Avv. Sara Antonia Passante
Relazione sui disegni di legge
La prevenzione e il contrasto alle molestie sul lavoro si inserisce nel più ampio perimetro del superamento delle diseguaglianze. Le molestie e le molestie sessuali nei luoghi di lavoro, infatti, “sono l’effetto della situazione di più generale oppressione sociale delle donne e di debolezza nel mondo del lavoro che risulta particolarmente accentuata dopo la crisi dovuta alla pandemia Covid_19” (si richiama in tal senso la Nota dell’Associazione NOI RETE DONNE in materia di molestie e molestie sessuali sul lavoro del 30.5.2023 link www.noidonne.org).
Le molestie sessuali sono definite nella Direttiva UE (2006/54/CE) come “qualsiasi forma di comportamento indesiderato, verbale, non verbale o fisico, di natura sessuale, avente lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona, in particolare quando crea un ambiente intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo” (articolo 2, paragrafo 1, lettera d). L’art. 2 della Direttiva stabilisce inoltre che “Ai fini della presente direttiva, la discriminazione comprende: a) molestie e molestie sessuali, nonché qualsiasi trattamento meno favorevole subito da una persona per il fatto di avere rifiutato tali comportamenti o di esservisi sottomessa”.
Per effetto dei provvedimenti di trasposizione il Codice di Pari Opportunità prevede, all’art. 26, che le molestie e le molestie sessuali siano “considerate” a stregua di discriminazioni. Il che comporta, anzitutto, la piena applicabilità alle condotte qualificabili come molestie e molestie sessuali del regime probatorio agevolato previsto dall’art. 40 del CPO, che include l’utilizzo dei dati statistici. In particolare, ai fini della prova della discriminazione ex art. 40 del C.P.O, quando la vittima alleghi elementi di fatto caratterizzati da “precisione” e “concordanza” dai quali possa desumersi, anche solo in via presuntiva, che la discriminazione o le molestie abbiano avuto luogo, scatta in capo al datore di lavoro l’onere di dimostrarne l’inesistenza.
L’art. 26 del CPO al c.1 qualifica le molestie come “comportamenti indesiderati per ragioni connesse al sesso che hanno lo scopo o l’effetto di violare la dignità della persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, umiliante, degradante od offensivo”; il c.2 del medesimo articolo qualifica come molestie sessuali quei “comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”
Si tratta di definizioni in cui la intenzionalità da parte dell’autore e la ripetitività della condotta non sono elementi costitutivi della fattispecie; il riferimento ai “comportamenti indesiderati”, basato sulla percezione della persona che li subisce, insieme al richiamo all’effetto “degradante”, pone in rilievo come il comportamento indesiderato abbia un impatto sulla dignità della persona.
Come rilevato in dottrina, le molestie di genere si discostano dalle vessazioni in generale sul lavoro perché non esauriscono i propri effetti nella sfera psico-sociale della persona, inserendosi in un contesto di dinamiche storiche “di potere” che fatica ad essere sradicato ed in cui persistono diseguaglianze nel mondo del lavoro che ancora oggi penalizzano in proporzione del tutto preminente le donne.
A conferma della specificità delle molestie di genere si richiamano, a livello europeo, l’Accordo Europeo del 26 aprile 2007 recepito con l’Accordo Quadro sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro sottoscritto da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil del 25.1.2016 (le cui finalità sono quelle di aumentare la consapevolezza dei datori di lavoro, dei lavoratori e delle lavoratrici, dei rappresentanti sindacali, sulle violenze e molestie sui luoghi di lavoro e di fornire ai datori di lavoro, lavoratori e rappresentanti sindacali in quadro di azioni concrete per individuare, prevenire, gestire le violenze e molestie sui luoghi di lavoro) e, a livello internazionale, la Convenzione OIL 190/2019, ratificata in Italia con la legge n. 4 del 15.1.2021, ove si individuano una serie di misure funzionali sia prevenire che a contrastare le molestie relative al sesso o al genere.
Nella Convenzione OIL 190/2019 il tema della violenza e delle molestie nei luoghi di lavoro è affrontato sotto il profilo del “diritto umano” ed inviolabile di ogni persona di vivere in un ambiente lavorativo libero da discriminazioni, abusi e violenza; viene offerta in particolare una visione globale e “unitaria” della protezione da qualsiasi forma di violenza o molestia, comprese quelle di natura sessuale, psicologica o economica, di tutti i soggetti, in ogni occasione di lavoro o formazione, nonché in generale che venga attuata nei luoghi di lavoro e/o formazione. In tal senso, l’ art. 1 della Convenzione contiene tale definizione di violenza e molestie nel mondo del lavoro: “un insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili, o la minaccia di porli in essere, sia in un’unica occasione, sia ripetutamente, che si prefiggano, causino o possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico”, ricomprendendo la violenza e le molestie relative al sesso o al genere, incluso le molestie sessuali.
La disposizione della Convenzione intreccia vari concetti, accorpa violenza e molestie riconducendole entrambe al genere, senza peraltro definire specificamente le molestie sessuali, che sono peraltro già efficacemente definite dalla Direttiva richiamata, trasposta nel Codice delle Pari Opportunità.
Come osservato in dottrina, se nella definizione di molestia contenuta nella legislazione antidiscriminatoria vi è il chiaro riferimento alla percezione soggettiva dei “comportamenti indesiderati” da parte della vittima, nella definizione ricavabile dalla Convenzione OIL 190/2019 il riferimento è, invece, alla concezione sociale dell’inaccettabilità dei comportamenti “che rimandano alla relatività del contesto ambientale e culturale” (S. Scarponi, Dopo la ratifica della Convenzione OIL n. 190/2019 su violenza e molestie nei luoghi di lavoro: un cantiere normativo ancora aperto, Labour Law Community, 15 marzo 2022).
La nozione ampia ed unitaria di “violenze e molestie” di cui alla Convenzione ricomprende dunque diverse forme di violenza, molestie, persecuzioni lavorative, qualificate nel nostro ordinamento come fattispecie autonome, con distinti elementi costitutivi; coesistono invero fattispecie la cui disciplina si rinviene essenzialmente nel diritto antidiscriminatorio con altre, di derivazione giurisprudenziale il cui fondamento giuridico risiede nella norma generale e di chiusura del sistema di cui all’art. 2087 c.c. ( è, ad esempio, il caso del “mobbing”).
Il nostro panorama normativo risulta dunque piuttosto articolato, oltre che caratterizzato da una sorta di “oscillazione” tra gli strumenti di tutela giuslavoristica e le misure di “repressione” penale. Sotto il profilo penale, in particolare, il nostro ordinamento non prevede per le molestie sessuali in ambito lavorativo una fattispecie incriminatrice specifica, ma ciò nonostante la giurisprudenza ha individuato una tutela penale a fronte di una vasta gamma di comportamenti: la violenza sessuale ex art 609-bis, la molestia o disturbo alle persone ex art.660, gli atti persecutori ex art.612-bis, i maltrattamenti ex art.572.
