Confartigianato
Imprese
Senato della Repubblica
XIX Legislatura
Commissioni riunite
2a (Giustizia)
e
10a (Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale)
Documento di osservazioni e proposte
Molestie nei luoghi di lavoro
(A.S. 89, A.S. 257, A.S. 671 e A.S. 813)
11 dicembre 2024
Il tema della tutela della persona contro le molestie sessuali nei luoghi di lavoro, oggetto dei quattro disegni di legge in discussione al Senato (S. 89, S. 257, S. 671 e S. 813), è da molti anni presidiato dalle parti sociali dell’artigianato e delle piccole imprese.
L’impresa è un luogo di crescita e realizzazione personale, dove le persone mettono a frutto le proprie competenze e contribuiscono allo sviluppo economico del Paese. Confartigianato si impegna da sempre a promuovere politiche che favoriscono la parità di genere nel mondo del lavoro e l’imprenditorialità femminile, contro ogni forma di discriminazione e violenza. È, pertanto, opportuno ribadire l’impegno a favore dell’emancipazione anche attraverso il lavoro quale strumento fondamentale per raggiungere l’indipendenza economica, esprimere il proprio talento e combattere ogni forma di violenza di genere.
Prima di entrare nel dettaglio dei contenuti dei disegni di legge all’attenzione delle Commissioni, si evidenziano alcuni aspetti preliminari.
Lo Statuto dei lavoratori e poi la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7-8 dicembre 2000 (c.d. Carta di Nizza) hanno disegnato la cornice di regole nell’ambito della quale la contrattazione collettiva si è mossa per creare i necessari strumenti giuridici a tutela delle donne, così come degli uomini, che subiscono violenze sessuali e di ogni altro tipo sui luoghi di lavoro a opera di colleghi, datori di lavoro o soggetti interposti. Inoltre, nel comparto di rappresentanza di Confartigianato, mediante il riconoscimento della rappresentanza per la sicurezza dei lavoratori a livello territoriale anche nelle piccole imprese che occupano fino a 15 dipendenti si è, di fatto, dato corpo alla disciplina di cui all’articolo 9 dello Statuto dei lavoratori che regolamenta la “tutela della salute e dell’integrità fisica”. Un modello di rappresentanza sindacale di fonte negoziale, che si sviluppa nell’ambito del consolidato e ramificato sistema della Bilateralità artigiana, regolato da accordi interconfederali sottoscritti a partire dal 1988 da Confartigianato, Cna, Casartigiani, Claai e da Cgil, Cisl, Uil.
Le sedi di confronto negoziali, come gli enti bilaterali e le Commissioni paritetiche previste dalla contrattazione collettiva di settore, affrontano puntualmente la materia delle violenze e altre delicate tematiche che le parti sociali, sia a livello nazionale sia territoriale, presidiano al fine di promuovere comportamenti che siano coerenti con gli obiettivi di tutela della dignità delle donne e degli uomini nell’ambiente di lavoro: si tratta di tematiche quali le pari opportunità, il mobbing, le molestie sessuali, la conciliazione dei tempi vita-lavoro.
Il confronto negoziale ha quindi portato i nostri contratti collettivi a concordare sull’esigenza di favorire la ricerca di un clima di lavoro improntato al rispetto e alla reciproca correttezza, ritenendo inaccettabile qualsiasi comportamento lesivo della dignità personale e a inserire, di conseguenza, norme dirette a contrastare il fenomeno delle molestie sessuali chiamando il datore di lavoro a porre in essere tutte le misure per prevenire il verificarsi di comportamenti configurabili come molestie e a promuovere e diffondere la cultura del rispetto della persona. Si pensi, ad esempio, a tutte quelle previsioni della recente contrattazione collettiva nazionale dell’artigianato altresì finalizzate all’attuazione di iniziative di natura formativa e informativa, per sensibilizzare lavoratori e datori di lavoro sul tema delle violenze e delle molestie sessuali, nonché alle disposizioni contrattuali che prevedono misure integrative e migliorative delle vigenti norme di legge (es. in materia di congedi per le donne vittime di violenza di genere).
In tale contesto, alle Commissioni paritetiche è riconosciuto, invece, il compito non solo di indagare il fenomeno ma anche di collaborare con le aziende al fine di attuare percorsi per prevenirlo, individuarlo e gestirlo.
