Alle Commissioni 2a e 10a del Senato

Memoria sui Disegni di Legge

AS 89 (Valente) Disposizioni volte al contrasto delle molestie e delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro. Delega al Governo per il contrasto delle molestie sul lavoro e per il riordino degli organismi e dei Comitati di parità e pari opportunità
AS 257 (Magni) Norme per la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori da molestie morali e psicologiche nel mondo del lavoro
AS 671 (Mancini) Disposizioni per la tutela della dignità e della libertà della persona contro le molestie e le molestie sessuali, con particolare riferimento al mondo del lavoro. Delega al Governo per il contrasto delle molestie sul lavoro e per il riordino degli organismi e dei Comitati di parità e pari opportunità
AS 813 (Lopreiato) Disposizioni volte al contrasto delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro e delle condotte vessatorie e generatrici di stress a carico delle lavoratrici e dei lavoratori
 

Prof. Stefania Scarponi1
 

Sommario: Premessa – 1. Il versante penale e l’introduzione di una nuova fattispecie di reato - 1.1 La questione definitoria dell’art.609 – ter nei: DdL n.89 e n.671 – 1.2- segue. ..e nel Ddl 813 – 2. - Diritto del lavoro, definizione delle molestie e inquadramento giuridico - 2.1 Il DdL n.89 – 2.2 - l DdL n.671 e n. 813 – 2.3 – le molestie al di fuori del perimetro del diritto antidiscriminatorio - 2.3 A) - Il DdL n. 257 – 2.3 B) - Il DdL n.813 - 3. Obblighi di prevenzione del datore di lavoro - 3.1 – La valutazione del rischio – molestie da inserire nel DVR - 3.2 - Altre misure di potenziamento della prevenzione - 4 - Denuncia della vittima al datore di lavoro, esercizio del potere disciplinare, adozione di rimedi organizzativi - 4.1 - Perplessità emergenti da alcuni DdL – 5. - Altre forme di tutela della vittima mediante misure di tipo organizzativo: congedo, part- time, smart – working - 6 - Ruolo dell’Ispettorato del Lavoro in caso di denuncia, dimissioni per molestie, e ulteriori rimedi - 7 - Riordino e coordinamento tra organismi istituzionali - 8 - Azioni in giudizio


Premessa - La valutazione dei DDL in oggetto
2, va condotta alla luce del complesso e articolato quadro normativo in materia che si arricchisce costantemente di nuovi apporti in particolare a livello sovranazionale, da recepire nella disciplina interna in virtù degli obblighi di trasposizione e di ratifica a seconda delle diverse fonti, articolandosi sul versante penale e su quello civile-lavoristico, distinguendosi inoltre fra norme ad applicazione universalistica e ad ambito specifico di tutela delle donne. Come è noto, si tratta di fonti di diritto internazionale del lavoro, tra cui spicca la Convenzione OIL 2019 n. 190 “Ending violence and harassement in the world of work” e connessa Racc n. 206, ratificata con l.n. 4/2021, come atto di ratifica formale senza l’emanazione delle norme di adeguamento, ed entrata in vigore il 29 ottobre 2022 ; nonché quelle dedicate in particolare al contrasto della violenza contro le donne, come la Convenzione sulla “Prevenzione e lotta alla violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”, c.d. Convenzione di Istanbul, entrata in vigore nel 2014, cui si aggiunge la recente Direttiva UE n. 2024/1385 sulla “Lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica” (che contiene una specifica disposizione in materia di molestie nel lavoro: Art. 28: Assistenza specialistica alle vittime di molestie sessuali sul lavoro)3.
Nello specifico campo delle molestie di genere e molestie sessuali nel lavoro, le disposizioni nazionali sono incardinate nel diritto antidiscriminatorio di trasposizione delle Direttive n. 2000/ 53 e 78 ( D.lgs. 215 e 216/03) nonché della Direttiva n.2006/54 Eguaglianza u/d nel lavoro che ha trovato applicazione nell’art.26 D.lgs. 98/2006 c.d. Codice di Pari opportunità4. Tale disposizione si riallaccia all’art.2087 c.c. e alla disciplina generale contenuta nel T.U. sulla salute e sicurezza di cui al D.lgs. n.81/2008. Nel campo penalistico vengono in luce le disposizioni di cui infra par. 2.
I disegni di legge presentati contengono molte disposizioni pienamente condivisibili che configurano nuove forme di tutela alla ricerca dell’efficacia ed effettività della protezione delle persone che lavorano; in taluni casi esplicitano quelle già ricostruibili in via sistematica rendendo più agevole esercitare i diritti in materia, come nel caso della precisazione dell’estensione del campo di applicazione soggettivo ai soggetti in fase di accesso al lavoro, o che prestano la propria attività come volontari. Nella presente valutazione ci si limiterà, peraltro, ad illustrare in chiave critica le ragioni di perplessità sollevate da alcune disposizioni analizzate.
In tal senso, assumendo in primis l’ottica di genere, che in materia è imprescindibile come mostrano i dati delle ricerche empiriche, occorre qualche considerazione sull’approccio sotteso all’utilizzo delle categorie penalistiche in relazione alla ricerca della migliore tutela nei confronti delle lavoratrici che subiscono molestie e molestie sessuali, stante la scelta effettuata dalla maggioranza delle proposte in oggetto di intervenire mediante la creazione di una fattispecie di reato apposita rubricata come art.609 - ter ( ad eccezione del ddl Magni che peraltro non riguarda in modo specifico questo ambito).
Come già sottolineato nel documento di Noiretedonne citato a n.1, occorre sottrarsi all’illusione che il rafforzamento del versante penale sia risolutivo o preminente per l’efficacia del contrasto dei fenomeni descritti. Le analisi statistiche comprovano la scarsa propensione delle vittime a presentare denuncia penale pur essendo già esperibile nel nostro ordinamento in molti casi di condotte moleste anche sul lavoro (infra par. 1). La capacità di reazione e di denuncia da parte delle vittime è influenzata dal timore di non essere credute o di subire ritorsioni che, benché già vietate e sanzionate con la nullità degli atti ritorsivi, possono essere realizzate in modo informale ma estremamente efficace. La denuncia in sede penale una volta accaduto il fatto illecito implica il ricorso ad una via in cui la vittima si trova a fronteggiare il sistema basato, correttamente, sulla tassatività della fattispecie di reato, sulla presunzione di non colpevolezza dell’imputato che deve essere vinta da prove certe e convincenti, ed è inoltre fondata su una dimensione prevalentemente individualistica, subordinata costantemente al rischio di subire una denuncia per calunnia da parte dell’accusato. Occorre pertanto adottare una visione ampia e integrata, come suggerisce la stessa Convenzione n.190, che impone la realizzazione di un quadro di sanzioni adeguato, ma non necessariamente fondato sulla repressione penale, lasciando anzi agli Stati di individuare la strumentazione più opportuna (Conv. OIL art. 4, c.2, lett W. f)), come già si è espressa la Convenzione di Istanbul ove (art.40) sollecita sanzioni (ma) “non necessariamente di tipo penale”.

 

1- Il versante penale e l’introduzione di una nuova fattispecie di reato
Nel diritto penale la mancanza di un reato intitolato esplicitamente alla molestia è colmata in via interpretativa delle norme vigenti relative ad una pluralità di comportamenti in cui sovente si sostanziano le molestie: a) molestie verbali (art.660 c.p. come reato contravvenzionale); b) atti persecutori – c.d.stalking ( art.612 – bis ) qualora le molestie verbali abbiano una particolare gravità e applicabile anche ai casi di molestie psicologiche o al “mobbing”; c) violenza sessuale ( art. 609 – bis c.p.) come fattispecie di reato grave applicabile in caso di molestie fisiche di qualsiasi natura; d) maltrattamenti contro persone sottoposte all’altrui autorità o che siano affidate per educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte ( art. 572 c.p.) che si applica alle molestie anche di tipo psicologico e/o economico in caso di imprese di piccole dimensioni molto diffuse nel territorio produttivo nazionale, dove i rapporti di lavoro sono a carattere quasi familiare. Pertanto, una prima avvertenza è che l’inserimento di una nuova fattispecie di reato dovrà armonizzarsi con il sistema vigente evitando sovrapposizioni.