La Convenzione OIL 190/2019 oltre a definire i “comportamenti”, stabilisce le misure preventive da adottare, tra cui la formazione, la sensibilizzazione, l'adozione di politiche aziendali per garantire ambienti di lavoro sicuri e rispettosi, nonché l’istituzione di procedure di segnalazione per le vittime di molestie o violenze.
Le politiche di prevenzione e contrasto delle molestie vengono collocate in sostanza nel quadro generale di tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, senza “contenerle” nel solo ambito della tutela contro le discriminazioni.
La protezione riguarda i lavoratori/lavoratrici che prestano l’attività lavorativa con forme diverse dal regime “classico” della “subordinazione” e coinvolge ad ampio raggio ogni forma di prestazione di lavoro ed ogni tipologia contrattuale, inclusi i rapporti di tirocinio, i volontari, le persone in cerca di impiego o candidate ad un lavoro, i soggetti estromessi / licenziati; sotto altro profilo, la protezione è estesa verso “gli individui che esercitino autorità, i doveri e le responsabilità” di datore di lavoro, e a tutti i settori, pubblici e privati, all’economia formale e informale, alle aree urbane e rurali (art. 2 Convenzione Ilo 190/2019).
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Poste tali premesse, emerge anche dalle più recenti indagini Istat che violenza e molestie sui luoghi di lavoro vengono agite non solo dal datore di lavoro ma anche da colleghi; la complessità del fenomeno deriva non solo dalla plurioffensività delle condotte (in questo contributo non si affronteranno i delicati profili penalistici), ma anche dalla loro matrice culturale, espressione di certi stereotipi non ancora superati.
Si tratta di condotte che in ambito lavorativo si dispiegano non solo nella tipica relazione di “potere” tra datore di lavoro e dipendente, ma anche nei rapporti di forza che si instaurano tra “sovraordinato” e “sottoposto” , tra tutor e stagista/ apprendista.
Pare necessario richiamare sinteticamente i risultati della indagine sulla sicurezza dei cittadini svolta dall’ ISTAT nell’anno 2022-2023 e presentata nel luglio 2024, che ha riguardato la rilevazione dei dati “di un modulo dedicato alle molestie a sfondo sessuale subite in ambito lavorativo e alle molestie non soltanto sessuali subite al di fuori di questo contesto”, con una specifica attenzione alle molestie sul lavoro e alle molestie facilitate dalla tecnologia”, ove si rileva che : “Sono circa 2 milioni e 322mila le persone tra i 15 e i 70 anni che hanno subito una forma di molestia sul lavoro nel corso della vita, di cui l’81,6% donne (pari a circa 1 milione 895mila, il 13,5% del totale delle donne tra i 15 e i 70 anni). A queste si aggiungono le donne che hanno subito ricatti sessuali sul lavoro, pari a 298mila. Le donne tra i 15 e i 70 anni che hanno subito una qualche forma di molestia o un ricatto per ottenere un lavoro e/o avere un avanzamento di carriera costituiscono circa il 15% del totale delle donne tra i 15 e i 70 anni (circa 2 milioni 68mila donne), mentre gli uomini che hanno subito molestie sessuali nel mondo del lavoro (ad eccezione dei ricatti) sono il 2,4% (circa 427mila). Negli ultimi tre anni precedenti la rilevazione del 2022-2023, il 4,2% delle donne di 15-70 e l’1% degli uomini della stessa età ha subito molestie sul lavoro; negli ultimi dodici mesi i tassi sono pari rispettivamente a 2,1% e 0,5%”.
Ed ancora “Sono vittime di molestie sul lavoro in particolare i giovani (sia donne sia uomini) entrati da poco nel mercato del lavoro: 12% tra i 15- 24enni e 10,8% dei 25-34enni. Le molestie sul lavoro colpiscono prevalentemente le giovani donne, 21,2% nella fascia di età compresa tra i 15 e i 24 anni, contro il 4,8% dei coetanei uomini. Di poco inferiore è l’incidenza percentuale delle donne di età compresa tra i 25 e i 34 anni (18,9%, rispetto al 3,7% degli uomini). Nel corso della vita il 12,1% delle donne e l’1,8% degli uomini subiscono offese attraverso sguardi inappropriati e lascivi che mettono a disagio, la proposta di immagini o foto dal contenuto esplicitamente sessuale che offendono, umiliano o intimidiscono, scherzi osceni di natura sessuale o commenti offensivi sul corpo o sulla vita privata, in altri casi subiscono avances inappropriate, umilianti oppure offensive sui social, o ricevono email o messaggi sessualmente espliciti e inappropriati. Mentre il 5,9% delle donne e l’1% degli uomini ricevono proposte inappropriate di uscire insieme che offendono, umiliano intimidiscono o che si spingono a richieste di qualche attività sessuale, anche attraverso regali indesiderati di natura sessuale. Una percentuale pari al 2,6% delle donne e allo 0,2% degli uomini sono invece vittime di molestie di natura fisica. Queste ultime sono agite in particolar modo sulle fasce più giovani della popolazione raggiunta dall’indagine, con una prevalenza del 3,4% dei giovani tra i 15 e i 24 anni…. Subire molestie è un fenomeno che varia non solo a seconda del genere e dell’età, ma anche in base al titolo di studio. Sia le donne sia gli uomini con titolo di studio elevato nel corso della vita sono più esposti al rischio: il 14,8% delle donne di 15-70 anni di età, che sono in possesso di una laurea le subisce, contro il 12,3% di quelle che possiedono un titolo medio basso; per gli uomini le rispettive percentuali sono pari al 3,2% e il 2,2%. Se chi ha un titolo di studio elevato subisce soprattutto le offese, le proposte inappropriate e le molestie fisiche caratterizzano invece livelli di studio diversi. Le molestie subite dalle donne avvengono sia in contesti di lavoro privato (14,4%) sia pubblico (13,5%). Osservando la posizione professionale delle vittime, per gli uomini prevalgono le posizioni apicali, dirigenti, imprenditori e liberi professionisti con il 4,4% e i lavoratori in proprio (3,4%), mentre tra le donne sono più a rischio le operaie (16,4%) e le impiegate e i quadri direttivi (15,0%). Avere limitazioni (gravi e non gravi) pesa sull’essere vittima di molestie sessuali: per le donne 16,4% e per gli uomini il 3,8%”.
Dal rapporto emerge altresì che “Oltre l’81% delle donne subisce molestie sul lavoro da parte di uomini e il 6,2% da donne, mentre nel caso degli uomini questa forbice è meno accentuata: questi ultimi sono vittime di altri uomini nel 42,5% e da parte delle donne nel 39,3%. Non rispondono però al quesito sull’identità dell’autore il 14% delle donne e il 25,9% degli uomini. L’autore delle molestie sulle donne è per lo più un collega maschio (37,3%) o una persona con cui ci si relaziona nel corso della propria attività lavorativa, come un cliente, un paziente o uno studente (26,2%). Per le molestie subite dagli uomini sono le colleghe donne ad essere indicate come autrici nel 26,4% dei casi e i colleghi uomini nel 20,6%. I capi e i supervisori autori di molestie sono circa il 10% per le donne e il 4,2% per gli uomini. Tuttavia, mentre le prime sono vittimizzate quasi totalmente da capi maschi, i secondi lo sono in misura del tutto simile da uomini e donne. In un quinto circa dei casi, le vittime, sia maschi sia femmine, affermano che hanno subito più molestie dalla stessa persona. Gli episodi di molestia non si configurano come casi isolati. Per le donne la ripetitività ha un’incidenza maggiore rispetto agli uomini. L’indagine misura questa dimensione attraverso un quesito relativo agli episodi verificatisi negli ultimi 12 mesi precedenti l’intervista. L’80% delle donne ha subito più volte le molestie in questo arco di tempo, rispetto al 60% degli uomini. Sia uomini sia donne denunciano di rado: tra le donne, solo il 2,3% ha contattato le forze dell’ordine e il 2,1% altre istituzioni ufficiali.”
