Cassazione Penale, Sez. 4, 26 novembre 2024, n. 42948 - Infortunio durante i lavori di carpenteria metallica pesante. Appalto e rischi interferenziali
- Committente
- Contratti d'appalto, d'opera e di somministrazione
- Macchina ed Attrezzatura di Lavoro
- Rischio da Interferenza
- Valutazione dei Rischi
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. DOVERE Salvatore - Presidente
Dott. BELLINI Ugo - Consigliere
Dott. BRANDA Francesco Luigi - Consigliere
Dott. DAWAN Daniela - Relatore
Dott. CIRESE Marina - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
A.A. nato a G il (omissis)
B.B. nato a M il (omissis)
C.C. nato a M il (omissis)
avverso la sentenza del 13/11/2023 della CORTE APPELLO di GENOVA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA DAWAN;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore SABRINA PASSAFIUME che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' per B.B.e C.C.
E per A.A. l'annullamento senza rinvio ai fini penali per essersi il reato estinto per intervenuta prescrizione e rigetto ai fini civili.
È presente l'avvocato Di MATTEI FRANCESCO del foro di GENOVA in difesa della parte civile:
D.D.
deposita conclusioni scritte alle quali si riporta e nota spese delle quali chiede la liquidazione.
È presente l'avvocato CERESA GASTALDO MASSIMO del foro di GENOVA in difesa di: A.A.
Il difensore presente chiede l'accoglimento del ricorso.
È presente l'avvocato PITTALUGA SERENELLA del foro di ALESSANDRIA in difesa di: B.B. e C.C.
Il difensore presente chiede l'accoglimento del ricorso.
Fatto
1. La Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza di condanna pronunciata dal locale Tribunale nei confronti di A.A., B.B.e C.C., imputati tutti del reato di cui agli artt. 113, 590, commi 1, 2, 3, cod. pen., perché in cooperazione tra loro, nelle rispettive qualità - A.A. di datore di lavoro della ditta committente E.E. Spa, avente ad oggetto la produzione e costruzione di carpenteria metallica pesante, B.B. di datrice di lavoro della ditta Modena Sas, appaltatrice delle lavorazioni di montaggio, molatura, taglio e saldatura all'interno dello stabilimento della A.A. Spa e C.C. di socio accomandante della ditta appaltatrice, referente dell'appaltatore nel contratto di appalto con la ditta committente - cagionavano per colpa a D.D., dipendente della Modena Sas con qualifica di operaio saldatore/carpentiere, lesioni personali, consistite in frattura biossea gamba destra, dalla quale derivava una malattia di durata superiore a giorni 40 ed un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per uguale periodo di tempo. Colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, cosi come compiutamente individuate nel capo di imputazione.
1.2. Il sinistro è avvenuto in pendenza del contratto di appalto stipulato in data 04/01/2016, con durata fino al 31/12/2016, tra la committente A.A. Spa e l'appaltatore Modena Sas Secondo quanto concordato, l'appaltatore doveva eseguire le lavorazioni commissionate presso i locali dello stabilimento della A.A., sito in G, su una determinata area e con utilizzo di attrezzature della società Modena. è risultato pacifico che la Modena svolgesse la propria attività all'interno dei locali di pertinenza della A.A. per l'esecuzione di opere di carpenteria, trattandosi della realizzazione di manufatti di notevoli dimensioni e peso il cui spostamento, per lo svolgimento delle diverse fasi di lavorazione, avrebbe altrimenti richiesto un considerevole dispendio economico e di energie. Il 07/04/2016, il D.D. era intento, presso la propria postazione lavorativa sita all'interno dello stabilimento della A.A., a svolgere mansioni di carpenteria pesante, consistenti nel tagliare a misura, secondo disegni a lui forniti, grosse e pesanti (anche di vari quintali) travi in ferro; i pezzi così predisposti erano poi sottoposti a saldatura e a lavorazione per creare strutture più complesse. In sede di sopralluogo, i tecnici della prevenzione e della sicurezza sul lavoro della Asl 3 genovese constatavano e documentavano con rilievi fotografici che le travi da tagliare si trovavano accatastate a terra in modo disordinato poiché le travi più lunghe, dalle quali occorreva iniziare il lavoro di taglio, si trovavano al di sotto di altre più corte e cioè imponeva al D.D. di rimuovere queste ultime per procedere al taglio di quelle più lunghe. Nell'eseguire tali operazioni, avveniva l'infortunio: mentre con una mano l'operaio guidava l'imbragatura con la catena a gancio aperto di una delle travi più corte, il venire meno del peso sovrastante determinava lo slittamento di una delle travi più lunghe che