 

1.1.- La questione definitoria della nuova fattispecie di reato nei DdL n.89 e n.671
Risulta cruciale anche ai fini di cui si è appena detto la tecnica definitoria utilizzata. In merito, i Ddl n.89, art 1, e DdL n. 671, art. 8, introducono una nuova fattispecie di reato rubricata all’art.609 – ter c.p. , volta a perseguire le molestie sessuali che nel
DdL 895 sono qualificate come “comportamenti a connotazione sessuale di tipo verbale o gestuale ” – quindi evitando quelle di tipo fisico che già rientrano nel reato di cui all’art. 609 c.p. citato - come, sia pure in modo leggermente diverso, il DdL 671 che fa riferimento a “comportamenti aventi ad oggetto allusioni sessuali”. Le perplessità sorgono dall’ulteriore riferimento contenuto in entrambe le definizioni che riguarda, insieme alle minacce, anche “ atti o comportamenti indesiderati”, mutuando la nozione giuslavoristica di molestie contenuta nel diritto antidiscriminatorio “atti o comportamento indesiderati”6 ( supra n.2)
Tale riferimento, se nella formulazione giuslavoristica ha una precisa e condivisibile ragion d’essere, solleva al contrario evidenti problemi probatori per l’accertamento del reato, che potrebbe indurre indagini delicate nei confronti della vittima, indebolendone la propensione alla denuncia, e porla in situazioni difficili nel corso del processo.
Ciò è in contrasto, a tacer d’altro, con il dettato della Convenzione OIL n.190, secondo quanto previsto dall’art.10, c.1 lett. b) iv), in ordine alla necessità di assicurare adeguata protezione contro la vittimizzazione e le ritorsioni nei confronti dei querelanti, vittime, testimoni e informatori. Il termine “ indesiderato” inoltre privo della tassatività richiesta dal sistema penale.
Un altro aspetto criticabile della definizione proposta riguarda il riferimento alle “minacce” , che comporta una sovrapposizione rispetto alla fattispecie specifica, confermando le profonde perplessità espresse in merito alla creazione di una nuova fattispecie penale senza riordinare in modo sistematico l’intero apparato penalistico relativo alla violenza nei confronti delle donne, quale risultante dalla stratificazione di numerosi interventi normativi succedutisi nel tempo, rischiando di essere poco fruibile proprio dalle vittime
7.
Volendo introdurre una nuova fattispecie penale riferita alle molestie sessuali in forma verbale o gestuale, sarebbe preferibile eliminare il termine “atti o comportamenti indesiderati” mantenendo unicamente il riferimento relativo a “comportamenti a carattere sessuale di tipo verbale o gestuale che rechino grave offesa alla dignità della persona” ed eliminando il requisito della reiterazione che si pone in contrasto con la definizione della Conv. OIL n. 190.

 

1.2 - segue La tecnica definitoria nell’art.9 Ddl 813
La disposizione, diversamente da quelle appena esaminati, non utilizza il termine “comportamenti indesiderati” nell’art.609 – ter c.p., facendo invece riferimento a “condotte verbali o gestuali a connotazione sessuale che, anche se verificatesi in un'unica occasione, producono un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico di un soggetto in modo da cagionare la violazione della dignità di una persona”. Tale definizione solleva un altro tipo di perplessità, dal momento che per integrare il reato non è sufficiente la violazione della dignità ma occorre altresì un danno psicologico, fattispecie che, così concepita, appare già rientrante in quella dello stalking, ( art.612 – bis). Inoltre, la formulazione “in modo da” introduce una finalizzazione ulteriore nel comportamento (intenzionalità) senza la quale il reato non si verifica, e aggrava così il carico probatorio in capo alla vittima. Altri dubbi sono sollevati dall’utilizzo della terminologia “effetto destabilizzante della serenità ed equilibrio …” dato che è priva della tassatività necessaria nel sistema penale.
Richiamando quanto appena detto sull’opportunità di una diversa definizione, come appena sottolineato, occorre sottolineare che l’entità della pena va commisurata alla gravità del comportamento. Secondo tutti e tre i Ddl considerati, l’entità della pena va da 2 a 4 anni, oppure fino a 3 anni, misura che appare eccessiva in relazione al fatto che si tratta di molestie verbali o gestuali – ferma restando la possibilità di invocare il
reato di stalking nei casi più gravi - e che in caso di aggravanti si prevede un ulteriore aumento di pena8.
 

2 - Diritto del lavoro, definizione delle molestie e inquadramento giuridico
È sicuramente apprezzabile che le proposte legislative tendano a rendere più preciso e sistematico il quadro normativo che è caratterizzato da una pluralità di interventi succedutisi nel tempo, affrontando altresì il modo di combinarsi delle tecniche di tutela individuali con il ruolo delle istituzioni pubbliche e dei sindacati.
Quanto alla definizione dei comportamenti illegittimi, occorre vagliare separatamente i vari DdL che non si presentano omogenei sul punto. Come si è ricordato, la materia delle molestie è inquadrabile nelle disposizioni a tutela della salute e della dignità personale, secondo l’art.2087 cod.civ. e il T.U. n.81/2008, tendenti ad assicurare un ambiente di lavoro volto progressivamente ad assicurare il “benessere della persona”. Esse si combinano, inoltre, con il diritto antidiscriminatorio nel caso in cui le molestie siano dirette contro i soggetti tutelati dai divieti di discriminazione, come nel caso di molestie di genere e/o sessuali, secondo l’art.26 Codice P.O. nei commi 3 e seguenti.

 

2.1 Il DdL 89
In ottica di genere, si concorda con la scelta di rinviare esplicitamente alla definizione contenuta nell’art.26 citato, riprodotto testualmente. Come si è già si è avuto occasione di sottolineare
9, tale definizione è in linea con quella della Conv. OIL 190, sotto il profilo della irrilevanza della intenzionalità e ripetitività della condotta; inoltre presenta caratteristiche di maggiore tutela nei confronti delle vittime rispetto alla definizione di fonte internazionale che è basata sull’attuazione di comportamenti “inaccettabili” che producano, o possano produrre, un danno fisico, psicologico, sessuale o economico10. Pur essendo inteso in senso molto ampio, e di realizzazione frequente, il danno costituisce un elemento della fattispecie che richiede alla vittima di fornirne la prova e può rendere il ricorso alla via legale meno agevole rispetto alla tutela che scaturisce dalla definizione basata sulla violazione della dignità e sulla creazione di un ambiente ostile etc., a prescindere dal danno, che consente inoltre alla vittima di avanzare richiesta di risarcimento da parte della vittima nel corso del giudizio.
La formulazione contenuta nell’art. 26 Codice P.O. è preferibile anche sotto il profilo del mantenimento del termine “indesiderati” al posto di “inaccettabili” sancito invece dalla definizione internazionale. Il primo - pur essendo una traduzione non del tutto pertinente della disposizione europea contenuta nelle direttive antidiscriminatorie, dato che nella versione inglese si fa riferimento a comportamenti “unwanted” con un termine più forte di quello usato nella traduzione italiana - rinvia alla percezione soggettiva ed è frutto dell’elaborazione anglo-americana ed europea, mentre il secondo, postulato dal diritto internazionale, rimanda ad una visione che, nonostante appaia più oggettiva e condivisa del comportamento illegittimo, può ben dar luogo comunque ad un’applicazione differenziata basata su relativismi sociali a seconda dei contesti in cui le molestie accadono
11. Va inoltre ricordato che il rischio di eccesso di soggettività derivante dall’uso del termine “indesiderato” e temperato proprio dal riferimento al “ clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo”12.

