Cassazione Penale, Sez. 4, 17 gennaio 2025, n. 2021 -  Omessa valutazione nel POS dei rischi derivanti dalla proiezione di schegge nelle lavorazioni e mancata formazione. Nominare un preposto non basta



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta da:

Dott. DOVERE Salvatore - Presidente

Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere

Dott. CENCI Daniele - Consigliere

Dott. MARI Attilio - Consigliere

Dott. LAURO Davide - Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A. nato a A il (Omissis)

avverso la sentenza del 17/04/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere DAVIDE LAURO;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ALDO ESPOSITO

che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

 

Fatto


1. Con sentenza del 17 aprile 2024 la Corte d'appello di Bologna ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Parma, in composizione monocratica, aveva ritenuto A.A. responsabile del reato di cui all'art. 590, comma 3, cod. pen. e, concesse le attenuanti generiche in regime di equivalenza, lo aveva condannato alla pena di mesi 2 di reclusione, condizionalmente sospesa.

Secondo la concorde ricostruzione dei giudici di merito, il 17 febbraio 2017 B.B., lavoratore dipendente della Midal Srl, era impegnato in operazioni di battitura di un cuneo, quando una scheggia lo colpiva all'occhio sinistro, cagionandogli le lesioni di cui alla imputazione.

L'imputato, quale titolare dell'impresa esecutrice dei lavori, veniva ritenuto responsabile delle lesioni colposamente prodotte all'B.B., per non aver indicato, nel piano operativo di sicurezza, i rischi derivanti dalla proiezione di schegge; per aver omesso di informare e formare i lavoratori in ordine a tale rischio specifico; infine, per non aver adottato idonee misure di protezione.

2. Avverso tale sentenza A.A. ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.

2.1. Con il primo motivo si deduce violazione della legge penale sostanziale e vizio della motivazione (art. 606, comma 1, lett. b ed e, cod. proc. pen.), con riguardo alla prevedibilità della situazione di pericolo.

Osserva il ricorrente che al momento dell'infortunio la società gestiva 8 cantieri di grandi dimensioni, dislocati su tutto il territorio nazionale; tale complessità organizzativa lo aveva indotto a nominare dei preposti per la vigilanza nei cantieri, cui demandava tutti gli obblighi di cui all'art. 19 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81.

Il preposto avrebbe quindi dovuto segnalare specifici rischi insorti nelle fasi di lavorazione, nonché la necessità di modificare il piano operativo di sicurezza.

D'altra parte, una specifica previsione circa l'utilizzo degli occhiali di protezione nel caso di utilizzo di un martello non era prevista nemmeno nel piano di sicurezza redatto dalla impresa appaltante, a conferma del fatto che si trattasse di una situazione di pericolo imprevedibile. Imprevedibilità ulteriormente confermata dalla circostanza per cui, sebbene quella stessa attività venisse svolta regolarmente, mai si erano verificati incidenti analoghi.

2.2. Con il secondo motivo si deduce erronea applicazione della legge penale sostanziale e vizio di motivazione, per avere la Corte ritenuto insussistente la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen.

La Corte territoriale, infatti, non ha preso in considerazione né l'avvenuto risarcimento dell'anno, né il successivo adeguamento del piano operativo di sicurezza, né il fatto che le lesioni, seppur gravi, non si risolsero in postumi invalidanti per il lavoratore.

2.3. Con il terzo motivo si lamenta l'illogicità della motivazione, nella parte in cui, pur avendo concesso la sospensione condizionale della pena detentiva, la Corte territoriale ne ha poi negato la conversione in quella pecuniaria, sostenendo che non avrebbe potuto svolgere la funzione rieducativa.

3. Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, e le parti hanno formulato, per iscritto, le conclusioni come in epigrafe indicate.

