Cassazione Penale, Sez. 4, 28 novembre 2024, n. 43381 - Infortunio nel tunnel del supermercato: omessa segnaletica orizzontale di separazione tra transito dei pedoni e dei muletti. Non basta che i conducenti dei mezzi meccanici procedano a passo d'uomo


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta da:

Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente

Dott. FERRANTI Donatella - Consigliere

Dott. VIGNALE Lucia - Relatore

Dott. CALAFIORE Daniela - Consigliere

Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A. nato a A il (Omissis)

avverso la sentenza del 21/03/2024 della CORTE APPELLO di TORINO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere LUCIA VIGNALE;

udite le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del Sostituto Procuratore OLGA MIGNOLO, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il difensore, avvocato MARCO FENO, del foro di TORINO, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
 

Fatto


1. Con sentenza del 21 marzo 2024, la Corte di appello di Torino, ha riformato la sentenza emessa dal Tribunale di Aosta il 20 dicembre 2022 con la quale A.A. era stato assolto dall'accusa di aver cagionato, per colpa, lesioni personali a B.B., dipendente dell'Ipermercato Carrefour di P (A), gestito dalla S.S.C, Srl, nel quale A.A. svolgeva funzioni di datore di lavoro in forza di delega conferitagli dal Consiglio di amministrazione della società.

La Corte di appello ha ritenuto A.A. responsabile del reato di cui all'art. 590, commi 1, 2 e 3 cod. pen. e, riconosciute le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti, lo ha condannato alla pena di Euro 200,00 di multa. La sospensione condizionale è stata ritenuta inopportuna, trattandosi di pena pecuniaria di modesto ammontare. Non è stata disposta la non menzione della condanna ex art. 175 cod. pen.

2. Il procedimento ha ad oggetto un infortunio sul lavoro verificatosi il 1 agosto 2020 nell'ipermercato Carrefour di P in provincia di A. I giudici di merito sono concordi nel riferire che l'infortunio si verificò all'interno di un tunnel della lunghezza di circa sei metri e della larghezza di cinque metri che collega il piazzale esterno dell'ipermercato al magazzino. Al momento del fatto, B.B. camminava nel tunnel spingendo un carrello. Nello stesso tunnel, in direzione opposta a quella percorsa dalla lavoratrice, procedeva un muletto elettrico condotto da C.C. La dinamica dell'infortunio non è controversa: la B.B. non procedeva sulla destra, ma era affiancata ad altra dipendente (D.D.) che camminava nella stessa direzione. C.C. non si accorse della sua presenza e colpì con le forche del muletto il carrello che la B.B. stava spingendo. Per effetto del colpo, il carrello arretrò urtando sulle ginocchia e sul polso destro della donna che riportò lesioni personali ("trauma contusivo-distorsivo polso destro e ginocchio sinistro, lesione parziale del legamento crociato anteriore al terzo medio") dalle quali derivarono una malattia e l'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per più di quaranta giorni.

2.1. Secondo l'ipotesi accusatoria l'infortunio fu reso possibile da violazioni di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro. A.A., nella qualità di datore di lavoro dell'infortunata, è stato accusato: di aver violato l'art. 28 D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 per non aver valutato adeguatamente i rischi derivanti dalla possibilità che nel tunnel circolassero contestualmente carrelli elevatori elettrici e lavoratori a piedi; di aver violato gli art. 63 e 64 D.Lgs. n. 81/08 (che fanno rinvio all'allegato IV del decreto stesso) non avendo provveduto affinché il tunnel percorso dai lavoratori fosse conforme ai requisiti indicati in questo allegato e, in particolare, non avendo previsto "una distanza di sicurezza sufficiente" tra i lavoratori a piedi e i mezzi di trasporto (allegato IV punto 1.4.3) e non aver evidenziato "il tracciato delle vie di circolazione" in modo da "garantire la protezione dei lavoratori" (Allegato IV punto 1.4.5.).

