Cassazione Penale, Sez. 4, 23 gennaio 2025, n. 2754 - Caduta delle travi accatastate: individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse. Omessa previsione, valutazione e adozione di misure contro il rischio derivante dall'accatastamento


 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta da:

Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente

Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere

Dott. CENCI Daniele - Consigliere

Dott. LAURO Davide - Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A. nato a S il Omissis

avverso la sentenza del 25/01/2024 della CORTE APPELLO di ANCONA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere DAVIDE LAURO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore SILVIA SALVADORI che ha concluso chiedendo

Il Proc. Gen. conclude per il rigetto del ricorso, udito il difensore

È presente l'avvocato MARRA GABRIELE del foro di URBINO in difesa di:

A.A. e con delega orale anche per l'avvocato MONACO LUCIO del foro di NAPOLI in difesa di A.A.

Il difensore presente chiede l'accoglimento dei motivi di ricorso.

 

Fatto


1. Con sentenza del 25 gennaio 2024, la Corte di appello di Ancona ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Pesaro - in esito al dibattimento - aveva dichiarato A.A. colpevole del reato di cui all'art. 590 cod. pen.

1.1. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, il giorno 7 aprile 2018 B.B. - dipendente della Metalgamma Srl, con mansioni di operaio addetto alle macchine utensili - si trovava all'interno del capannone sito in Fano (PU).

Si recava quindi nel vicino reparto di carpenteria per prelevare un profilato in ferro, utilizzando un carroponte radiocomandato, con il quale sollevare i laminati che erano ammassati al di sopra di quello da prelevare.

Una volta azionato il telecomando per mettere in tensione i profilati che si accingeva a sollevare, le travi sottostanti scivolavano travolgendo il B.B., il quale si era posizionato incautamente nelle immediate vicinanze, in un corridoio presente tra i laminati, di circa 30 cm.

Delle lesioni gravi così riportate dal lavoratore nell'incidente è stato ritenuto responsabile A.A., quale legale rappresentante della predetta società, e quindi datore di lavoro ai sensi del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81.

Al A.A., più in particolare, si addebita la violazione colposa dell'art. 64 del predetto decreto, per aver consentito o comunque tollerato che all'interno del reparto di carpenteria fossero praticate modalità pericolose di accatastamento del materiale ferroso, e quindi per non aver realizzando dei sistemi a rastrelliera che ne avrebbero impedito il ribaltamento o comunque la caduta, e che avrebbero reso i luoghi di lavoro conformi ai requisiti di cui all'art. 63 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, che rinvia sul punto all'allegato IV (punto 1.8.1).

I giudici di merito, infine, hanno escluso che il comportamento del B.B., pur imprudente, potesse ritenersi abnorme e quindi tale da interrompere il nesso causale tra la condotta e l'evento.

2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione A.A. a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.

2.1. Con il primo motivo si lamenta violazione di legge e carenza della motivazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.

Secondo il ricorrente la sentenza impugnata non ha in alcun modo preso in considerazione l'oggettiva complessità dell'organizzazione aziendale (la società conta oltre 100 dipendenti), finendo per attribuire all'organo di vertice, in maniera pressoché automatica, la responsabilità per inosservanza delle norme in materia di sicurezza.

Responsabilità affermata nonostante la formazione specifica dei dipendenti - tra cui appunto il B.B. - e nonostante nel documento di analisi e valutazione dei rischi fosse stato segnalata la necessità di seguire specifiche procedure per il sollevamento dei carichi, che prevedevano l'allontanamento dell'operatore dal carroponte.

Né appare possibile esigere, dal legale rappresentante di una azienda di grandi dimensioni, l'obbligo di prevedere l'aggiramento volontario delle direttive impartite in punto di sicurezza.

2.2. Con il secondo motivo si denuncia la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione, avendo la Corte d'Appello da un lato rinviato alla sentenza di primo grado ed alle dichiarazioni del B.B. quanto alla ricostruzione del sinistro, e dall'altro affermato che costui sarebbe salito sulle travi, al fine di poterle agganciare al carroponte.