 

Diritto


1. Il ricorso è inammissibile.

1.1. Il primo motivo ripropone acriticamente argomenti già valutati dalle conformi decisioni di merito.

Quale titolare dell'impresa esecutrice, il A.A. avrebbe dovuto, ai sensi dell'art. 96, comma 1, lett. g), del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, redigere il piano operativo di sicurezza di cui all'art. 89, comma 1, lett. h), stesso decreto, comprensivo delle misure preventive e protettive, integrative rispetto a quelle contenute nel piano di sicurezza e coordinamento, da adottare in relazione ai rischi connessi al cantiere ove si verificò l'infortunio dell'B.B.

Egli avrebbe dovuto valutare i rischi derivanti dalla proiezione di schegge nelle lavorazioni in cui era previsto l'uso di un martello (come nella fase di casseratura in cui si verificò l'incidente), e quindi adottare le conseguenti misure di sicurezza, come ad esempio l'utilizzo degli occhiali di protezione, che invece era previsto soltanto nel caso di taglio di oggetti.

Si trattava, del resto, di una attività che poteva essere svolta solo con quelle modalità, e che proprio con quelle modalità veniva periodicamente ripetuta dai lavoratori (6 volte tra gennaio e febbraio del 2017) i quali neppure erano stati specificamente formati sui rischi connessi, con conseguente ulteriore violazione delle regole in materia di sicurezza.

Nella redazione del piano operativo il datore è quindi venuto meno all'obbligo di valutare i rischi legati alle lavorazioni da effettuare all'interno dello specifico cantiere.

L'assenza nel piano operativo di sicurezza di specifici riferimenti al tipo di rischio che si è poi concretizzato, ed il conseguente addebito colposo, non possono essere messi in discussione - come pretenderebbe il ricorrente - dalla nomina di un preposto per quel cantiere.

Secondo il consolidato insegnamento della Corte di cassazione, la designazione di un preposto al rispetto delle misure di prevenzione non esonera il datore di lavoro da responsabilità ove risulti l'inidoneità di una misura prevista nel documento di valutazione dei rischi (Sez. 4, n. 22256 del 3/03/2021, Canzonetti, Rv. 281276-01).

D'altra parte, nel caso in esame il rischio concretizzatosi non attiene ad una contingenza propria della fase esecutiva della lavorazione, che come tale avrebbe dovuto suggerire una modifica del piano operativo di sicurezza (come immotivatamente sostenuto in ricorso), ma piuttosto a scelte proprie del datore, che si è accertato essere ab origine carenti (cfr., sui limiti entro i quali la presenza del preposto può determinare l'esclusione della responsabilità del datore di lavoro o del dirigente, Sez. 4, n. 24136 del 06/05/2016, Di Maggio).

Né giova al ricorrente l'osservazione secondo cui una specifica valutazione del rischio derivante dalla proiezione di schegge non era contenuta nemmeno nel piano redatto dall'impresa appaltante: ciò sia per le ontologiche differenze rispetto al piano operativo di sicurezza, sia perché, come evidenziato dai giudici di merito, il primo conteneva, a ben vedere, una previsione di carattere generale, relativa alla realizzazione delle strutture in elevazione, con previsione dell'uso degli occhiali di protezione (p. 9 sentenza del Tribunale).

D'altra parte, il piano operativo di sicurezza deve contenere non solo la valutazione dei rischi a cui sono sottoposti i lavoratori, ma anche l'individuazione delle misure di prevenzione e protezione, integrative rispetto a quelle contenute nel PSC quando previsto, adottate in relazione ai rischi connessi alle proprie lavorazioni in cantiere (artt. 89 e 96 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81).

Da tali ultime considerazioni, e dal fatto che la condotta del lavoratore rientrava nelle ordinarie fasi di lavorazione previste per la posa in opera di strutture in cemento armato (circostanza con cui il ricorso omette ogni confronto), i giudici hanno motivatamente tratto la conclusione che il rischio concretizzatosi fosse pienamente prevedibile.

Il ricorrente, inoltre, non affronta in alcun modo l'ulteriore profilo su cui si fonda l'affermazione di responsabilità, ovvero quello relativo alla mancata formazione.