si abbassava e lo colpiva il polpaccio. L'uomo restava intrappolato sotto tale manufatto per circa un quarto d'ora prima che i soccorritori riuscissero a spostare la trave. I tecnici della Asl evidenziavano altresì che le aree di lavoro non risultavano ben definite ed organizzate; che le varie lavorazioni avvenivano entro spazi troppo ristretti; che vicino al luogo dell'infortunio era posizionato un manufatto di grosse dimensioni risultato oggetto di lavorazione di un'altra impresa appaltatrice; che il trasporto delle travi dal cortile all'interno del capannone veniva effettuato, anche per le travi più lunghe, con modalità inadeguate e pericolose, sia mediante utilizzo di un muletto, condotto da personale della A.A. o anche della Modena. Venivano acquisiti il documento unico di valutazione dei rischi interferenziali (D.U.V.R.I.) della A.A. Spa e il documento valutazione rischi (D.V.R.) della Modena s.a.s, nei quali non risultava essere stato considerato il rischio proprio della lavorazione rimessa al D.D. (né per il lavoratore addetto, né per gli altri lavoratori costretti a transitare sul posto) e nemmeno definite le zone di lavoro del D.D. e quelli di deposito del materiale. L'istruttoria dibattimentale aveva in particolare consentito di individuare tra i fondamentali aspetti critici, relativi alla inadeguatezza e disorganizzazione delle aree di lavoro, in stretta correlazione con la causazione dell'infortunio, il disordine delle travi nell'area di lavoro della persona offesa; il trasporto delle travi dall'esterno del capannone all'area di lavoro del D.D., essendo emerso che le travi venivano trasportate dall'esterno fino alla postazione del D.D. e appoggiate direttamente a terra; che il lavoratore stesso sceglieva la trave da tagliare, sollevandola col carroponte fino al banco da lavoro per procedere al taglio. è risultato pacifico che i muletti erano della A.A. e che venivano manovrati dal personale A.A. e, all'occorrenza, anche da personale Modena. Le indagini dei tecnici della prevenzione, svoltesi immediatamente dopo l'infortunio sulla base delle informazioni raccolte dai lavoratori e dell'esame della documentazione, rivelavano che i compiti e le aree di deposito non erano ben definiti; che tale trasporto di materiali fino al punto d'inizio della lavorazione era sostanzialmente rimesso alla prassi, secondo l'esigenza del momento e la disponibilità del personale e veniva effettuata, come detto, con muletti dall'esterno sino alla postazione del D.D., in assenza di precise indicazioni del D.U.V.R.I. che non conteneva direttive sulle modalità di trasporto né la previsione di una razionale suddivisione degli spazi per le diverse zone di lavoro.
2. Venendo alle accuse rivolte ai singoli imputati.
2.1. Il committente E.E. è stato ritenuto responsabile di non aver adeguatamente valutato i rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese ai quali erano esposti i lavoratori operanti all'interno dello stabilimento e, conseguentemente, del non essersi coordinato con la appaltatrice B.B. nella individuazione delle relative misure di protezione e prevenzione, non prevedendo adeguate procedure di lavoro, corrette modalità operative e la fruizione di zone ampie ben definite, anche in considerazione del notevole ingombro dei pezzi, della attiguità tra zone operative e aree di passaggio, del possibile transito di mezzi e persone anche nelle aree destinate al deposito del materiale (art. 26 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81).
2.2. L'appaltatrice B.B.è stata ritenuta responsabile, ai sensi dell'art. 26, comma 2, D.Lgs. 81/2008, in relazione al rischio interferenziale, per la mancanza di coordinamento con il committente A.A. e, quindi, per non aver individuato tutte le misure necessarie per lo svolgimento in sicurezza delle operazioni relative al trasporto del materiale da lavorare dall'esterno all'interno del capannone sino alla postazione del D.D. ed al corretto stoccaggio di tale materiale in aree predeterminate e per non aver assicurato e garantito al lavoratore la disponibilità di zone ampie e ben definite. Vi è poi il profilo di responsabilità direttamente riconducibile all'imputata in quanto datrice di lavoro dell'infortunato. In tale veste, la B.B. è stata riconosciuta responsabile anche per l'omessa valutazione dei rischi connessi all'attività di impresa a lei riconducibile e, segnatamente, per non aver adeguatamente valutato nel D.V.R. di sua competenza il rischio di caduta e investimento di materiali cui erano esposti i suoi lavoratori in dipendenza dell'attività lavorativa (art. 28, commi 1 e 2, D.Lgs. 81/2008).