Accanto agli strumenti di prevenzione e rimediali risulta certamente necessario avviare, in linea con le previsioni della Convenzione OIL 190/2019 e come opportunamente prevedono alcuni dei disegni di legge all’esame, campagne di formazione, informazione e sensibilizzazione in ogni ambito.
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La ratifica della convenzione OIL obbliga certamente l’Italia e gli altri stati membri della UE a modificare o eventualmente ad implementare le normative vigenti al fine di garantire il pieno rispetto delle disposizioni internazionali.
Vi sono aspetti della Convenzione OIL che riguardano ambiti già disciplinati sia dal diritto dell’UE che dal diritto interno.
Si tratta di quelli relativi al miglioramento dell’ambiente di lavoro per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori e delle lavoratrici (Art.153, par.1 lett. a) e c) TFUE e diritto secondario) e di quelli in materia di eguaglianza di opportunità tra 5
uomini e donne nel mercato del lavoro e di parità di trattamento sul lavoro e in materia di occupazione e di impiego ( Art. 157, par.1 TFUE e diritto secondario). Si richiama ancora una volta la Nota di NOI RETE DONNE di cui innanzi.
Guardando all’ordinamento interno, l’Italia è dotata di una legislazione che può dirsi almeno in parte in linea con gli standard internazionali in materia di violenza e molestie sul lavoro.
In tal senso si richiamano il Codice delle Pari Opportunità (con particolare riferimento alle molestie e molestie sessuali disciplinate dall’art. 26), le previsioni dei dlgss. 215/2003 e 216/2003 - che a loro volta disciplinano le molestie, ovverosia quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi di razza o di origine etnica (art. 3 c.2) o a causa della religione, delle convinzioni personali, della disabilità, dell’età, dell’orientamento sessuale (art. 2 comma 3) – le disposizioni del TU 81/2008, con particolare riguardo, tra gli altri, all’obbligo di valutare tutti i rischi ex art. 28.
Risulterebbe opportuno rendere “visibile” e chiaro il collegamento e l’integrazione delle disposizioni in tema di molestie e molestie sessuali con l’articolata rete di norme in materia di prevenzione e protezione della salute e sicurezza, a partire proprio dalla valutazione dei rischi anche inerenti le molestie, in ragione dell’ambiente di lavoro, del tipo di mansioni svolte, delle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.
Ciò che infatti risulta già evincibile da una lettura integrata e sistematica delle fonti normative citate, è ora esplicitamente affermato per effetto della ratifica della Convenzione OIL.
Alcuni dei disegni di legge all'esame vanno in tale direzione, come si evidenzierà di seguito.
Come innanzi osservato, accanto alle molestie e molestie sessuali disciplinate delle disposizioni antidiscriminatorie, vi è un’altra area di “tutela” che comprende fattispecie di derivazione giurisprudenziale la cui base giuridica risiede nella disposizione generale dell’art. 2087 del Codice civile. Tra queste, soprattutto il mobbing, che ha nella sistematicità e nell’intenzionalità delle condotte i propri elementi qualificanti, a differenza della nozione di violenza e molestie delineata dalla Convenzione OIL n. 190.
Considerata la disposizione di cui all’art. 7 della Convenzione OIL n. 190 (“Fatto salvo quanto stabilito all’articolo 1 e coerentemente con lo stesso, ciascun Membro si impegna ad adottare leggi e regolamenti che definiscano e proibiscano la violenza e le molestie nel mondo del lavoro, inclusi violenza e molestie di genere”), permangono pertanto nel nostro ordinamento elementi di criticità.
D’altra parte è evidente come la presenza di fattispecie del tutto eterogenee renda particolarmente difficoltosa l’adozione di una nozione unitaria, per via legislativa, di “violenza e molestie” nel mondo del lavoro.
Ciò premesso, i disegni di legge nn. 89, 257, 671 e 813 mirano a rafforzare il sistema di prevenzione e a migliorare le garanzie per le vittime affrontando il tema delle molestie con proposte che spaziano dalla definizione stessa di molestie, alla protezione delle vittime, alla sanzionabilità di tali comportamenti. Alcuni di questi disegni di legge riguardano poi sia il fenomeno delle molestie e violenze di genere che quello del c.d. “mobbing”.
Sotto il profilo definitorio, prima di esaminare i singoli disegni di legge, e premesso che le ipotesi di “tipizzazione” sono sempre accompagnate dal rischio di “irrigidire” in una data rappresentazione del contesto storico del momento il campo di tutela, si ritiene che la definizione di molestie e molestie sessuali contenuta all’art. 26 del Codice delle Pari Opportunità sia assolutamente rispondente alle definizioni contenute nella Convenzione OIL 190/2019. Altrettanto è a dirsi per la definizione di molestie contenuta agli artt. 2 cc.3 dei dlgss 215/2003 e 216/2003.
Nel contempo si osserva che poiché nella Convenzione internazionale gli elementi della “intenzionalità” e “ripetitività” della condotta non sono considerati elementi necessari alla identificazione dei comportamenti da prevenire e reprimere, qualsiasi definizione contenuta dei disegni di legge che si discosti da tali parametri sarebbe in contrasto con la Convenzione OIL n.190.
Sotto il profilo dei soggetti destinatari delle tutele, potrebbe risultare opportuna la esplicita previsione (presente solo in alcuni disegni di legge) dell’allargamento dei soggetti, vittime di molestie e molestie sessuali, in favore dei quali opera la speciale protezione.
L’art. 2 della Convenzione ILO estende infatti espressamente la protezione ai lavoratori e alle lavoratrici subordinate e non, a tutte le tipologie contrattuali, incluse alle persone in formazione, in tirocinio e stage, apprendisti, volontari, alle persone in cerca di impiego o candidate/canditati al lavoro.