Tale incertezza si riflette sulla individuazione del pericolo non adeguatamente cautelato dal A.A. (e quindi su quello non previsto), che la Corte d'Appello ha indicato nell'azionamento del telecomando del carroponte senza prima allontanarsi dalla zona in cui laminati erano ammassati.

D'altra parte, la realizzazione del sistema di rastrelliere, oggetto della diffida del dipartimento di prevenzione, non è misura idonea ad impedire che l'addetto al sollevamento non rimanga nei pressi del carroponte, né la "torsione" delle travi cui ha fatto riferimento la persona offesa.

2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione della legge penale sostanziale, derivante dall'erronea applicazione dell'art. 43 cod. pen.

Nell'affrontare la questione della prevedibilità dell'evento, la Corte d'Appello, nei fatti, ha sostituito alla caduta delle travi per effetto della movimentazione con il carroponte, indicata dal Tribunale, il riferimento alle modalità di organizzazione del deposito delle travi.

Da ciò è dipeso il mancato rispetto del requisito della "categorialità", autorevolmente affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità.

La Corte d'Appello ha inoltre provveduto ad una inammissibile costruzione ex post della regola cautelare violata, confondendo il rischio generale (relativo alla modalità di organizzazione delle travi) con il rischio specifico (relativo alla caduta delle travi per effetto della loro movimentazione).

Né l'esistenza del reato può essere argomentata sulla scorta dell'esito della procedura amministrativa avviata dopo il sinistro.

2.4. Con il quarto motivo si lamenta violazione della legge penale sostanziale, con riguardo all'erronea applicazione degli artt. 41 e 43 cod. pen.

Osserva il ricorrente che il lavoratore è stato effettivamente informato del divieto assoluto di svolgere le proprie mansioni secondo certe modalità, per come emerso dalla sua testimonianza ("sono rimasto lì che, come ben so, non ci dovevo stare").

Conseguentemente, in caso di violazione del divieto si è in presenza di una condotta abnorme, in presenza della quale non è possibile formulare alcun addebito colposo nei confronti del datore di lavoro.

2.5. Con il quinto ed ultimo motivo si lamenta violazione della legge penale sostanziale, per avere la Corte d'Appello del tutto omesso di valutare la c.d. dimensione soggettiva della colpa.

Risulta infatti acquisita al processo sia la presenza di un caporeparto, sia la presenza di una prassi aziendale allineata alle indicazioni contenute nel DVR, sia la prova che la mansione venne affidata ad un operaio esperto e costantemente formato.

Tenuto conto di ciò la Corte d'Appello avrebbe dovuto escludere l'esigibilità della condotta che si assume omessa, non essendovi prova della conoscenza, o della colpevole ignoranza, da parte del datore di lavoro, di prassi elusive delle prescrizioni impartite in materia di sicurezza.

3. Richiesta e disposta la trattazione orale, all'odierna udienza le parti hanno rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe.

Sono pervenute inoltre, nell'interesse del ricorrente, delle memorie.

 

Diritto


1. Il ricorso è infondato e deve essere, pertanto, rigettato.

1.1. Il primo motivo, riguardante la complessità dell'organizzazione aziendale ed il correlato vizio della motivazione, è inammissibile.

Secondo il consolidato orientamento della Corte di cassazione, ai fini dell'individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio con la conseguenza che non può attribuirsi, in via automatica, all'organo di vertice la responsabilità per l'inosservanza della normativa di sicurezza, dovendosi sempre considerare l'effettivo contesto organizzativo e le condizioni in cui detto organo ha dovuto operare (Sez. 4, n. 18409 del 28/03/2018, Oberti, Rv. 272802 - 01; Sez. 4, n. 13858 del 24/2/2015, Rota, Rv. 263286 - 01).

Si è quindi precisato che, generalmente, è riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l'infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell'organizzazione dell'attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l'incidente derivante da scelte gestionali di fondo (Sez. 4, n. 22606 del 4/4/2017, Minguzzi, Rv. 269972).