2.3. Il giudizio di responsabilità per il reato ascritto a C.C. è stato collegato sia alla sua veste di socio accomandante di Modena Sas e di "referente appalto" nel contratto di appalto con la ditta committente - e quindi di interlocutore privilegiato per l'esecuzione dei lavori per la A.A. Spa -, sia al ruolo da lui rivestito come datore di lavoro di fatto del D.D., per non aver individuato e adottato le misure necessarie per garantire la sicurezza dello stoccaggio e per prevenire i rischi di caduta e investimento di materiale, affinché i dipendenti della Modena Sas, nella specie D.D., operassero in sicurezza all'interno di spazi adeguati, con procedure idonee a salvaguardarne l'incolumità. Le sentenze di merito hanno ritenuto che, in tale duplice veste, l'imputato era senz'altro in grado di valutare le condizioni di lavoro esistenti all'interno del capannone, così come aveva certamente il potere decisionale di intervenire per l'adozione delle misure necessarie.
3. Avverso la sentenza di appello propongono ricorso le difese degli imputati.
4. Il ricorso dell'imputato A.A. consta di cinque motivi.
4.1. Con il primo motivo, si deduce mancanza della motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento oggettivo, lamentandosi la ricostruzione dell'infortunio e i fattori causali. Sul piano causale, sarebbero state le caratteristiche della manovra della movimentazione operata dall'infortunato, così come peraltro chiarita dalle sentenze di merito, a determinare l'evento. La ricostruzione delle circostanze di fatto individuate dai Giudici di merito (il disordine delle travi, il loro trasporto, l'area di lavoro a disposizione del D.D.), così come la loro rilevanza causale rispetto all'infortunio e la loro riferibilità all'imputato, sono state oggetto di una profonda critica nell'atto di appello rispetto alla quale la sentenza di appello avrebbe omesso alcun confronto, essendosi limitata a reiterare le considerazioni del primo Giudice. La motivazione sul punto sarebbe, pertanto, meramente apparente;
4.2. Mancanza della motivazione rispetto alla posizione di garanzia del datore di lavoro committente; qualificazione del rischio nel cui contesto si è sviluppato il sinistro come "rischio interferenziale". In sede di appello, la difesa aveva lamentato un travisamento delle risultanze probatorie sul punto. Aveva sottolineato come la semplice lettura del D.U.V.R.I. in vigore al momento del sinistro avrebbe consentito di rilevare come lo stesso prendesse in considerazione i rischi interferenziali legati al trasporto delle travi, alle aree di transito e agli spazi di lavoro, alla caduta di carichi, all'organizzazione delle lavorazioni, introducendo apposite misure di prevenzione e protezione. Si evidenziava come non fosse affatto vero che il D.U.V.R.I. non contemplasse l'attività svolta dal D.D.: il documento in parola, infatti, richiamava i rischi derivanti dallo stoccaggio e dalla movimentazione del materiale da sottoporre a lavorazione, indicandoli come "specifici", in quanto introdotti nel luogo di lavoro da parte dell'appaltatore. Tale qualificazione, si era detto, risultava perfettamente coerente con le numerose risultanze probatorie, volte dimostrare come le attività di stoccaggio e movimentazione del materiale da sottoporre alla lavorazione fossero di esclusivo appannaggio dei dipendenti della Modena Sas e non influenzassero né generassero rischi per i dipendenti della committente. Su tali rilievi difensivi la Corte di appello ha omesso il confronto, limitandosi a ricalcare le motivazioni del Tribunale;
4.3. Con il terzo motivo di ricorso, la difesa lamenta l'erronea applicazione dell'art. 26, comma 3, D.Lgs. 81/2008, per avere qualificato il rischio come rischio da interferenza e non già come rischio specifico della ditta Modena Sas, così ponendosi in aperto contrasto con la più recente giurisprudenza di legittimità laddove questa ha evidenziato la prevalenza della dimensione concreta dei rapporti tra imprese rispetto al piano dell'inquadramento contrattuale, valorizzando un approccio improntato al canone della effettività, coerentemente al principio espresso dall'art. 299 D.Lgs. 81/2008. In sostanza, nella verifica circa la natura interferenziale del rischio che caratterizza una determinata attività, non rileva tanto la mera compresenza di più imprese ovvero la qualificazione contrattuale del rapporto tra le stesse, dovendosi piuttosto avere riguardo alle caratteristiche del fatto, per verificare se quella specifica lavorazione sia o meno interessata da rischi inerenti all'interferenza fra le opere di più imprese. Nel caso di specie, la ricostruzione del sinistro, operata in sede dibattimentale, avrebbe chiaramente dimostrato l'avvenuta verificazione dello stesso entro la specifica attività di movimentazione delle travi, funzionale alla loro successiva lavorazione: un'attività che il contratto di appalto prevedeva tra quelle di esclusiva competenza della Modena Sas, un rischio specifico quindi, atteso che anche in un ambiente di lavoro caratterizzato dalla presenza di più imprese, ben possono residuare rischi specifici, propri di una soltanto di esse. Del resto, tale qualificazione veniva recepita dal D.U.V.R.I. redatto dall'imputato che si limitava a richiamare e così definire il rischio da "movimentazione stoccaggio di materiali", (asciando tuttavia che fosse il D.V.R. della Modena Sas a prevederne la corretta regolazione mediante specifiche procedure operazionali;