 

2.2 – l DdL n.671 e n. 813
Diversamente da quello appena esaminato l’art.1, Disposizioni contro le molestie nel mondo di lavoro, stabilisce una definizione che riproduce solo in parte quella dell’attuale art.26 Codice P.O., da cui si differenzia anzitutto per la sostituzione del termine “atteggiamenti”, anziché atti, oltre ai comportamenti, e soprattutto nella modifica del testo nel modo seguente: “Sono considerate come discriminazioni anche le molestie ovvero quegli atteggiamenti o comportamenti indesiderati e aventi lo scopo o l’effetto di intimidire, degradare, umiliare offendere e violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore (o degli altri soggetti citati”. Viene così abrogato il riferimento alla creazione di un “clima”, nonché il termine “ostile” che completa la gamma delle altre azioni citate espressamente dall’art.26 citato.
La modifica, tuttavia, non è condivisibile dato che il riferimento al “clima” aziendale è parte integrante della definizione contenuta nel testo delle Direttive citate, di cui l’art.26 costituisce una trasposizione. Di conseguenza tale riferimento non può essere eliminato, pena la violazione del diritto euro-unitario. Inoltre, come si appena ricordato, esso ha la funzione di permettere non solo una maggiore oggettività nella valutazione complessiva ma anche di contrastare le c.d. “molestie ambientali”, a differenza della tecnica basata sull’elencazione dei singoli comportamenti che non consente di prendere in considerazione l’insieme di una pluralità di atti che, se individualmente considerati potrebbero apparire innocui, ma creano tuttavia una situazione insostenibile che spesso induce la vittima a dare le dimissioni per sottrarsi appunto ad un clima insostenibile. Appare, pertanto, più convincente anche sotto il profilo della tutela della vittima mantenere l’attuale definizione in modo conforme alla Direttiva europea.
Analoghe perplessità sorgono dalla definizione di “molestie sessuali” per mancata conformità alla Direttiva dato che ripropone la medesima tecnica normativa di cui sopra, con la sostituzione del termine “non verbale” con quello “gestuale” a portata più ristretta che per es. non permetterebbe di ricomprendere quelle perpetrate via web
13.
La disposizione, inoltre, introduce una nuova fattispecie, all’art.1, c.2 alinea, secondo il quale: “Costituisce altresì molestia sessuale, ai sensi del presente comma, qualsiasi forma di pressione grave, anche esercitata una sola volta, su una lavoratrice o su un lavoratore o sugli altri soggetti attivi nel mondo del lavoro ….”. Si tratta di una disposizione volta a contrastare il fenomeno odioso del “ricatto sessuale”, in base al quale la vittima subisce pressioni a sfondo sessuale come condizione per ottenere un beneficio o evitare un danno nel luogo di lavoro o nell’accesso al lavoro. Pur concordando con la necessità di contrastarlo, occorre considerare che la formulazione incentrata sulla “gravità” della “pressione esercitata” imporrebbe alla vittima di provare, peraltro senza indici chiari, la “gravità” della pressione subita. Ricordiamo che una analoga formulazione della Legge adottata dallo Stato di New York il stata in seguito soppressa proprio per le conseguenze in termini di minor tutela 12 agosto 2019 - N.Y. S.B. 6594 et N.Y. A. 8421 N.Y. Exec. § 296 (1) (h )14.
Al tempo stesso, la definizione vigente è molto ampia e tale da permettere di ricomprendervi anche i c.d. “ricatti sessuali” dato che proprio i riferimenti all’offesa della dignità, ma altresì, come si è appena sottolineato, alla creazione di un clima intimidatorio, degradante, umiliante, ostile od offensivo, si attaglia anche alle situazioni descritte. Alla luce di tali considerazioni, si ritiene opportuno mantenere inalterata anche la definizione di molestie sessuali.
Il DdL 813 solleva una diversa ragione di perplessità dal momento che l’art. 1 è intitolato solo “Molestie sessuali nei luoghi di lavoro” e mostra una discrasia con il testo della disposizione, riferito sia alle molestie sia alle molestie sessuali, rinviando all’art.26 del codice delle pari opportunità. Per evitare controversie interpretative, sarebbe opportuno, pertanto, correggere l’intitolazione nel senso di aggiungere anche il termine “molestie” insieme a molestie sessuali.

 

2.3 - Le molestie al di fuori del perimetro del diritto antidiscriminatorio
Alcune proposte affrontano in chiave di applicazione generale nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici, nonché degli altri soggetti rientranti nel campo di applicazione della disciplina prevista, la tutela contro comportamenti quali le “molestie morali e le violenze psicologiche”, come definite dal DdL257, art.2, e le “condotte vessatorie o generatrici di stress”, secondo l’art.2, nel DdL 813.
In primo luogo, va sottolineato criticamente sotto un profilo logico - sistematico, che nel DdL 257 le molestie sessuali sono citate nell’elenco dei comportamenti che costituiscono le molestie morali (art.2, c.2 lett.h). Non si tratta di una soluzione molto convincente, in effetti, trattandosi di un comportamento oggetto di specifica tipizzazione normativa all’art.26, c.2 Codice P.O., che ha portata generale, ed è pertanto considerato autonomamente.
In secondo luogo, l’approccio prescelto dai Ddl citati affronta il fenomeno delle molestie morali o psicologiche nonché lo stress lavorativo in chiave di tutela generale, e di conseguenza non si può prescindere da una valutazione correlata alla Conv. OIL n.190, oramai parte del tessuto normativo interno dopo la sua ratifica ed entrata in vigore. Pur trattandosi di una ratifica formale, senza emanazione di disposizioni di adattamento del diritto interno, per cui sono rimaste in vigore le norme settoriali, non si può ignorare l’obbligo per gli Stati membri di intervenire con una disciplina di coordinamento agli standards imposti dal diritto di fonte internazionale, essendo comunque tenuti al rispetto delle previsioni contenute nella Convenzione ex art. 10 Cost. Non si possono trascurare, inoltre, le implicazioni connesse alla portata della Convenzione che costituisce parametro di valutazione della legittimità costituzionale delle disposizioni interposte di rango sub-costituzionale e di conseguenza impone l’interpretazione conforme, oltre che alla Costituzione, alla Convenzione OIL n.190, laddove il tenore testuale della norma in questione lo consenta, con conseguente rilievo della difformità nei singoli contenziosi relativi alle molestie in campo lavorativo rispetto agli standard minimi risultanti dalle disposizioni convenzionali.
E’ opportuno, pertanto, richiamare la definizione di violenza e molestie sancita dall’art.1 Conv.190: a) Ai fini della presente Convenzione: a) l’espressione “violenza e molestie” nel mondo del lavoro indica un insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili, o la minaccia di porli in essere, sia in un’unica occasione, sia ripetutamente, che si prefiggano, causino o possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico, e include la violenza e le molestie di genere; b) l’espressione “violenza e molestie di genere” indica la violenza e le molestie nei confronti di persone in ragione del loro sesso o genere, o che colpiscano in modo sproporzionato persone di un sesso o genere specifico, ivi comprese le molestie sessuali. 2. Fatto salvo quanto stabilito ai commi a) e b) del paragrafo 1 del presente articolo, le definizioni di cui alle leggi e ai regolamenti nazionali possono prevedere un concetto unico o concetti distinti.
Il superamento da parte della Convenzione internazionale della nozione basata sulla necessaria intenzionalità e ripetitività della condotta costituisce dunque un vincolo insuperabile nell’identificazione dei comportamenti da prevenire e reprimere. Fatte queste precisazioni, si passa all’esame dei DdL ricordati.