Il giudice di primo grado ha escluso entrambi i profili di colpa e l'imputato è stato assolto da ogni accusa "perché il fatto non costituisce reato". Il Pubblico Ministero ha proposto appello contro questa decisione senza dolersi del fatto che la violazione dell'art. 28 D.Lgs. n. 81/08 fosse stata esclusa, sicché sul punto si è formato giudicato. L'appellante ha sostenuto, invece, che la violazione degli artt. 63 e 64 D.Lgs. n. 81/08 avrebbe dovuto essere ritenuta sussistente.

Nell'escludere tale profilo di colpa la sentenza di primo grado ha sottolineato che le disposizioni contenute nell'allegato IV del D.Lgs. n. 81/08 sono norme elastiche perché non fissano parametri dimensionali precisi in relazione alle vie di circolazione per pedoni e veicoli, ma prescrivono che il relativo utilizzo debba avvenire in condizioni di piena sicurezza. Per valutare se queste condizioni fossero rispettate, il Tribunale ha fatto riferimento alle linee guida elaborate dal Dipartimento di Prevenzione dell'ASL Roma B e ha rilevato che, in caso di vie destinate alla circolazione promiscua di pedoni e macchinari, queste linee guida prescrivono una larghezza minima del passaggio di metri 4,60; larghezza che, nel caso di specie, era stata rispettata perché il tunnel al cui interno si verificò l'infortunio era largo cinque metri. Secondo il Tribunale, non v'è ragione di ritenere più attendibile la diversa opinione espressa dagli operatori della prevenzione della ASL della valle di Aosta, a detta dei quali, anche in presenza di un tunnel largo cinque metri, sarebbe stato comunque necessario delimitare con segnaletica orizzontale l'area destinata al transito dei pedoni per distinguerla da quella destinata al transito dei mezzi meccanici se non, addirittura, impedire l'uso promiscuo del tunnel. Il Giudice di primo grado ha sostenuto che, "in presenza di una norma tecnica generica" e di opinioni divergenti espresse da tecnici della prevenzione ugualmente qualificati - quindi, in presenza di opinioni diverse, ma "egualmente apprezzabili" riguardo alla larghezza che una via di circolazione deve avere per essere considerata sicura - sarebbe doveroso privilegiare la soluzione "più favorevole all'imputato". Muovendo da queste premesse, ha ritenuto che la larghezza del tunnel fosse adeguata a fini di sicurezza ancorché non fosse vietato il transito "promiscuo e contemporaneo di operatori a piedi e a bordo di veicoli" (così, testualmente, pag. 7 della motivazione).

La Corte di appello non ha condiviso tale valutazione osservando (pag. 5 della motivazione): che il Tribunale non ha spiegato perché, in presenza di un tunnel di larghezza adeguata, una segnaletica atta a distinguere i percorsi riservati ai pedoni da quelli riservati ai mezzi meccanici non fosse necessaria; che "la pacifica assenza di segnaletica orizzontale all'interno del tunnel e di quella verticale all'esterno dello stesso è stata determinante nel verificarsi dell'infortunio non essendo stata assicurata per i pedoni "una distanza di sicurezza sufficiente" dai mezzi meccanici; che "la citata segnaletica avrebbe obbligato la lavoratrice a percorrere una parte del tunnel, mentre l'altra parte sarebbe stata percorsa dal mezzo meccanico ed il rischio di collisione sarebbe stato ragionevolmente neutralizzato in toto". La sentenza di assoluzione è stata pertanto riformata e A.A. è stato ritenuto responsabile del reato ascrittogli per violazione degli artt. 63 e 64 D.Lgs. n. 81/08 in relazione alle disposizioni dell'allegato IV al citato decreto.

3. Contro la sentenza di condanna pronunciata dalla Corte di appello, A.A. ha proposto tempestivo ricorso per mezzo del difensore, cui ha conferito apposito mandato ex art. 581, comma 1 quater, cod. proc. pen. Il ricorso si articola in tre motivi che di seguito si riportano, nei limiti strettamente necessari alla decisione, come previsto dall'art. 173, comma 1, D.Lgs. 28 luglio 1989 n. 271.