4.4. Con il quarto motivo di ricorso, la difesa deduce l'erronea applicazione degli artt. 40 e 41 cod. pen., sottolineando l'abnormità della condotta del lavoratore e l'avvenuta interruzione del nesso causale. L'infortunato, infatti, avrebbe operato la movimentazione delle travi in aperta violazione delle prescrizioni datoriali poiché la procedura descritta nel D.V.R. della Modena Sas prescriveva che"il gancio sospeso non va mai guidato con le mani ma solo con funi e ganci").
4.5. Con il quinto motivo, la difesa lamenta l'erronea applicazione dell'art. 190, comma 1, cod. proc. pen. e la violazione del diritto alla prova in relazione all'ordinanza emessa in data 11/11/2019 con la quale il Tribunale aveva accolto le richieste di prova avanzate ai sensi dell'art. 468 cod. proc. pen. limitatamente al numero di quattro testi, in difetto di qualsiasi motivazione circa le ragioni della asserita superfluità o irrilevanza delle prove escluse. Richiamando giurisprudenza di legittimità sul punto, la difesa lamenta che la Corte di appello si sia limitata a risolvere la questione sotto il profilo della nullità dell'atto così non confrontandosi con i motivi d'appello con cui ci si doleva non tanto dell'invalidità formale quanto dell'errore di giudizio sotteso alla mancata ammissione delle prove.
5. B.B.e C.C. si affidano al medesimo difensore che, con un unico atto, solleva quattro motivi.
5.1. Con il primo motivo, si deduce la mancanza di motivazione in ordine alle allegazioni difensive sulla inattendibilità della persona offesa e sulla mancanza di riscontri alle sue dichiarazioni; nonché la contraddittorietà della motivazione laddove afferma che le fotografie sono riscontri documentali pur dando atto che esse non rappresentano i luoghi del sinistro. Nell'atto di appello, la difesa aveva evidenziato le lacune delle dichiarazioni dei testi F.F. e G.G., ma la sentenza impugnata non le ha valutate, così come non ha tenuto conto che la teste F.F. non era intervenuta il giorno del sinistro e che infine le dichiarazioni di G.G. presentavano numerose contraddizioni e lacune. Al riguardo, i ricorsi, oltre a riportare stralci dell'atto di appello, riportano le trascrizioni dell'udienza tenutasi in data 11/11/2019 innanzi al Tribunale di Genova. Rileva il difensore come già nel proprio atto di appello avesse evidenziato che in realtà i tecnici della prevenzione non erano stati in grado, esaminati il D.U.V.R.I. e il D.V.R. in uso al momento dell'infortunio e dopo aver effettuato alcuni sopralluoghi, di formulare una contestazione precisa. Quanto alle fotografie, la motivazione si appalesa illogica laddove sostiene che, grazie all'arrivo dell'ambulanza, sia stato fatto un po' d'ordine. Le dichiarazioni del D.D. non sarebbero supportate da alcun riscontro testimoniale o documentale; egli non sarebbe credibile perché spinto da una forte motivazione economica avendo preteso un risarcimento per un'invalidità del 20% nonostante il proprio stesso consulente medico legale avesse concordato con gli altri consulenti un'invalidità del 13%. Anche sul punto la Corte di appello nulla avrebbe detto;
5.2. Con il secondo motivo, si lamenta la manifesta illogicità della motivazione laddove si conferma la responsabilità degli imputati per non aver adeguatamente valutato i rischi, pur dando atto che l'infortunio si è verificato a causa di un'errata manovra del carroponte da parte del D.D.;
5.3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la mancanza di motivazione in ordine alla eccepita esclusiva responsabilità del preposto alla sicurezza. Atteso che l'infortunio si è verificato a causa di un'errata manovra del D.D., si potrebbe al più discutere di una responsabilità per omessa sorveglianza, sorveglianza a cui sarebbe stato tenuto il preposto alla sicurezza per la Modena Sas, H.H.;
5.4. Con il quarto motivo di ricorso, con particolare riguardo alla responsabilità del C.C., si deduce l'illogicità e talora anche la mancanza della motivazione. L'essere indicato quale "referente appalto", il fatto di essere socio accomandante e marito della B.B.non sono sufficienti ad attribuire all'imputato un ruolo effettivo di datore di lavoro, dirigente o preposto di cui all'art. 299 D.Lgs. 81/2008. Sbaglia la Corte di appello nell'affermare che il C.C. esercitasse in qualche modo l'attività di direzione dei lavori, considerate le dichiarazioni del teste H.H. di cui si riportano le trascrizioni. Anche con riguardo al C.C., la Corte di appello non avrebbe preso posizione sulle allegazioni difensive che ne escludevano la responsabilità.