Per quest'ultimo aspetto è sufficiente ricordare che il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio del lavoratore, e ciò anche quando - contrariamente a quello che è stato accertato - derivi da negligenza nello svolgimento delle proprie mansioni (Sez. 4, n. 8163 del 13/02/2020, Lena, Rv. 278603-01; Sez. 4, n. 45808 del 27 giugno 2017, Catrambone, Rv. 271079), atteso che è proprio attraverso l'adempimento di tale obbligo che il datore di lavoro rende edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti (Sez. 4, n. 11112 del 29 novembre 2011, Bortoli, Rv. 252729).

Pertanto, allorquando il datore, come nel caso in esame, non adempia a tale fondamentale obbligo, sarà chiamato a rispondere dell'infortunio occorso al lavoratore, nel caso in cui l'omessa formazione possa dirsi causalmente legata alla verificazione dell'evento, come pure ritenuto nelle conformi decisioni di merito, sul punto in alcun modo attinte dai motivi di ricorso.

1.2. Il secondo motivo è aspecifico.

La Corte d'appello ha escluso l'applicazione dell'art. 131-bis cod. pen. con riguardo al giudizio sulla offesa, ritenuta non tenue, e ciò in ragione della durata della invalidità temporanea derivata dall'infortunio sul lavoro.

Inoltre, dal testo del provvedimento impugnato si evincono ulteriori indicatori della gravità dell'offesa, in ragione sia delle molteplici norme violate in tema di sicurezza nel lavoro, sia della vistosa carenza del piano operativo di sicurezza (rispetto ad un rischio relativo ad una operazione compiuta con regolarità dai lavoratori).

Il diniego è quindi fondato sulla impossibilità di riconoscere al fatto, così come accertato, quel minimo disvalore richiesto affinché possa operare la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen.

A fronte di tali argomentazioni il ricorrente si è limitato ad indicare la presenza di altri elementi, mancando ogni confronto con le ragioni la decisione della Corte d'appello.

La sentenza impugnata, del resto, si colloca motivatamente nell'alveo del dictum delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, comma 1, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo (Sez. Un. n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266590); non è necessaria, quindi, la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti dal predetto art. 133, essendo sufficiente, come accaduto nella specie l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti (così Sez. 7, n. 10481 del 19/01/2022, Deplano, Rv. 283044-01; conf. Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, Milone, Rv. 274647-01).

1.3. Stessa sorte riguarda il terzo motivo.

Il diniego della conversione è stato fondato sulla analisi dei criteri indicati dall'art. 133 cod. pen., valorizzando in particolare la presenza di precedenti penali, anche specifici, e la pregressa concessione della sospensione condizionale, sottolineandone l'inefficacia sul piano della prevenzione.

Da tali indicatori, con motivazione non manifestamente illogica, i giudici territoriali hanno ritenuto di formulare, in ordine alla invocata sostituzione con la pena pecuniaria, una valutazione negativa quanto alla rieducazione del reo.

Così facendo, la sentenza impugnata ha inoltre fatto corretta applicazione dell'insegnamento di questa Corte di legittimità (con cui il ricorrente omette ogni confronto) secondo il quale la sostituzione della pena detentiva con pena pecuniaria il giudice deve ricorre ai criteri previsti dall'art. 133 cod. pen.; tuttavia, ciò non implica che egli debba prendere in esame tutti i parametri contemplati nella suddetta previsione, potendo la sua discrezionalità essere esercitata motivando sugli aspetti ritenuti decisivi in proposito, quali l'inefficacia della sanzione (cfr., Sez. 5, n. 10941 del 26/01/2011, Orabona, Rv. 249717-01; conf., con riferimento alla rilevanza di precedenti specifici, Sez. 7, ord. n. 32381 del 28/10/2020, Cascio, Rv. 279876-01).

2. Stante l'inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare in euro tremila.

 

P.Q.M.
 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 16 ottobre 2024.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2025.