Un altro tassello fondamentale è stato inserito con l’Accordo quadro del dialogo sociale europeo sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro, definito da BusinessEurope, CEEP, UEAPME e ETUC il 26 aprile del 2007.
L’Accordo europeo definisce specificamente le forme di molestia e di violenza nei luoghi di lavoro, e fornisce ai datori di lavoro, alle lavoratrici e ai lavoratori e ai loro rappresentanti un quadro di azioni per individuare, prevenire e gestire i problemi derivanti da tali atti e comportamenti.
Si tratta di una cornice di regole che riteniamo fondamentale, da un lato per gli obiettivi che persegue, quali diffondere una maggiore consapevolezza di quali sono i comportamenti inaccettabili nonché offrire maggiore chiarezza in ordine all’identificazione delle diverse forme di violenza, e dall’altro, perché valorizza il ruolo della contrattazione collettiva anche in un ambito delicato come quello in cui normali relazioni di lavoro incrociano intollerabili fenomeni di violenza e sopraffazione. Sulla scia di tale Accordo sono poi state numerose le intese stipulate a livello territoriale a dimostrazione dell’impegno del mondo imprenditoriale nel contrasto a ogni forma di molestia e violenza sul luogo di lavoro. Tali intese hanno sancito, in particolare, come dipendenti e datori di lavoro abbiano il dovere di collaborare per mantenere un ambiente di lavoro in cui si rispetti la dignità di ognuno e si favoriscano relazioni basate su uguaglianza e correttezza reciproche. Si tratta, infatti, di elementi essenziali delle organizzazioni virtuose e di successo, che tali intese intendono sostenere in modo adeguato, con buone prassi, informazione e formazione.
Il ruolo primario delle parti sociali e della contrattazione collettiva si inserisce, peraltro, in un contesto normativo che appare adeguato nel prevenire e contrastare il fenomeno delle molestie sul luogo di lavoro e che contiene norme volte a tutelare le vittime contro eventuali forme di ritorsione. Il codice delle pari opportunità (d.lgs. n. 198/2006) da un lato definisce in maniera adeguata la nozione di molestia sessuale, definizione peraltro già recepita anche dai nostri contratti collettivi, e dall’altro, a seguito della modifica operata dalla legge n. 205/2017, appronta una tutela rafforzata nel caso in cui la lavoratrice o il lavoratore agiscano in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni per molestia o molestia sessuale, garantendoli da comportamenti ritorsivi determinati dalla denuncia stessa.
Confartigianato, pertanto, pur condividendo la necessità di mantenere costantemente alta la guardia e la conseguente azione di prevenzione e repressione nei confronti del fenomeno delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro, ritiene tuttavia che un eventuale intervento normativo in materia debba necessariamente tenere conto di quanto già sancito dall’attuale quadro legislativo, al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni normative e di ipotesi di reato o procedure più complesse. È inoltre necessario, nel quadro degli accordi collettivi in essere, valorizzare ulteriormente la contrattazione collettiva quale strumento importante per la prevenzione e per attuare nel concreto le modalità più appropriate a rilevare, monitorare e migliorare prassi e condotte.
Per tali ragioni, Confartigianato ritiene che un approccio esclusivamente repressivo nei confronti delle molestie sul luogo di lavoro, anche attraverso l’introduzione di nuove fattispecie penali che si sovrappongono a quelle già esistenti, non sia condivisibile né sufficiente a contrastare il fenomeno. Il rischio sarebbe, infatti, quello di dilatare oltre misura la responsabilità del datore di lavoro rispetto a comportamenti che, in quanto riferibili alla sfera personale, non sono di facile identificazione. Si pensi, a titolo esemplificativo, alle previsioni normative dei DDL in commento che pongono in capo al datore di lavoro l’obbligo di accertare l’avvenuta molestia e il conseguente obbligo di denuncia entro quarantotto ore dall’accertamento (art. 2 dell’A.S. 671 in particolare, nonché art. 4 dell’A.S. 257 e art. 3 dell’A.S. 813), senza tuttavia fornire allo stesso strumenti o altri supporti che consentano di riconoscere e gestire situazioni di violenza e molestia. Non è infatti chiaro come il datore di lavoro medesimo – che, nella realtà, ha una capacità investigativa decisamente limitata – possa procedere con certezza alla puntuale verifica dell’avvenimento. Il richiamo all’art. 2087 c.c., esteso anche alle molestie in ambito lavorativo, rischia inoltre di esporre il datore di lavoro a una sorta di responsabilità oggettiva con riferimento a tutti quegli atti che siano considerati in astratto utili a prevenire comportamenti che, tuttavia, possono assumere varie forme, alcune delle quali sono più difficilmente identificabili di altre. In considerazione della validità generale del principio codicistico citato e di quanto già attualmente previsto dall’art. 26 del c.d. “Codice delle pari opportunità”, andrebbe evitata l’introduzione di ulteriori specifiche responsabilità del datore di lavoro.