3.1. Col primo motivo, il difensore deduce violazione dell'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. Rileva che la sentenza di assoluzione è stata impugnata dal pubblico ministero per la ritenuta assenza nel tunnel di segnaletica orizzontale e per la assenza parziale di segnaletica verticale e - come lo stesso PM ha evidenziato nell'atto di appello - tali circostanze di fatto sono provate, oltre che dalle fotografie del luogo, anche dalle deposizioni testimoniali rese nel corso del dibattimento. Secondo la difesa, la Corte territoriale, si è "determinata a riformare la sentenza di primo grado anche sulla base di tali risultanze probatorie". Pertanto, le prove dichiarative indicate nell'atto di appello, "ritenute dal Giudice di primo grado di scarso o nullo valore", sono state valutate decisive ai fini dell'affermazione della penale responsabilità. Ne consegue, che la rinnovazione di tali prove dichiarative sarebbe stata doverosa ai sensi dell'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen.

3.2. Col secondo motivo, la difesa deduce vizi di motivazione sottolineando che la sentenza di appello non ha confutato le argomentazioni sviluppate dal giudice di primo grado quanto alla adeguatezza della valutazione del rischio compiuta dal datore di lavoro e al fatto che - in presenza di un tunnel della larghezza di cinque metri - era sufficiente a fini di scurezza aver previsto che i carrelli dovessero viaggiare a passo d'uomo (segnalazione che era presente e ben visibile all'imbocco del tunnel).

Secondo la difesa, per adempiere all'obbligo di motivazione rafforzata che le era imposto dall'aver pronunciato una condanna in riforma di una sentenza assolutoria di primo grado, la Corte di appello non avrebbe potuto limitarsi a sostenere che la larghezza del tunnel non escludeva la necessità di segnaletica orizzontale e verticale idonea a differenziare i percorsi dei pedoni rispetto a quelli dei mezzi meccanici. Avrebbe dovuto spiegare, infatti, perché la cautela rappresentata dal far viaggiare i carrelli a passo d'uomo non sarebbe stata sufficiente ad evitare l'evento consentendo al conducente del mezzo meccanico di avvistare la lavoratrice e arrestarsi tempestivamente.

La difesa si duole che la sentenza impugnata non abbia tenuto conto delle diverse opinioni tecniche, sulle quali si era soffermato invece il giudice di primo grado: quella sostenuta nelle linee guida degli operatori della prevenzione di Roma, secondo la quale una via di circolazione della larghezza di m. 4,60 consente il transito promiscuo di mezzi meccanici e persone; quella degli operatori della prevenzione di Aosta, secondo i quali, pur essendo il tunnel largo cinque metri, la circolazione promiscua non avrebbe dovuto essere consentita o, comunque, le aree destinate al transito dei pedoni avrebbero dovuto essere distinte con apposita segnaletica da quelle destinate ai mezzi meccanici. In tesi difensiva, la sentenza di appello avrebbe apoditticamente aderito all'opinione dei tecnici della prevenzione di Aosta senza spiegare le ragioni di questa scelta e, soprattutto, senza spiegare perché non fosse adeguata a fini di sicurezza la prescrizione impartita ai conducenti di veicoli meccanici di procedere a passo d'uomo.

3.3. Col terzo motivo, il difensore deduce carenza dì motivazione quanto alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna. Osserva che, avendo inflitto all'imputato una pena pecuniaria di importo modesto (Euro 200 di multa), la sentenza impugnata ha scelto di non disporre la sospensione condizionale e ha motivato adeguatamente questa decisione osservando che la concessione del beneficio sarebbe stata "meno favorevole per l'imputato", ma non ha concesso neppure il beneficio di cui all'art. 175 cod. pen. e tale scelta non è stata motivata.