Nel motivo si richiama correttamente il principio, ma nel momento in cui lo si pone in correlazione all'infortunio per cui è processo, si evoca semplicemente la presenza di una ditta con oltre 100 dipendenti (p. 15 ricorso), senza alcuna indicazione del contesto, e quindi con un difetto di specificità che, per vero, era già presente nell'atto di appello (cfr., la sintesi dei motivi presente nella sentenza d'appello).

Osserva il Collegio, inoltre, che la genericità del motivo di ricorso con il quale si lamenta l'omessa motivazione su una censura formulata in grado di appello, senza alcuna indicazione del tenore di tale censura, non consente alla Corte di legittimità di valutare se il motivo di appello sul quale la Corte territoriale non si è pronunciata fosse, a sua volta, ammissibile.

Al riguardo si è affermato che il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, proposti in concorso con altri motivi specifici, non può formare oggetto di ricorso per cassazione, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria, quand'anche il giudice dell'impugnazione non abbia pronunciato in concreto tale sanzione (Sez. 2, n. 44810 del 08/10/2024, Frasillo, non mass.; Sez. 5, n. 44201 del 29/09/2022, Testa, Rv. 283808 - 01; Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, dep. 2015, Botta, Rv. 262700 - 01).

Dalla genericità dell'atto di appello è infatti discesa l'interruzione della catena devolutiva.

In ogni caso, al A.A. si addebita anche l'inadeguata valutazione del rischio derivante dall'accatastamento del materiale ferroso, ovvero la violazione di un obbligo specifico del datore di lavoro.

Né può sostenersi, come si dirà scrutinando gli altri motivi, che il rischio si sia manifestato nella fase esecutiva (cfr., sul rapporto, sul piano della gestione del rischio e quindi delle responsabilità, tra l'incidente occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa e quello derivante da scelte gestionali, Sez. 4, n. 37738 del 28/05/2013, Gandolla, non mass, sul punto).

Va pertanto ribadito il principio per cui, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai fini dell'individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse, occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del datore di lavoro l'incidente derivante da scelte gestionali di fondo (Sez. 4, n. 22606 del 04/04/2017, Minguzzi, in motivazione; Sez. 4, n. 24136 del 06/05/2016, Di Maggio, Rv. 26685301).

1.2. Il secondo motivo, con cui si deduce (in maniera promiscua) la manifesta illogicità e la mancanza della motivazione, è infondato.

Contrariamente a quanto si legge in ricorso (p. 20), dalla lettura complessiva della sentenza di appello si evince che, nelle linee essenziali, la Corte territoriale ha inteso condividere l'accertamento in fatto compiuto dal Tribunale, per effetto di un inequivoco e ripetuto rinvio a quelle argomentazioni (pp. 4, 9, 11), con l'importante precisazione, fatta sempre dalla Corte d'Appello, che la dinamica dell'infortunio non fosse controversa (p. 4).

Dinamica ricostruita in forza delle dichiarazioni rese dal B.B. al Tribunale, non avendo svolto i giudici d'appello alcuna attività istruttoria.

D'altra parte, è lo stesso ricorrente a riconoscere che la caduta delle travi accatastate (non di quelle che si intendeva sollevare) fu effetto della movimentazione di quelle sovrastanti, e che in tali termini la dinamica fu correttamente accertata sia dal Tribunale, sia dalla stessa Corte d'Appello (p. 21 ricorso).

Inoltre, è la stessa Corte territoriale a collegare l'evento - lo schiacciamento degli arti inferiori - alla mancata adozione delle rastrelliere, idonee a creare un ordinato spazio di movimento e, nel contempo, ad impedire lo scivolamento dei profilati al suo interno (p. 10).

Il passaggio relativo, invece, all'erroneo azionamento del carroponte è inteso quale concausa, trattandosi di condotta imprudente (evidente il riferimento alla "incauta iniziativa"), ma non abnorme, del lavoratore (pp. 10 e 11 sentenza d'appello).

Può dunque escludersi non solo il difetto della motivazione, ma anche la sua manifesta illogicità, che richiede l'esistenza di una frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse, nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono (Sez. 5, n. 19318 del 20/01/2021, Cappella, Rv. 281105 - 01; Sez. 2, n. 12329 del 04/03/2010, Olmastroni, Rv. 247229 - 01).

