Cassazione Penale, Sez. 4, 13 dicembre 2024, n. 45828 - Uso del cassone del camion come ricovero e mancata valutazione dei rischi. La mera designazione del RSPP non costituisce una delega di funzioni e non solleva il datore di lavoro da responsabilità
- Datore di Lavoro
- Lavoratore e Comportamento Abnorme
- Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione
- Valutazione dei Rischi
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta da:
Dott. BELLINI Ugo - Presidente
Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere
Dott. RICCI Anna Luisa Angela - Relatore
Dott. CIRESE Marina - Consigliere
Dott. GIORDANO Bruno - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A. nato a R il (Omissis)
avverso la sentenza del 08/02/2024 della CORTE APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANNA LUISA ANGELA RICCI;
udito il PG, in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCA COSTANTINI che ha chiesto il rigetto del ricorso
udito il difensore Avvocato TOFFANIN GIOVANNI DANIELE, difensore di A.A., il quale ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
Fatto
1. La Corte d'Appello di Venezia, in data 28 febbraio 2024, ha confermato la sentenza di condanna del Tribunale di Rovigo di A.A., in qualità di legale rappresentante della "Società Agricola Moceniga Pesca S.S di A.A. E C" e perciò datore di lavoro, in ordine al reato di cui all'art. 590 cod. pen. in danno del lavoratore dipendente B.B. commesso in R il (Omissis).
Il processo ha ad oggetto un infortunio sul lavoro, descritto dalle conformi sentenze di merito nel modo seguente. Alla data su indicata, B.B., autista con contratto a termine presso l'azienda dell'imputata, avente ad oggetto la lavorazione del pesce, stava aiutando i magazzinieri nell'imballaggio e confezionamento del pesce, quando il magazziniere C.C. gli aveva chiesto di andare a prendere del cellophane da un cassone-rimorchio di un camion, che si trovava nell'area esterna della ditta e che era stato riadattato a ricovero di fortuna e provvisorio di materiali, tra cui appunto i bancali di cellophane; egli era, così, salito nel cassone e aveva prelevato il materiale, ma, a causa dell'oscurità, del fatto che il materiale era stivato troppo a ridosso dell'apertura e della superficie scivolosa, aveva perso l'equilibrio ed era caduto, procurandosi fratture al braccio e al bacino, che avevano determinato una incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore a quaranta giorni.
L'infortunio non era stato denunciato e, solo a seguito della comunicazione dell'Inail, lo Spisal ne era venuto a conoscenza, sicché il sopralluogo era stato effettuato diversi mesi dopo, ovvero il (Omissis), occasione in cui il cassone era risultato essere utilizzato ancora come ricovero di fortuna; nello stesso giorno dell'ispezione da parte dello Spisal, A.A. aveva inviato a tutto il personale una lettera con cui comunicava che "a partire da tale data tutti i prelievi di materiale dal veicolo in oggetto adibito a deposito temporaneo sono vietati".
L'addebito di colpa nei confronti dell'imputata è stato individuato nella negligenza, imprudenza e imperizia e nella violazione dell'art. 17 comma 1 lett. a) D.Lgs. 09 aprile 2008 n.81 per avere omesso di valutare i rischi relativi al deposito temporaneo e non avere inserito nel documento di valutazione dei rischi una relazione specifica sulle misure di prevenzione e protezione da adottare per la sicurezza sul lavoro
2. L'imputata ha proposto ricorso, a mezzo di difensore, formulando due motivi.
2.1. Con il primo motivo, ha dedotto la violazione di legge in ordine alla valutazione delle dichiarazioni dei testimoni e alla affermazione della penale responsabilità dell'imputata.
Il difensore rileva che i giudici di merito avevano fondato l'affermazione della responsabilità dell'imputata sulla testimonianza della persona, senza tenere conto delle contraddizioni emerse fra le dichiarazioni rese in indagini (quando aveva riferito della presenza sul camion di una scaletta con tre pioli e di un'asta centrale) e quelle rese a dibattimento (quando invece aveva riferito che l'asta centrale non era presente e che nella scaletta mancava il terzo piolo). Osserva a tale fine che, se pure è vero che B.B. non si era costituito parte civile, è altrettanto vero che sulla base della sentenza di condanna del Tribunale aveva attivato azione civile ottenendo un ulteriore risarcimento oltre a quello già percepito dall'Inail e che la stessa Corte di Appello aveva evidenziato come lo stesso avesse manifestato nel corso del processo ostilità verso l'imputata.