5. Con requisitoria scritta, il Procuratore generale ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi di B.B.e C.C.; ha chiesto per A.A. l'annullamento senza rinvio ai fini penali per essersi il reato estinto per intervenuta prescrizione e rigetto ai fini civili.
6. In data 03/09/2024, il difensore della parte civile, avv. Francesco Di Mattei, ha fatto pervenire conclusioni e nota spese.
Diritto
1. Deve in primo luogo rilevarsi come il reato ascritto agli imputati sia estinto per intervenuta prescrizione, considerato il tempo trascorso dalla data di commissione del medesimo, come indicata nel capo di imputazione. La causa estintiva del reato può essere rilevata in questa sede, non presentando i ricorsi profili di inammissibilità suscettibili d'incidere sulla valida instaurazione del rapporto dì impugnazione.
Occorre anche rammentare come, nel giudizio di impugnazione, in presenza di una condanna al risarcimento dei danni o alle restituzioni pronunciata dal primo giudice o dalla Corte di appello, in seguito a costituzione di parte civile nel processo, è preciso obbligo del giudice, anche di legittimità, secondo il disposto dell'art. 578 cod. proc. pen., esaminare il fondamento dell'azione civile e verificare, senza alcun limite, l'esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale ai fini delle statuizioni civili.
2. Poste le anzidette premesse, è quindi necessario accertare la sussistenza del fatto e la responsabilità degli imputati, nei termini appena specificati, procedendo all'esame dei motivi dei rispettivi ricorsi suscettibili di assumere reale incidenza sulla conferma o meno delle statuizioni civili adottate con la sentenza di primo grado, dovendosi rimarcare che il vaglio di legittimità deve svolgersi in relazione al contenuto della sentenza impugnata il quale, secondo consolidato orientamento della Suprema Corte, disegna un sistema in sé concluso, nell'ambito del quale deve operarsi il sindacato da esperirsi in questa sede e la valutazione sulla congruità della motivazione (cfr. Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260).