 

2.3 - A) Il DdL 257
Alla luce di tali considerazioni, si delinea un problema di compatibilità con la definizione formulata dall’art.2 DdL 257
15, fondata sul compimento di azioni lesive “a carattere iterativo, sistematico ed intenzionale” chiaramente rivolta alla trasposizione legislativa delle acquisizioni giurisprudenziali e medico – legali riferite al fenomeno del mobbing, che già in passato è stato più volte oggetto di proposte di legge16. Tuttavia, la definizione è evidentemente più restrittiva rispetto a quella di fonte convenzionale, e solleva il problema dell’inquadramento giuridico di tale fenomeno.
In una diversa e più ampia prospettiva, non si può tuttavia trascurare il consolidamento dell’approdo giurisprudenziale che ha progressivamente esteso la nozione di comportamenti illegittimi nell’ambiente di lavoro, e di conseguenza la sfera degli obblighi in capo al datore di lavoro alla luce dell’art.2087 c.c., mostrando una convergenza con i valori contenuti nella Convenzione n.190. Vari fenomeni in precedenza ritenuti estranei alla nozione di mobbing, con conseguente rigetto delle domande giudiziali, sono stati considerati appartenere alla sfera applicativa dell’art.2087 c.c. anche in mancanza di una o più delle caratteristiche menzionate, in particolare quella della ripetitività della condotta e dell’intento persecutorio. In tal senso, si è affermata l’illegittimità delle modifiche in senso negativo delle condizioni di lavoro, quali lo “straining (ovvero il demansionamento che produce effetti di lungo periodo pur derivando da un unico atto datoriale)
17; oppure, anche in caso di assenza dell’elemento soggettivo od oggettivo, che il verificarsi di vessazioni o conflittualità nel lavoro rende comunque il datore di lavoro obbligato ad intervenire per impedire che si crei un ambiente di lavoro stressogeno e tale da provocare un danno alla salute del lavoratore18. I contorni così individuati corrispondono agli elementi strutturali richiamati dalla definizione contenuta nella Convenzione, ovvero, da un lato, l’esistenza di comportamenti inqualificabili e la produzione, anche solo potenziale, di un danno inteso in senso ampio, ovvero psicologico – come nei casi appena ricordati - oppure fisico, sessuale o economico, secondo l’ampia dizione accolta dalla definizione convenzionale citata.
Stante la portata generale della Convenzione, appare pertanto riduttivo limitare la tutela contro le “molestie psicologiche” esclusivamente a quelle intenzionali richiamate dal citato art.2 Ddl 257 . Del resto, esse rientrano comunque nell’ampia definizione internazionale riferita ad atti che “si prefiggano, causino o possano causare un danno” nei termini appena richiamati. L’elemento intenzionale, pur non essendo indispensabile, ben potrà ricorrere nel caso concreto ed essere valutato come aggravante sotto il profilo risarcitorio.
In conclusione, in chiave propositivo – sistematica, non potendosi prescindere dall’assetto normativo multilivello, nella redazione della disposizione sarebbe opportuno richiamare espressamente in apertura dell’articolato il testo della Convenzione e la definizione ivi prevista di “violenza e molestie” sopra richiamata, facendo tuttavia salve quelle di “genere e sessuali” a cui si continua ad applicare il diritto antidiscriminatorio per le ragioni già viste.
In secondo luogo, con riferimento all’art. 2, c.1, DdL 257, e tenuto conto della specifica concettualizzazione del “mobbing” da parte della giurisprudenza
19, si potrebbe riformulare il testo precisando che rientrano nella tutela disposta in chiave generale anche “i comportamenti del datore di lavoro, o dai superiori gerarchici, che, pur apparentemente legittimi, considerati complessivamente denotino l’intento di emarginare o screditare i soggetti ( individuati dall’art.1 DdL 257) , o comunque causare loro un danno secondo i parametri definiti dall’art.1 Conv. OIL. Concepita in tal senso la disposizione, non vi sarebbe neppure necessità di entrare nel dettaglio delle esemplificazioni, tecnica sempre rischiosa in quanto si presta a critiche di eccessivo ampliamento della fattispecie, e d’altra parte rimessa all’interpretazione giurisprudenziale.
In tal modo si raggiungerebbe, altresì, lo scopo di rendere applicabili a tutte le vittime di violenze e molestie le disposizioni del DdL in oggetto relative agli obblighi del datore di lavoro ed ai servizi sul territorio di cui si prevede la creazione.

 

2.3 – B) DdL 813
Considerazioni in larga misura analoghe valgono per la definizione contenuta nell’Art.2 intitolato a “Condotte vessatorie e generatrici di stress nei luoghi di lavoro” che si basa su un elemento di finalità, se non intenzionalità, dell’agire del datore di lavoro o dei suoi preposti, e sulle caratteristiche di frequenza e durata, con la conseguenza di restringere il campo della tutela rispetto a quello garantito dall’Art.1 della Convenzione n.190.
La disposizione è così concepita : c. 1 “Ai fini di cui alla presente legge sono definite condotte vessatorie nei luoghi di lavoro le condotte o le pratiche poste in essere dal datore di lavoro, da un suo preposto o da un lavoratore dal quale il lavoratore gerarchicamente dipende, volte a danneggiare la dignità e la professionalità del lavoratore o ad emarginarlo e che, per la loro intensità, frequenza e durata, causano o possano causare una lesione dell’integrità psicofisica dello stesso lavoratore; c.2 “Ai fini di cui alla presente legge sono definite condizioni generatrici di stress nei luoghi di lavoro le condotte o le pratiche, poste in essere da ……che sono determinate da disfunzioni degli assetti organizzativi aziendali e sono volte ad ingenerare nel lavoratore forme di pressione psicofisica superiore a quella connaturata alla natura stessa del lavoro o dell’attività svolta, idonee a causare una lesione dell’integrità psicofisica dello stesso lavoratore” .
Si ritiene pertanto che il testo debba essere modificato per renderlo compatibile con quello di fonte convenzionale, essendovi altrimenti il rischio di non superare il controllo di “costituzionalità sopra richiamato.

 

3. Obblighi di prevenzione del datore di lavoro
3.1 – La valutazione del rischio – molestie da inserire nel DVR

Tutte le proposte richiamano gli obblighi di prevenzione derivanti dalle norme in materia – connesse art. 2087 c.c. e D.lgs. n.81/2008 e s.m. - nonché le disposizioni relative al ruolo dei CUG nelle Pubbliche amministrazione, alle iniziative di informazione e di formazione e all’adozione dei codici etici, anche in conformità alla disciplina derivante dalla contrattazione collettiva fin dall’Accordo – Quadro europeo del 2007 ed approfondita nel corso degli anni da contratti collettivi nazionali, dalla contrattazione integrativa e dall’adozione di “protocolli”.
Nonostante l’ampia cornice di riferimento, in materia di molestie di genere e di molestie sessuali una delle questioni ancora non pienamente risolte nel concreto riguarda la valutazione del rischio di molestie nel documento di valutazione dei rischi previsto dall’art.28 D.lgs. n.81, che si riferisce alla valutazione di “tutti i rischi”, ma è di rara applicazione, pur tenendo conto che il recente documento dell’ Inail di “Valutazione del rischio lavorativo in chiave di genere”
20 assume tale prospettiva ed inserisce alcune specifiche schede tecniche in proposito. Una precisazione al riguardo da parte del legislatore sarebbe comunque importante, anche in chiave di interpretazione autentica dell’art.28 citato. In tal senso è pienamente condivisibile il DdL 813, Art 10, “Prevenzione, formazione e informazione” che al c.1 stabilisce : “Nella valutazione dei rischi e nel relativo documento di cui agli articoli 17, comma 1 lettera a) e 28, comma 1 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.81, devono essere esplicitamente indicate le misure adottate, anche per gruppi di lavoratori, per la prevenzione dei rischi collegati alle condotte di cui alla presente legge”.
Si tratta di una statuizione importante, tenuto conto che la necessità di valutazione preventiva dei settori e dei gruppi di lavoratori maggiormente a rischio è sottolineata sia dal Report ILO 2024
21, sia dal documento Inail 2024 citato, e andrà calibrata con particolare attenzione alle molestie di genere e molestie sessuali data la loro peculiarità rispetto ad altri fenomeni di stress lavoro – correlato e tenuto conto, altresì, della specificità delle mansioni affidate alle lavoratrici22, preservando comunque una gestione “partecipata”23. In merito sarebbe opportuno istituire un coordinamento con Inps e Inail, anche al fine di introdurre obblighi più stringenti per ciò che riguarda l’obbligo a carico dei datori di lavoro di svolgere attività di formazione specifica, nonché delle lavoratrici e lavoratori impiegati in tali settori e mansioni. Ciò al fine di precisare gli obblighi del datore di lavoro in relazione alla differenziata tipologia di rischio, relativo alle molestie, alle molestie sessuali e allo stress lavorativo, sia al fine di calibrare gli oneri finanziari a seconda del rischio concreto, in quanto una previsione generalizzata rischia di essere troppo pesante soprattutto per le PMI, e mantenendo ferme le soluzioni incentivanti come quelle connesse al conseguimento della certificazione relativa alla parità di genere.
Una prospettiva di questo tipo dovrebbe essere condivisa da parte di tutti i disegni di legge, anche in relazione all’obbligo di predisposizione e adozione di codici etici, a cui occorre far precedere, secondo le indicazioni formulate dall’OIL, la valutazione del rischio e l’individuazione del personale più vulnerabile, formulazione che sarebbe importante inserire espressamente nelle relative disposizione dei DdL.