 

Diritto


1. I motivi di ricorso non sono fondati.

2. Come noto, le Sezioni unite di questa Corte, nella sentenza n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267491, hanno affermato che la previsione, contenuta nell'art. 6, par. 3, lett. d) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, relativa al diritto dell'imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU, implica che il giudice d'appello, investito dell'impugnazione del Pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado con cui si adduca un'erronea valutazione delle prove dichiarative, non possa riformare la sentenza impugnata e affermare la responsabilità penale dell'imputato senza avere proceduto, anche d'ufficio, a rinnovare l'istruzione dibattimentale attraverso l'esame dei soggetti che hanno reso, sui fatti del processo, dichiarazioni ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado. Dopo aver puntualizzato che il nostro ordinamento processuale ha prescelto a statuto cognitivo, fondante del processo penale, il modello accusatorio, ispirato ai principi fondamentali della dialettica delle parti, dell'oralità della prova, dell'immediatezza della sua formazione davanti al giudice, il supremo Collegio ha rimarcato che "contraddittorio", "oralità", "immediatezza" nella formazione della prova e "motivazione" del giudice di merito sono entità strettamente correlate: "dal lato del giudice, la percezione diretta è il presupposto tendenzialmente indefettibile di una valutazione logica, razionale e completa. L'apporto informativo, che deriva dalla diretta percezione della prova orale, è condizione essenziale della correttezza e della completezza del ragionamento sull'apprezzamento degli elementi di prova, tanto più in relazione all'accresciuto standard argomentativo imposto, per la riforma di una sentenza assolutoria, dalla regola del "ragionevole dubbio", che si collega direttamente al principio della presunzione di innocenza. Dal lato dell'imputato assolto in primo grado, la mancata rinnovazione della prova dichiarativa, precedentemente assunta, sacrifica un'efficace confutazione delle argomentazioni, svolte nell'appello del Pubblico ministero, che possa trarre argomenti dall'interlocuzione diretta con la fonte, le cui affermazioni siano state poste a sostegno della tesi dell'accusa".

Muovendo da queste premesse, le Sezioni Unite hanno affermato che la diversa valutazione della prova dichiarativa "riguarda l'ipotesi in cui il giudice d'appello interpreti le risultanze delle prove dichiarative in termini antitetici rispetto alle conclusioni assunte in primo grado". Hanno ritenuto, dunque, che l'audizione diretta del dichiarante fosse necessaria soltanto se il ribaltamento della decisione assolutoria era fondato su una diversa interpretazione della prova dichiarativa, pur se a fronte di un giudizio concorde sull'attendibilità del dichiarante.

Nel medesimo senso si è orientata la giurisprudenza successiva. Si è ritenuto, infatti che, quando intende riformare il giudizio liberatorio di primo grado, il giudice di appello non è sempre tenuto a disporre la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale e tale obbligo sussiste soltanto se la diversa valutazione di attendibilità riguarda prove orali decisive (tra le altre: Sez. 5, n. 6403 del 16/9/2014, Preite, Rv. 262674; Sez. 5, n. 25475 del 24/2/2015, Prestanicola, Rv. 263903). Si muovono nella medesima prospettiva le decisioni secondo le quali la Corte di appello non deve rinnovare l'istruttoria dibattimentale quando fonda il proprio convincimento (diverso da quello espresso dal giudice di primo grado) su elementi di prova che la sentenza di primo grado non ha valutato o ha palesemente travisato (Sez. 5, n. 16975 del 12/2/2014, Sirsi Rv. 259843; Sez. 3, n. 45453 del 18/9/2014, Rv. 260867) e neppure quando la riforma in pejus sia basata sulla diversa valutazione di prove non dichiarative, ma documentali (Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014, Di Vincenzo, Rv. 261556).

In questa cornice interpretativa si è inserita, a far data dal 3 agosto 2017, la legge 23 giugno 2017, n. 103 che ha introdotto nell'art. 603 cod. proc. pen. il comma 3-bis, in base al quale "in casi di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale". Questa disposizione è stata modificata dal D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 a decorrere dal 30 dicembre 2022, ed è stato previsto che la rinnovazione sia sempre doverosa "nei soli casi di prove dichiarative assunte in udienza nel corso del giudizio dibattimentale di primo grado o all'esito di integrazione probatoria disposta nel giudizio abbreviato a norma degli articoli 438, comma 5, e 441 comma 5" cod. proc. pen. La modifica non rileva nel caso in esame atteso che le prove dichiarative della cui mancata rinnovazione la difesa si duole sono state assunte in udienza nel corso del dibattimento di primo grado.