Sebbene il nostro ordinamento consenta già di fatto tale “estensione” per effetto del richiamo alla nozione di “lavoratore” contenuta nell’art. 2 del TU 81/2008 - indicato come “persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un'arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari. Al lavoratore così definito è equiparato: il socio lavoratore di cooperativa o di società, anche di fatto, che presta la sua attività per conto delle società e dell'ente stesso; l'associato in partecipazione di cui all'articolo 2549, e seguenti del codice civile; il soggetto beneficiario delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento di cui all'articolo 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196, e di cui a specifiche disposizioni delle leggi regionali promosse al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro o di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro; l'allievo degli istituti di istruzione ed universitari e il partecipante ai corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ivi comprese le apparecchiature fornite di videoterminali limitatamente ai periodi in cui l'allievo sia effettivamente applicato alla strumentazioni o ai laboratori in questione; il volontario, come definito dalla legge 1° agosto 1991, n. 266; i volontari del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e della protezione civile...” - si ritiene in ogni caso opportuno un intervento “chiarificatore” quantomeno al fine di prevenire interpretazioni difformi, irragionevolmente restrittive e/o non coordinate delle disposizioni antidiscriminatorie con quelle in materia di protezione della salute e sicurezza sul lavoro.
Non tutte le impostazioni dei disegni di legge (AA. SS. nn. 89, 257, 671, 813) peraltro si soffermano sul concetto ampio ed in parte innovativo di “mondo del lavoro” contenuto della Convenzione ILO 190/2019, cui consegue la estensione delle tutele anche verso i fenomeni di violenze e molestie che si verificano al di fuori del “classico” luogo “fisico” di lavoro ( ad esempio nei viaggi di lavoro o attraverso le tecnologie). In tal senso si cfr l’art. 3 Conv. n. 190/2019 che elenca specificamente come violenza e molestie sul lavoro quelle perpetrate: “a) nel posto di lavoro, ivi compresi spazi pubblici e privati laddove questi siano un luogo di lavoro; b) in luoghi in cui la lavoratrice o il lavoratore riceve la retribuzione, in luoghi destinati alla pausa o alla pausa pranzo, oppure nei luoghi di utilizzo di servizi igienicosanitari o negli spogliatoi; c) durante spostamenti o viaggi di lavoro, formazione, eventi o attività sociali correlate con il lavoro; d) a seguito di comunicazioni di lavoro, incluse quelle rese possibili dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione; e) all’interno di alloggi messi a disposizione dai datori di lavoro; f) durante gli spostamenti per recarsi al lavoro e per il rientro dal lavoro”.
Nel nostro ordinamento il datore di lavoro oltre ad essere soggetto al divieto di sottoporre i lavoratori e le lavoratrici a vessazioni, violenze fisiche e/o morali nonché a molestie, anche sessuali, è altresì tenuto ad attuare misure di prevenzione e di contrasto di tali condotte anche ad opera di altri dipendenti (dirigenti, quadri, ma anche semplici colleghi) nonché di soggetti esterni all’impresa come utenti, clienti, pazienti, ecc.
L’art. 3 del TU 81/2008 “si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio”, mentre l’art. 2, comma 1, lettera q) del medesimo testo di legge prescrive che la valutazione deve riguardare “tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività” – pertanto, non solo i rischi direttamente derivanti dall’attività svolta, ma anche quelli comunque ricollegabili all’attività lavorativa, ivi compresi i c.d. rischi ambientali- al precipuo scopo di “individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza”.
In linea generale, si coglie nei disegni di legge esaminati l’esigenza di rafforzare la protezione delle vittime, sebbene prevedendo percorsi diversi tra loro.
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Nel disegno di legge n. 89 ( “Disposizioni volte al contrasto delle molestie sessuali e delle molestie sessuali sui luoghi di lavoro. Deleghe al Governo in materia di riordino dei comitati di parità e pari opportunità e per il contrasto delle molestie sul lavoro) non si interviene sulla disposizione di cui all’art. 26 del Codice delle Pari Opportunità; si prevede, all’art. 3 un percorso di “vigilanza” da parte dell’Ispettorato del lavoro “a decorrere dalla data della denuncia di molestie o di molestie sessuali sul luogo di lavoro, sullo stato del rapporto di lavoro della lavoratrice o del lavoratore denunciante al fine di assicurarne la tutela ai sensi dell’art. 26 c. 3 bis del codice delle pari opportunità tra uomo e donna di cui al dlgs 198/2006 e nel caso in cui presenti dimissioni volontarie, anche con l’intervento delle organizzazioni sindacali”.
L’art. 26 c.3 bis del CPO prevede in particolare che “La lavoratrice o il lavoratore che agisce in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni per molestia o molestia sessuale poste in essere in violazione dei divieti di cui al presente capo non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, determinati dalla denuncia stessa. Il licenziamento ritorsivo o discriminatorio del soggetto denunciante è nullo. Sono altresì nulli il mutamento di mansioni ai sensi dell'articolo 2103 del codice civile, nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del denunciante”.
Il C.P.O. prevede una tutela specifica della vittima di molestie ove si verifichino i classici meccanismi “ritorsivi” conseguenti al rifiuto del lavoratore o della lavoratrice di subire le molestie (art. 26 c. 2 bis) o alla denuncia giudiziale di dette condotte (art. 26 c. 3 bis).
Le condotte datoriali, gli atti i patti o i provvedimenti aventi contenuto ritorsivo sono equiparati ad una discriminazione e sanzionati con la nullità senza la mediazione dell’art. 1345 c.c. (in tal senso Cass. n.6575/2016), assicurando tale meccanismo una effettiva protezione alla vittima.
In tali ipotesi non può avere alcun rilievo, ad esempio, l’esistenza di una eventuale giusta causa o di un giustificato motivo di licenziamento; la nullità degli atti di cui al c.3bis opera per il solo fatto oggettivo della proposizione di un ricorso giudiziale per la “dichiarazione delle discriminazioni per molestia o molestia sessuale”. La vigilanza dell’Ispettorato è una misura che rafforza ulteriormente il precetto di legge. Si ritiene tuttavia che la mancanza di una tutela specifica nel caso di presentazione di “di dimissioni volontarie” da parte della lavoratrice o del lavoratore denunciante condotte qualificabili come molestie e molestie sessuali sul luogo di lavoro rappresenti un elemento di “debolezza” della previsione.
Così che parrebbe opportuno prevedere la sanzione della nullità conseguente all’accertamento del fatto che le dimissioni “volontarie” sono state conseguenti e determinate dalle molestie.
Opportunamente il D.L. n. 89 valorizza il ruolo dei CUG e l’obbligo di effettuare prevenzione e informazione da parte delle pubbliche amministrazioni, così come introduce una forma di vigilanza da parte dell’Ispettorato del Lavoro a seguito della denuncia di molestie e prevede la realizzazione di campagne di informazione e sensibilizzazione a da parte del Ministero del Lavoro.
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Il disegno di legge n. 257 (“Norme per la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori da molestie morali e psicologiche nel mondo del lavoro”) affronta il complesso fenomeno del “mobbing” insieme a quello delle molestie morali “in generale” nei luoghi di lavoro (e non solo delle molestie e molestie sessuali).
Come noto la giurisprudenza della Suprema Corte, attraverso il richiamo anzitutto all’art. 2087 c.c., che impone al datore di lavoro l’adozione di tutte le misure volte a tutelare l’integrità psicofisica dei dipendenti, è giunta a definire il perimetro della fattispecie del “mobbing”. Come affermato in più occasioni (si cfr da ultimo Cass. 30.11.2022 n.35235), “ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono ricorrere: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psicofisica e/o nella propria dignità; d) l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi (Cass. 10 novembre 2017, n. 26684; Cass. 24 novembre 2016, n.24029, Cass. 6 agosto 2014, n.17698)”.