 

3.2 - Altre misure di potenziamento della prevenzione
Nella medesima logica di potenziamento della valutazione del rischio di molestie, si osserva che nel DdL 257, Art.3 c.3, ove si prevede che “il servizio di prevenzione e protezione dei rischi nelle aziende è competente anche in materia di mobbing”, sarebbe opportuno aggiungere altresì “ di molestie, anche sessuali”, secondo le indicazioni fornite dall’Inail e i relativi standards, preservando comunque la regola della modalità partecipata con il coinvolgimento delle lavoratrici e i lavoratori, o di loro rappresentanti. Altre disposizioni del medesimo Disegno di legge ripropongono contenuti già desumibili dalla legislazione in vigore in materia di salute e sicurezza che, disciplina compiti e prerogative del medico competente e del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, nonché l’obbligo di svolgere riunioni periodiche.
Ancora in chiave di prevenzione, è particolarmente apprezzabile l’innovazione, di cui all’art.9 del medesimo DdL 257, relativa alla creazione dei Centri regionali per la prevenzione, la diagnosi e la terapia dei disturbi da disadattamento lavorativo, con compiti di ricerca, informazione e formazione agli operatori dei servizi e strutture di prevenzione ASL. La competenza di tale struttura, per ragioni di coerenza sistematica, dovrebbe essere estesa anche alle situazioni di molestie e molestie sessuali, secondo quanto già osservato, e alla formazione di personale di supporto alle vittime, coordinandosi con le previsioni di altri DdL in materia di organismi istituzionali ( infra n.7). Una previsione di questo tipo andrebbe nel senso auspicato dalla recente Direttiva Europea del 2024 sulla violenza contro le donne, il cui art. 28, richiamato in premessa, sollecita la diffusione di centri d’ascolto e di supporto al di fuori delle aziende, stante la peculiarità delle molestie sessuali
24. La disposizione potrebbe essere inoltre completata mediante l’introduzione di un ulteriore comma 2, che preveda che il Centro organizzi una conferenza annuale per valutare i risultati del lavoro svolto e individuare le opportune iniziative per la riduzione o eliminazione dei fenomeni contemplati dalla presente legge.

 

4 - Denuncia della vittima al datore di lavoro, esercizio del potere disciplinare, adozione di rimedi organizzativi.
Tutte le proposte sottolineano l’importanza dell’esercizio del potere disciplinare a fronte di denunce di molestie e molestie sessuali nei confronti di superiori gerarchici o colleghi, come peraltro desumibile dagli obblighi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto e inerenti alla tutela della dignità delle persone nei luoghi lavoro, e riconosciuto dalla giurisprudenza che configura la responsabilità risarcitoria nei confronti della vittima in caso di inattività del datore di lavoro, fermo il suo diritto di rivalersi parzialmente sull’autore materiale delle molestie
25.
Fermo restando l ‘obbligo del datore di lavoro di apprestare misure di protezione anche nel caso di “rischio esterno” in cui le molestie siano perpetrate da soggetti presenti nei luoghi di lavoro ma non in qualità di dipendenti, il quadro normativo potrebbe essere ulteriormente migliorato mediante l’inserimento di nuove previsioni atte a precisare l’esercizio del potere disciplinare, particolarmente nell’ambito di applicazione del diritto antidiscriminatorio, e una forma di sanzione accanto alla responsabilità risarcitoria.
In tal senso, ci si permette qualche suggerimento circa la formulazione delle disposizioni in materia: a) prevedendo l’obbligo del datore di dare notizia alla vittima dell’inizio e della conclusione della procedura disciplinare e del suo esito. b) una volta accertata la responsabilità disciplinare, il datore di lavoro dovrebbe considerare l’adozione di rimedi anche sul versante organizzativo, quali trasferimenti o modifiche di orario, ma stabilendo la regola che i rimedi organizzativi non siano svantaggiosi per la vittima; c) Infine, in caso di inattività del datore di lavoro, prevedere forme di penalizzazione quali la perdita di benefici di tipo fiscale o di partecipazione alle gare di appalto.

 

4.1 - Perplessità emergenti da alcuni DdL.
Nel DdL 671 , l’art.2, 4, dispone che, qualora siano denunciati al datore di lavoro molestie e molestie sessuali nei luoghi lavoro, oltre all’obbligo di attivare tempestivamente procedure imparziali per accertare i fatti garantendo la riservatezza dei soggetti coinvolti: “il datore di lavoro nel caso di accertamento dei medesimi fatti ha l’obbligo di sporgere denunzia alle autorità competenti entro le successive 48 ore e adotta, nei confronti del responsabile, i provvedimenti disciplinari previsti nel rispetto delle norme di legge e del contratto collettivo nazionale di lavoro applicato”.
L’obbligo di “sporgere denuncia alle autorità competenti” non ulteriormente identificate pare riferirsi all’attivazione del sistema penale, nel qual caso, tuttavia, l’obbligo è in contrasto con il principio di autodeterminazione della vittima, che, nella maggior parte dei casi, è una donna e per ragioni di riservatezza o di altro tipo potrebbe non essere favorevole ad intraprendere un giudizio penale. Se invece si intende riferirsi alla denuncia/comunicazione all’Inail in caso di infortunio, come fattispecie ulteriore che faccia scattare tale obbligo, sarebbe utile precisarlo.
Il DdL n.257, Art.7, c.1 Responsabilità disciplinare prevede che “dal datore di lavoro è disposta una sanzione disciplinare prevista dalla contrattazione collettiva”. Occorre ricordare che la sussistenza della responsabilità disciplinare in caso di molestie e di molestie sessuali è riconosciuta dalla giurisprudenza anche in mancanza di un’apposita clausola nel contratto collettivo - che comunque nel concreto rapporto di lavoro potrebbe non essere applicato - in base al principio per cui vi sono obblighi di comportamento a carattere generale comunque gravanti sui dipendenti, tanto più se vi è in gioco la tutela della dignità nell’ambiente di lavoro
26. Di conseguenza potrebbe essere utile aggiungere “o comunque commisurata alla gravità del fatto commesso”.
Il DdL 813, all’art. 8, Responsabilità disciplinare e civile, al c.1 stabilisce: “Salvo che il fatto non costituisca reato, coloro che pongono in essere le condotte di cui all’art.2 sono responsabili sul piano disciplinare come previsto dalla contrattazione collettiva, nonché su quello civile”.
Tale formulazione lascia supporre che la eventuale promozione di un’azione penale implichi non rendere applicabile il procedimento disciplinare, versanti che al contrario si mantengono separati, vista la differenza dei rispettivi presupposti. Per ovviare a tale criticità sarebbe più opportuno una riformulazione il testo nel modo seguente: “Anche se il fatto costituisce reato….”