3. Secondo la difesa del ricorrente, la norma in esame collega la necessità della rinnovazione istruttoria al contenuto dei motivi di appello: poiché nell'atto di appello il Pubblico ministero ha fatto riferimento alle dichiarazioni rese da alcuni testimoni, per poter riformare la sentenza di primo grado l'esame di quei testimoni sarebbe stato comunque necessario.

La tesi non ha pregio. Se è vero, infatti, che il riferimento alla valutazione della prova dichiarativa contenuto nell'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. "evoca... un concetto ampio di valutazione, non ristretto alla questione della diversa valutazione dell'attendibilità delle prove dichiarative" (Sez. 2, n. 13953 del 21/02/2020, Iacopetta, Rv. 279146 - pag. 14 della motivazione); è pur vero che, perché la rinnovazione istruttoria sia doverosa, i giudici di appello devono aver valutato il contenuto delle testimonianze in termini diversi rispetto al giudice di primo grado traendone conseguenze differenti quanto alla ricostruzione delle circostanze di fatto sulla base delle quali in primo grado si era giunti alla pronuncia di assoluzione. Ne consegue che la rinnovazione istruttoria non deve essere necessariamente compiuta se la diversa decisione dipende soltanto dalla diversa valutazione in diritto delle medesime emergenze istruttorie. Come è stato affermato: "Il giudice d'appello che procede alla "reformatio in peius" della sentenza assolutoria di primo grado, ai sensi dell'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., non è tenuto alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, nel caso in cui si limiti a una diversa valutazione in termini giuridici di circostanze di fatto non controverse, senza porre in discussione le premesse fattuali della decisione riformata" (Sez. 4, n. 31541 del 22/06/2023, Lazzari, Rv. 284860).

3.1. Depongono nel senso indicato, le argomentazioni sviluppate dalle Sezioni unite con la sentenza n. 14426 del 28/1/2019, Pavan, Rv. 275112, secondo la quale (pag. 18 della motivazione) l'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., "si limita a stabilire la modalità con la quale il giudice di appello può giungere ad una diversa valutazione della prova dichiarativa dalla quale consegua la riforma dell'assoluzione di primo grado: per il nuovo comma 3 bis, ciò che è essenziale è che il giudice d'appello, ove ritenga di dare una lettura diversa della suddetta prova, abbia l'obbligo (non più la facoltà) di rinnovare l'istruttoria perché solo tale metodo è stato ritenuto idoneo a dissipare i dubbi e le incertezze insorti sulla colpevolezza dell'imputato: libero, poi, il giudice di appello, una volta rinnovata l'istruttoria, anche di andare in contrario avviso del giudice di primo grado e, quindi, di condannare l'imputato, fornendo una motivazione (rafforzata) che, ove sia congrua e coerente con la prova espletata, resta incensurabile in sede di legittimità".

Si è chiarito a tal fine (pag. 19 della motivazione) che la prova della quale la norma in esame impone la rinnovazione, "deve avere le seguenti caratteristiche: a) può avere ad oggetto sia dichiarazioni percettive che valutative, perché la norma non consente interpretazioni restrittive di alcun genere; b) deve essere espletata a mezzo del linguaggio orale (testimonianza; esame delle parti; confronti; ricognizioni), perché questo è l'unico mezzo che garantisce ed attua i principi di oralità ed immediatezza: di conseguenza, in essa non possono essere ricompresi quei mezzi di prova che si limitano a veicolare l'informazione nel processo attraverso scritti o altri documenti (art. 234 c.p.p.); c) deve essere decisiva, essendo stata posta dal giudice di primo grado a fondamento dell'assoluzione;... d) di essa il giudice di appello deve dare una diversa valutazione".

