischio eccentrico e esorbitante della sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia.

5. Al rigetto del ricorso segue, ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La parte civile non è intervenuta nella discussione in pubblica udienza, ma si è limitata a presentare memoria in cancelleria con allegata la nota spese, sicché non può essere disposta la condanna dell'imputato al rimborso delle spese processuali in suo favore (Sez. U., n. 27727 del 14/12/2023, dep. 2024, Gambacurta, Rv. 286581 - 03).

 

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Nulla sulle spese in favore della parte civile.

Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2024.

Depositata in Cancelleria il 25 novembre 2024.