L’elemento qualificante della fattispecie va ricercato, secondo la Suprema Corte, nell'intento persecutorio che unifica i singoli atti, che deve essere provato da chi assume di avere subito la condotta vessatoria.
Deve peraltro segnalarsi che recenti ordinanze della Suprema Corte, alla luce dell’ampiezza e generalità della disposizione di cui all’art. 2087 c.c., hanno ritenuto come sia sempre necessario “valutare e accertare l’eventuale responsabilità del datore di lavoro per avere anche solo colposamente omesso di impedire che un ambiente di lavoro stressogeno provocasse un danno alla salute del ricorrente” (Cass. 12 febbraio 2024 n. 3822, Cass. 16 febbraio 2024 n. 4279, Cass. 12 febbraio 2024 n. 3791), attribuendo particolare rilievo ai fattori organizzativi e ambientali.
La fattispecie del mobbing differisce profondamente, nei suoi elementi costitutivi, dalle molestie e molestie sessuali di cui all’art. 26 del Codice delle Pari Opportunità, attratte nella ampia categoria delle discriminazioni, con conseguente estensione dell’apparato rimediale e di distribuzione dell’onere della prova alleggerito tipiche del sistema antidiscriminatorio, in un’ottica di favor per la vittima.
La vittima di una molestia/molestia sessuale deve infatti assolvere all’onere probatorio attraverso la mera allegazione di elementi precisi e concordanti, ma non anche gravi, potendo anche ricorrere alla prova statistica, spettando invece al convenuto l’onere di dimostrare l’insussistenza della molestia. Laddove le molestie vengano agite non direttamente dal datore di lavoro, questi sarà invece tenuto a dimostrare la legittimità e correttezza del proprio operato, ad esempio provando di aver messo in atto adeguate misure preventive e di protezione, di aver posto in
essere azioni a tutela del soggetto denunciante, avviando ad esempio procedimenti disciplinari etc. Diversamente, sarebbe ravvisabile una responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 cc. anche solo di tipo “omissivo”.
Si sottolinea inoltre, come già innanzi evidenziato, che elementi caratterizzanti la molestia sono la indesideratezza, con l’adozione quindi della prospettiva della vittima, e la irrilevanza dell’intenzionalità della condotta, allo scopo di conferire effettività alla tutela (le molestie sono infatti molto spesso l’espressione di stereotipi radicati nei soggetti agenti).
Anche la definizione di violenza e molestie contenuta all’art 2 del dlgs 216/2003 (di recepimento della Direttiva 2000/78) è caratterizzata dalla irrilevanza della intenzionalità della condotta, senza alcuna previsione della “iterazione” delle condotte (“sono, altresì, considerate come discriminazioni, ai sensi del comma 1, anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per uno dei motivi di cui all'articolo 1, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo”). Altrettanto è a dirsi con riferimento all’art. 2 c.3 del dlgs 215/2003 (“Sono, altresì, considerate come discriminazioni, ai sensi del comma 1, anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi di razza o di origine etnica, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo”).
La Convenzione ILO 190/2019 mira a contrastare non solo le molestie (oggetto di disposizioni specifiche nell’ambito del diritto antidiscriminatorio) ma anche tutte quelle “pratiche” e “comportamenti inaccettabili” messi in atto o solo minacciati che si manifestino anche una sola volta in occasione del lavoro, o in connessione con il lavoro o comunque scaturenti dal lavoro anche a prescindere dall’intento dell’agente: in tal senso si richiamano ancora una volta le previsioni dell’art.1 della Convenzione ILO 190/2019.
Si ritiene pertanto che la definizione contenuta all’art. 2 del disegno di legge, contenente la seguente definizione di molestie : “Agli effetti della presente legge si intendono per molestie morali e violenze psicologiche nell'ambito del posto di lavoro le azioni, esercitate esplicitamente con modalità lesiva, che sono svolte con carattere iterativo e sistematico. Per avere il carattere di molestia morale e violenza psicologica, gli atti di cui al primo periodo devono avere il fine di emarginare, discriminare, screditare o comunque recare danno alla lavoratrice o al lavoratore nella propria carriera o autorevolezza e nel rapporto con gli altri. La molestia morale e la violenza psicologica possono avvenire anche mediante…h) le molestie sessuali” sia incompatibile con le previsioni della Convenzione OIL, considerati i presupposti della intenzionalità delle condotte e della loro reiterazione.
Si ribadisce come, rispetto alla fattispecie giurisprudenziale del “mobbing” innanzi delineata, la nozione di violenza e molestie prevista nella Convenzione si caratterizza per la sussistenza di qualsivoglia comportamento “inaccettabile”, non sistematico, e per l’irrilevanza della esistenza di un intento persecutorio, risultando sufficiente anche la mera minaccia che possa comportare un potenziale danno fisico, psicologico, sessuale o economico.
La disposizione di cui all’art.3 del disegno di legge, dal titolo “misure di prevenzione e informazione”, risponde alla esigenza di implementare le disposizioni in materia di tutela e sicurezza nei luoghi di lavoro di cui al TU 81/2008 con riguardo a fenomeni purtroppo diffusi come quelli delle molestie.
La corretta e puntuale applicazione della normativa in materia di protezione e sicurezza sul lavoro anche con riguardo al fattore di rischio rappresentato dalle molestie costituisce un fondamentale strumento di contrasto alle discriminazioni e alle molestie sui luoghi di lavoro, garantendo nel contempo la piena protezione della salute. E’ indubbio che l’esistenza e l’efficacia di un idoneo sistema di prevenzione, una adeguata formazione e informazione, un adeguato sistema di controllo, una corretta e completa valutazione di ogni rischio, incluso quello relativo alle molestie e molestie sessuali, ex art 28 TU 81/2008, possono rendere meno plausibile la commissione di tali illeciti.
La linea di unione tra violazione dei doveri di sicurezza di cui al TU 81/2008, l’art. 2087 c.c. e le disposizioni antidiscriminatorie ogni volta che si sia in presenza di gruppi di soggetti / lavoratori esposti a rischi particolari, potrebbe essere resa più efficace e rafforzarsi attraverso la previsione esplicita dell’obbligo dell’analisi e valutazione del rischio “molestie e molestie sessuali” e dell’obbligo di percorsi di formazione e informazioni specifici, allo scopo di “arginare” la diffusione del fenomeno. Le molestie possono infatti essere più adeguatamente affrontate in una dimensione anzitutto di carattere generale/collettiva.
La disposizione analizzata si colloca in questa direzione.
L’art. 4 c.1 del disegno di legge dal titolo “Obblighi del datore di lavoro”, prevede che il datore di lavoro, in caso di denuncia “di azioni o fatti di cui all’art. 2 da singoli lavoratori o su segnalazione delle rappresentanze sindacali aziendali o del rappresentante per la sicurezza nonché del medico competente ha l’obbligo di accertare tempestivamente i comportamenti denunciati”.