 

5 - Altre forme di tutela della vittima mediante misure di tipo organizzativo: congedo, part- time, smart - working
E’ sicuramente importante riconoscere ulteriori forme di tutela accanto a quella risarcitoria secondo l’approccio ampio e integrato caldeggiato anche dalle norme di fonte internazionale; pertanto non si possono che valutare positivamente le previsioni contenute nei DdL 671 e 813, riferite al diritto al congedo ex art.24 D.lgs. n.80/2015, nonché alla trasformazione del rapporto in uno a tempo parziale, oppure il ricorso allo smart-working, come soluzioni reversibili in caso di mutamento delle situazione lavorativa. In tema le proposte in commento presentano soluzioni differenziate quanto a presupposti e campo di applicazione.
Il DdL 671, Art.4, prevede i diritti menzionati solo a vantaggio delle vittime di molestie sessuali e solo qualora vi sia una sentenza che ne accerti l’esistenza, anche di primo grado, stabilendo il diritto al congedo senza subire penalizzazioni, oppure a richiedere la trasformazione del rapporto in uno a tempo parziale, compatibilmente con le esigenze aziendali, nonché a svolgere il lavoro in smart working a condizione che tale modalità sia compatibile con la prestazione.
Le condizioni poste dalla disposizione in questione, tuttavia, ne riducono molto la portata applicativa: a) l’avvio di un procedimento giudiziale non tiene conto delle statistiche che mostrano scarsa propensione delle vittime alla denuncia
27; b) il giudizio di compatibilità con le esigenze aziendali riserva in modo preminente al datore di lavoro il potere di concessione. In merito sarebbe opportuno quanto meno il controllo di un soggetto pubblico sull’applicazione della disposizione, quali la Consigliera di parità oppure l’Ispettorato del lavoro, che vigili sulla fondatezza dell’eventuale rifiuto del datore di lavoro. Occorre, al contrario, considerare l’importanza di estendere l’applicazione delle misure descritte, particolarmente il ricorso a tempo parziale o lo smart-working, che esse ben possono costituire soluzioni organizzative applicabili senza che sia necessaria la conclusione di un procedimento giudiziale, rientrando tra i rimedi organizzativi che il datore dovrà adottare per impedire il protrarsi delle molestie o molestie sessuali, o le situazioni stressogene, in applicazione dell’art.2087 c.c. In tal senso si pone il Ddl 813, Art.4, riservandole, tuttavia, solo a chi ha subito “condotte vessatorie e generatrici di stress nel luogo di lavoro”, mentre nulla prevede in caso di molestie anche sessuali, tenendo distinte tali fattispecie come si evince dalla disciplina dell’art.1 e dell’art.2 del DdL citato. Omissione che andrebbe colmata per non istituire differenze di trattamento irragionevoli.
In relazione a quanto appena sottolineato, non si può ignorare sotto il profilo giuridico che la disomogeneità tra i soggetti tutelati a seconda delle situazioni prese in considerazione dai diversi DdL – salvo il DdL n.89 che nulla prevede al riguardo - produce una disparità di trattamento irragionevole, particolarmente ove si intendesse procedere alla redazione di un Testo unificato. Come si è visto, il DdL n. 671, Art. 4, prevede il diritto ad avvalersi delle misure descritte solo in caso di molestie sessuali; mentre il DdL n.813, all’art.4, lo prevede solo in caso di condotte vessatorie e generatrici di stress, senza bisogno di particolari accertamenti. Il DdL 257 riguarda soltanto le vittime delle molestie psicologiche come definite dallo stesso atto ( per cui si rimanda alle considerazioni svolte al par.2-2 ). Nel ribadire l’importanza delle disposizioni descritte, sarebbe opportuno stabilire in materia un regime uniforme, senza alcun tipo di esclusione, non solo difficilmente giustificabile come si è appena detto, ma altresì in contrasto con la prospettiva “Integrata e globale” di Safe & Health sostenuta dalla Conv. n. 190, articolando eventualmente diritti di priorità in base al danno subito o potenziale, eventualmente sotto il controllo delle rappresentanze sindacali o i soggetti istituzionali citati.

 

6 - Ruolo dell’Ispettorato del Lavoro in caso di denuncia, dimissioni per molestie, e ulteriori rimedi
I disegni di legge - n. 89, Art 3; n. 671, Art.3; e 813, Art.7 - riconoscono all’Ispettorato in caso di denuncia delle molestie, il compito di vigilare sul rapporto di lavoro, utile per rafforzare la posizione della vittima ed evitare le eventuali ritorsioni, pur vietate dalla legge vigente, senza tuttavia disporre alcun coordinamento con l’ufficio della Consigliera/e di Parità, che viceversa sarebbe auspicabile prevedere come già stabilito dal Protocollo siglato tra la Consigliera nazionale di parità e l’Ispettorato Nazionale del lavoro
28.
Data la situazione di fragilità della vittima sul luogo di lavoro, particolarmente in caso di molestie sessuali, appare interessante la soluzione prevista, inoltre, dal DdL 671 art.3, c.3, in caso di dimissioni che seguano, o siano contestuali e di poco successive alla denuncia delle molestie ( 30gg) secondo la quale le dimissioni devono essere “convalidate dal Ministero del Lavoro territorialmente competente” che si suppone debba verificare se si tratta di dimissioni “per giusta causa”, ai fini non solo del diritto all’indennità di preavviso ma anche di accedere alle misure di welfare a sostegno del reddito come la NASpI. Nel sistema attuale che prevede per le dimissioni volontarie il ricorso a sistemi automatizzati occorrerebbe, peraltro, una migliore specificazione del funzionamento dell’intera procedura
Si tratta di previsioni che si inscrivono nella logica accolta dalla Conv. 190/2019 e nella Racc. 206/2019, suscettibili peraltro di essere estese all’imposizione di misure più incisive da parte dello stesso Ispettorato, per es. introducendo per via legislativa rimedi quali il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro con l’adozione di misure in grado di far cessare i comportamenti molesti, secondo quanto previsto nella stessa Convenzione
29 ( anche infra n.7).
Vi sono, poi, situazioni particolari come quelle delle lavoratrici straniere con compiti di cura presso l’abitazione dell’assistito/a, che in caso di dimissioni volontarie rischiano di perdere anche il permesso di soggiorno, e che raramente denunciano i casi di molestie subite. Nei loro confronti sarebbe opportuno pertanto elaborare ed introdurre soluzioni adeguate.

 

7 - Riordino e coordinamento tra organismi istituzionali
Da tempo si discute di un riordino delle istituzioni per la parità, e anche i DdL intervengono in proposito preconizzando una delega al Governo di cui sono indicati i nodi essenziali. Il tema è ampio e non pare questa sia la sede per una riflessione compiuta in proposito. Sul punto preme sottolineare
due questioni che non sembrano affrontate relativamente all’attività giudiziale delle Consigliere che già riguarda le molestie e le molestie sessuali, in virtù della loro qualificazione a stregua di discriminazioni, ovvero la necessità di assicurare un adeguato sostegno finanziario, per un verso, e, per altro verso, di evitare la duplicazione competenze già esercitate in base al regime vigente, quale il richiamo previsto all’art. 5 DdL n. 671 a “funzioni di consulenza e assistenza”, peraltro non ben definite. Sotto altro profilo, la creazione di un Osservatorio nazionale sulle molestie nel lavoro con compiti di monitoraggio del fenomeno, nonché di elaborazione e formazione di cui al DdL n.671, art. 7, c.1 lett. d), andrà coordinata con le funzioni già esercitate dall’Ispettorato del Lavoro, dall’ Inail e dall’Inps in materia di molestie e molestie sessuali, anche sotto il profilo della ricognizione dei dati, come sopra ricordato, per evitare anche in questo caso duplicazioni.