Quanto al concetto di decisività, la sentenza in esame ha richiamato i principi già espressi dalle Sezioni Unite con la citata sentenza n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, (Rv. 267491) secondo la quale (pagg. 16 e ss.): "ai fini della valutazione del giudice di appello investito di una impugnazione del pubblico ministero avverso una sentenza di assoluzione, devono ritenersi prove dichiarative "decisive" quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato o anche soltanto contribuito a determinare un esito liberatorio, e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso del materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee a incidere sull'esito del giudizio di appello, nell'alternativa "proscioglimento-condanna"". La sentenza in esame ha ritenuto, ugualmente "decisive" le prove dichiarative che, "ritenute di scarso o nullo valore probatorio dal primo giudice, siano, nella prospettiva dell'appellante, rilevanti, da sole o insieme ad altri elementi di prova, ai fini dell'esito di condanna". Non ha ritenuto "decisivo", però, "un apporto dichiarativo il cui valore probatorio, che in sé considerato non possa formare oggetto di diversificate valutazioni tra primo e secondo grado, si combini con fonti di prova di diversa natura non adeguatamente valorizzate o erroneamente considerate o addirittura pretermesse dal primo giudice, ricevendo soltanto da queste, nella valutazione del giudice di appello, un significato risolutivo ai fini dell'affermazione della responsabilità".

4. Applicando i principi così illustrati al caso oggetto del presente ricorso si deve subito osservare che le circostanze in cui si verificò l'infortunio non sono controverse, sono state descritte nello stesso modo dalla sentenza di primo grado e da quella di secondo grado e non sono state contestate dal ricorrente.

Deve pertanto ritenersi accertato: che B.B. si sia infortunata mentre percorreva un tunnel della larghezza di cinque metri che collega il piazzale esterno dell'ipermercato al magazzino; che la B.B. fosse a piedi, stesse spingendo a mano un carrello e procedesse sulla sinistra, avendo affiancato una collega che camminava nella sua stessa direzione; che un muletto elettrico, condotto da C.C., sia sopraggiunto dalla direzione opposta e le forche di quel muletto abbiano urtato il carrello spinto dalla B.B.; che, per effetto di quest'urto, la lavoratrice abbia riportato lesioni gravi.

Neppure è controverso che all'interno del tunnel non fosse stata predisposta una segnaletica orizzontale atta a separare la zona destinata al transito dei pedoni da quella destinata al transito dei muletti elettrici e il ricorso non contesta il dato, riportato dalla sentenza di appello (pag. 5), secondo il quale all'esterno del tunnel non era presente neppure una segnaletica verticale che, "in qualche modo, indicasse al pedone o al lavoratore che conduceva il muletto il lato da tenere all'interno del tunnel".

Le differenti conclusioni cui i giudici di merito sono giunti, dunque, non sono state determinate da una diversa valutazione di prove dichiarative, ma da differenti valutazioni in diritto quanto al significato da attribuire alle disposizioni dell'allegato IV al D.Lgs. n. 81/08 richiamate dagli art. 63 e 64 del decreto medesimo. Nel caso in esame, pertanto, la rinnovazione istruttoria non era necessaria e la violazione dell'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. dedotta dalla difesa non può ritenersi sussistente.

5. Nell'esaminare il secondo motivo di ricorso si deve premettere che non ha alcun pregio giuridico l'affermazione, contenuta nella sentenza di primo grado, secondo la quale, per riempire di contenuto le regole cautelari previste dall'allegato IV al D.Lgs. n. 81/2008 in materia di "vie di circolazione, zone di pericolo, pavimenti e passaggi", si potrebbe far riferimento a valutazioni generali ed astratte prescindendo dalle circostanze del caso concreto e individuando la condotta doverosa, invece che sulla base del principio di precauzione, sulla base del principio della minor cautela possibile, certamente più favorevole all'imputato in una situazione di dubbio.