1.3. Il terzo motivo, con cui si lamenta violazione della legge penale sostanziale, è infondato.

I giudici di merito, nei termini appena indicati, hanno individuato la regola cautelare violata, esistente al momento della condotta, sottolineando come questa avesse efficacia impeditiva rispetto ad eventi del genere cui appartiene quello hic et nunc verificatosi.

L'infortunio, infatti, si verificò per effetto dello scivolamento delle travi che erano accatastate in maniera irregolare, così invadendo il corridoio di soli 30 cm in cui si era portato il B.B., per poter movimentare il materiale necessario alla lavorazione, agganciandolo al carroponte: seguendo quel passaggio, ricavato tra le travi, si era portato nella parte centrale, dove si trovavano le funi e le catene necessarie per il sollevamento (p. 3 sentenza del Tribunale).

Il A.A., quindi, non ha valutato, in alcun modo, il rischio derivante dall'accatastamento indiscriminato delle travi in ferro, che per dimensioni e peso, potevano cadere o scivolare.

Poiché le travi erano solo depositate in quel reparto, la loro lavorazione, con o senza carroponte, esponeva il lavoratore che vi si fosse avvicinato al rischio di esserne colpito: non esisteva, infatti, alcuna cautela idonea ad integrare una qualche forma di protezione, né è emerso che fosse possibile imbragare i profilati con modalità diverse da quelle adoperate.

D'altra parte, l'art. 64 del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, impone al datore di lavoro di provvedere affinché i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti indicati nell'allegato IV del medesimo testo normativo, tra cui la difesa tanto dei posti di lavoro quanto dei posti di passaggio dalla caduta o dall'investimento di materiali in dipendenza dell'attività lavorativa (1.8.1).

Alla regola cautelare violata, ovvero, la realizzazione della rastrelliera, è stata quindi correttamente riconosciuta efficacia impeditiva rispetto ad eventi del genere cui appartiene quello hic et nunc verificatosi, ovvero lo scivolamento di una delle travi accatastate, nella specie avvenuto dopo la messa in tensione del carroponte.

La contraria affermazione contenuta nel ricorso (ad es., pp. 20 - 21) non considera che le lesioni furono provocate dalle travi sottostanti, che in quanto non protette dalla rastrelliera erano rovinate sul B.B., così incastrandolo nel corridoio da quest'ultimo utilizzato per procedere all'imbracatura.

Questa Corte, anche nella sua più autorevole composizione, ha chiarito che la necessaria prevedibilità dell'evento - anche sotto il profilo causale - non può riguardare la configurazione dello specifico fatto in tutte le sue più minute articolazioni, ma deve mantenere un certo grado di categorialità (come si riconosce in ricorso: p. 23), nel senso che deve riferirsi alla classe di eventi in cui si colloca quello oggetto del processo (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261106 - 01, ed in motivazione, pp. 126 - 128; conf., Sez. 4, n. 35016 del 17/06/2024, Appendino, Rv. 286987 - 04, secondo cui la regola astratta, preesistente all'evento, alla quale l'agente avrebbe dovuto conformarsi, è quella idonea a prevenire eventi appartenenti alla classe categoriale di quello in concreto verificatosi; conf., Sez. 4, n. 30616 del 07/05/2024, Angrisano, Rv. 286883 - 02, secondo cui il giudizio di prevedibilità postula l'individuazione della "classe di evento" di riferimento, che deve essere determinata avendo riguardo alla descrizione di quanto è avvenuto e procedendo, poi, a ricondurre l'evento verificatosi a una più ampia categoria).

Il Collegio, quindi, intende ribadire che la prevedibilità dell'evento, anche sotto il profilo causale, non riguarda un determinato accadimento nelle sue specifiche articolazioni, inevitabilmente unico e, come tale, irripetibile ed imprevedibile, ma attiene a "classi di eventi", sistematizzati in categorie secondo un processo razionale che, se fondato su criteri logici, è incensurabile in sede di legittimità.