Al motivo di appello con si erano messe in evidenza le differenti versioni, la Corte aveva replicato che:
- l'asta verticale a cui aggrapparsi, di cui B.B. aveva riferito in indagini, era il maniglione laterale e non l'asta centrale;
- nelle foto in atti l'ultimo dei pioli era elemento estraneo alla struttura originaria ed era stato aggiunto in un secondo tempo.
In tal modo, tuttavia, la Corte non aveva tenuto conto della testimonianza del teste D.D. (dipendente con mansioni di autista), il quale aveva espressamente fatto riferimento alla presenza sul camion della maniglia e della scaletta con tre gradini e della testimonianza del teste E.E. (Ispettore del lavoro), il quale pure aveva riferito della presenza dell'asta metallica, che serviva per aiutarsi a salire e scendere dal cassone di fronte ai tre gradini della scaletta.
La persona offesa, inoltre, aveva dichiarato di aver partecipato solo a corsi di formazione di tipo generico e che qualche volta, pur non rientrando nelle sue mansioni, era andato egli stesso a prelevare materiale nel cassone adibito a ricovero. Anche tali dichiarazioni non erano attendibili, in quanto smentite dal tecnico Spisal E.E., il quale aveva acquisito gli attestati di formazione e aveva precisato che tra le attività demandate all'autista non vi era quella di prelevare materiale dal magazzino, e dal teste F.F. (Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione), il quale, pure, aveva precisato che la persona offesa aveva frequentato i corsi obbligatori per legge in materia di sicurezza.
In sostanza i giudici di merito avrebbero, secondo il ricorrente, fondato la pronuncia di condanna sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, senza operare la necessaria verifica della sua credibilità soggettiva e della sua attendibilità.
2.2. Con il secondo motivo ha dedotto la violazione di legge in ordine alla affermazione della responsabilità penale dell'imputata.
Il difensore rileva che:
- nessuna specifica indicazione era stata data a B.B. di prelevare il rotolo di nylon dal cassone del camion e non già dal magazzino illuminato, presente a due metri dal luogo di lavorazione, sicché doveva ritenersi che egli avesse operato autonomamente e nella discesa aveva messo male il piede cadendo;
- il mezzo non era stato inserito nel DVR, in quanto non accessibile e interdetto all'uso dei dipendenti.
In ragione di tali circostanze, la Corte avrebbe dovuto ritenere il comportamento della persona offesa abnorme e perciò tale da escludere il nesso di causalità fra la condotta del datore di lavoro e l'evento. Peraltro la stessa dinamica dell'infortunio, verificatosi perché B.B. aveva "messo male un piede", valeva a dimostrare che lo stesso non era stato determinato dall'inosservanza delle norme sulla sicurezza da parte dell'Azienda, ma solo da un fatto accidentale, originato dalla scelta del dipendente di recarsi nel cassone del camion e non già nel magazzino adiacente.
Il difensore ricorda, inoltre, che A.A. aveva delegato all'Ing. F.F. (RSPP) la redazione del Documento di valutazione del rischio e tutti i compiti relativi alla sicurezza e aveva dato disposizioni affinché fosse interdetto l'accesso al camion in questione. Era, dunque, l'RSPP a doversi occupare di tutti gli aspetti relativi alla sicurezza e a dover rispondere a titolo di colpa degli eventi derivati dai suoi suggerimento sbagliati o dalla mancata segnalazione di situazioni di rischio.
3. Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto Francesca Costantini, ha formulato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
4. Il difensore dell'imputata, in data 26 novembre 2024, ha depositato una memoria con cui, nel ribadire la inattendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, ha insistito per l'annullamento della sentenza impugnata.
Diritto
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2. Il primo motivo, con cui si contesta la valutazione di attendibilità della testimonianza della persona offesa da parte della Corte, è inammissibile in quanto meramente reiterativo della censura già formulata con l'atto di appello, in assenza di confronto con la sentenza impugnata, e comunque manifestamente infondato.