Come questa Corte di legittimità ha già avuto modo di chiarire: l'eventuale natura elastica della regola cautelare violata fa sì che essa debba essere ricostruita "ex ante" in relazione alle caratteristiche e peculiarità della attività svolta dal garante (fra le tante: Sez. 4, n. 57361 del 29/11/2018, Petti, Rv. 274949; Sez. 4, n. 22214 del 12/04/2019, Scidone, Rv. 276685; Sez. 4, n. 8609 del 28/10/2021, dep. 2022, Contin, Rv. 282764); comporta, dunque, che possa essere individuato come doveroso un comportamento determinabile in base a circostanze contingenti e fa sì che l'esigibilità della condotta doverosa omessa debba essere verificata valutando la concreta prevedibilità ed evitabilità dell'esito antigiuridico da parte dall'agente e la possibilità che egli aveva di riconoscere tali circostanze contingenti (per tutte: Sez. 4, n. 37606 del 06/07/2007, Rinaldi, Rv. 237050; Sez. 4, n. 26239 del 19/03/2013, Gharby, Rv. 255695; Sez. 4, n. 15258 del 11/02/2020, Agnello, Rv. 279242).

Ponendosi in questa prospettiva (che è la sola ermeneuticamente corretta), per valutare se la larghezza del tunnel fosse adeguata a fini di sicurezza sarebbe stato necessario conoscere quale fosse la larghezza dei muletti elevatori e degli altri mezzi meccanici che vi transitavano e quale fosse la larghezza dei carrelli che i lavoratori spingevano a mano (come in concreto la B.B. stava facendo quando si verificò l'infortunio). Ne consegue che il ragionamento compiuto dal giudice di primo grado è errato in diritto perché ricostruisce il contenuto di regole cautelari elastiche, invece che sulla base delle circostanze del caso concreto, sulla base di una valutazione generale e astratta. Si rammenta in proposito che, secondo il Tribunale, la circolazione promiscua di mezzi meccanici e di pedoni incaricati di spingere carrelli all'interno di un tunnel della larghezza di 5 metri sarebbe adeguata a fini di sicurezza solo perché "linee guida" elaborate dagli operatori della prevenzione della Asl di Roma hanno indicato in m. 4,60 la larghezza minima che dovrebbe avere, in linea di principio, una via di circolazione destinata al passaggio promiscuo di uomini e mezzi; ma dalla sentenza di primo grado non emerge: in quale ambito lavorativo tali linee guida siano state elaborate; se la larghezza indicata sia stata ritenuta idonea alla contestuale presenza di mezzi e di pedoni transitanti nello stesso senso o in sensi di marcia opposti; a quali tipi di mezzi si sia fatto riferimento per compiere tale valutazione.

Questa doverosa premessa rende evidente che il secondo motivo è infondato quando sostiene che, per adempiere all'obbligo di motivazione rafforzata che le era imposto dall'aver pronunciato una condanna in riforma di una sentenza assolutoria, la Corte di appello avrebbe dovuto confutare la tesi sostenuta dal Giudice di primo grado secondo la quale tra l'opinione tecnica sostenuta nelle linee guida degli operatori della prevenzione di Roma e quella degli operatori della prevenzione di Aosta, la prima doveva essere privilegiata in quanto più favorevole all'imputato.

6. Come si è detto, nel secondo motivo di ricorso la difesa sostiene che la sentenza impugnata non avrebbe spiegato perché la larghezza del tunnel non escludeva la necessità di segnaletica orizzontale e verticale e perché la cautela rappresentata dal far viaggiare i carrelli a passo d'uomo non fosse sufficiente ad evitare l'evento.

A questo proposito si deve osservare che, nella prospettazione della sentenza impugnata, l'infortunio non fu determinato dal fatto che il conducente del muletto elettrico non procedeva a passo d'uomo, bensì dal fatto che il tunnel era a doppio senso di marcia, al suo interno non v'era segnaletica orizzontale che dividesse le "corsie" destinate alle due diverse direzioni e neppure era presente una segnaletica verticale che, "in qualche modo, indicasse al pedone o al lavoratore che conduceva il muletto il lato da tenere". La sentenza non contesta che al carrellista fosse stato imposto l'obbligo di procedere a passo d'uomo. Osserva, tuttavia, che la predisposizione di una apposita segnaletica avrebbe "obbligato la lavoratrice a percorrere una parte del tunnel, mentre l'altra parte sarebbe stata percorsa dal mezzo meccanico e il rischio di collisione sarebbe stato... neutralizzato" (pag. 5 della motivazione). Sottolinea, inoltre: che l'infortunata e il carrellista stavano svolgendo "una attività ordinaria" nell'ambito delle mansioni loro attribuite; che la presenza promiscua all'interno del tunnel di persone e veicoli con opposte direzioni di marcia rendeva concretamente prevedibile ed evitabile l'evento; che il rischio concretizzatosi non fu eccentrico ed esorbitante rispetto alla sfera di rischio che A.A. era chiamato a governare.