3. Quanto al ricorso dell'imputato A.A., il primo motivo è sostanzialmente volto a sollecitare una nuova e diversa valutazione degli elementi fattuali e delle inferenze prospettate da entrambi i giudici di merito in ordine alla ricostruzione del fatto e alla responsabilità del A.A. (pp. 7, 8, 9, 10). La motivazione non può dirsi apparente, perché, in tema di vizio della motivazione della sentenza, la motivazione apparente e, dunque, inesistente è ravvisabile soltanto quando sia del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente (Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014, dep. 2015, P.G. in proc. Vassallo, Rv. 263100). Non questo è il caso di specie, ove la Corte di merito ha adeguatamente illustrato le modalità di lavoro del D.D. (presenza disordinata di travi, spazi angusti, area di lavoro non delimitata), coerente con gli elementi di prova indicati in sentenza, ed ha altresì esposto le ragioni per le quali la diversa prospettazione del ricorrente non fosse plausibile. Il secondo e terzo motivo, che si trattano congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono infondati. I Giudici del merito hanno ritenuto sussistente in capo al A.A. (legale rappresentante della A.A. Spa) una posizione di garanzia connessa alla qualità di committente di lavori da svolgersi in un contesto lavorativo nella sua disponibilità, relativamente al rischio interferenziale derivante dalla contestuale presenza di maestranze alle dipendenze di altra organizzazione lavorativa. Il presupposto dell'obbligo del committente di neutralizzare i rischi interferenziali, in caso di appalto cosiddetto endoaziendale, si rinviene nell'art. 26 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (precedentemente, nell'art.7, comma 3, D.Lgs. n. 626/94), che pone espressamente a carico del datore di lavoro committente l'obbligo di predisporre il D.U.V.R.I. (documento unico di valutazione dei rischi da interferenze), con riferimento alle attività che si svolgono all'interno della sua azienda, indipendentemente dal fatto che vi siano taluni rischi da interferenze che possano riguardare esclusivamente i dipendenti dell'appaltatore ovvero i lavoratori autonomi presenti nell'ambiente di lavoro e non anche i lavoratori dipendenti del committente. Si tratta di una regola evidentemente finalizzata ad individuare con certezza il titolare primario della posizione di garanzia relativa alla valutazione dei rischi da interferenze in colui che ha la posizione di dominio del rischio correlato alla compresenza nella sua unità produttiva di più imprese. La ratio della norma è quella di tutelare i lavoratori appartenenti ad imprese diverse che si trovino ad interferire le une con le altre per lo svolgimento di determinate attività lavorative e nel medesimo luogo di lavoro. Il committente deve, dunque, organizzare la prevenzione dei rischi interferenziali, derivanti dalla contemporanea presenza di più imprese che operano sul medesimo luogo di lavoro, attivando e promuovendo percorsi condivisi di informazione e cooperazione, soluzioni comuni di problematiche complesse, rese tali dalla circostanza dovuta alla sostanziale estraneità dei dipendenti delle imprese appaltatrici all'ambiente di lavoro dove prestano la loro attività lavorativa. Ai fini dell'operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione connessi ai contratti di appalto, dettati dall'art. 26 D.Lgs. 81/2008, occorre aver riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro - vale a dire contratto d'appalto, d'opera o di somministrazione - ma all'effetto che tale rapporto origina, vale a dire alla concreta interferenza tra le organizzazioni ad esse facenti capo, che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori (Sez. 4, n. 1777 del 06/12/2018, dep. 2019, Perano Gianfranco, Rv. 275077; Sez. 4, n. 9167 del 01/02/2018, Verity James e altro, Rv. 273257; Sez. 4, n. 44792 del 17/06/2015, Mancini e altro, Rv. 264957. In motivazione la S.C. ha precisato che l'interferenza rilevante deve essere necessariamente intesa in senso funzionale, avendo riguardo alla coesistenza in un medesimo contesto di più organizzazioni, ciascuna delle quali facente capo a soggetti diversi). Tanto premesso, la Corte territoriale ha evidenziato che, nella specie, il D.U.V.R.I., pure in presenza di più imprese operanti all'interno del capannone (ove operavano i dipendenti dell'appaltatore e quelli della committente), non aveva definito gli spazi operativi necessari alle varie tipologie di lavoro, né aveva definito le aree di stoccaggio e manovra dei mezzi operativi. Ha evidenziato come il trasporto delle travi dal cortile all'interno del capannone venisse effettuato, anche per le travi più lunghe, con modalità inadeguate e pericolose, mediante utilizzo di un muletto, condotto indifferentemente da personale della A.A. o della Modena. Ha precisato che la disciplina di tali profili era rimessa alla prassi e alle necessità del momento, in base ai tempi delle commesse da realizzare, come peraltro reso evidente dalle modifiche apportate al D.U.V.R.I soltanto a seguito dei rilievi mossi dai tecnici della prevenzione. Con motivazione congrua e corretta in diritto, la Corte di appello ha affermato che la predisposizione di spazi adeguati alla sicurezza del dipendente D.D. e degli altri lavoratori non poteva essere rimessa alle sole determinazioni del datore di lavoro Modena Sas, ma doveva essere predisposta di concerto e in cooperazione con il committente A.A. Spa, quale titolare dei locali dell'impresa, al fine di adottare misure e prescrizioni, da formalizzare nel D.U.V.R.I., idonea a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro all'interno del suo stabilimento e, segnatamente, di valutare gli spazi disponibili e le caratteristiche delle rispettive lavorazioni da eseguire nello stesso. Ha conseguentemente escluso che venisse in rilievo un rischio specifico proprio dell'impresa appaltatrice, e cioè quel rischio non inerente all'interferenza fra le opere di più imprese e per il quale il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica, afferendo esso alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine (ex multis, Sez. 3, n. 12228 del 25/02/2015, Cicuto, Rv. 262757). Al riguardo, ha osservato come il rischio cui era esposto il lavoratore infortunato fosse strettamente connesso all'organizzazione e alla conformazione dell'ambiente di lavoro ove lo stesso operava.