 

8 - Azioni in giudizio
In tale ambito alcune soluzioni previste nei DdL non appaiono del tutto convincenti. L’introduzione di un nuovo rito, contemplata dal ddL. 257, art.5
30, relativo al contrasto alle molestie psicologiche, già analizzate al par.2, si aggiungerebbe a quelli già fruibili nel diritto del lavoro sia in via ordinaria sia nello specifico diritto antidiscriminatorio, senza che tuttavia ne sia chiaramente motivata la necessità. Potrebbe essere utile, nella prospettiva di assicurare una tutela efficace contro le vessazioni e lo stress lavorativo, potenziare le funzioni riservate all’Ispettorato del lavoro dalla disciplina vigente in materia di salute e sicurezza tra le quali, ai sensi dell’art.14, c.1 D.lgs. n.81, rientra il potere di ordinare la sospensione dell’attività lavorativa in caso di situazioni di grave pericolo per la salute e la sicurezza estendendo in via legislativa la protezione contro le vessazioni e lo stress, soluzione conforme a quanto previsto dall’art.11 Conv. OIL, alla lett. h)31.
In tema di onere della prova, va ricordato che le regole procedurali proprie del diritto antidiscriminatorio derivanti dalle direttive europee sono stabilite in relazione non solo all’alta percentuale di soggetti quali vittime di molestie appartenenti ai gruppi a rischio– ed in particolare le donne - – ma anche per la difficoltà di raggiungere la prova piena dei fatti accaduti a causa delle condizioni di isolamento in cui spesso si verificano, di cui il caso delle molestie sessuali è il più emblematico. In tal senso la facilitazione dell’onere della prova che pone a carico del datore di lavoro l’onere di escludere la sussistenza di molestie qualora ne emergano indizi precisi e concordanti, non sembra trasferibile in ambiti diversi, ove, peraltro, sono applicabili le regole generali in tema di presunzioni ed inversione parziale dell’onere della prova.
Occorre considerate, inoltre, che l’attuale definizione di violenza e molestie nel lavoro sancita dalla Convenzione OIL produce l’effetto di rendere più agevole il ricorso alla via giudiziaria avendo eliminato sia il requisito dell’intenzionalità sia quello della interattività dei comportamenti, essendo focalizzata sulla produzione del danno che, come si è ricordato, è inteso in senso molto ampio ed è esteso a quello potenziale. In tal senso, non è del tutto convincente quanto previsto dall’art.8 DdL 813 che estende la facilitazione dell’onere della prova anche alle controversie aventi ad oggetto “le condotte vessatorie e generatrici di stress” disciplinate dall’art.2 del medesimo DdL, in quanto l’oggetto del giudizio è diverso da quello riconducibile al diritto antidiscriminatorio, trattandosi di fattispecie giuridiche differenti.
In altra logica, con riferimento a quest’ultimo, andrebbe razionalizzata la disciplina che ancora prevede regimi differenziati nel caso delle discriminazioni di genere per ciò che riguarda l’onere della prova, riportando alle regole di cui all’art.28 D.Lgs n. 150/2011 anche il regime applicabile in caso di discriminazioni di genere, come da tempo sottolineato dalla dottrina in materia al fine di eliminare una differenza priva di alcuna ragione giustificativa. Si potrebbe cogliere l’occasione per apportare una modifica da tempo auspicata.

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1 Già Ordinaria di diritto del Lavoro presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università, già esperta giuridica presso il Collegio istruttorio del Comitato Pari opportunità del Ministeri del Lavoro.
2 Il presente contributo è frutto di una riflessione condotta all’interno di un gruppo di studiose, docenti, avvocate e magistrate aderenti a Noiretedonne ( tra cui oltre alla sottoscritta D.Carlà, A.Carestia, S.Pisanu, A. Roselli, C.Obber, M. Virgilio, A. Gavaudan) che ha dato luogo a seminari, pubblicazioni e documenti relativi alle proposte avanzate in Parlamento, quale da ultimo MOLESTIE_SESSUALI_SUL_LAVORO _ Documento_NRD_ 120623, reperibile sul sito www.noiretedonne.org. Nel medesimo sito è reperibile su YouTube il Seminario “Molestie e molestie sessuali nel lavoro: quali strumenti di contrasto in ottica di genere?” , organizzato da NoiReteDonne e Comma2LavoroèDignità, Bologna 26 gennaio 2024-
3 In GU L, 2024/1385, 24.5.2024, ELI: http://data.europa.eu/eli/dir/2024/1385/oj
4 Art. 26: 1) “ Si considerano come discriminazioni le molestie comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”; 2) “sono considerate come discriminazioni le molestie sessuali consistenti in comportamenti indesiderati sessualmente connotati, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, nuovamente aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo”.
5 “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque con minacce, atti o comportamenti indesiderati, anche verificatesi in un'unica occasione o ripetuti, a connotazione sessuale, in forma verbale o gestuale, reca a taluno molestie e disturbo violando la dignità della persona è punito con la reclusione da 2 a 4 anni”
6 “Salvo che il fatto costituisca più grave reato,, chiunque con minacce, reiterati atti o comportamenti indesiderati, aventi ad oggetto allusioni sessuali reca a taluno molestie o disturbo violando la dignità della persona è punito con la reclusione fino a 3 anni”
7 M. Virgilio, Molestie sessuali alla prova della ratifica della Convenzione OIL 190, in Giudice Donna n.3-4 2020; nonché Id. Profili di diritto penale nel diritto antidiscriminatorio, in Corso di diritto antidiscriminatorio, Centro stampa Regione Emilia-Romagna 2021.
8 “La pena è aumentata della metà se dal fatto, commesso nell’ambito di un rapporto di educazione, istruzione, o formazione ovvero nell’ambito di un rapporto di lavoro, di tirocinio o di apprendistato, anche di reclutamento o selezione, con abuso di autorità o di relazioni di ufficio, deriva un clima intimidatorio, ostile, degradante o offensivo”

9 Si rinvia al documento citato a n.1
10 Art. 1, Convenzione OIL 190/2019, lett a): “l’espressione violenza e molestie nel mondo del lavoro indica un insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili, o la minaccia di porli in essere, sia in un'unica occasione sia ripetutamente, che si prefiggano, causino o possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale od economico e include la violenza e le molestie di genere; lett.b) l’espressione violenza e molestie di genere” indica «la violenza o molestia nei confronti di persone in ragione del loro sesso o genere, o che colpiscano in modo sproporzionato persone di un sesso o genere specifico, ivi comprese le molestie sessuali».…
11 Emblematica in tal senso la sentenza T. Roma, Sez.V , 6 luglio 2023, in Diritto e Giustizia 12.7.2023, di assoluzione del bidello che aveva infilato la mano nei pantaloni di una studentessa, con la motivazione che «risulta convincente la tesi difensiva dell’atto scherzoso», seppur “sicuramente inopportuno nel contesto in cui è stato realizzato per la natura del luogo e dei rapporti tra studentessa e collaboratore scolastica”.
12 In tema per tutti, M. Giaconi, Le molestie nei confronti delle lavoratrici, in Il diritto femminile, Questione Giustizia n. 2/2022; mi permetto altresì di rinviare a S.Scarponi, Molestie sessuali nel lavoro: elementi di convergenza e nodi da sciogliere connessi alla ratifica della Convenzione OIL n.190, in www.giudicedonna.it.2020
13 “Sono, altresì, considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale espressi in forma fisica, gestuale o verbale, aventi lo scopo o l’effetto di intimidire, degradare, umiliar offendere, violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore o degli altri soggetti attivi nel mondo del lavoro”.
14 In tema Scarponi, op.cit.
15 Art.2, Definizioni c.1: “Agli effetti della presente legge si intendono per molestie morali e violenze psicologiche nell’ambito del posto di lavoro le azioni, esercitate esplicitamente con modalità lesiva, che sono svolte con carattere iterativo e sistematico. Per avere il carattere di molestia morale e violenza psicologica, gli atti di cui al primo periodo devono avere il fine di emarginare, discriminare, screditare o comunque recare danno alla lavoratrice o al lavoratore nella propria carriera o autorevolezza e nel rapporto con gli altri”.
16 I testi delle proposte parlamentari e le memorie degli esperti sono reperibili in DSL - Diritto della sicurezza del lavoro, 2019 n.1 e 2
un preciso intento persecutorio (nella specie, la S.C. ha considerato “straining” un demansionamento disposto con finalità emarginatoria unito ad alcune isolate azioni ostili e di scherno). .