In primo luogo si deve sottolineare che, come osservato dalla stessa Corte di Appello, le divergenze segnalate dal ricorrente fra le versioni rese da B.B. sono inerenti ad aspetti che non rilevano rispetto all'addebito di colpa mosso all'imputata, e cioè nell'avere consentito l'utilizzo del cassone quale ricovero di fortuna e nel non avere valutato i rischi conseguenti a tale utilizzo nel relativo documento di valutazione. Prima ancora che la mancanza della barra centrale e la non completa funzionalità della scala a pioli attraverso cui si accedeva al camion, alla datrice di lavoro i giudici di merito hanno imputato di non aver considerato tutte le fonti di rischio collegate al processo di lavorazione, ivi compresa quella relativa all'utilizzo quale deposito del cassone del camion, e di non aver di conseguenza apprestato tutte le misure necessarie. Sotto tale profilo, dunque, quel che rileva è che la persona offesa sia scivolata e caduta mentre si trovava all'interno del cassone e tale circostanza non è contestata neppure dal ricorrente, sicché il motivo, nel censurare la valutazione di credibilità della persona offesa, non coglie nel segno, in quanto non si confronta con le ragioni poste dai giudici di merito a fondamento della affermazione della responsabilità della imputata.
In ogni caso, non può che rilevarsi che la Corte si è soffermata in maniera adeguata e puntuale sulle rilevate contraddizioni nelle due deposizioni rese da B.B. a proposito della esistenza o meno della asta centrale sul camion e della presenza o meno dei tre pioli nella scaletta per salire sul camion. I Giudici, in coerenza con quanto già osservato in primo grado, a proposito dell'asta, hanno rilevato che:
- era stato lo stesso B.B. a spiegare a dibattimento che l'asta di cui aveva parlato in indagini era il maniglione laterale e hanno puntualizzato come effettivamente in tale occasione la persona offesa avesse fatto riferimento alla barra posta sul bordo del cassone;
- dalle foto in atti si poteva chiaramente apprezzare che l'ultimo dei pioli era stato aggiunto e non faceva parte della struttura originaria.
La Corte si è fatta carico anche dell'obiezione per cui le dichiarazioni di B.B. sarebbero state smentite dal complesso dell'istruttoria e ha replicato che la deposizione del teste D.D., ancora dipendente della società, era stata improntata in toto alla difesa della sua datrice di lavoro e comunque era consistita in affermazioni generali, non fondate su quanto direttamente osservato; che il teste E.E. aveva avuto diretta percezione dei luoghi solo molti mesi dopo l'infortunio; che, a proposito della formazione ricevuta, le dichiarazioni della vittima non erano state smentite, posto che gli attestati prodotti riguardavano solo la formazione come autista.
Il motivo, quindi, oltre a riproporre gli stessi argomenti già dedotti in appello e a rimarcare gli stessi profili, è, come detto, soprattutto eccentrico, rispetto al fondamento della affermazione della responsabilità della ricorrente, da rinvenirsi nella mancata valutazione del rischio conseguente all'utilizzo, non smentito, né contestato dal ricorrente, del ricovero provvisorio.
3. Il secondo motivo, con cui si censura l'affermazione della responsabilità dell'imputata, è manifestamente infondato.
La censura pare incentrata su due diversi profili, ovvero quello relativo alla delega operata dalla A.A. all'Ing. G.G., RSPP, in materia di sicurezza sul lavoro, e quello relativo alla abnormità del comportamento del lavoratore.
3.1 Quanto al primo profilo, il ricorrente invoca l'esistenza di una delega di cui non vi è traccia in atti.
La Corte di Appello, in ogni caso, ha spiegato che è compito del datore di lavoro la redazione e l'aggiornamento del documento di valutazione dei rischi previsti dall'articolo 28 del D.Lgs. n. 81/2008, all'interno del quale deve indicare in modo specifico i fattori di pericolo presenti all'interno dell'azienda in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro, le misure precauzionali e i dispositivi adottati per tutelare la salute e la sicurezza, e che il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione del documento non esonera il datore di lavoro dall'obbligo di verificarne l'adeguatezza e l'efficacia e di informare i lavoratori dei rischi connessi alle lavorazioni in esecuzione e di fornire loro formazione adeguata e sufficiente.