Deve parimenti rigettarsi il quarto motivo di ricorso. Pur individuando una forma di imprudenza nella movimentazione operata con il carroponte dal lavoratore infortunato, avendo egli guidato con una mano il carico sospeso, anziché con funi o ganci, la Corte di merito ha ritenuto che tale anomalia non sia stata in grado di interrompere il nesso causale tra la condotta degli imputati e l'evento, così correttamente applicando il consolidato principio di diritto secondo cui non integra il "comportamento abnorme", idoneo ad escludere il nesso di causalità, il compimento da parte del lavoratore di un'operazione che, seppure inutile e imprudente, non risulti eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo (ex multis, Sez. 4, n. 7955 del 10/10/2013, dep. 2014, Rovaldi, Rv. 259313; Sez. 4, n. 15174 del 13/12/2017, dep. 2018, Spina e altro, Rv. 273247).
Il quinto motivo è manifestamente infondato. Come esattamente si legge nella sentenza impugnata, l'ordinanza ammissiva di testi della difesa, resa in difetto di motivazione sulla superfluità della prova, produce una nullità di ordine generale che deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell'art. 182, comma 2, cod. proc. pen., con la conseguenza che in caso contrario essa è sanata (ex multis, Sez. 6, n. 53823 del 5/10/2017, D M., Rv. 271732; Sez. 2, n. 9761 del 10/2/2015, Rizzello, Rv. 263210; Sez. 5, n. 51522 del 30/9/2013, Abatelli e altro, Rv. 257891). Nella specie, la Corte di appello ha evidenziato la tardività della doglianza (prima ancora che la sua infondatezza del merito) e la sua conseguente inammissibilità per intervenuta decadenza, in quanto nessuna eccezione difensiva era stata tempestivamente sollevata dalla difesa in primo grado sul punto.
4. Quanto ai ricorsi degli imputati B.B.e C.C., il primo motivo è infondato. I Giudici di merito hanno ricostruito la dinamica dell'incidente sulla scorta delle dichiarazioni rese da D.D., persona offesa costituita parte civile, riscontrate dalle foto allegate al verbale di sopralluogo redatto dai Tecnici della Prevenzione Sicurezza Ambienti di Lavoro presso Asl 3 genovese, G.G. e F.F., intervenuti sul posto e sentiti quali testimoni. Quanto alle dichiarazioni della persona offesa, costituitasi parte civile, giova ricordare il principio per il quale le regole dettate dall'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214; Sez. 4, n. 410 del 09/11/2021, dep. 2022, Aramu Salvatore, Rv. 282558: "Le dichiarazioni del soggetto danneggiato dal reato che si sia costituito parte civile possono essere legittimamente poste da sole a fondamento della responsabilità dell'imputato, senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all'art. 192 commi 3 e 4, cod. proc. pen., purché il narrato sia soggetto ad un più rigoroso controllo di attendibilità, opportunamente corroborato dall'indicazione di altri elementi dì riscontro"). Al riguardo, la valutazione di attendibilità della stessa circa la dinamica dell'incidente è sorretta da motivazione coerente, non scalfita dalle generiche argomentazioni prospettate dai ricorrenti, avendo i Giudici di merito in particolare evidenziato come il narrato del D.D. abbia trovato puntuale riscontro nello stato dei luoghi fotografato dai citati tecnici G.G. e F.F..
Il secondo motivo è inammissibile in quanto generico e, in ogni caso, manifestamente infondato. Non si ravvisa, infatti, alcuna manifesta illogicità motivazionale nell'avere la Corte territoriale affermato che l'infortunio si è verificato per una manovra imprudente del D.D. nella movimentazione del carroponte (per aver guidato con una mano il carico sospeso anziché avvalersi di funi o ganci), altresì confermando la responsabilità degli imputati. Dell'eccentricità o abnormità della condotta della persona offesa si è già detto.