Né la regola cautelare può dirsi identificata solo ex post, per effetto delle prescrizioni impartite dall'autorità amministrativa (pp. 25 e ss. ricorso).

I giudici di merito hanno ritenuto che la pericolosità dell'area in cui si è verificato l'infortunio fosse prevedibile (alla luce delle caratteristiche dei luoghi e dei profilati - per peso e dimensioni) e che nel corso della lavorazione le travi potesse cadere verso il suolo.

È stata ritenuta quindi esigile la condotta alternativa consistente nell'adozione di sistemi - le rastrelliere - in grado impedire che quelle pesanti travi (depositate in maniera irregolare) potessero scivolare al suolo.

I giudici, quindi, delineata la posizione di garanzia, hanno individuato il comportamento alternativo in concreto esigibile, così fornendo con valutazione ex ante una motivazione coerente e logica all'affermata causalità della colpa, non censurabile in questa sede.

Pertanto, sebbene la condotta alternativa lecita, secondo i giudici di merito, fosse stata cristallizzata nelle misure di protezione adottate dopo l'evento, non può condividersi l'assunto, fatto proprio in ricorso, secondo il quale l'affermazione di responsabilità è stata erroneamente sostenuta in forza di un giudizio a posteriori.

1.4. Il quarto motivo, con cui si deduce l'abnormità della condotta del lavoratore, è manifestamente infondato.

Secondo un consolidato orientamento di questa Corte regolatrice, la condotta colposa del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo solo quando esorbiti dalle mansioni affidate al lavoratore oppure sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 7012 del 23/11/2022, dep. 2023, Cimolai, Rv. 284237 - 01; Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Vigo, Rv. 281748 - 01; Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, Musso, Rv. 275017 - 01).

Non è questo, all'evidenza, il caso di specie: al momento dell'infortunio il B.B. stava svolgendo mansioni riconducibili al ruolo da lui normalmente ricoperto nell'ambito del ciclo produttivo, e la situazione non ricopriva i caratteri di imprevedibilità, eccezionalità ed eccentricità del rischio richiesti dalla giurisprudenza per l'interruzione del nesso di causalità.

D'altra parte, la previsione contenuta nel documento di valutazione dei rischi, risolvendosi in un divieto (peraltro relativo alle fasi di sollevamento, trasporto e successivo deposito), appare generica, e mirata a comunque a prevenire essenzialmente la caduta del materiale caricato sul carroponte (p. 7, nota 12, sentenza del Tribunale).

A quel divieto, però, non si accompagna alcuna indicazione su come operare in sicurezza nel momento in cui, sempre all'interno delle fasi di lavorazione, l'operatore doveva necessariamente portarsi nei pressi del materiale ferroso irregolarmente accatastato, per predisporne l'imbracatura (cfr., in ordine all'insufficienza di un mero divieto, Sez. 4, n. 1036 del 10 dicembre 2015, Bignotti, non mass.).

Inoltre, la decisione citata dal ricorrente (p. 29 ricorso) attiene ad altra ipotesi, in cui la colpa datoriale veniva contestata relativamente alla mancata informazione e formazione del lavoratore.

1.5. In ragione di quanto finora evidenziato, anche il quinto ed ultimo motivo è infondato.

Nel ricorso si richiamano i principi giurisprudenziali in materia di prassi elusive delle prescrizioni poste a tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, sostenendo che il A.A. non ne avesse conoscenza; tanto al fine di escludere il profilo soggettivo della colpa.

Osserva il Collegio che è lo stesso ricorso ad escludere che la prassi relativa all'uso del carroponte non fosse allineata alle prescrizioni contenute nel DVR (p. 33 ricorso). In ogni caso, come visto, ciò che si rimprovera al datore è di non aver previsto, valutato e cautelato il rischio derivante da quelle modalità di accatastamento, che rendevano di per sé pericolosa l'area in cui si è verificato l'infortunio, in cui il lavoratore doveva comunque portarsi nel corso della lavorazione, per poter prelevare quanto necessario.

2. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2024.

Depositata in Cancelleria il 23 gennaio 2025.