Certamente risulta fondamentale la finalità di garantire azioni immediate e tempestive, con modalità trasparenti, a tutela della vittima di condotte qualificabili come molestie. Tuttavia si ritiene che la disposizione dovrebbe prevedere più che un obbligo di “immediato accertamento dei comportamenti denunciati”, un obbligo di “intervento” immediato e tempestivo da parte del datore di lavoro. E’ evidente poi che un siffatto intervento presuppone necessariamente un verifica dei fatti denunciati nell’ambito dei poteri e dei limiti previsti dall’ordinamento in capo al datore di lavoro.
Le previsioni dell’art. 4 c.2 del disegno di legge si inseriscono sempre nel quadro degli obblighi di prevenzione e protezione della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, pertanto si rinvia a quanto innanzi evidenziato, sottolineando che il TU 81/2008 disciplina in modo dettagliato compiti e prerogative del medico competente, del responsabile della sicurezza e prevenzione e protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
L’art. 35 del TU 81/2008 prevede, ad esempio, la “riunione periodica di sicurezza” sul lavoro indetta obbligatoriamente dal Datore di lavoro almeno una volta l’anno o in ogni caso quando si verifichino significative variazioni di esposizione dei lavoratori ai rischi o quando si introducano ad esempio nuove tecnologie che impattano sulla salute e sicurezza dei lavoratori.
Pertanto, la denuncia di fenomeni quali molestie, violenze, vessazioni dovrebbe comportare, già nel quadro normativo esistente, l’obbligo in capo al datore di lavoro di intervenire “per il superamento delle azioni o dei fatti denunciati”, attivando anche una serie di procedure disciplinate dal TU 81/2008.
Quanto all’art.5 del disegno di legge (“azioni di tutela giudiziaria”) si prevede la introduzione di un rito apposito che si affiancherebbe a quelli già previsti dal Codice delle Pari Opportunità per le discriminazioni individuali e collettive (artt. 37 e 38) e dall’art. 28 del dlgs 150/2011 per la rimozione di discriminazioni relative a fattori diversi dal genere.
La introduzione di un nuovo rito, che sembra ricalcare almeno in parte lo speciale procedimento previsto dall’art. 38 del Codice delle Pari Opportunità, con la previsione di un “giudizio di opposizione” da promuoversi entro 15 giorni innanzi al Tribunale “in composizione collegiale” risulta nel contesto attuale piuttosto problematica, coesistendo già differenti tipologie di tutela giurisdizionale a fronte di discriminazioni ai danni dei lavoratori fondate su diversi fattori, che invece andrebbero semmai “unificate”.
In realtà non è l’introduzione di un nuovo rito a rendere più “effettivi i meccanismi di ricorso” (come impone l’art. 10 della Convenzione), quanto la introduzione di disposizioni che alleggeriscono l’onere probatorio a carico del lavoratore e della lavoratrice; anche una specifica protezione contro fenomeni ritorsivi ovvero di vittimizzazione di informatori/testimoni potrebbe rendere più efficace il “sistema”, sul solco di quanto previsto dall’art. 41 bis del Codice delle Pari Opportunità (“La tutela giurisdizionale di cui al presente capo si applica, altresì, avverso ogni comportamento pregiudizievole posto in essere, nei confronti della persona lesa da una discriminazione o di qualunque altra persona, quale reazione ad una qualsiasi attività diretta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne”).
Tale norma va infatti a rafforzare il rispetto del principio di parità di genere estendendo la tutela giudiziaria del Codice delle Pari Opportunità in tutte le ipotesi di reazioni datoriali “ritorsive” alle attività/iniziative volte al rispetto delle disposizioni antidiscriminatorie nei confronti della stessa persona discriminata o di altri soggetti. L’ampiezza della norma è tale da ricomprendere atti, provvedimenti comportamenti posti in essere dal datore di lavoro che costituiscano una ritorsione.
Sempre l’art. 5 prevede una sanzione per il ritardo nella ottemperanza del provvedimento giudiziale (c.d. astreinte), sinora irragionevolmente esclusa per le controversie lavoristiche. Parte della dottrina ha in più occasioni messo in luce la criticità e la irragionevolezza della suddetta deroga, alla luce della presenza nel diritto del lavoro, già nello Statuto, di strumenti di coercizione indiretta (si richiama in tal senso l’art. 28 s.l). L’impiego di uno strumento coercitivo indiretto potrebbe validamente fungere da garanzia dell’effettività dei diritti individuali legati ad interessi di natura non meramente patrimoniale del prestatore di lavoro.
La disposizione del c.2 dell’art. 5 risulta problematica laddove si prevede che “il risarcimento del danno dovuto al lavoratore dal responsabile di comportamenti definiti dall’articolo 2 comprende in ogni caso anche una somma a titolo di indennizzo del danno biologico da determinare in via equitativa”.
Anzitutto è poco comprensibile il riferimento al termine “indennizzo”, ben diverso dal termine “risarcimento”, laddove i principi civilistici generali prevedono il diritto alla integrale riparazione del danno subito, naturalmente nei limiti della prova fornita. La disposizione andrebbe poi coordinata con la vigente disciplina in materia di infortuni e malattie professionali, che prevede in favore dei lavoratori vittime di tali eventi un indennizzo a carico di INAIL, da erogarsi in una soluzione unica o sotto forma di rendita in funzione dell’età, del genere e del grado di menomazione accertata sulla base della “Tabella delle menomazioni” prevista dal d.lgs. 38/2000. Il datore di lavoro risponde poi in ambito civilistico del c.d danno biologico differenziale e del c.d. danno “complementare” ove risultino accertate condotte colpose o dolose a suo carico in violazione di specifiche disposizioni del TU 81/2008 o del precetto generale e di chiusura di cui all’art. 2087 c.c.
Il riferimento all’erogazione “in ogni caso di una somma a titolo di indennizzo del danno biologico” a conclusione di un procedimento sommario non si misura peraltro con le complesse questioni legate sia all’accertamento delle condotte illecite, che del danno subito e del nesso causale tra le condotte illecite e la lesione al bene salute.
Sarebbe certamente opportuno prevedere la introduzione di misure risarcitorie anche in funzione dissuasiva, in conformità al principio sancito dal diritto comunitario per cui le sanzioni devono essere “effettive, adeguate e dissuasive”.
Tirando le fila, deve rilevarsi che la Convenzione ILO 190/2019 lascia la facoltà agli Stati Membri di scegliere gli strumenti attuativi ritenuti più opportuni, dando però centralità, all’art. 10, all’effettività e all’adeguatezza dei meccanismi di ricorso e di risarcimento quali strumenti per eliminare la violenza e le molestie nel mondo del lavoro, prescrivendo procedimenti di denuncia e di risoluzione delle controversie sicuri ed efficaci, proponendo l’eventuale introduzione di sanzioni (non necessariamente “penali”), e imponendo la protezione delle vittime, dei denuncianti, dei testimoni e degli informatori da eventuali ritorsioni o rappresaglie.