Analoga valutazione di inammissibilità, per genericità e manifesta infondatezza, investe il terzo motivo degli anzidetti ricorsi perché non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, la quale ha individuato profili di responsabilità direttamente riconducibili alla Modena Sas, e dunque, ai ricorrenti B.B.e C.C., in quanto di datori di lavoro del D.D.. La Corte di appello ha correttamente ricordato come gli obblighi per la sicurezza dei lavoratori gravanti sul committente non elidano la posizione di garanzia del datore di lavoro, prevista dall'art. 28, commi 1 e 2, D.Lgs. 81/2008, quale primo destinatario degli stessi nei confronti dei propri dipendenti. Sul punto, ha ricordato che la B.B.ha omesso di valutare i rischi connessi all'attività d'impresa a lei riconducibile, perché non aveva adeguatamente valutato nel D.V.R., di sua competenza, il rischio di caduta ed investimento di materiali cui erano esposti i dipendenti nello svolgimento dell'attività lavorativa. La sentenza impugnata evidenzia altresì che il D.V.R. della Modena era privo di indicazioni sulla postazione del D.D., che non veniva menzionata né in relazione alla sicurezza del lavoratore addetto, né relazione alla sicurezza degli altri lavoratori che si trovavano a transitare presso di essa. Quanto a H.H., cui i ricorrenti vorrebbero rimproverare una mancata sorveglianza in quanto preposto alla sicurezza per la Modena Sas, la motivazione della sentenza impugnata si appalesa incensurabile, laddove rammenta che il C.C., come concordemente riferito da tutti i testi escussi, si occupava della corretta esecuzione delle commesse, "quale punto di riferimento di H.H. stesso, assumendo di fatto rispetto a quest'ultimo e agli altri lavoratori la posizione di direttore dei lavori".
4.1. Va respinto anche il quarto motivo di ricorso, afferente alla responsabilità del C.C. Sulla base di tutte le testimonianze, i Giudici del merito hanno individuato nell'imputato l'amministratore di fatto della Modena Sas, soltanto formalmente amministrata dalla moglie B.B.(socia accomandataria). è così risultato che la B.B.si occupava unicamente degli aspetti amministrativi della società, mentre il marito si recava in officina tutti i giorni, interfacciandosi con il capo-officina H.H. per la gestione dell'approvvigionamento dei materiali, l'esame dei disegni, l'inserimento di nuovo personale quando necessario, così ingerendosi nella gestione dell'impresa.
In tema di infortuni sul lavoro, questa Corte ha affermato che la responsabilità dell'amministratore della società, a cui formalmente fanno capo il rapporto di lavoro con il dipendente e la posizione di garanzia nei confronti dello stesso, non viene meno per il fatto che il menzionato ruolo sia meramente apparente, essendo invero configurabile, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2 e 299 D.Lgs. 8 aprile 2008, n. 81, la corresponsabilità del datore di lavoro e di colui che, pur se privo di tale investitura, ne eserciti, in concreto, i poteri giuridici (Sez. 4, n. 30167 del 06/04/2023, Di Rosa Antonio, Rv. 284828. Nello stesso senso, ex multis, Sez. 4, n. 31863 del 10/04/2019, Agazzi Alessandro, Rv. 276586, secondo cui "In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, indipendentemente dalla sua funzione nell'organigramma dell'azienda"; Sez. 4, n. 18090 del 12/01/2017, Amadessi e altro, Rv. 269803: "In tema di infortuni sul lavoro, ai sensi dell'art. 299, D.Lgs. n. 81 del 2008, la posizione di garanzia grava anche su colui che, non essendone formalmente investito, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti al datore di lavoro e ad altri garanti ivi indicati, sicché l'individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale"). Nel caso di specie, la Corte di appello di Genova ha fatto corretta applicazione del principio appena evocato, conseguendone che la motivazione offerta appare immune dalla censura sollevata.
5. In conclusione: la sentenza impugnata va annullata senza rinvio agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione. I ricorsi devono essere rigettati agli effetti civili, con condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità in favore di D.D., che sono liquidate in Euro 3.000,00 oltre accessori come per legge, se dovuti.
Va disposto che, in caso di diffusione della presente sentenza, venga omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi della persona offesa, ai sensi dell'art. 52, comma 2, D.Lgs. n. 196/2003.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione. Rigetta i ricorsi agli effetti civili e condanna ricorrenti alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità in favore di D.D., liquidate in Euro 3.000,00 oltre accessori come per legge se dovuti. Dispone che in caso di diffusione della sentenza venga omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi della persona offesa, ai sensi dell'art. 52, comma 2, D.Lgs. n. 196/2003.
Così deciso il 19 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2024.