La Corte di appello ha ritenuto, dunque - e la motivazione non presenta profili di contraddittorietà o manifesta illogicità - che la cautela adottata, consistente nell'imporre ai conducenti di mezzi meccanici di procedere a passo d'uomo, non fosse da sola sufficiente ad evitare l'evento che in concreto si verificò.

La motivazione è conforme ai principi di diritto che regolano la materia. A questo proposito è sufficiente ricordare: che il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati ai lavoratori non si configura come "eccentrico" quando non siano state adottate le doverose cautele volte a governarlo (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242; Sez. 4, n. 7364 del 14/01/2014, Scarselli, Rv. 259321) e che, nel caso di specie, il pericolo di investimento dei pedoni da parte dei carrelli elevatori era stato riconosciuto esistente nel Documento di Valutazione del Rischio predisposto da A.A. nella qualità di datore di lavoro: si trattava dunque di un rischio prevedibile (e concretamente previsto) per ridurre o eliminare il quale non era sufficiente che i conducenti dei mezzi meccanici procedessero nel tunnel a passo d'uomo. Anche il giudizio controfattuale è stato compiuto con motivazione congrua, sottolineando che l'incidente non si sarebbe verificato se fossero state delimitate le opposte corsie di marcia e fosse stato prescritto a mezzi meccanici e pedoni di mantenersi per tutto il percorso lungo una delle pareti del tunnel.

Non rileva in contrario che la violazione dell'art. 28 D.Lgs. n. 81/08 sia stata esclusa e la valutazione del rischio di investimento contenuta nel DVR sia stata ritenuta adeguata. Il Pubblico Ministero, infatti, non ha impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha escluso questa violazione, sicché sul punto la Corte di appello non era stata neppure chiamata a pronunciarsi.

7. Col terzo motivo la difesa si duole che non sia stato concesso all'imputato il beneficio della non menzione della condanna. Il difensore osserva che la Corte di appello ha ritenuto di non sospendere condizionalmente la pena inflitta all'imputato perché si tratta di una pena pecuniaria di importo modesto, ma non ha spiegato per quali ragioni non potesse essere applicato il beneficio di cui all'art. 157 cod. pen.

Come noto, ai sensi dell'art. 597, comma 5, cod. proc. pen. la non menzione della condanna può essere concessa dalla Corte di appello anche d'ufficio, ma la giurisprudenza è costante nel ritenere che, in assenza di richiesta, il giudice di secondo grado non sia tenuto a motivare il mancato esercizio del potere discrezionale che la legge gli attribuisce (Sez. U. n. 10495 del 09/10/1996, Nastasi, Rv. 206175; nello stesso senso, con riferimento all'applicazione della sospensione condizionale, Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, dep. 2019, Salerno, Rv. 275376). Si è osservato in proposito che "il potere del giudice di appello di applicare, anche d'ufficio, la sospensione condizionale della pena, il beneficio della non menzione della condanna e una o più circostanze attenuanti è un potere eccezionale e discrezionale sicché l'omessa motivazione su questi punti è sindacabile in Cassazione solo nel caso in cui la parte interessata abbia sollecitato l'esercizio di tale potere quanto meno nel corso della discussione del giudizio di appello (Sez. 3, n. 21273 del 18/03/2003, Gueli, Rv. 224850; Sez. 6, n. 30201 del 27/06/2011, Ferrante, Rv. 256560). Tali principi devono essere applicati nel caso di specie, ancorché l'appello fosse stato proposto dal Pubblico ministero, perché la richiesta di applicazione del beneficio non risulta essere mai stata formulata dal difensore dell'imputato in sede di precisazione delle conclusioni, né in primo né in secondo grado.

8. Per quanto esposto il ricorso è infondato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2024.