Nel nostro ordinamento le azioni disciplinate dalla legislazione antidiscriminatoria prevedono una serie di rimedi particolarmente efficaci che vanno dalla rimozione delle discriminazioni accertate (ex articolo 28 comma 5 d.lgs. 150/2011 ed ex articolo 37 d.lgs. 198/2006) all’adozione di misure inibitorie, di annullamento e di dichiarazione di nullità di atti/provvedimenti; sono altresì previste misure risarcitorie con le caratteristiche fissate dall’ordinamento eurounitario (in particolare l’art. 18 della Direttiva 2006/54 impone agli stati membri la introduzione delle misure necessarie a garantire “un indennizzo o una riparazione reali ed effettive, da essi stessi stabiliti in modo tale da essere dissuasivi e proporzionali al danno subito; in termini analoghi anche l’art. 18 della Direttiva 2000/78, secondo il quale “le sanzioni che possono prevede un risarcimento dei danni devono essere effettive, proporzionali e dissuasive”). E’ inoltre prevista la pubblicazione del provvedimento su un quotidiano a tiratura nazionale, a spese del convenuto (articolo 28 comma 7 d.lgs. 150/2011); sono fissate specifiche sanzioni in caso di inottemperanza all’ordine giudiziale (artt. 37 e 38 CPO), oltre agli effetti di cui agli artt. 28 comma 1 d.lgs. 150/2011 e 40-41 d.lgs. 198/2006.
Ai fini della effettività della tutela giudiziaria, la legislazione antidiscriminatoria prevede inoltre un regime della prova “agevolato” (si richiamano in tal senso l’art. 40 del Codice delle Pari Opportunità e il comma 3 dell’art. 28 d.lgs. 150/2011).
Il disegno di legge unificato potrebbe peraltro cogliere l’occasione per razionalizzare il regime processuale applicabile alle controversie aventi ad oggetto la denuncia di condotte discriminatorie, o quanto meno per uniformare la disposizione relativa all’onere probatorio di cui all’art.40 del d.lgs. n.198/2006 a quella, più favorevole, di cui all’art. 28 c.3 del dlgs 150/2011
Si ritiene che al fine di garantire una effettiva tutela alle vittime di violenze e molestie lavorative sarebbe opportuno prevedere per tutti i procedimenti giudiziari aventi ad oggetto tali condotte un onere probatorio “alleggerito” a favore dei soggetti denuncianti, e nel contempo garantire adeguate misure di “protezione” anche ai testimoni ed informatori contro ogni forma di “ritorsione”. In tal senso, si richiama la previsione dell’art. 41 – bis del Codice delle Pari Opportunità.
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Il Disegno di Legge n. 671/2021 ("Disposizioni per la tutela della dignità e della libertà della persona contro le molestie e molestie sessuali con particolare riferimento al mondo del lavoro. Delega al Governo per il contrato delle molestie sul lavoro e per il riordino degli organismi e dei Comitati di parità e pari opportunità”) si concentra specificamente sul contrasto alle molestie sessuali sul lavoro, intervenendo, novellandolo, sul Codice delle Pari Opportunità di cui al dlgs 198/2006.
La definizione di molestia di cui all’art. 26 c.1 viene integrata, all’art. 1 del disegno di legge, con il riferimento non solo a “comportamenti indesiderati” ma anche ad “atteggiamenti indesiderati”, mentre scompare il riferimento alla connotazione sessuale (“per ragioni connesse al sesso”). Vi è poi una ulteriore revisione della nozione di molestie e molestie sessuali contenuta nel Codice delle Pari Opportunità: l’art. 1 cc. 1 e 2 del disegno di legge si concentra sugli effetti delle condotte sul singolo individuo, accentuando così la dimensione individualistica della discriminazione.
Risulta preferibile la formulazione vigente, più orientata, attraverso il riferimento alla creazione di “un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante, offensivo”, alla dimensione e rilevanza anche collettiva del fenomeno. Simili condotte, infatti, sprigionano il loro potenziale lesivo ben oltre la dimensione della lesione della dignità del singolo. Inoltre il riferimento al “clima intimidatorio, umiliante, offensivo”, consente di contrastare anche le “molestie ambientali”.
Positiva risulta, per quanto si è innanzi esposto, la esplicita estensione dei soggetti destinatari della protezione (“altri soggetti attivi nel mondo del lavoro, ivi compresi le persone in formazione, inclusi i tirocinanti e gli apprendisti, i volontari e le persone alla ricerca di un impiego o candidate a un lavoro”).
L’attuale formulazione dell’art.26 del CPO consente di contrastare anche il fenomeno del c.d. “ricatto sessuale” in ragione del riferimento normativo sia all’offesa della dignità che alla creazione di un clima intimidatorio, degradante, umiliante, ostile od offensivo.
In ogni caso la previsione della ulteriore fattispecie consistente nella “pressione grave” di cui all’ art. 1 c.2 (“costituisce altresì molestia sessuale, ai sensi del presente comma, qualsiasi forma di pressione grave, anche esercitata una sola volta, su una lavoratrice o su un lavoratore o sugli altri soggetti attivi nel mondo del lavoro…”) presenta elementi di criticità in ragione del riferimento alla “gravità” della condotta, che implicherebbe un onere probatorio aggiuntivo.
L’art.3 del disegno di legge (dal titolo “tutela giudiziale delle persone che denunciano una molestia nel luogo di lavoro”) nel prevedere in favore della persona che denunci una molestia o una molestia sessuale “all’interno o all’esterno dell’ambiente di lavoro” le tutele già previste dall’art. 26 c. 3 bis del Codice delle Pari Opportunità, individua al c.3 un meccanismo di dimissioni “convalidate” analogo a quello previsto dall’art. 55 del dlgs 151/2001, senza tuttavia prevedere alcuna conseguenza sul piano del riconoscimento delle indennità previste dalle disposizioni di legge in caso di licenziamento.
Come già rilevato la previsione della nullità delle dimissioni, a seguito dell’accertamento del fatto che queste siano state conseguenza di molestie subite sarebbe una forma più efficace di tutela e costituirebbe deterrente significativo.
L’art. 5 prevede, al c.2, una integrazione delle funzioni demandate, ai sensi dell’art. 12 del Codice delle Pari Opportunità, ai Consiglieri e alle Consigliere di Parità, relative in particolare a: “funzioni di assistenza e consulenza, su richiesta, in favore delle lavoratrici e dei lavoratori che subiscano atti di molestia sessuale anche nell’ambito dell’eventuale tentativo di conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di procedura civile,…”. Tale norma dovrebbe coordinarsi con la disposizione dell’art. 36 del Codice delle Pari Opportunità, che stabilisce “chi intende agire in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni poste in essere in violazione dei divieti di cui al capo II del presente titolo, o di qualunque discriminazione nell'accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonché in relazione alle forme pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, può promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile o, rispettivamente, dell'articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, anche tramite la consigliera o il consigliere di parità della città metropolitana …”.
Non sono peraltro chiari i contorni e la natura delle “funzioni di assistenza e consulenza” previsti dalla disposizione, fermo restando che occorrerebbe prevedere un rilevante investimento di risorse.