Con riferimento alle fattispecie penali individuate dai disegni di legge, e vòlte a introdurre uno specifico reato di molestie sessuali in ambito lavorativo, si evidenzia in particolare come le disposizioni previste dai DDL n. 89 e n. 671, si caratterizzino per un campo di applicazione oggettivo eccessivamente ampio: il generico riferimento al rapporto di lavoro, come ambito nel quale può configurarsi il reato, rende applicabile la fattispecie anche a comportamenti che dovessero configurarsi in luoghi diversi dal posto di lavoro (spostamenti per recarsi al lavoro o per il rientro dal lavoro) o comunque a eventi avvenuti in occasione di lavoro (spostamenti o viaggi di lavoro), con possibili chiamate in causa del datore di lavoro per condotte avvenute in luoghi o in circostanze in cui il controllo risulta di fatto impossibile.
Si rileva, inoltre, il campo di applicazione del DDL n. 257, il cui fine è quello di tutelare i lavoratori nell’ambito del rapporto di lavoro e indipendentemente dalla natura dello stesso da eventuali forme di mobbing, prevedendo altresì il coinvolgimento obbligatorio del datore di lavoro – e con ulteriori oneri a suo carico – nella organizzazione di appositi corsi di formazione.
Da ultimo, pur comprendendo la finalità di garantire adeguati interventi di protezione dei lavoratori dai rischi derivanti da eventuali condotte vessatorie e/o molestie sessuali, occorre comunque rappresentare la difficoltà nel dare concreta applicazione a quelle previsioni delle iniziative legislative (es. art. 10 dell’A.S. 813) che impongono, al datore di lavoro, di indicare apposite misure di prevenzione nel documento di valutazione dei rischi (DVR), a fronte di comportamenti altrui imprevedibili, di difficile interpretazione e che rischiano di sfuggire dalla sfera di controllo dei poteri datoriali. Sul punto, sarebbe invece più opportuno favorire, anche attraverso l’eventuale supporto tecnico-scientifico dell’INAIL, l’adozione, da parte delle imprese, di strumenti di c.d. soft law come codici etici/di condotta, buone prassi e linee guida (come già avviene in alcuni comparti dell’artigianato), per la gestione di un fenomeno tanto complesso quanto delicato, come quello delle molestie di genere.
Confartigianato ritiene, quindi, necessari – piuttosto che ulteriori modifiche al codice penale – interventi che, accanto alla piena applicazione delle disposizioni di legge già esistenti per reprimere e punire con fermezza ogni condotta configurabile come molestia sessuale, possano favorire la prevenzione di tali turpi condotte, ponendosi nel solco già tracciato in tal senso dalla contrattazione collettiva, al fine di mettere a disposizione dei datori di lavoro e dei lavoratori misure di orientamento, strumenti di formazione e informazione, di denuncia e altri supporti sui temi della violenza e delle molestie. A tale riguardo, si dovrebbero ulteriormente valorizzare le esperienze già maturate dagli enti assistenziali territoriali. Sono diversi, infatti, i centri antiviolenza che negli anni hanno sviluppato una forte (e fondamentale) expertise anche nella gestione delle molestie attraverso il ricorso a competenze e know how specialistico (medici, psicologi, psicologi del lavoro, pedagogisti, ecc.). Potrebbero pertanto essere incentivati, anche in un’ottica di welfare – con il supporto, altresì, delle organizzazioni di rappresentanza datoriale e sindacale –, partnership e network tra imprese e centri specializzati locali, per la definizione concreta di azioni di prevenzione ed effettivo contrasto delle molestie, a tutela dei lavoratori e delle lavoratrici.
fonte: senato.it