17 Cfr Cass. 29 marzo 2018, n. 7844, RIDL n.3/2018 , 564 con nota di S. Renzi, Lo “straining” e la progressiva emersione dei suoi connotati, secondo la quale Una condotta vessatoria di tipo episodico integra la fattispecie di “straining”, fonte di responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c., allorché il lavoratore subisca una modificazione negativa e permanente della propria situazione lavorativa, anche in caso di mancata prova di un preciso intento persecutorio (nella specie, la S.C. ha considerato “straining” un demansionamento disposto con finalità emarginatoria unito ad alcune isolate azioni ostili e di scherno).
18 Cfr da ultimo le ordinanze emesse dalla Cass sez.lav. nei primi mesi del 2024: n. 2084 del 19 gennaio; n. 3791; n.3822; n.3856 tutte del 12 febbraio; e n. 4279 del 16 febbraio. In tema da ultimo D. Tambasco Addio al mobbing arriva lo stress da conflittualità lavorativa, in www.avvocatotambasco.it 20 febbraio 2024
19 Cfr da ultimo Cass. civ.sez.lav. n. 29400 del 13 novembre 2024, in https//olympus.uniurb.it
20 Inail, La valutazione dei rischi in ottica di genere, 2024/07 in www.inail.it.
21 ILO, Preventing and addressing Violence and harassment in the world of work through occupational safety and health measures, in www.ilo.org.publication

22 In tal senso M. Giovannone, F. Lamberti, Il rischio violenza e molestie nella disciplina prevenzionistica e nella certificazione delle parità di genere, in Diritto della sicurezza nel lavoro, 2/ 2023, 1 ss
23 Sottolinea l’importanza di tale metodo il Report ILO 2024 cit. n.19:
24 Assistenza specialistica alle vittime di molestie sessuali sul lavoro: “In caso di molestie sessuali sul lavoro che costituiscono reato ai sensi del diritto nazionale, gli Stati membri provvedono affinché siano disponibili servizi di consulenza per le vittime e per i datori di lavoro. Tali servizi comprendono informazioni su come affrontare adeguatamente tali casi di molestie sessuali e anche sui mezzi di ricorso a disposizione per allontanare l’autore del reato dal luogo di lavoro”.
25 Cfr Cass civ., sez. lav., 22 marzo 2018, n. 7097.
26 Cass. civ., sez. lav., 18 settembre 2009, n. 20272, in Riv. it. dir. lav., n. 2/2010, II, p. 349, con nota di D. Comandè , Prima di tutto l’ambiente di lavoro: giusta causa di licenziamento per i “molestatori”.
27 Si veda la sezione dedicata alle molestie sul lavoro, nel citato rapporto Istat del luglio 2024 “Sulla sicurezza dei cittadini” relativo agli anni 2022 – 2023.
28 Protocollo siglato l’8 giugno 2023
29 Secondo l’ Art.10, b) : “i meccanismi rimediali e risarcitori potrebbero includere: a) le dimissioni con indennità, b) il reintegro nel posto di lavoro; un risarcimento dei danni adeguato; c) risarcimento dei danni adeguato; d) misure immediatamente esecutive che garantiscano la cessazione di determinati comportamenti.
30 Art.5, c.1: “Qualora siano denunciati comportamenti definiti ai sensi dell’articolo 2, su ricorso del lavoratore o, per delega dal medesimo conferita, delle organizzazioni sindacali, il tribunale territorialmente competente, in funzione di giudice del lavoro, nei cinque giorni successivi alla data della denuncia, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, se ritiene sussistente la violazione di cui al ricorso, ordina al responsabile del comportamento denunciato, con provvedimento motivato e immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo ,ne dispone la rimozione degli effetti, stabilisce le modalità di esecuzione della decisione e determina in via equitativa la riparazione pecuniaria dovuta al lavoratore per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Contro la decisione di cui al primo periodo è ammessa, entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti, opposizione davanti al tribunale, che decide in composizione collegiale, con sentenza immediatamente esecutiva. Si osservano le dsposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di procedura civile. 2. Il risarcimento del danno dovuto al lavoratore dal responsabile di comportamenti definiti dall’articolo 2 comprende in ogni caso anche una somma a titolo di indennizzo del danno biologico da determinare invia equitativa. 3. Restano ferme le norme vigenti in materia di tutela del lavoro subordinato”.
31 Conv. 190, Art 11 Lett. h): “ensure that labour inspectorates and other relevant authorities, as appropriate, are empowered to deal with violence and harassment, including by issuing orders requiring measures with immediate executory force, and orders to stop work in cases of an imminent danger to life or health, subject to any right of appeal to a judicial or administrative authority which may be provided by law”.

 

ALLE COMMISSIONI 10A E 12A DEL SENATO
Integrazione della memoria presentata il 28.11.2024
Sui DdL n. SA 89; SA 257; SA 761; SA 813


Prof. Stefania Scarponi
 

Sembra opportuna qualche osservazione relativamente alla disposizione contenuta nel DdL n. 813 Art.11, Ammonimento del Questore, in base alla quale la vittima delle molestie fino a che non è proposta querela può fare richiesta di ammonimento nei confronti dei soggetti che hanno posto in essere tali condotte, ai sensi dell’art.8 d.l. n. 11/2009, convertito in legge 38/2009 “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale nonché in tema di atti persecutori”. Si tratta di uno strumento già utilizzato con successo nei confronti dei datori di lavoro che siano essi stessi autori delle molestie come è stato confermato in un caso affrontato dal TAR di Trento1.
Nella proposta di legge si configura, peraltro, anche una funzione diversa rendendo applicabile tale misura anche nei confronti di altre persone, quali i colleghi oppure terzi non dipendenti ma presenti sul luogo di lavoro. La soluzione solleva, tuttavia, alcune perplessità.
In primo luogo, emerge il profilo del mancato coinvolgimento della lavoratrice con riferimento al fatto che il Questore dovrebbe adottare un provvedimento che non si limita ad investire l’autore materiale delle molestie, ma contiene altresì l’invito al datore di lavoro ad adottare misure di prevenzione e contrasto. L’invito, secondo la proposta, fa parte automaticamente del provvedimento, senza che sia necessario interpellare preventivamente sul punto la vittima. Come si è ricordato nella prima parte della memoria, già trasmessa, trattando del ricorso alle misure in ambito penale, attivare l’uno o l’altro strumento di protezione (amministrativo o penale o civile) deve presupporre una riflessione consapevole delle possibili conseguenze in capo alla vittima. E’ consigliabile, pertanto, che la donna sia supportata da un legale, oppure dalle rappresentanze sindacali, o ancora dalla Consigliera di parità, o dal Centro Anti Violenza , onde valutare preventivamente le implicazioni che dalla sua richiesta possono derivare anche nei confronti del datore di lavoro quale responsabile della salute e sicurezza. Sembra più opportuno, pertanto, affidare a tali soggetti, con tempi e modi scelti dalla vittima, il compito di trasmettere l’ammonimento del questore al datore di lavoro. In tal modo egli sarà ufficialmente messo al corrente dell’esistenza di un indizio grave di comportamento illegittimo – pur non avendo l’ammonimento natura di prova piena - dovendo a quel punto prendere gli opportuni provvedimenti sia di tipo organizzativo sia di tipo disciplinare .
Un secondo motivo di perplessità deriva dalla mancanza di alcuna sanzione in caso di inattività del datore di lavoro, come già si è rilevato in merito alle disposizioni che riguardano l’esercizio del potere disciplinare, a cui si fa quindi rinvio.
Infine, il terzo comma della disposizione proposta prevede che in caso di reiterazione delle condotte da parte dell’ammonito che si verifichino entro i due mesi successivi, la lavoratrice può decidere di dare le dimissioni per giusta causa. In merito va ricordato che il diritto a dare le dimissioni per giusta causa esiste comunque, se ne ricorrono i presupposti, anche prima dei due mesi e che dunque porre quel termine rischia fortemente di restringere, anziché allargare la tutela della vittima, ed è pertanto opportuno un ripensamento sul suo contenuto. Una via per assicurare la protezione e altresì il mantenimento del posto di lavoro pare piuttosto quella di rafforzare la pressione sul datore di lavoro, affinché rispetti correttamente l’obbligo di garantire un ambiente di lavoro privo di violenze e molestie, come recita la Conv. OIL n.190, esercitando in modo adeguato i suoi poteri. Su questo punto si rinvia pertanto alla memoria già presentata.

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1 Cfr TAR Trento 8 maggio 2020 n. 00056 in www.wikilabor.it.Le osservazioni qui svolte sono frutto di un confronto con l’Avv. Lorenza Cescatti del Foro di Rovereto che ha seguito quel caso.

 


fonte: senato.it