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Il disegno di legge n.813 (Disposizioni volte al contrasto delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro e delle condotte vessatorie e generatrici di stress a carico delle lavoratrici e dei lavoratori), come risulta dallo stesso titolo, si propone di stabilire “le misure atte a prevenire e a contrastare” le molestie e le molestie sessuali “nei luoghi e nei rapporti di lavoro”, richiamando la definizione di molestie di cui all’articolo 26 del codice delle pari opportunità, e di “prevenire comportamenti diretti e indiretti che possano determinare l’insorgere di stati di disagio psicologico o psico patologico nei lavoratori”.
Le definizione di “condotte vessatorie nei luoghi di lavoro” contenuta all’art.2 c.1 del disegno di legge (“condotte e … pratiche, poste in essere, dal datore di lavoro, da un suo preposto o da un lavoratore dal quale il lavoratore gerarchicamente dipende, volte a danneggiare la dignità e la professionalità del lavoratore o a emarginarlo e che, per la loro intensità, frequenza o durata, causano una lesione all’integrità psicofisica dello stesso lavoratore”) potrebbe risultare non del tutto rispondente alla definizione di violenza e molestie nel mondo del lavoro adottata dalla Convenzione, che contiene al suo art. 1 il riferimento a: “un insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili, o la minaccia di porli in essere, sia in un’unica occasione, sia ripetutamente, che si prefiggano, causino o possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico”.
L’art. 5 del disegno di legge demanda alle Consigliere e ai Consiglieri di Parità compiti di “assistenza e consulenza” in questo caso “in favore dei dipendenti che subiscono condotte vessatorie e generatrici di stress nei luoghi di lavoro”, in assenza di qualsivoglia esplicita connessione con condotte discriminatorie o con comportamenti qualificabili come molestie e/o molestie sessuali.
L’art 7 del disegno di legge, analogamente a quanto previsto dall’art. 3 del disegno di legge n. 89, prevede l’attività di vigilanza dell’ispettorato nazionale del lavoro, “a decorrere dalla data della denuncia di molestie o di molestie sessuali nel luogo di lavoro”, in particolare “sullo stato del rapporto di lavoro della lavoratrice o del lavoratore denunciante…al fine di assicurarne la tutela ai sensi della presente legge” senza alcun richiamo anche alle tutele previste dalle disposizioni del Codice delle Pari Opportunità . E’ previsto anche in questo caso, come nell’articolo 3 del disegno di legge n. 89, un intervento delle organizzazioni sindacali nel caso in cui siano presentate dimissioni volontarie senza prevedere alcuna misura protettiva e di tutela quando risulti accertato che le dimissioni siano state conseguenti e determinate dalle molestie.
La disposizione dell’art. 8 del disegno di legge prevede che alle “controversie civili in materia di lavoro” aventi ad oggetto le condotte “vessatorie e generatrici di stress nei luoghi di lavoro” di cui all’art.2, in cui sia convenuto “l’autore” di tali condotte, si applichi il meccanismo della prova “agevolata” di cui all’articolo 40 del codice delle pari opportunità. L’estensione anche a tali controversie di un meccanismo probatorio agevolato è certamente positiva, rispondendo alle esigenze e finalità definite nell’art. 10 della Convenzione OIL.
Il solo riferimento contenuto nella disposizione all’ “autore delle condotte” potrebbe porre problemi interpretativi laddove sussistesse la concorrente responsabilità dell’autore/ agente e del datore di lavoro per comportamenti colpevolmente omissivi, per incuria e disinteresse nei confronti del benessere lavorativo del lavoratore, in violazione dell’art. 2087 c.c. Sarebbe preferibile pertanto il riferimento al/ai responsabili delle condotte.
Come diffusamente evidenziato, infatti, il datore di lavoro oltre ad essere soggetto al divieto di sottoporre i lavoratori e le lavoratrici a vessazioni, violenze fisiche e/o morali e in generale a condotte generatrici di stress, è altresì tenuto ad attivarsi al fine di prevenire/contrastare il verificarsi di tali condotte anche ad opera di altri dipendenti (dirigenti, quadri, ma anche semplici colleghi.
La disposizione prevista all’art. 10 del disegno di legge è opportuna e positiva (si tratta della esplicita “ricognizione” di quanto già desumibile da una lettura integrata delle diverse fonti del nostro ordinamento, come si è innanzi evidenziato) prevedendosi espressamente che “nella valutazione dei rischi e nel relativo documento di cui agli articoli 17,comma 1, lettera a), e 28 del decreto legislativo o 9 aprile 2008, n.81, devono essere esplicitamente indicate le misure adottate, anche per gruppi di lavoratori, per la prevenzione e dei rischi collegati alle condotte di cui alla presente legge”. L’articolo contiene anche una elencazione delle “misure” funzionali alla prevenzione dei suddetti rischi.
Quanto alla “richiesta di ammonimento al questore” di cui all’art. 11, premesso che si tratta di “misura di prevenzione” già utilizzata al fine di garantire alla vittima di atti persecutori (stalking), violenza domestica etc una tutela rapida ed anticipata rispetto alla definizione del procedimento penale (si evidenzia che esiste un precedente del Tar Trento 8.5.2020 n. 00056 che ha confermato la legittimità dell’ammonimento del Questore di Trento nei confronti di un datore di lavoro che aveva sottoposto ad offese e minacce la propria dipendente) deve valutarsi il suo impatto e la necessità di integrazione con le fonti lavoristiche e antidiscriminatorie. Possono esservi infatti ipotesi in cui la misura riguardi lo stesso datore di lavoro (come nel caso innanzi richiamato) ed altre in cui la misura riguardi un dipendente o collaboratore dell’impresa.
Il c. 3 dell’articolo prevede che la “reiterazione” delle condotte - nonostante la misura dell’ammonimento e l’invito rivolto al datore di lavoro “ad adottare le misure di prevenzione di contrato delle condotte di cui all’art. 1” - costituisca giusta causa di dimissioni da parte della lavoratrice o il lavoratore.
La previsione non sembra costituire un rimedio idoneo a tutelare la vittima. Si ritiene che, a fronte della “reiterazione” di condotte qualificabili come molestie e molestie sessuali e della mancata adozione di idonee misure di protezione, dovrebbe essere tutelato il diritto della vittima di rifiutare la prestazione con la garanzia della prosecuzione del rapporto di lavoro e della regolare corresponsione
della retribuzione sino alla messa in sicurezza del posto di lavoro; in ogni caso, come si è già evidenziato, sarebbe opportuno assimilare le dimissioni rese a causa delle molestie subite, sotto il profilo delle conseguenze giuridiche ed economiche, ad un licenziamento nullo in quanto discriminatorio.
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In chiusura, si evidenzia che si ritengono opportuni gli interventi di potenziamento della medicina del Lavoro (art. 14 disegno di Legge 813) ed in particolare si valutano positivamente le misure volte a istituire centri regionali per la prevenzione, diagnosi e terapia dei disturbi connessi al “disadattamento lavorativo” (art. 9 disegno di legge n. 257). Sui temi del disadattamento lavorativo e dei connessi disturbi e patologie non sono infatti disponibili servizi specialistici, quanto meno su tutto il territorio nazionale.
Avv. Sara Antonia Passante
fonte: senato.it