Si tratta di iter argomentativo che necessita di una precisazione, peraltro con riflessi ancora più significativi in ordine alla responsabilità dell'imputata. Si deve, infatti, ricordare che la valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori presenti nell'ambito della struttura aziendale, finalizzata alla individuazione degli strumenti cautelari atti a governarli e la redazione del relativo documento è compito di esclusiva pertinenza del datore di lavoro, non delegabile ai sensi dell'art. 17, comma 2, D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81. Lo stesso D.Lgs. 81/2008 all'art. 29, prevede che alla redazione del documento di valutazione dei rischi collaborino alcune figure dotate di specifiche competenze tecnico scientifiche, ovvero il Responsabile del Servizio Protezione e Prevenzione (e il medico competente) che sono tenuti a conferire al datore di lavoro le informazioni e le indicazioni appropriate, quanto all'analisi e alla gestione del rischio. Il garante, da parte sua, è tenuto a fornire a tali collaboratori informazioni inerenti alla gestione dell'impresa, per ciò che attiene alla natura del rischio, alla organizzazione del lavoro, alle misure di prevenzione e protezione ai sensi dell'art. 18 comma 2.
A fronte di tale quadro normativo, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la mera designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non costituisce una delega di funzioni e non è, dunque, sufficiente a sollevare il datore di lavoro e i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (cfr. sez. 4 n. 24958 del 26/4/2017, Rescio, Rv. 270286; sez. 4 n. 11708 del 21/12/2018, dep. 2019, David Marco, Rv. 275279; n. 40718 del 26/4/2017, Raimondo, Rv. 270765; n. 49821 del 23/11/2012, Lovison, Rv. 254094, in cui si è sottolineato il ruolo non operativo del RSPP). Con riferimento agli infortuni che siano da ricollegare alla mancata valutazione del rischio ovvero alla mancata adozione delle misure previste nel documento, la responsabilità deve, dunque, essere configurata in capo al datore di lavoro. Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione può essere ritenuto responsabile, in concorso con il datore di lavoro, del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione faccia seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle iniziative idonee a neutralizzare tale situazione. (Sez. 4 n. 24822 del 10/03/2021, Solari, Rv. 281433).
Di contro, il ricorrente, nell'invocare, peraltro in maniera del tutto generica e assertiva, la responsabilità dell'ing G.G., in luogo di quella del datore di lavoro, deduce, pertanto, un motivo inammissibile, in palese contrasto con il dettato normativo sopra richiamato.
3.2 Quanto al secondo profilo la Corte di appello, conformemente al consolidato orientamento della Corte di legittimità in materia, ha spiegato che la condotta di B.B. non poteva essere considerata abnorme in quanto, a prescindere dalla esistenza di una netta separazione di funzioni tra autisti e magazzinieri, egli aveva agito nell'esercizio di attività lavorativa. Si deve ribadire che a seguito dell'introduzione del D.Lgs. 626/94 e, poi, del T.U. 81/2008 si è passati dal principio "dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore" al concetto di "area di rischio" (sez. 4, n. 21587 del 23.3.2007, Pelosi, Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva, ma resta in ogni caso fermo il principio secondo cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (sez. 4 n. 21587 del 2007, Pelosi, cit.). All'interno dell'area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (sez. 4 n. 15124 del 13712/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, PMT c/ Musso Paolo, rv. 275017), oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (sez. 4 n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222).
Nel caso in esame i giudici hanno sottolineato, in coerenza con le risultanze dell'istruttoria, come pacificamente il rimorchio del camion fosse utilizzato dai dipendenti della Azienda, fossero essi autisti o magazzinieri, tanto che il divieto di utilizzo era stato impartito dalla ricorrente solo mesi dopo, con quella nota diramata lo stesso giorno del sopralluogo da parte dello Spisal in azienda, e in coerenza con tale assunto hanno ragionevolmente escluso qualsiasi profilo di abnormità nella condotta del lavoratore infortunato.
4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere di versare la somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2024.